Nel nostro bel municipio di La Ceja (Antioquia, Colombia) gli sposi Alessando Narváez e Margherita Aguirre hanno dato alla chiesa e alla missione due dei loro figli: Magdalena e Guillermo. I loro genitori erano contadini di umili origini ma dotati di una  grande ricchezza morale e spirituale. Per quello hanno dato ai loro dieci figli esempi di vita, amore e coraggio di fronte alla sofferenza.

Suor Magdalena è nata l’otto di dicembre del 1930. Aveva 19 anni quando  è entrata a far parte della comunità delle Missionarie della madre Laura Montoya, oggi Santa Laura, della quale divenne alunna un anno prima alla sua morte. Fece la sua professione religiosa il primo gennaio del 1949 e da allora, impegnandosi come educatrice per larghi anni, è stata inviata a lavorare in luoghi davvero difficili con i suoi amati indigeni. Nel suo lavoro missionario ha dimostrato sempre lo stesso coraggio e la stessa allegria che aveva imparato dalla sua fondatrice.

Il padre Guillermo, 14 anni più giovane della sorella, è nato il sette di luglio del 1944 e, negli anni della sua infanzia, è sempre stato un fedele collaboratore dei genitori nei lavori della casa; poi, grazie alla loro testimonianza e quella della sorella, è nato in lui  il desiderio di diventare missionario. 

Aveva solo 13 anni quando è entrato nella comunità dei Missionari della Consolata: si è diplomato a Bogotá e nella stessa città ha fatto gli studi di filosofia al termine dei quali ha raggiunto in Italia prima il noviziato e poi il seminario teologico. 

Fu ordinato diacono in Italia e poco dopo, tornato in Colombia, sacerdote. Era il 12 agosto de 1973 –da allora sono passari 50 anni– e venne ordinato dal vescovo diocesano di Sonson Rionegro Alfonso Uribe Jaramillo. Dopo l’ordinazione fu destinato prima come formatore nel nostro seminario minore della città di Manizales e poi, pochi anni dopo, parroco e rettore del collegio di una parrocchia del Caquetá. 

Quegli otto anni vissuti nella regione amazzonica della Colombia gli hanno permesso scoprire la bellezza della sua vocazione missionaria che, nel suo cuore sacerdotale, divenne fonte di immensa allegria. 

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Dopo quegli anni intensi divenne per vent’anni animatore missionario e vocazionale. Furono gli anni in cui ebbe l’occasione di avvicinarsi a tanti giovani, condividere con loro la sua passione missionaria, e invitarli a formare parte della nostra comunità. Ha svolto questo servizio nelle città di Bogotá, Bucaramanga, Manizales e Medellín. 

Attualmente, dopo una breve esperienza come amministratore, si trova nella comunità di Medellín con sette giovani, tutti originari del continente africano, che si stanno formando per essere sacerdoti e missionari della Consolata. 

A motivo della poca salute non si è mai allontanato dalla sua Colombia, ma nel suo cuore conserva il fuoco della missione... se ne sono accorte le persone che hanno avuto la fortuna di incontrarlo sempre dedito al suo lavoro sacerdotale e missionario. 

Malgrado tante malattie e interventi chirurgici non ha mai smesso di essere un camminatore, annunciando il vangelo e la consolazione della vergine Maria, regina delle Missioni. 

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Padre Sergio Tesio, Missionario della Consolata piemontese, nato a Moretta (Cuneo) nel 1947, fra pochi giorni celebrerà 50 anni di ordinazione sacerdotale. Era il 9 settembre del 1973 quando venne ordinato da Mons. Carlo Re e ricevette la prima destinazione missionaria per il Venezuela dove giunse nel 1978. Oggi, dopo essere passato anche dalla Colombia e dalla Spagna è in Italia, nella comunità dei Missionari della Consolata di Olbia. Pensando a questi cinquant’anni, ci lascia queste semplici riflessioni.

Mi sono sentito  felice e realizzato nelle missioni del Venezuela e della Colombia dove ho lavorato: gli agricoltori delle Ande (La Puerta), gli Afroamericani di Barlovento e di Cartagena, gli indigeni della Guajira sono stati i miei compagni di viaggio. Ho lasciato tra queste popolazioni un pezzo del mio cuore. 

