È già una tradizione ben radicata nel tempo nelle missioni della Consolata a Dianra, Dianra Village e Marandallah, nel nord della Costa d'Avorio, dare priorità alle attività di formazione integrale per le donne all'interno delle loro comunità.

Ogni anno, nel mese di marzo, i diversi gruppi femminili si riuniscono durante tre giorni per vivere un'esperienza di formazione, preghiera e condivisione. Quest'anno 2024, il 18° Incontro delle Donne si è tenuto nella Prefettura di Dianra, alla parrocchia di Saint Paul. L'équipe dei missionari della Consolata e le coordinatrici dell'incontro hanno chiamato due formatrici rurali che hanno animato con la loro competenza le giornate sul tema “Donne impegnate a servire”.

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Se sono seguiti degli incontri formativi sulla salute delle donne, sul loro ruolo all'interno della comunità cristiana e nelle loro famiglie, con testimonianze profonde. La libertà di parola concessa alle donne è stata intensa.

Questa edizione ha lasciato nel cuore delle donne l'ardente desiderio di servire mettendo in gioco i propri doni. Per le donne, l'impegno totale a sperimentare, nel loro ambiente, un cambiamento radicale nel loro stile di vita e nella loro missione ha scosso profondamente l'intera comunità cristiana.

Vedi qui il video del 18° Incontro delle donne nel nord della Costa d'Avorio

* Padre Ariel Tosoni, è missionario della Consolata argentino che lavora nella Costa d’Avorio.

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“ Le donne nella chiesa”

Vi dico subito che io ho un po’ un di disagio a parlare su questo tema.

Vedrete che quello che dirò è più una premessa che una lezione sulla donna nella chiesa nel senso storico. Prima di tutto vorrei sapere da voi e vi domando: “perché volete parlare di questo tema? Perché questo tema, e con questo titolo dopo tanti anni?” Forse questa è una domanda molto latina americana, perché questo titolo “la donna nella chiesa” nel continente americano è vecchio, corrisponde ai primi passi di riflessione oltretutto fatta da uomini.

Prima di tutto io non voglio parlare della donna. E non posso neanche, perché per me parlare della donna non è parlare di un extraterrestre ma io sono una donna, e il fatto di dirvi parliamo della donna mi fa sentire un oggetto di ricerca, e noi donne non siamo un oggetto di ricerca.

Allora mi sembra importante già spostare l’attenzione dal singolare al plurale per cogliere la verità più profonda di questo tema. Credo infatti che il grande problema sia sentirsi sempre raccontare da altri. Grande problema sia per le donne e sia nella storia dell’umanità e quindi delle religioni che nascono nelle culture. Quindi è normale che le difficoltà di interpretazione o le falsità cioè quello che si è detto sulla donna, sia stato trasportato poi nel mondo religioso e quindi nel mondo teologico.

A mio avviso, il primo passo per fare una storia differente, è imparare a leggere la storia in un altro modo questo è fondamentale per imparare a fare politica, e a fare etica in un altro modo, cioè scoprendo delle relazioni diverse. E’ quindi fondamentale riprendere gli aspetti storici prima ancora di arrivare a chi sono le donne nella chiesa.

In queste premesse inserirei un aspetto metodologico importante: ripercorrere dei cammini storici, oltretutto i dati più interessanti sono extrabiblici e quindi vanno sfruttati tantissimo. Non si può restare, per parlare della donna nella chiesa, nella prospettiva di prendere le scritture. Le scritture sono una fonte. Ma le scritture per questa problematica vanno lette aiutate da tutta la storia, che è una storia dell’umanità in generale e non solamente la nostra storia e ancora meno la storia della chiesa cattolica.

A questo punto, vi dico il mio disagio perché mi sembra che questo tema sia per mistificare, ancora di più. Se noi non riusciamo a fare questo passo di interrogarsi su cosa significa per noi parlare delle donne, rimaniamo nella mistificazione, rimaniamo bloccati.

L’altro aspetto difficile della questione “le donne nella chiesa” è che se vogliamo parlare delle donne nella chiesa, come ruolo, allora le donne cattoliche non hanno da dire assolutamente niente, come ruolo ufficiale. Se c’è qualcuna che mi vuol dire che non è vero, lo dica, ma mi deve proprio convincere.

Non c’è mai stata una storia femminile che ha potuto gestire le istituzioni di questa comunità credente. E’ inutile che ci sforziamo tanto e perdiamo tempo: non c’è mai stata!

Io cercherò di dirvi il perché, secondo me, non c’è mai stata. Ma come teologa vi dico: non c’è nessun ruolo! Perché magari ci fosse un ruolo, probabilmente non saremmo arrivati al punto in cui si trova oggi la comunità credente cattolica in tutti i suoi aspetti: nell’aspetto istituzionale, cioè di costruzione di governo interno, nell’aspetto di relazioni tra di noi, nell’aspetto della così detta evangelizzazione e nel dialogo teologico. La teologia è stata pensata per comunicare con gli esseri umani e non c’è riuscita, a mio avviso, perché l’hanno pensata sempre le stesse persone. Come per altri aspetti della società: il potere di gestione, dopo secoli e secoli, è pensato e articolato secondo i modelli di un piccolo gruppo, che certamente non è un gruppo femminile. Le donne hanno dovuto solo adeguarsi a questo, e lo abbiamo fatto sempre con le nostre strategie e le vedremo. Ma fondamentalmente a noi è chiesto solo di adeguarci e da donne ci adeguiamo alla meno peggio, però noi non abbiamo le colpe di questo disastro ecclesiale, io come donna non voglio nessuna colpa, basta, mi sono stufata di star sempre lì a parare i disastri degli altri.

