Viviamo nell'era della comunicazione, dove tutti sembrano avere qualcosa da comunicare. Infatti, secondo Luciano Floridi, professore di filosofia ed etica dell'informazione all'Università di Oxford, non viviamo solo nella biosfera, ma anche in quella che viene chiamata infosfera: siamo come nodi in una vasta rete di dati, individui che nuotano in un oceano di dati di vario tipo.

Nel mare di informazioni in cui siamo immersi, c'è l'opinione degli altri su di noi e la nostra su di loro. Naturalmente, per ovvie ragioni, la nostra vita non dovrebbe essere governata dalle opinioni altrui su di noi eppure ci sono occasioni in cui tali opinioni sono cruciali. Durante l'ordinazione sacerdotale, per esempio, il vescovo chiede se i candidati sono degni, e colui che presenta il candidato per l’ordinazione risponde: "dalle informazioni raccolte presso il popolo cristiano e secondo il giudizio di coloro che ne hanno curato la formazione, posso attestare che ne sono degni". Ciò significa che l'ordinazione dipende, tra l'altro, dall'opinione della gente sui candidati.

Lo stesso vale anche per il processo di canonizzazione: secondo la Sanctorum Mater, un documento della Congregazione della Causa dei Santi, prima di decidere di avviare una causa di canonizzazione, il vescovo diocesano deve verificare presso il popolo di Dio che il candidato in questione goda di una solida e diffusa fama di santità (Art. 7, § 1). Se questa manca, non si continua, non ha senso avviare una causa se manca questo requisito. Ma cos'è la fama di santità? La fama di santità è l'opinione ampiamente diffusa tra il popolo di Dio sulla purezza e l'integrità di vita del servo di Dio e sulla sua eroica pratica delle virtù cristiane (Art. 5, § 1).

Questa fama di santità deve essere stabile, spontanea e diffusa (Art. 7, § 2). Stabile significa che non è fluttuante, appare in certi momenti e scompare in altri; spontanea significa che è riconosciuta naturalmente dalla comunità e non è frutto di pubblicità, clamore mediatico o cose simili; diffusa significa che non è associata solo a pochi individui che possono avere anche determinati interessi.

Poi non dobbiamo dimenticare che la fama di santità è fondata e misurata dalla fama dei segni, cioè l'opinione diffusa tra il popolo di Dio sulla grazia e sui favori ricevuti da Dio per intercessione del servo di Dio (Art. 6). In altre parole, affinché il processo di canonizzazione abbia inizio, qualcuno deve affermare di aver pregato invocando il servo di Dio e che le sue preghiere sono state esaudite. Più sono le persone che fanno tali affermazioni, meglio è.

Ciò che conta è che ci sia un'opinione positiva tra il popolo di Dio, da cui possa partire un'indagine, avviando così una causa di beatificazione. Questo spiega perché le persone devono imparare a vedere il lato positivo del loro prossimo e ad esprimerlo. Quando questo manca, succede quello di cui parlava San Paolo quando diceva: "Se vi mordete e vi divorate a vicenda, state attenti o sarete distrutti gli uni dagli altri" (Gal 5,15). Quando l'opinione delle persone ha come unico scopo quello di sminuirsi a vicenda, umiliarsi e calunniarsi, il risultato è sempre la morte della comunità.

È quindi chiaro perché il nostro Fondatore, il Beato Giuseppe Allamano ha sempre insistito sullo spirito di famiglia: non era solo un mezzo per facilitare le nostre attività missionarie, ma anche un criterio di valutazione del nostro valore come strumenti dei disegni di Dio. Le parole di San Paolo ci devono sempre guidare: "Nessuna parola cattiva esca dalla vostra bocca, ma piuttosto parole buone che possano servire per un'opportuna edificazione, giovando a quelli che ascoltano." (Efesini 4,29).

Vi auguro un meraviglioso anno nuovo e non dimenticate che essere positivi crea santi.

* Padre Jonah M. Makau, IMC, Casa Generalizia a Roma, frequenta il corso in Cause dei Santi.

Sono ormai due mesi che sto frequentando il corso come postulatore e sono giunto alla conclusione che si tratta di una cosa alquanto interessante che non mi sarei mai aspettato di sperimentare in vita mia. Ti insegnano a gestire il processo necessario per giungere al riconoscimento della santità di una persona.

Personalmente ho sempre pensato che la questione della beatificazione e canonizzazione di un santo sia di totale appannaggio del Vaticano e quindi lontano dalle preoccupazioni di altre persone e invece ho imparato che tutto comincia lontano dal palazzo della Congregazione dei Santi di Roma e, per dirlo in modo comprensibile, siamo noi che creiamo i santi e Dio conferma.