Queste persone sempre mi hanno considerato come parte della loro comunità e della loro famiglia. Io mi sono sentito come un figlio e sono sempre stato bene fra di loro... tra queste persone umili e semplici ho sperimentato un incredibile ambiente di solidarietà, ospitalità e semplicità: condividono il poco che hanno e non manca mai un sorriso, una parola o un aiuto. Mi è costato di più il viaggio di ritorno in Europa che quello di andata in Venezuela. 

Vivere la missione significa vivere la fraternità tra noi e con la gente del luogo, condividere il dono della fede e della vita; nel nostro impegno mai dobbiamo lasciare fuori la comunità e i poveri che sono sempre i protagonisti.

Io sono riconoscente al Signore per il dono della vocazione missionaria e per tutte le esperienze vissute fino ad oggi: è un qualcosa che fa star bene e rende felice la tua vita. certamente non sono mancate delle difficoltà e queste sono un po’ un prezzo da pagare, ma anche quelle ti mantengono sveglio, ti fanno riflettere, rompono l’abitudine del “si è sempre fatto così”. In questo modo continui a sperimentare come Dio continua a seminare germi di speranza e di consolazione.

Oggi sto vivendo la mia consacrazione missionaria in Italia. Il missionario che ritorna lo fa per ricordare alla Chiesa che non è chiesa se non sente e vive la scintilla della missione; per invitare tutti, credenti e non credenti, a fare del mondo la casa dell’umanità, la casa comune, la famiglia universale dei figli di Dio; per  raccontare, in modo particolare ai giovani che vale la pena spendersi per gli altri. È un programma stupendo.

Cinque consigli

Voglio offrire cinque semplici consigli a colui che desidera vivere la vita cristiana in stile missionario:

1. Cerca di avere un cuore grande, come quello di Gesù: un cuore che abbraccia chi viene da fuori, il diverso, il migrante, il lontano; un cuore che valorizza chi è avanti negli anni e ha speso le sue forze per il bene comune e adesso magari ha bisogno del tuo aiuto.

2. Mantieniti informato su ciò che capita vicino e lontano da te. Leggi e sostieni la stampa missionaria, le riviste che ti offrono notizie di prima mano da un mondo solo apparentemente lontano. Dobbiamo vincere l’indifferenza e mai applicare il proverbio “occhio che non vede, cuore che non sente”.

3. Fai tuo uno stile di vita fuori serie, austero e sobrio, rispettando il creato, la casa comune, la nostra terra, perché sprecare è rubare.

4. Fai parte e sostieni quelle organizzazioni, come Caritas e Medici senza frontiere, che promuovono la dignità delle persone e il bene comune. Ricorda che l’unione fa la forza.

5. Interrogati sul tu futuro. Tante donne e uomini si sentono felici e realizzati nella vita cristiana e nell’impegno missionario... non puoi esserlo anche tu?

Padre Giuseppe Auletta, Missionario della Consolata, che lavora con le popolazioni indigene a Mendoza, in Argentina, ha appena celebrato i suoi cinquant’anni di vita sacerdotale. Condividiamo qualche sua riflessione tratta dall'omelia della messa di ringraziamento celebrata il 28 aprile nel suo paese natale, Calciano, in provincia di Matera.

È un motivo di grande gioia la celebrazione di oggi, carissimi fratelli e sorelle. Voi amici, parenti tutti, comunità di ogni origine e provenienza ringraziate con me il Buon Pastore che ci attende e ci apre la porta del suo ovile, chiamandoci per nome per poi condurci sulle strade del mondo. Lui si mette in cammino con noi e ascolta le nostre preoccupazioni, le nostre ansie, le nostre delusioni, i nostri sogni: Poi, come con i discepoli di Emmaus, ci scuote, ci illumina, ci rincuora e condivide con noi il pane spezzato. È questo pane che riaccende la prima chiamata al servizio e ci rimette in cammino. Grazie a lui siamo in uscita per annunciare la Vita.

Sono passati 50 anni da quando, prostrato in questo stesso luogo, e poi rivestito delle sue vesti, il Signore mi ha mostrato il suo cammino, il suo percorso, la sua Via Crucis e la Missione.