Se voglio portare misticamente il corpo di Cristo e quindi “dei cristi” come direbbe la mia sorella Caterina da Siena, se voglio portare dei cristi su di me porto l’umanità, cioè questa grande fatica di tanti uomini e di tante donne che hanno faticato, hanno fatto delle scelte e si sono fermati sulla soglia piuttosto che appartenere, stare comodi nelle case degli empi. Come dice il bellissimo salmo 84: “preferisco stare sulla soglia della Tua casa piuttosto che stare comoda nelle case degli empi”.

Allora, se io devo assumermi le responsabilità degli errori di questa umanità, lo faccio. Per tutte le omissioni di noi donne, anche, ma non mi assumo le responsabilità della corruzione della comunità credente e di questo mancato dialogo con l’umanità tutta, cioè di questa teologia che continua a parlare da sola. Io non voglio assumermi queste cose, e credo che le mie compagne di storia, cioè le donne, si sentano a disagio perché si sentono mescolate in questo caos sociale e politico senza aver mai potuto dire: “ma noi avremmo fatto in modo diverso” perché nessuno ci ha chiesto mai davvero, di gestire col nostro modello, e non con un paradigma altro da noi.

Queste cose a mio avviso sono importantissime e sono gli aspetti su cui noi dobbiamo lavorare sempre di più, ed è vero che queste cose hanno sempre permesso a noi donne di essere più vicine a certe categorie di persone. Insieme a noi donne ci sono milioni di persone che possono dire la stessa cosa. Cioè io non c’entro niente con la crisi mondiale, io ne sono vittima, a livello economico, così come ci sono milioni di persone che non hanno mai potuto partecipare alla costruzione di certe leggi, ma che le hanno sempre dovuto subire.

Allora vedete, se vogliamo risistemare un altro linguaggio teologico, dobbiamo andare alla radice di queste cose: riscoprire queste dinamiche, sennò rimangono discorsi molto intellettuali o che servono solo a tranquillizzare la coscienza delle stesse persone.

Io non sento che le donne nella chiesa cattolica, possano parlare della loro partecipazione e dei loro ruoli perché non ne hanno, allora incomincio ad andare a cercare nei testi delle nostre fonti, per sapere cosa è accaduto e come mai a noi non è mai stato chiesto di partecipare alla costruzione proprio di una comunità credente?

La comunità prima o prima comunità come normalmente la chiamiamo, più che una comunità era un reticolo di primi cristiani: uomini e donne, dopo la morte di Gesù.

In realtà in questa prima comunità si percepisce qualcosa di diverso, dalle fonti sapienziali della nostra fede. Lo capisco che è difficile entrarci dentro perché sono solo delle tracce quelle che noi troviamo, ma si percepisce che esistevano altre coordinate sapienziali che hanno permesso alla comunità credente di restare comunità nella grande confusione subito dopo la morte di Gesù di Nazareth. Si percepisce per esempio che le prime comunità cristiane non sono rimaste in piedi grazie al mandato petrino. Non è vero! Questo è stato rivalutato dopo. Ma all’inizio chi ha mantenuto legata questa possibilità di continuare a vivere in un certo modo, per poter anche instaurare relazioni diverse, sociali e economiche, sono state, lo sappiamo benissimo, delle donne!

Questa credo che sia l’unica cosa che hanno chiara i biblisti e la teologia. E’ che nessuno lo vuol dire. O che perdiamo subito la memoria su questo punto qui. Tutti diciamo che la prima comunità credente è restata in piedi grazie alla fede delle donne.

Per esempio come mai la liturgia dedica il sabato alla mamma di Gesù, a Maria di Nazareth? Come mai? Precisamente per questo, perché da secoli si era intuito che una delle poche persone che non aveva perso questa passione nel grande e difficile momento di transizione: quando il Figlio viene ucciso e nello smarrimento di quella che noi chiamiamo resurrezione.

In questo smarrimento in cui la comunità cristiana che ancora non era comunità ma in cui i discepoli e le discepole dovevano re-imparare a vivere senza di lui.

In questa transizione, le uniche che sono rimaste sollecite, come a sospingere qualcosa, sono state le donne. Non è stato Pietro! Vi rendete conto che queste cose sono venute fuori dopo, sono state in qualche modo aggiunte perché hanno dovuto inserirsi in culture in cui la donna non veniva riconosciuta e non poteva gestire il potere. Già erano pochi, già erano malmessi e se anche mettevano delle donne al potere, sarebbe diventato un problema grosso. Però non si può giustificare in un altro modo.

E le teologhe in Italia e in tutto il mondo ci hanno lavorato tanto su queste cose.

Non esistono giustificazioni per questa esclusione che è nata e che viene perpetuata nella chiesa cattolica.

Non ci sono giustificazioni né teologiche né di fonti bibliche, perché tutto il resto è stato aggiunto dopo. La storia sapienziale della nostra fede cristiana è di per se una storia al femminile. E si è potuto mantenere questo sprazzo di luce, nonostante i momenti di fatica,  grazie a delle donne. E questo lo potremmo dire anche per i secoli del martirio in cui le strategie trovate dalle comunità credenti dei primi cristiani per poter continuare, erano tutte strategie femminili, persino le catacombe, questi luoghi nascosti e perfino la chiesa domestica. Chiesa domestica che, come sapete, non vuol dire la famiglia. Io insisto sempre su questa storia perché oggi nei documenti ufficiali, la chiesa domestica è la famiglia e non è vero. La chiesa domestica, anche secondo i testi paolini erano le comunità, cioè i primi cristiani che si trovavano nelle case, ma non c’entra niente la famiglia struttura.

