Italia: Cerco il terzo volto della mia Africa

Pubblicato in I missionari dicono
{mosimage}Padre Antonio Rusconi fa di nuovo i bagagli. “Tutta colpa del mal d’Africa. Non riesco a stare lontano da quella terra”. Il missionario di Valmadrera partirà a breve alla volta di Roma e da lì a Monrovia, Liberia, per iniziare quella che ama chiamare la «terza fase» della sua vita.

“Dopo vent’anni in Tanzania e quattordici anni e mezzo in Mozambico, ricomincio. Sarò in un lebbrosario ai confini con la Guinea Bissau”, spiega con entusiasmo il sacerdote, che da quando è tornato in Italia per curarsi non ha fatto altro che sognare l’Africa. “Discopatia multipla, cioè quattro vertebre che si toccano: i dottori mi hanno suggerito di chiudere il capitolo Africa e di starmene tranquillo. Ma fisioterapia, piscina, massaggi, agopuntura, chiroterapia e buona cucina romagnola mi hanno rimesso in forma. Ho aperto l’atlante dell’Africa, ho chiesto ai miei capi di riprendere il cammino per i tropici, e così è saltata fuori la Liberia”.

Mentre prepara le valigie, pensa a quando chiudeva i bagagli per il suo primo incarico. “Sono ormai pochi i capelli rimasti, bianchi e finissimi, e a 67 anni, di cui 34 in Africa, è bello pensare ai momenti di vita missionaria sognando ancora. In un lebbrosario della Liberia cerco il terzo volto della mia Africa, e porto nel cuore i primi due”. La Tanzania, che l’ha ospitato dal 1970 al 1990, e il Mozambico, dove è rimasto dal 1990 al 2004.


“Nella prima terra ho conosciuto l’Africa sognata nei miei anni di preparazione, l’Africa dei lunghi safari su strade polverose di terra battuta, i villaggi con le capanne dove la gente viveva senza pretese, sempre disposta ad accogliere chi si presentava senza esigenze”.

Poi è venuto il Mozambico visto dalla periferia della grande capitale Maputo: “Poche luci, molta gente che cambia continuamente, i confini della città che si allargano di giorno in giorno, gli strascichi della guerra civile”.

Assicura che l’entusiasmo e la grinta che lo guidavano allora non sono cambiati. “A differenza di questo Paese e della mia Valmadrera. Quando sono partito, qui erano solo campi. Ma è cambiata anche la gente: quello che fa paura nella nostra società è il fatto che non sa riconoscere il suo passato. Invece siamo forma del passato e impronta del futuro. Credo inoltre che la nostra società abbia paura dell’Islam. E sbaglia ad averne. Il confronto è sempre bello e arricchente”. Poi mostra un articolo tratto dal Corriere della Sera (3 gennaio 2007): “Lì non si parla di società multiculturali ma di una terra ricca di diamanti e di povera gente: la Liberia. Il mio compito adesso è di stare al loro fianco”.
Ultima modifica il Giovedì, 05 Febbraio 2015 20:29
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