Da quando ho cominciato a pensare a questo giorno, mi è venuta in mente l'espressione della lettera agli Ebrei: “Anche noi dunque, circondati da tale moltitudine di testimoni, avendo deposto tutto ciò che è di peso e il peccato che ci assedia, corriamo con perseveranza nella corsa che ci sta davanti, tenendo fisso lo sguardo su Gesù” (Eb 12,1-2)

Durante questi 50 anni, quanti sono partiti, quanti hanno corso con perseveranza ed hanno completato la loro corsa testimoniale! È una lista interminabile, cominciando da Don Michele Orlandi, mamma e papà e poi tanti altri parenti, amici, benefattori, confratelli, consorelle. Li sento tutti qui presenti, che partecipano di questo rendimento di grazie; percepisco il loro incoraggiamento e sostegno; li sento parte di una sola grande famiglia, quella che la Missione sa creare.

Vedete, questa è la Missione: un'opportunità unica, speciale, che ci fa sentire tutti una grande famiglia. Voglio bene a voi che siete qui, così come voglio bene a quanti sono lì, appena oltre l'oceano, e che, ripeto, sono parte di una sola grande famiglia, quella che solo la Missione sa propiziare. Evidentemente tutto questo è possibile grazie allo strumento che rappresenta la mia Famiglia Religiosa dei Missionari della Consolata alla quale ringrazio di cuore per avermi accolto.

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In tutti questi anni non pè mai mancatyo il vostro sostegno per andare avanti con la Missione, al di là dell'oceano, finché le condizioni fisiche me lo permetteranno. Quante volte è venuta fuori la domanda: "Adesso rimani?" ogni volta che tornavo in Italia, è la risposta è sempre stata la stessa. Che consolante sentirvi dire, dopo aver ascoltato la mia solita risposta "continua con la Missione, se questo ti rende felice para far felici gli altri".

Grazie per la vostra generosità! Continuiamo tutti con la Missione e per la Missione generatrice di Vita per un Mondo Nuovo, che il Signore ci affida. 

Sabato 18 febbraio nella parrocchia di Montecastello padre Francesco Giuliani ha ricordato il suo 50esimo di ordinazione sacerdotale. 

Nato nel 1945 a Cella di Mercato Saraceno, padre Giuliani racconta: «La mia vita è stata molto varia, con esperienze tanto diverse: in fondo, il missionario è proprio questo». Morendo la madre quando aveva solo due mesi di vita, Francesco viene allevato con grande amore dagli zii analfabeti che, però, credono fermamente nel grande valore della cultura al punto di mandare il nipote a studiare a Roma, dopo una bocciatura in prima media. Seguono il fidanzamento e il diploma di geometra. 

Arriva poi la vocazione e l'ingresso nei Missionari della Consolata di Gambettola, i quali mandano Francesco, ventenne, a studiare alla facoltà teologica di Milano dove studia.

L'ordinazione sacerdotale, conferita dal vescovo Gianfrenceschi nella chiesa di Montecastello, avviene il 18 febbraio 1973. Il canto "esci dalla tua terra" fu il più significativo del momento, fotografia di quel periodo del post Concilio. Viene scelta questa chiesa per l'amicizia e l'affinità di pensiero tra padre Francesco e il parroco don Giovanni Beltrami che, pochi mesi dopo, lo seguirà nello Zaire. Dopo quell'esperienza, ecco la missione in Canada, poi con i nomadi Afar di Gibuti. «Ora opero a Oujda, al confine tra Algeria e Marocco, dove ci sono migranti che escono dal deserto e spesso viene loro rubato tutto, anche l'umanità. Cerchiamo di rincuorarli». 

Negli anni 90' padre Francesco è stato anche assistente spirituale all'università Cattolica di Milano e poi al "Gemelli" di Roma. In questo periodo il fine settimana risiedeva a Montepetra. È seguita l'esperienza di parroco a Gualdo e la permanenza a Gambettola alla Consolata. «Pur in mezzo a crisi di ogni tipo, il Signore mi ha sempre rialzato e mi ha chiesto continuamente, e anche ora, di abbandonarmi a lui». 

Per ricordare il 50esimo di sacerdozio a Montecastello padre Francesco ha svolto una rilettura della sua storia di vita «alla luce della tenerezza di Dio». Sono poi seguite una Messa di ringraziamento e una cena di condivisione. Ora padre Francesco è a Lisieux agli esercizi spirituali, per ringraziare santa Teresa patrona delle missioni. 

*Redattore del Corriere Cesenate dove è stata pubblicata questa notizia il 2 marzo 2023

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