Allora vedete che tutti questi piccoli aspetti sono da ripensare, ma sono anche da ripensare secondo una eticità nostra. Se io credo in queste cose, non posso credere in altre cose. Secondo me la grande tragedia della fine di un cristianesimo sincero, un po’ arruffato però vero, è dovuto proprio al fatto che eticamente non hanno retto su queste cose e si sono accomodati, sono scesi a compromesso, e dico “sono scesi” perché non ci siamo scese noi donne, perché a noi nessuno lo ha chiesto, lo hanno portato avanti altri persone.

A mio avviso da qui comincia a partire questa progressiva esclusione, avallata anche dallo stesso contesto storico e culturale.

D’altronde voi sapete, che oggi ci sono questi studi bellissimi sul big bang, cioè su questa rottura tra una società matriarcale o più precisamente femminile, alla società patriarcale, momento avvenuto con l’invasione dei popoli indoeuropei. Prima si conoscono società che venivano rette in una prospettiva molto femminile. Cioè una prospettiva, per esempio, di responsabilità del territorio, di conoscenza del territorio, delle piante, perché erano le donne che restavano insieme ai bambini e agli anziani, in questi territori, mentre gli uomini andavano alla caccia. Quindi gli uomini avevano un contatto violento con il territorio, dovevano cacciare animali e cacciare ipotetici o reali nemici per difendere il villaggio

Le donne mantenevano il contatto con il territorio in un altro modo, che era la tradizione della cura. Tradizione della cura sviluppata oggi soprattutto nella teologia delle americhe, nella teologia dell’etica della cura.  Perché era un modo di stare, in queste comunità, di cura. Bisognava conoscere il territorio per sopravvivere, mangiare e per imparare a curarsi. Non solo conoscere il territorio per difendersi. Nel momento in cui arrivano queste invasioni dei popoli indoeuropei costruiti in altro modo e soprattutto abituati ad affrontare la realtà con le armi, si rompe un certo equilibrio. L’equilibrio che l’essere umano deve cercare per vivere, a me pare, che oggi sia più nel bisogno di un equilibrio di cura che di guerra, allora sarebbe normale chiedere alle donne, e invece nessuno lo chiede.

Io credo che questo papa sia molto meglio, ma io ho delle diffidenze reali nel pensare che delle persone che hanno creato dei danni possano avere le soluzioni per smetterla di fare i danni.

Se voi davvero volete cambiare qualcosa e siete incuriositi dalla sapienza delle donne, occorre riprendere tutti questi fili, domandarsi ma quando è successa questa rottura e perché è successa questa rottura anche nel mondo sapienziale dell’esperienza di fede?

I cristiani se sono diventati così maschilisti, è perché si sono adeguati, e si sono adeguati subito, diciamocelo chiaramente, per avere un certo potere. Perché se fossero rimasti in un certo modo non ce lo avrebbero avuto.

Questo lo possiamo capire all’inizio ma non per secoli! E soprattutto non oggi, dove l’umanità ha fatto un certo cammino.

Se la chiesa cattolica fosse così umile da imparare dalla storia, avrebbe meno paura delle donne, perché nella società le donne hanno sospinto la storia, hanno trovato delle strategie, e hanno creato un mondo dei diritti molto importante, perché le donne non chiedono i diritti solo per loro. Tutti i diritti guadagnati dalle donne sono sempre diritti per altre categorie e persino per il cosmo. Perché noi siamo nate da antiche radici di cura, non di guerra, non di costante pensare all’altro, all’ambiente come ad un nemico. Però, ripeto, questo tipo di logica non è stata accolta.

Questa sapienza, questo modo di essere è presente, a mio avviso, anche in certi testi. Ad esempio il prologo di Giovanni andrebbe ripensato, perché è molto eloquente in questo senso. Questa Parola che si è fatta carne non è stata sopraffatta, nonostante le tenebre, la non accoglienza; ha trovato il modo di restare, fuori dalle tenebre, dal sistema, anche se purtroppo il sistema fa finta di non aver bisogno per reggersi di questo tipo di sapienza.

Si dice che nella tradizione africana, quando le donne avevano le mestruazioni, venivano allontanate dal gruppo, soprattutto se c’erano degli incontri comunitari, per vari giorni. Quando uscivano dal gruppo dovevano tenere la testa bassa e assumere un atteggiamento serio, contrito. L’impuro deve essere messo fuori e allora loro dovevano sentirsi impure.

Ma appena uscivano e entravano nella foresta, iniziavano a ridere fortissimo e a dire “ma guarda, questi credono di darci un castigo, separandoci, e invece queste sono le giornate più belle della nostra vita”, perché danzavano e si raccontavano tra di loro delle cose.

Io credo che, per fortuna, nella storia sia successo questo: c’è stata una strategia costante delle donne. Occorre però che questa strategia sia ripresa nella sua logica. Se facessimo rientrare questa strategia nelle nostre dinamiche sociali, religiose, di composizione di un gruppo umano, certamente porterebbe qualcosa, ci renderebbe davvero una novità, perché ci farebbe imparare la gestione della vita in un altro modo.

Nelle nostre istituzioni manca quel pezzo di sapienza lì, che è la sapienza della strategia che hanno solo le donne e tutte le persone che non hanno mai potuto dire la “loro” sapienza. Questo manca! per cui noi dobbiamo cercare degli elementi, anche degli elementi di metamorfosi, di conversione.

Voi non potete continuare a pensare a noi donne come a delle persone o da difendere o che hanno bisogno di essere costantemente “certificate” dagli uomini. “Ti faccio dire questa cosa, ma sarà più vera se la dice anche il teologo, il politico, o l’impresario uomo, o non so che!”  Questo va terminato!