In tante occasione ho sentito persone lamentarsi perché il processo di canonizzazione è troppo complicato e costoso, oppure religiosi argomentare che le loro rispettive congregazione non hanno molti beati o santi, e si chiedono cosa succeda in Vaticano... eppure il processo non è così complicato e comincia proprio da noi e non dal Vaticano. 

Per giungere alla dichiarazione di santità di una persona occorrono tre cose: una persona che viva in pienezza la sua vita cristiana, Dio e la società. La persona deve vivere le virtù cristiane in modo eroico (o morire come martire) in modo tale da guadagnarsi il merito di essere un esempio per tutto il popolo di Dio. Queste persone sono in tanti modi legate alle loro comunità: nascono in una comunità, crescono nella comunità e anche muoiono nella comunità.  La loro vita è espressione dei valori e dei sogni che si vivono nelle rispettive comunità. I santi, cooperando con gli altri e utilizzando i mezzi offerti dalla loro società, sono alla fine persone che in vita possono diventare modelli e dopo la loro morte un'ispirazione.

Per quanto riguarda Dio, è lui il datore della vita ed ogni persona che entra nella comunità umana è principalmente un dono di Dio. È lui che concede ad ognuno una vocazione e le facoltà per raggiungere la pienezza della sua esistenza così come lo Spirito Santo per guidarlo. 

Quando una società non sembra esprimere progetti di santità non è Dio da biasimare: lui è tutto e la sua fedeltà è certa.

Anche il ruolo della società è essenziale perché è la società che prepara l'ambiente in cui crescono i santi e dove manifesteranno i segni della loro santità. Poi nella comunità umana e nella chiesa nella quale si sviluppa la santità di una persona il primo ruolo ce l’ha il popolo di Dio che comincerà a pregare chiedendo l’intercessione di una persona concreta (a questo punto queste persone sono dichiarate “servi di Dio” ed è il primo passo nel processo di canonizzazione). 

Per mezzo di questa intercessione si chiede a Dio di manifestarsi per mezzo di un miracolo e, dopo un’analisi precisa e minuziosa del fatto miracoloso, se riconosciuto dalla chiesa, la persona viene dichiarata inizialmente beata e poi dopo santa. Il miracolo che avviene è una conferma divina che la persona è in cielo, ma è anche frutto del discernimento e dell’impegno dei responsabili della chiesa che hanno promosso il processo di canonizzazione di una persona.

Il punto dirimente è la preghiera che i cristiani fanno per mezzo di colui o colei che ritengono santo o santa. Se non c’è la preghiera la persona non avrà fama di santità, non ci saranno miracoli e non ci sarà causa di beatificazione o canonizzazione. L'esistenza di santi canonizzati dipende da qualcuno ha invocato Dio per mezzo di loro: senza questo il silenzio è totale.

Se una congregazione o una diocesi vuole avviare la causa di canonizzazione di una persona, ma le persone che dovrebbero promuoverla non invitano i cristiani a pregare e non sono particolarmente interessati, allora non avremo nessuna invocazione, nessuna intercessione, nessuna fama di santità, nessun miracolo e nessuna causa di canonizzazione. 

Nelle comunità religiose specialmente se i confratelli parlano solo negativamente di una persona la storia finisce allo stesso modo, non ci saranno santi fra di loro. Quindi la rivalità, la competizione, i pettegolezzi, le dicerie o le ingiurie a volte sono la causa per la quale quelle congregazioni non hanno al loro interno beati o santi. Se per qualsiasi motivo non si apprezza una persona quando è viva con maggior ragione non la si apprezzerà da morta.

Questo ci invita a cominciare a valorizzare i confratelli: solo così si potranno invitare anche i cristiani a pregare per loro intercessione. In questo modo anche i santi delle comunità religiose sono frutto della qualità di vita comunitaria che vivono i confratelli. Chiediamo al Signore di aiutarci a valorizzare il contributo dei nostri confratelli nell'Istituto e nella Chiesa. Così noi “creiamo i santi” e Dio li conferma.

* Jonah Makau è Missionario della Consolata e studia a Roma

"Come missionari poi, dovete essere non solo santi, ma santi in modo superlativo" (VS, 111)

“E’ questo il fine primario del nostro Istituto –diceva Lui ai suoi missionari–  Non siete qui venuti per…; ma per farvi santi; allora e solamente allora adempirete bene il secondo fine…” (Conf. IMC. III, 258).

“Prima santi e poi missionari”

Sono molte le affermazioni dell’Allamano che rivelano la sua ferma convinzione che solo chi è santo può essere un vero missionario. Questa convinzione fa parte della sua identità di Fondatore, dunque, anche del carisma dei missionari e missionarie della Consolata. 

Per l’Allamano c’è una graduatoria esplicita tra un “prima” e un “poi” logici: prima santi, poi missionari. Prima va sottolineato l’essere della persona, quindi il suo operare, prima si tratta di curare il nostro essere, la nostra relazione con Dio che ci chiama ad essere Santi, poi dobbiamo trasmettere questa relazione agli altri. Agli studenti, infatti egli diceva: “Primo: siamo per farci santi in questa Casa: non per farci Missionari, ma per farci santi e poi Missionari”, “Prima la santificazione nostra, poi la conversione degli infedeli; prima noi e poi gli altri. (...) Prima di tutto sei venuto per farti santo; non bisogna cambiare i termini.”. (VS 111-112)

Dobbiamo cercare prima e anzitutto la santità poiché questa è presupposto fondamentale per la missione. L’attività apostolica e missionaria, secondo l’Allamano, esige la santità di vita. “Qualcuno crede che l’essere missionario consista tutto nel predicare, nel correre, battezzare, salvare anime: no, no! Questo è solo il fine secondario: santifichiamo prima noi e poi gli altri. Uno tanto più sarà santo, tante più anime salverà”. Per l’Allamano “è inutile voler convertire gli altri, se non siamo santi noi” poiché “se non si è santi…non si fa niente”. “Voler far buoni gli altri senz'esserlo noi è volere l'impossibile.” (VS 113).

Se l’affermazione “prima santi e poi missionari” indica chiaramente che è la santità che gioca il ruolo fondamentale nel rinnovamento della missione, più che i metodi e i programmi pastorali, altrettanto importante è sottolineare come sia la missione a contribuire alla santità del missionario: si tratta, cioè, di diventare “santi nella missione ad gentes”.

Per tanto la santità dell’apostolo si costruisce, si alimenta “facendo missione”, nel costante dono di sé, nell’amore e nel servizio concreto per i fratelli ai quali egli è inviato, in comunione con il Signore che cammina, respira, guarisce e consola la gente attraverso di lui (cfr. EG 266). 

Santità “alla mano” 

Molte volte abbiamo la tentazione di pensare che la santità sia riservata a persone troppo speciali, con doti eccezionali, fuori dalla nostra portata, a coloro cioè che hanno la possibilità di mantenere le distanze dalle occupazioni ordinarie, per dedicare molto tempo alla preghiera. Non è così. Tutti siamo chiamati ad essere santi vivendo con amore e offrendo ciascuno la propria testimonianza nelle occupazioni di ogni giorno, lì dove si trova cercando di essere “straordinari nell’ordinario”, “facendo bene il bene e senza rumore”.

La Missione ce lo ha dimostrato! Sono tanti i missionari, che abbiamo avuto la fortuna di conoscere, che hanno dato la vita, senza clamore, con umiltà, entusiasmo e dedizione, consumandosi a servizio dei poveri, visitando i villaggi, amministrando sacramenti, lasciando nella gente un ricordo indelebile di una santità diffusa, che si è fatta prossima, “alla mano”, perché un riflesso della presenza di Dio nella loro vita. (cfr. GeE 7).

Vita come cammino di santità

La santità è permettere allo Spirito di plasmare in te oggi quella parola e quel messaggio di Gesù che Dio desidera dire al mondo con la tua vita. 

La santità diventa quindi vivere in comunione con Cristo i misteri della sua vita. Pertanto, la misura della santità è data dalla statura che Cristo raggiunge in noi, da quanto, con la forza dello Spirito Santo, modelliamo tutta la nostra vita sulla sua (Fil.2,5). Così ciascuno di noi dovrebbe diventare un messaggio che lo Spirito trae dalla ricchezza di Cristo e dona alla gente.

Infatti “Ogni santo è una missione, è un progetto del Padre per riflettere e incarnare, in un momento determinato della storia, un aspetto del Vangelo” (Gaudete et exultate 19.21.23).

Sulla via della santità

  • Lug 06, 2024
  • Pubblicato in Notizie

Lettera pastorale di S.B. mons. Fouad Twal, patriarca di Gerusalemme

In occasione della canonizzazione delle due religiose madre Maria Alfonsina (1847-1927) e suor Mariam di Gesù Crocifisso (1846-1878)