Noi donne non dobbiamo più permette di essere oggetto di studio. Se vogliono sapere chi siamo, chiamino noi, ma non a parlare di noi, ma ci chiamino a parlare di economia, di politica, di teologia. E una teologia pensata al femminile cambia Dio. Perché in una teologia pensata al femminile, dato che Dio è stato pensato uomo, è normale che io lo pensi in un altro modo. Quindi certamente cambia Dio. Ma c’è bisogno che io non abbia paura di questo cambiamento del volto di Dio. E questo è fondamentale nella comunità cristiana, perché è proprio il discorso su Dio che deve cambiare, e che farà cambiare anche il nostro modo di ricostruzione di una società. Anche i non credenti sono stati influenzati da queste costruzioni teologiche, almeno nel mondo eurocentrico, per cui voi non potete solo chiedere a noi donne di parlarvi di noi, noi è da secoli che vi diciamo “scusa, ma mi stai a sentire?” e questo sia nei rapporti interpersonali sia nella vita civile, ma giudicandoci “poetiche, filosofe con altri criteri” e allora in noi sono nati dei complessi e scegliamo il meno peggio. Per esempio la teologia della liberazione è stata sottomessa a certi giudizi così forti che ha dovuto cambiare alcune cose per adattarsi.

Se ci lascerete portare avanti a noi, il confronto teologico con questo potere teologico vedrete che tante cose cambieranno, perché noi donne non abbiamo paura come voi avete paura di fronte al potere.

Ci avete fatto diventare paurose perché abbiamo dovuto assumere il meno peggio. Certamente questo cammino va fatto insieme, ma farlo “insieme” non significa che “siamo tutti uguali”. No non siamo tutti uguali, io rifiuto di essere uguale ad un uomo. Sono una donna e difendo questa categoria che è molto diversa dagli uomini e che potrebbe avere molto più creatività in questo campo perché non ci si sente a suo agio e quando una persona non si sente a suo agio cerca di cambiare delle strategie e lo fa con tutto il cuore, non per avere il potere, o il quorum in parlamento. A noi non basta il quorum così come non basta mandare persone impreparate. E vi dico una cosa: la donna, dato che parte sempre svantaggiata, normalmente si prepara di più, a meno che non entri nel discorso della massa.

Nella teologia la donna è più preparata perché per entrare negli ambiti di riflessione teologica ha dovuto studiare molto di più rispetto ai seminaristi, per esempio, che danno per scontato lo studio della teologia per essere preti. Le donne studiano teologia perché vogliono studiare teologia, studia non perché gli verranno dati grandi posti ma perché vuole capire la vita, la donna impara a leggere e scrivere per accompagnare i loro figli, non per avere chissà quali posti di potere.

Allora questa è un’altra logica, una logica che va imparata ed è la logica più simile a quella evangelica. E che le persone che ci guidano oggi, non hanno, perché non hanno fatto nessuna fatica per studiare, per crearsi degli spazi e lavorare in un certo modo. Non sanno cosa vuol dire. E c’è un esempio biblico molto bello: quando Gesù fa questa proposta a Nicodemo. Nicodemo era un maestro della legge, saggio e con un certo interesse di trasformazione, perché va di Gesù, anche se di notte e di nascosto, e domanda cosa devo fare per questa trasformazione. Gesù pensa di essere capito e utilizza un linguaggio molto umano e abbastanza semplice che è: “bisogna rinascere di nuovo”. L’altro che è un uomo e che non sa cosa significa far nascere una persona, cosa dice? “sì, ma è difficile tornare nel ventre della madre”. Guardate che è furbo perché in fin dei conti tornare nel ventre della madre è tornare in una situazione piacevole, gli sforzi poi per farlo nascere li farà di nuovo sua madre, e lui tranquillo sarà di nuovo piccolino. E ci sarebbero molte cose da dire sul mito teologico della madre, che è quello che ha lasciato lì la donna nella teologia cattolica, cioè si parla della madre e tutti si commuovono, si parla della donna e non si commuove più nessuno.

Gesù fa una cosa molto interessante per dirgli che lui non si riferiva ad una nascita fatta sempre col sudore degli altri, inizia ad usare delle categorie cosmiche: il vento, il soffio, cioè delle categorie ancora più mistiche. Credo che questi siano dettagli molto importanti per fare un esame di coscienza. E sulle donne va fatto un esame di coscienza, perché sennò saremo sempre allo stesso punto. Ci vuole una trasformazione profonda. A mio avviso questa trasformazione si può fare solo con un  percorso mistico. Tanto è vero che gli uomini di genere maschile che hanno potuto fare una trasformazione sono stati alcuni mistici o sono coloro che accettano il percorso mistico che è un percorso apofatico, cioè dell’insufficienza di tutto, che non ha  niente a che vedere con il comando, con l’essere i primi della classe mentre la mistica è gratuita, è un confronto con la vita anche molto segreto, di profonda libertà perché segreta, è quell’aspetto che mi interessa vivere davvero, non è quello che diranno gli altri. E questo è un percorso mistico.

Solo la mistica ci salverà, uomini e donne! E dobbiamo approfondire il cammino della mistica, per poter essere delle persone, anche di genere differente, che capiscono un nuovo modo di rapportarsi alla realtà. Io mi riconcilio con il maschile attraverso la mistica.

Percepisco che chi ha fatto questo percorso ha fatto una grande trasformazione che è anche insieme anche una trasformazione etica, di linguaggio, di prospettiva, di rispetto, è la teologia apofatica, nel senso più profondo del termine, cioè sempre consapevole di essere insufficiente e non si lascia prendere dalla fretta delle conclusioni, che prima o poi diventa escludente, perché non domanda più agli altri. In questo senso allora sono dei cammini di metamorfosi che noi  dobbiamo fare.