“Pace a voi tutti che siete in Cristo!” (1 Pt 5,14)
Care sorelle e fratelli nel Signore, con questo saluto biblico si apre la nostra Lettera pastorale, scritta dalla cattedra dell’apostolo Giacomo il Minore, primo vescovo di Gerusalemme.
Questo messaggio è segnato da una duplice gioia: quella di essere nell’anno dedicato alla vita consacrata e il fatto che quest’anno coincida con la canonizzazione di due figlie del nostro Paese, Madre Maria Alfonsina di Ghattas di Gerusalemme, fondatrice della Congregazione delle Suore del Rosario, e la monaca carmelitana Mariam Bawardi del villaggio d’Ibilline, in Galilea, fondatrice del Carmelo di Betlemme, che da religiosa ha preso il nome di suor Mariam di Gesù Crocifisso. La notizia della canonizzazione di queste due religiose è scesa come una rugiada celeste sulla nostra terra assetata di amore e di giustizia e decimata dalla violenza. Abbiamo atteso a lungo l’annuncio di questa duplice canonizzazione, che ci ridona fiducia e speranza in Cristo. Il Signore vuole confortare i nostri Paesi dilaniati dai conflitti e dalle guerre, e le nostre popolazioni che soffrono per le continue ingiustizie. D’altronde, la divina Grazia ha sempre fatto germogliare santi che rivelano il volto di Cristo, dolce e umile di cuore, pieno d’amore, di misericordia e di perdono. Questi santi imitano e, nonostante la loro debolezza umana, continuano a imitare Cristo in questa Terra Santa, sulla quale ha camminato Dio in persona. Le tribolazioni che dobbiamo affrontare ci incoraggiano a diventare santi secondo l’esempio di queste due religiose. L’impresa non è impossibile. Giustamente madre Maria Alfonsina, figlia del nostro Paese, si è fatta piccola sulla terra e oggi è “grande nel regno dei cieli”. Ha esercitato la maternità spirituale verso un gran numero di persone, diventando la fondatrice di una Congregazione religiosa che è molto cara al nostro cuore. Suor Mariam di Gesù crocifisso, anche lei figlia del nostro Paese, è stata un simbolo vivente dell’amore di Dio. Sin dall’infanzia aveva compreso che tutto era effimero e caduco qui in terra e che solo Gesù Cristo resta per sempre. Faceva parte dell’Ordine delle Carmelitane scalze di cui noi apprezziamo profondamente la presenza in Terra Santa. Presenza discreta, fatta di preghiera, meditazione, lavoro umile e consacrazione assoluta al Signore. Il Divino Maestro ha detto: “Risplenda la vostra luce davanti agli uomini” (Mt 5, 16). Questo comandamento sempre attuale ci ricorda che è Gesù “la luce che illumina ogni uomo” e che dona all’umanità chiaroveggenza e forza. Cristo è la sola luce. Il resto non è che l’ombra della verità Ed è Gesù che dona il loro splendore agli esseri viventi e a tutto ciò che esiste di buono e di bello. Come diceva San Giustino di Nablus, “non sono altro che raggi del Sole che è il Verbo incarnato”(cfr. Dialogo con Trifone, p.121)

Una santità insieme semplice e autentica
Le nostre due nuove Sante sono lampada per i nostri passi. Con il loro amore e la loro fede illuminano le loro famiglie religiose, così come i fedeli della Terra Santa, del Medio Oriente e del mondo intero. Durante la loro vita si sono comportate come serve fedeli, “che aspettano il ritorno del loro padrone” vigilando, come le vergini sagge che attendono pazientemente l’arrivo dello Sposo e sono state ammesse “al banchetto delle nozze dell’Agnello”. Non c’è il rischio di restare “nelle tenebre esteriori”, né per loro, né per le persone che camminano dietro di loro! Erano semplici con grandezza. Erano grandi per la semplicità La semplicità non offuscava la grandezza. Il loro ingresso nella santità manifesta la vittoria della virtù sul vizio, della luce sull’oscurità, dell’amore sull’egoismo, della fede sull’indifferenza e il rifiuto di Dio. La purezza della loro vita glorifica Dio. Esalta i doni e i benefici che si ricevono alla sequela della Santa Vergine Maria che ha proclamato nel suo cantico eterno, il Magnificat: “L’anima mia magnifica il Signore e il mio spirito esulta in Dio, mio salvatore, perché grandi cose ha fatto in me l’Onnipotente e santo è il suo nome” (Lc 1, 47 e 49).
Le nostre due Sante, attraverso una vita esemplare, fatta di silenzio eloquente e di raccoglimento, di fedeltà nonostante la sofferenza e di abnegazione eroica nei sacrifici, ci donano una lezione magnifica che si riassume nelle parole del Signore Gesù: “Chi avrà perseverato sino alla fine, sarà salvato” (Mt 24,13).
E come Sant’Agostino ,possiamo esclamare :“Perché quegli uomini e quelle donne hanno potuto fare e realizzare grandi cose nel Signore ,e io no?” (Cfr. Confessioni,8,27). Come le due Sante, entriamo per la porta stretta, come Cristo ci ha chiesto. Sfortunatamente, “pochi lo fanno”. Ma per le nostre due religiose la porta inizialmente stretta si è spalancata per arrivare a Cristo!
I due miracoli di ognuna delle beate per la canonizzazione
A una persona, di cui è stata avviata la causa di beatificazione, la Chiesa dona il titolo di “servo” o “serva di Dio”. Dopo l’esame dei suoi scritti e la prova dell’eroicità delle sue virtù, la persona “serva di Dio” diventa “venerabile”, poi “beata” e infine “santa”. Per raggiungere le ultime due tappe, è necessario che ogni volta ci sia un miracolo in cui è accertata l’intercessione della venerabile o della beata in questione.
Care sorelle e fratelli in Cristo, dichiarare “santa” una persona significa proclamare a tutti che il suo Maestro si compiace di lei per sempre e, proprio per questo, lei può intercedere per i fedeli che la invocano, chiedendo grazie, beni e protezione. Certamente è possibile domandare l’intercessione di una beata a livello di Chiesa locale. Ma perché tutti possano conoscerli e rivolgere loro la propria preghiera è necessaria la canonizzazione.