E voi teologi dovete rifiutarvi di parlare di noi donne, dite “noi non ne parliamo più”. Così come i preti devono rifiutarsi di fare certe cose, non potete più farle clandestinamente, dovete farle alla luce del sole, unendovi tra di voi, e magari in questo caso noi ci uniremo per aiutarvi e dire “ci chiedete di non sposare persone separate che si vogliono bene e che vogliono ricominciare? No, noi non lo facciamo più. Lo facciamo in un altro modo” mentre voi lo fate sempre di sotterfugio. E di sotterfugio in sotterfugio guardate che razza di società e di cristianesimo c’è!! Anche i miei colleghi più aperti, i teologi della liberazione, mi dicono “stai tranquilla, io lo faccio” allora se lo fai perché non lo dici? Perché facciamo fare tante fatiche agli altri? solo perché noi non abbiamo avuto il coraggio di dire a chi ci rappresenta: “no, noi non lo facciamo più. Noi vogliamo fare davvero una teologia della misericordia”. Ma non solo di nome. Vogliamo fare una teologia politica per un’altra politica, e se c’è bisogno di impegnarci in politica, come cercarono tanti nostri fratelli di tante parti del mondo, ci staremo ma ci staremo insieme in modo da controllarci gli uni gli altri, così da non ricreare forme di potere.

Però tutto questo silenzio, questo eroismo, che è tipicamente maschile, l’”io lo faccio” se non vieni alla luce non succede niente. Per cui è proprio una decostruzione della teologia per poter cambiare. E probabilmente viene fuori un altro volto di Dio, se volto ce l’ha. Oppure verrà fuori un bellissimo silenzio su Dio, che come la bellezza salverà il mondo, come diceve Dostojeski, il silenzio su Dio salverà il mondo, non l’evangelizzazione a tutti i costi. Probabilmente la teologia deve stare in silenzio, deve trovare il linguaggio silenzioso per poter dialogare davvero.

E queste sono intuizioni che tanti nostri fratelli e sorelle hanno avuto nei secoli, ma dato che la mistica non convince…

In una lettera dall’esilio tra la filosofa Maria Zambrano e uno dei suoi amici filosofi spagnoli (Dalla mia notte oscura: lettere tra Maria Zambrano e Reyna Rivas), dice “fino a quando tu non ti fai convincere dalla mistica, dal linguaggio della mistica tu non capirai. Però capisco perché tu sei un sacerdote e voi con questa mania del celibato, non capite l’unione e dato che la mistica è l’unione (perché la mistica è la familiarità con il mistero) voi con questa paura dell’unione, del farvi toccare dal mistero, non capite la mistica e quindi non risolverete assolutamente nulla”.

Lei ha avuto questa intuizione bellissima in quella lettera: siete dei celibi, e essendo dei celibi non sapete cosa sia l’unione e allora non sapete cosa è la mistica e avete dei sospetti sulla mistica. Io credo che la via delle donne sia la via della mistica, di questo volere approfondire, sempre, sempre, la conoscenza della vita, del mistero, del dove nasce e dove finisce. E i testi biblici in questo sono miriadi, l’ostinazione di restare lì sulla vita e sulla morte…

Mi ha impressionato molto questo gesto delle donne afgane che non hanno più voluto seppellire i loro morti. Un gruppo di donne afganistane si è bloccato di fronte alle fosse e ha detto: “noi non li seppelliamo più questi morti sono troppi”, come se per loro seppellire i morti fosse silenzio, fosse ancora voler coprire tutto. Vedete che le donne hanno solo voglia di approfondire le cose e quindi portano la storia sul filo dell’approfondimento. E credeteci una buona volta! Ma rifiutatevi anche di fare dei giochini su di noi! Chi ha orecchi per intendere intenda!

Io credo che l’immagine dell’aspetto divino che potremmo anche mettere sul piano della conoscenza della verità, meno teologico e più sociale è un aspetto molto importante. Io credo che la prima insufficienza sia da scoprire lì, nel non riuscire dire “Dio” e non insistere nel volerlo dire cadendo nell’uso di strumenti e immagini umanissime. Era logico che in una cultura dove tutto il sapere era in mano ad uomini, era logico che anche la teologia ufficiale fosse in mano maschile. Le donne nell’ambito teologico hanno dovuto recuperare moltissimo. E ciò che mi sembra triste è che comunque bisogna sempre chiedere il permesso a qualche uomo. Nel senso che quando la chiesa come istituzione ha permesso l’ingresso nello studio teologico alle donne, le donne hanno dovuto combattere con un habitat che non era il loro.

Oggi siamo a questo punto. Sarà proprio la decostruzione di un immaginario su Dio, di cui abbiamo voluto dire tante cose, quando in realtà, come già dicevano i mediovali, su Dio si possono dire poche cose, e quelle che si possono dire è ciò che Dio non è.

Allora, secondo me, nell’ambito della teologia le donne possono davvero cambiare il discorso. Poi che ci siano degli uomini che aderiscono a questo, bene. Però c’è un prezzo da pagare, che è anche il prezzo della nostra trasformazione, e questo vale anche per le donne.

Lasciare o non lasciare una parrocchia non è solo lascio una parrocchia e vado da un’altra parte, perché troverai la stessa difficoltà anche in un’ altra parrocchia. Per cui, se mentre lasci una cosa, cominci ad avere una trasformazione, probabilmente non vai più neanche a cercare la parrocchia. E meno male, da parte mia, se vuoi un consiglio. Cerchiamo altri spazi! Oggi è il momento di creare altri spazi, perché sempre la parrocchia deve essere l’unico spazio anche di azione sociale? Queste cose erano vere, ma oggi anche nel mio ordine domenicano ci lamentiamo che non ci sono vocazioni, non è che non ci sono vocazioni, ma prima, soprattutto le donne, per avvicinarsi allo studio del mistero dovevano per forza scegliere il monastero, o la vita religiosa, ma oggi, grazie a Dio, gli spazi di conoscenza del mistero possono essere infiniti e anche la parrocchia è messa in crisi in questo discorso. Quello che vi voglio dire è che devono essere fatte delle trasformazioni anche in noi. Oggi nessuno può pretendere la trasformazione dell’altro o la decostruzione di un sistema logico, politico se non è disposta o disposto a compiere delle trasformazioni. Certamente su questa problematica l’uomo in quanto genere maschile deve compiere delle grandi trasformazioni, e deve capire quante trasformazioni abbiamo dovuto compiere noi per adattarci a questo habitat, che non è di per se il nostro habitat naturale. Una sociologa donna ha dei criteri di lettura molto diversi a meno che non scenda a patti per poter pubblicare e essere vista. Ma forse è ora di finirla di questo dover scendere sempre a dei patti.

A me sembra che la chiave importantissima oggi, sia la chiave di accettare delle profonde trasformazioni in noi. Nessuno deve più solo difendere il suo piccolo spazio, qui c’è da difendere l’avvenire di umanità che o cambia binario o va sul binario morto, e questo a livello religioso, politico, economico.

Sulla questione economica utilizzerei delle categorie bibliche, una soprattutto, che è nell’unzione di Betania. Nell’unzione di Betania lo scandalo suscitato dalla donna, è la sua logica di “spreco”. Logica dell’aver rovesciato questo profumo che era carissimo, mentre gli amanti della giustizia sentenziano che questo non va fatto perché si poteva vendere e fare l’atto eroico di darlo ai poveri. E Gesù dice“lasciatela fare”. Questo “lasciatela fare”, gli uomini se lo devono mettere nella testa. E le donne devono credere di più al loro “lasciateci fare“ solidarizzando tra donne, perché il grande problema delle donne, molte volte, è la mancanza di solidarietà tra di noi, il giudicare le altre. Certamente che la donna ha dei complessi perché si è dovuta difendere, prima in famiglia, poi nella chiesa coi preti e con le suore che avrebbero dovuto aiutarla ma che erano cresciute ad immagine e somiglianza dei preti.

Vado alla questione delle donne soldato. Come mai vi scandalizzano tanto le donne se voi è secoli che andate in prima linea? E perché adesso lo facciamo noi, vi scandalizzate? In più sono penalizzate dal fatto che la guerra è inventata da voi non da noi.

E le donne che vanno in prima linea in Bolivia o in Nord America è perché non hanno stipendi. Le donne che vanno non sono certo la figlia di Clinton o la signora Clinton, ma sono quelle che non hanno soldi.

E’ una situazione tale quella che si è creata che è inutile che adesso diate la colpa a noi, vi scandalizziate con noi, domandandovi “chi sono queste donne che vogliono fare il servizio militare”. Non so chi sono, andate a chiederglielo, prima di tutto. Io non lo farei mai, ma io non lo permetterei neanche a un figlio maschio che vada in prima linea. Leggete Virginia Woolf, che è stata una delle prime che difende questa economia differente che può essere una economia della guerra. Però oggi non potete scandalizzarvi in questo modo, perché è cos’, purtroppo è un sistema che si è creato in questo modo.

Certamente da parte nostra cercheremo di non convincere nessuna donna ad entrare nella logica della guerra armata, perché ci sono altri sistemi di lotta, perché noi sappiamo che non si può andare in prima linea ad uccidere una persona.

Ma voi sapete che oggi le guerre sono portate avanti dalla gente povera? Sono i poveri che ammazzano i poveri. I militari nel sud del mondo sono tutta gente o indigena o che non ha soldi, delle periferie. Queste cose vanno ripensate seriamente. il pacifismo senza sangue non vale. Non posso fare il pacifismo in internet.

E’ inutile che voi mandiate i grillini al governo, se vogliamo restare nella situazione politica italiana. C’è una superficialità tale in Italia, si usa la parola “movimento” tra gente che non si conosce, ma lo sapete che in Bolivia per il movimento al socialismo che è andato al governo nel 2005, ci sono stati anni di formazione. In italia sarebbe bastato un minimo di strategia, un minimo di pazienza da donne e non da uomo che vuole creare le masse e incitare le masse.

Il fenomeno di massa non può reggere una democrazia, prima o poi porta a degli schiavismi, a degli idoli. Non si può. Io capisco che eravate stufi, scandalizzati dalla sinistra. E dico questo perché siamo in questi ambienti che sono gli ambienti di Balducci, che non pensava a una sinistra così e nemmeno a una sinistra popolare in questo modo. Questo uomo planetario non può essere fatto sul virtuale, è impossibile. Quindi è inutile che ci scandalizziamo. Siamo degli impreparati. Le donne che davvero vogliono essere donne non sono delle impreparate, perché hanno questa lunga conoscenza ancestrale del fatto che non gli hanno mai permesso di prepararsi. Allora, fidatevi! “lasciatela fare”..

Lasciatela fare sono delle strategie. Gesù dice “lasciatela fare” perché questo spreco nell’economia femminile non è uno spreco. La mistica va in questa logica qui. Mistica che non è la mistica della new-age, dei cambiamenti e delle estasi improvvisate, ma nel senso della logica della mistica-ascetica che chiede una trasformazione profonda.