Il miracolo di Santa Maria Alfonsina

Il giorno stesso in cui è stata celebrata la sua beatificazione, la futura Santa ha fatto il secondo miracolo. Dall’interrogatorio effettuato dal tribunale ecclesiastico latino di Gerusalemme, è risultato che M. Emile Mounir Salim Elias, residente a Kfar Kana (Cana di Galilea), nato il 25 maggio 1977 ed esperto geometra, due giorni prima della beatificazione di Madre Maria Alfonsina, stava lavorando nella regione di Bayt Dajan, nei dintorni di Holon, Giaffa. Stava cercando di alzare un apparecchio di misurazione a un’altezza di circa cinque metri e non si era accorto che la macchina era collegata ad un cavo dell’ alta tensione. Poiché non portava i guanti, è stato fulminato da una forza pari a 30-40.000 volt. Una scossa tremenda che lo ha fatto precipitare a terra con gli occhi aperti, ma senza respiro, mentre il cuore non dava segni di vita. M. Elias ricorda soltanto di aver sollevato l’apparecchio di misurazione. E’ rimasto in coma per due giorni consecutivi. Secondo il rapporto dell’ospedale, non respirava e il suo cuore aveva cessato di battere. Il suo corpo aveva assunto un colore bluastro: stava morendo. Elias non sapeva granché di Maria Alfonsina. Non l’aveva mai pregata. Ma dopo essersi risvegliato dal coma, seppe che molti fedeli avevano fatto ricorso alla beata per chiedere che venisse salvato da una morte certa. Indiscutibilmente, la sua guarigione non poteva scaturire che da un miracolo. Umanamente parlando, non sarebbe stato possibile salvarlo. Grazie all’intercessione di Madre Maria A lfonsina Ghattas, M. Elias è ancora in vita. A Dio piacendo, parteciperà alle feste per celebrare la Santa a Roma, a Gerusalemme e a Nazareth.

Miracolo di Santa Mariam di Gesù crocifisso

La beata ha realizzato il suo secondo miracolo a beneficio di un fanciullo siciliano della provincia di Siracusa, Emanuele Lo Zito, nato per parto cesareo nel 2009. Il bambino soffriva di una grave insufficienza cardiaca congenita, che causava seri problemi circolatori, con conseguenze gravissime per l’intero organismo. Il neonato venne trasferito d’urgenza da un ospedale all’altro. I medici dovettero constatare che la situazione non faceva altro che peggiorare. Fu portato prima nel reparto di terapia intensiva di un ospedale e poi in un ospedale specializzato in chirurgia cardiaca infantile, dove fu operato d’urgenza, anche se i chirurghi erano sicuri che non sarebbe sopravvissuto, data la situazione irreversibile in cui si trovava. Sorpresa: l’operazione ebbe successo. I medici verificarono nelle ore e nei giorni seguenti una rapida ripresa delle sue condizioni. Gli esami e le verifiche successive hanno rivelato la sua effettiva guarigione. Due commissioni, una medica e l’altra teologica, hanno concluso che la guarigione era stata “rapida e completa” e che del fatto non si riscontrava “alcuna spiegazione dal punto di vista della scienza medica”. In realtà il miracolo è avvenuto per l’intercessione della beata carmelitana. In effetti, una coppia di amici dei genitori di Emanuele conosceva la sua malattia e pregò per la sua guarigione suor Mariam di Gesù crocifisso, della quale la coppia era diventata devota dopo un pellegrinaggio in Terra Santa e una visita al Carmelo di Betlemme nel Natale del 2008, circa cinque mesi prima della nascita di Emanuele. Durante il pellegrinaggio, la coppia aveva avuto l’occasione di venerare le reliquie della beata. I coniugi si sono rivolti anche ad altri amici e conoscenti per invocare con loro l’intercessione della monaca. In tal modo si è formata una catena di preghiera con le Carmelitane di Betlemme, di Haifa, di Gerusalemme per chiedere la guarigione del bambino. E la grazia è stata ottenuta. I santi: venerazione, intercessione e imitazione Queste tre parole costituiscono la triplice finalità della canonizzazione. Noi non adoriamo altri se non il Signore, ma veneriamo i Santi, stimati degni di entrare nella vita eterna, come depositari dei Suoi doni e carismi . Essi regnano con Dio nella patria celeste in quanto eletti beneamati . Venerando i Santi diamo gloria a Dio, perché riconosciamo che è Lui la fonte di ogni grazia e di ogni dono in loro. I Santi, uomini come noi, sono stati esposti alle tentazioni e alle cadute. Ma ognuno di essi può dire: “Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la mia corsa, ho conservato la fede” (2 Tim 4,7). Non sono nati santi, ma “hanno conquistato il Regno con la forza”. Alla sequela di Cristo sono per noi modelli di vita. Non è sufficiente ammirare le loro virtù e le loro opere. Bisogna imitarli e lasciarsi guidare e illuminare dalla loro sapienza. I Santi ci insegnano che la santità non consiste nel fare miracoli, ma piuttosto nel cercare la volontà di Dio in tutto: “Amarlo con tutto il nostro cuore .... e amare il nostro prossimo come noi stessi” per amore di Dio. La santità comporta l’assunzione delle otto Beatitudini come regola di vita. In questa direzione i Santi orientano “il nostro cammino verso Dio”, poiché loro stessi l’hanno percorso. Non si nasce Santi uscendo dal seno materno. Lo si diviene, nonostante tutte le nostre debolezze. L’impresa è possibile. Gesù lo ha detto chiaramente: “Non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori, perché si convertano” (Lc 5,32). La santità è frutto della grazia divina e non solamente degli sforzi umani. Dopo un’estasi, suor Mariam di Gesù crocifisso ha detto: “Se Gesù mi abbandonasse, sarei peggio di Giuda! Ma se Lui mi custodisce, io sarò come Giovanni il prediletto” (Per le citazioni che riguardano Santa Mariam di Gesù crocifisso, cfr. A. Brunot, Mariam, la petite arabe. Soeur Marie de Jésus Crucifié, ed. Salvator, Mulhouse, 1992). A proposito di umiltà e di fiducia nella Divina Provvidenza, un giorno Madre Maria Alfonsina ha detto a una delle sorelle religiose: “Con l’umiltà, dobbiamo conquistare il paradiso” (Per le citazioni di Santa Maria- A lfonsine, cfr. P. Duvigneau, Mère Marie-Alphonsine et la Congrégation du Rosaire, Gersusalemme 2000).

Significato della santità
Non si tratta di fuggire dal mondo. I fedeli non sono tutti chiamati a chiudersi in clausura, nei monasteri e nei conventi, per diventare santi. Davanti a Dio, ciascuno deve rispondere alla sua vocazione secondo il suo stato di vita. E tutte le strade portano alla stessa meta, a partire dagli apostoli e dai santi dei primi secoli, molti dei quali non hanno mai vissuto nei monasteri. La via della santità è quella delle Beatitudini evangeliche. Tutti, indipendentemente dalla configurazione che può prendere la vocazione personale, siamo chiamati alla vera conversione del cuore. Non ci sono “monopoli” nell’ambito della santità. Essere santo è semplicemente essere fedele alla propria vocazione cristiana. La fedeltà del prete, del religioso o della religiosa e del laico scaturisce dalla stessa sorgente: la fedeltà a Cristo. Che uno sia prete, religioso, padre di famiglia, studente, lavoratore, impiegato .... la sua santità consiste sempre nel vivere la fede in profondità e in pienezza, secondo la propria condizione di vita.
La gente ama la ricchezza, ma il santo si fa povero per Dio. I beni di questo mondo sono per lui insignificanti. Così come rinuncia ai piaceri per essere libero. Il santo è una persona mite, che non conosce litigi né vendette. Nei confronti di tutti dà prova di gentilezza ed esercita la benevolenza. Le parole di Cristo sono penetrate nel suo cuore: “Rallegratevi e giubilate, perché il vostro premio è grande nei cieli” (Mt 5,12).
Madre Maria Alfonsina e suor Mariam di Gesù crocifisso ne sono due grandi esempi. Santità non significa tristezza o malinconia, ma gioia. Non è innanzitutto un invito a odiare la vita presente e le sue gioie, ma la chiamata a vivere una vita piena nella gioia autentica. Nella vita dei santi si incontrano molte testimonianze stupefacenti di questa gioia, luminosa e indicibile. I santi sono molto numerosi. Noi conosciamo solo quelli che vengono ricordati nei calendari liturgici e nei martirologi. Non ci è dato di conoscere l’elenco di tutti i veri santi. Molti di loro sono noti solo a Dio. Il discepolo prediletto Giovanni li ha visti nell’Apocalisse: “Una moltitudine immensa, che nessuno poteva contare, di ogni nazione, razza, popolo e lingua. Tutti stavano in piedi davanti al trono e davanti all’Agnello, avvolti in vesti candide, e portavano palme nelle mani. E gridavano a gran voce: “La salvezza appartiene al nostro Dio seduto sul trono e all’Agnello. ( ... ) Essi sono coloro che sono passati attraverso la grande tribolazione e hanno lavato le loro vesti rendendole candide col sangue dell’Agnello” (Ap 7, 9-10-14).
Tutti questi eletti hanno accolto la parola di Cristo del Vangelo: “Voi, dunque, siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste” (Mt 5,48), e anche le parole di Paolo: “Questa è la volontà di Dio: che vi santifichiate” (1 Ts 4,3).
Santa Maria Alfonsina ha dato molto rilievo al fatto che la santità sia un impegno per tutti:
“Dobbiamo tendere verso la santità e attirarvi tutti i nostri fratelli e tutte le nostre sorelle in Cristo”.
La santità si fonda sulla carità. Più l’amore è forte, più cresce la santità. La Santa alla fine della sua
vita, cercando in qualche modo di richiamare i principi che l’avevano guidata, ha scritto: “L’amore è forte come la morte. Ci fa apprezzare la povertà, sopportare la fame e il freddo, ci fa gioire quando siamo offesi, accettare la malattia, resistere alla tentazione e sopportare la persecuzione. L’amore ci spinge a provvedere sempre ai bisogni del prossimo”.