Noi in Italia dobbiamo proprio vagliare tutte le parole, i termini. La teologia deve ricostruire il suo linguaggio, ricostruire un immaginario differente e probabilmente non dare più nessun immaginario, perché chiamare il mistero col nome di Dio è normale e quindi è normale che venga da pensarlo come uomo, anche perché il suo mediatore Gesù è stato maschio. Proviamo a capire come diceva Pannicar che Dio non è un nome proprio. Qui sotto c’è un mistero che va ripreso in mano e che sarà lo stesso mistero che ci permetterà di ripensarci come donne e come uomini.

Ultimamente sono andata a parlare ad un gruppo di gay credenti cristiani con cui io insistevo che loro rinnovassero la società proprio a partire dalla loro disobbedienza, che non si accontentino di riformare di nuovo sempre gli stessi schemi. Capisco che è una lotta difficile, ma è su questi fili che noi dobbiamo lavorare. Cioè perché mentre critichiamo la famiglia, vogliamo ricostruire un altro modello di famiglia. Proviamo ad inventare! Un aspetto molto importante è l’aspetto dell’amore! In un legame nessuno ti verrà a chiedere se sei maschio o femmina, ma ti viene chiesto conto del legame, di che amore senti per un’altra persona, quale fedeltà vuoi tu insieme ad un’altra persona, a cosa vuoi contribuire…

Dobbiamo rifare tutta la teologia? rifacciamola. Rifacciamo un cammino etico in un altro senso, precisamente perché oggi sono stati decostruiti degli elementi che noi pensavamo portanti sia dell’immagine di Dio sia di quelle che noi chiamiamo le relazioni portanti di una relazione etica tra esseri umani.

Allora il discorso che diceva Renza come ostretica, io non so, ma credo che le donne cerchino una certa sicurezza che il sistema sanitario non da. Occorre essere reali su queste cose e prima di giudicare occorre assicurarci che ci siano delle condizioni reali che permettono alle donne di essere donne in un certo modo e di gestire la vita in un certo modo. Come la questione delle donne militari. Anche a me da tristezza. Mi da tristezza che in alcuni paesi del sud del mondo si siano fatte delle lotte perché il sistema militare accettasse le donne e sono  paesi che si sono adeguati all’eurocentrismo. Però posso anche capire che in una famiglia dove non c’è lavoro cerchino da tutte le parti.

Allora ci sono tutti questi fili delicatissimi che la teologia deve tenere presente, perché non può parlare di Dio senza la storia. Però non può neanche accettare di definire Dio sempre secondo dei sistemi che non gli permettono di proseguire nella ricerca del mistero e di trovare quindi delle alternative grandi per il nostro modo di vivere. La mistica si muove sempre sul paradosso, e capisco che è difficile per questo. Però bisogna imparare a muoverci su dei paradossi

Io non ho delle risposte su queste cose, se non di procedere col primo passo che è una trasformazione di noi stessi. Quello che dico: che trasformazione mi porta? Cioè sono disposta/disposto a questi tipi di trasformazione o continuerò solo a parlarne?

Perché il male di questa umanità è questa schizzofrenia, è questo bipolarismo della vita: diciamo delle cose e ne facciamo automaticamente delle altre. Anche noi teologhe, con questa paura costante della chiesa, che è perché non abbiamo fatto delle trasformazioni e così siamo rimaste vincolate a questo ambiente. Se ci fossimo svincolate da questo ambiente saremmo andate avanti. La maggior parte delle donne serie sa che non si guadagna facendo teologia, e parleremo di Dio in un’altro modo, a partire dalla realtà. Mi cambia la teologia, capite?

I mistici hanno sempre intuito, uomini e donne, che la realtà c’entrava in questo Mistero, e che affezionarsi al mistero avrebbe portato all’unione col mistero stesso, che è impronunciabile, e che non è ne uomo né donna, né stella né sole.. è il mistero! e quindi va ripensato in un certo modo. Poi se scopriremo che è donna e per di più nera, va bene lo stesso. D’altronde la sposa del Cantico dei cantici è da un po’ che lo dice, dice “sono nera e bella” poi le nostre traduzioni che hanno paura di queste cose mettono “nera ma bella”. Quindi può darsi che sia nera e bella come dice la barzelletta: c’è un teologo che vuole parlare in tutti i modi con Lui, e insiste: “ne ho parlato tanto, voglio parlare con Lui” e Pietro alla fine gli risponde “mi dispiace ma è occupato. Oltretutto non è Lui ma è Lei ed anche nera”. Quindi noi non lo sapppiamo com’è…