Sulla via della santità

La prima differenza tra i santi e noi consiste nel fatto che essi sono già nella felicità eterna che noi speriamo di ottenere: “Siate allegri nella speranza, pazienti nell’afflizione, perseveranti nella preghiera” (Rm 12,12). Nella sua prima lettera, San Giovanni ci mette a parte di una verità ancora più profonda e più confortante per le nostre anime: “Noi fin d’ora siamo figli di Dio, ma ciò che saremo non è stato ancora rivelato. (...) Chiunque ha questa speranza in lui, purifica se stesso, come egli è puro” (Gv 3, 2-3).

Cari figli, sorelle e fratelli in Cristo!
Per il peccato rischiamo di perdere la nostra dignità e di ostacolare la nostra crescita spirituale. Dobbiamo dunque adoperarci “per la nostra salvezza con timore e tremore” (Fil 2,12) senza stancarci “di fare il bene” (Gal 6,9), finché ce ne è concessa l’opportunità.
Una seconda differenza consiste nel fatto che noi siamo sulla terra e che abbiamo il tempo. Forse i santi ci regalano questo ‘tempo’ di cui disponiamo per meglio amare, soprattutto per purificarci e diventare sempre più simili all’Agnello senza macchia. Abbiamo il tempo, ma non ne apprezziamo sufficientemente il valore. Possiamo lasciarlo trascorrere invano o trasformarlo in un talento da far fruttare. Il Maestro è stato chiaro: “Camminate mentre avete la luce ....” (Gv 12,35). E’ come se dicesse: “Camminate finché avete tempo!”.
Le nostre due Sante hanno ascoltato la parola divina. Hanno scoperto la via. Hanno risposto all’appello di Cristo. Hanno camminato verso il suo Regno. Non hanno preso altra strada che Gesù solo.
Le nostre Sante, i nostri Santi hanno amato Cristo al di sopra di tutto e di tutti, preferendolo a se stessi e alle loro famiglie, ai loro amici, al denaro e alla primogenitura, e ciò, nonostante difficoltà e tribolazioni. Hanno amato il Vangelo più che ogni altro libro. Era per loro la fonte della vita spirituale e l’ispiratore della loro vita sociale. Le Beatitudini erano la legge del loro comportamento, la luce durante la ‘notte oscura’ sulla strada che porta al Regno. Hanno vissuto le Beatitudini in spirito e verità.
Santa Maria Alfonsina ha vissuto una carità eroica. Gli episodi in proposito sono innumerevoli.
Dopo la sua morte, una delle religiose che l’aveva conosciuta, ha dato questa testimonianza: ‘Ho
avuto la grazia di vivere sei anni con madre Maria Alfonsina a Betlemme. Affermo che non l’ho mai
sentita parlare male del prossimo. Inoltre, ho potuto ammirare in lei due altre virtù: la sua
disponibilità e la sua venerazione per la Santa Vergine nostra Signora del Rosario’.