Vengo all’ultima cosa che era anche la prima: la teologia oggi va fatta insieme ad altre prospettive. Questo è da tanto che si dice, però io sento che c’è sempre un po’ di odore di sacrestia. Va fatta aiutata da sociologhe, da giuriste, da storiche che hanno studiato la storia da altre prospettive, da artisti, da persone che conoscono bene la natura. Tutti bisogna ricostruire questa familiarità, non dico tanto con Dio e la chiesa, ma col Mistero, perché sarà questa familiarità col Mistero che salverà il mondo. Però ciascuno sia anche silenzioso, perchè soltanto una storia in cui si fa posto, diventa una storia differente, il “lasciatela fare” dell’unizone di Betania è una chiave di lettura importantissima, cioè non mettetici becco, “lasciatela fare” saprà cosa sta facendo. Anzi Gesù aggiunge una cosa molto bella: “questo si farà in memoria di me”. Questa memoria sarà un dovere recuperarla. Io credo che sono i dettagli della nostra vita: prima di tutto la trasformazione: accettare di pensare in un altro modo non è aspettare che gli altri cambino, ma è trasformarsi. Questo è il primo comandamento della mistica: la trasfigurazione che in greco è la metamorfosi, quindi la trasformazione. Prima di tutto è la trasformazione di se stessi, non per spostare l’attenzione all’intimismo, ma sì per partire dall’interiorità. L’interiorità è il nostro punto di partenza, in tutte le cose: quando lavoriamo, quando studiamo, quando creiamo, quando indaghiamo sulla società. Il punto di partenza non può più essere superficiale. Non ce lo possiamo permettere, perché siamo già troppo superficiali. E la superficialità ci ha portato a questa grande confusione. Questo è a mio avviso il criterio di una trasformazione. Ognuno non può più essere maestro per investitura, ma deve essere maestro e maestra perché ha fatto un percorso di trasformazione interiore, nel senso, ripeto, di punto di partenza, di avere accettato il silenzio e di avere accettato di lasciare fare perché gli altri abbiano davvero spazio. Altrimenti tutti i nostri discorsi sono davvero vani, anche i discorsi di solidarietà. Questo è uno dei misteri della mistica, molto, molto importanti. Credo che la mistica sia un movimento verso il basso, non verso l’alto, la cosa difficile anche quando si nuota si fa a restare in basso, perché le correnti ci pensano loro a portarti a galla. La cosa è di restare “dentro”, siamo in una società di questa facciata, non vogliamo più sentire la vita, starci dentro. Le malattie si risolvono con questa facilità del togli e metti, togli un pezzo e rimettine un altro. Ma i cammini della mistica sono i cammini delle profondità, oggi è difficile stare nelle profondità. Essere visibili oggi è facilissimo, ognuno si apre il suo blog, mentre essere invisibili è più difficile. E io credo che sono disposta a vivere di più nell’invisibilità perchè è anche la legge della natura. La legge della natura è l’invisibilità, è questo lavoro dal di dentro che assume la sua bellezza quando esce fuori. Allora cerchiamo di aiutiarci in questi criteri. Non c’è bisogno di un Dio dell’evangelizzazione. Lasciamo perdere questa visibilità evangelizzatrice che dal 78 ci ha fatto tanto danno. E perché noi vogliamo seguire questo? Gesù ci dice “pensate alla giustizia, alle dinamiche che dal di dentro sostengono la storia, e il resto, la visibilità vi sarà data in abbondanza, in sovra più. Non preoccupatevi.” Ma noi dobbiamo lavorare su questa trasformazione. E ce ne sono cose da dire su questa problematica di trasformazione della donna e della vita. E possiamo davvero fare questi cammini e come diceva Gesù ai discepoli non bisogna avere la faccia triste, perché qualcosa davvero succede. Certo succede se noi accettiamo questi cammini interdisciplinari di trasformazione, di dialogo, di spazi differenti.

E lasciateli morire quegli spazi lì come la parrocchia. E va be’. La storia è sempre andata avanti anche senza parrocchie, quindi non preoccupatevi: iniziate delle trasformazioni e vedrete che vanno avanti tutti e soprattutto andremo avanti meglio.

Io ribadisco la mia difficoltà. Per me sia come teologa che come persona che vive in questa storia, in questo contesto, per me non va più oggettivato niente. Noi veniamo oltretutto da una cultura eurocentrica dell’oggetto: per dire qualcosa bisogna essere obiettivi, quindi oggettivare il più possibile, strappare tutto dal soggetto. Credo che invece in  questo momento storico non vada più assolutamente utilizzata questo tipo di prospettiva nella lettura sia della vita politica, economica, perché a mio avviso leggere tutto, tenendolo come un oggetto, ci ha portato a vivere molto male e a fare degli errori piuttosto gravi che oggi risentiamo per esempio nella relazione con l’ambiente, col mistero, nella relazione tra di noi. Pensate al grande scandalo delle donne che nel 2013 sono ancora viste come oggetto, e siamo le meno protette. Io mi domando sempre perché io donna di notte, devo essere accompagnata a casa d aun uomo. Noi siamo le meno protette solo perché siamo donne. Siamo l’oggetto degli oggetti. Ma questo modo di pensare tutto oggettivando e che ha reso la cultura eurocentrica molto avanti e riconosciuta, è quello che ha fatto danno a noi donne, alle altre culture e alle altre religioni, perché sempre noi studiamo tutto mettendoci davanti degli oggetti: è la cultura tale e quindi parlo sulla cultura tale, che è Dio ed è preso, visto e rigirato, messo lì fermo, ma comunque oggetto. Allora mi sembra importante che come questione ermeneutica cioè di chiave di lettura della vita uno dei passi importantissimi è smettere di trattarci come degli oggetti. E può darsi che io lì sfiori il confine del panteismo, può darsi. Ma comunque ho visto che nella storia tutti i teologi, i mistici che sono stati guardati male sono sempre stati tacciati di panteismo e allora benvenga il pantesismo se serve per uscire davvero da questo blocco che si è creato nella nostra vita di considerarci degli oggetti da analizzare, di cui parlare.

La cosa importante è cominciare a fare dei salti, che altre culture ci insegnano, noi abbiamo davanti dei soggetti. Ripeto la parola evangelica è “lasciatela fare” come soggetto, non come oggetto, come soggetto di iniziativa. Questo lo dico anche per altri popoli, per altre categorie di persone

Mi dispiace se il mio intervento non vi ha aiutato, io vi chiedo su queste tematiche una grande seietà, riflessione e tanto, tanto silenzio per partire dal di dentro e smetterla di dondolarci su quelli che sono dei risultati troppo visibili, che invece vanno ancora lavorati  e che costeranno anncra molta fatica e aiutiamoci a farci aiutare da altre persone che, come dicevano gli apostoli “che non sono delle nostre”.

Fonte http://www.veneziastilidivita.it/

 

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