I santi e noi
Se Dio ha onorato i santi e ha invitato la Chiesa a venerarli, è perché ciascuno di noi faccia la stessa cosa. Venerarli significa amarli, rispettarli, chiedere la loro intercessione e imitarli -Invocare la loro intercessione. L’apostolo Paolo domanda ai fedeli di pregare per lui, di ricordarsi di lui presso il Signore. Se domandiamo a delle persone viventi di accompagnarci con le loro preghiere, non possiamo a maggior ragione sollecitare l’intercessione di coloro che vivono ormai eternamente alla presenza di Dio? (Rm 15,30 ; 2 Cor 1,11; Col 4,3; Fil 6,18 -19).
- Imitarli. Logicamente imitiamo coloro che ammiriamo e veneriamo. Quando festeggiamo i santi, non accresciamo la loro felicità né la loro gloria perché sono già nella perfezione di Dio. Lo facciamo per imitare il loro modello di vita. E più li veneriamo, più siamo impegnati a seguirne l’esempio. Ecco perché la Chiesa venera la memoria dei santi. Esaltandone la gloria, si augura che perveniamo anche noi alla stessa gloria che loro hanno già raggiunto. Le grazie che domandiamo al Signore Con tutto il cuore nella preghiera, domandiamo al Signore di concederci:

-–laici impegnati, ispirati da una fede viva, cosciente ed efficace, che illumini tutti gli ambiti della loro vita, pubblica e privata, e li renda veri testimoni di Cristo nella famiglia e nella professione, nella vita politica ed economica, nella cultura e nella società. La santità è l’effusione dello Spirito che si effonde nei fedeli, per arricchirli spiritualmente e per vivificare l’intera società in cui vivono.

- sacerdoti che siano apostoli intrepidi, che vivono solo per annunciare il Regno. Nel loro amore totale e costantemente rinnovato per Cristo, i loro cuori siano colmi di una profonda gioia. Mettano con determinazione “la mano all’aratro”, senza “voltarsi indietro” e rimpiangere ciò che hanno abbandonato.

- religiose appassionate e piene di abnegazione, che vivano del necessario e vadano all’incontro con Cristo come le vergini sagge, con lampade che non si spengono e con olio a profusione; l’arrivo dello Sposo non le sorprenderà

La Vergine Maria è stata la prima consacrata che ha donato tutto il suo essere a Cristo. Ella è colei che all'annuncio dell'angelo ha detto ‘Sì’ senza riserve, senza esitazioni e senza ritardi. La religiosa vera è quella che riproduce in qualche modo un'immagine della Vergine, del suo amore e della sua fede, della sua purezza e della sua castità, della sua tenerezza e della sua obbedienza, del suo silenzio e del suo equilibrio, della sua povertà materiale e della sua ricchezza spirituale. La religiosa incontra Cristo attraverso Sua Madre, la Vergine Maria. Seguendo il suo esempio, dedica la sua vita esclusivamente a Gesù e gli dona il suo amore, vivendo in profondità il Vangelo. Speriamo che si moltiplichino tra di noi le persone e le comunità religiose che in un certo modo assomiglino a Mariam di Gesù crocifisso e a Madre Maria Alfonsina. Queste due nuove Sante sono il segno tangibile che la santità non è un’utopia.

Conclusione

Cari figli, sorelle e fratelli in Cristo, laici, clero, religiose e religiosi, questo messaggio, nato in occasione di una duplice celebrazione, vi invita al superamento di voi stessi e al rinnovamento della vostra vita spirituale. Tutte e tutti noi siamo chiamati alla santità, sull'esempio di madre Maria Alfonsina e di suor Mariam di Gesù crocifisso. Ognuna di loro costituisce un modello del dono di sé, di devozione, di servizio, di pazienza, di silenzio e di generosità Il Signore ci chiama alla santità, ciascuno secondo il proprio stato di vita. Come a queste due Sante, anche a noi Dio dona molte grazie. Se seguiamo il loro esempio, nell'amore e nella purezza, nell’abnegazione e nella generosità, otterremo la gloria di cui queste due elette sono state coronate.

Sorelle e fratelli in Cristo! Ricordiamoci che l'amore al quale siamo chiamati non si realizza se non attraverso un dono totale di se stessi, senza fare calcoli e senza aspettare gratificazioni, secondo il modello di queste due figlie della nostra terra, che ora intercedono per noi. Non è impossibile alla grazia di Dio compiere anche in noi grandi cose.

Alla fine di questa lettera, rendiamo grazie a Dio per la Congregazione delle Suore del Rosario, che ha donato e continua a donare alla Chiesa religiose devote, in diversi ambiti dell'apostolato, in particolare quello dell'educazione e della sanità Rendiamo grazie anche per l’Ordine dei Carmelitani e delle Carmelitane. L'albero del Carmelo conta, tra i suoi numerosi frutti, giganti della santità come Giovanni della Croce, Teresa d’Avila, Teresa di Lisieux e Mariam Bawardi d’Ibilline.

+ Fouad Twal, Patriarca

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