Tanzania: Un'intervista a distanza

Pubblicato in I missionari dicono
{mosimage}P. Giuseppe Inverardi ci racconta la Tanzania e le attività che concorrono a formare la missione dell'Istituto nel Paese africano.

1. Cosa significa per te oggi essere missionario in Tanzania?


Non posso ignorare la mia identità di missionario ad gentes, cioè per i non cristiani, anche se alcune attività non sono direttamente indirizzate a questo, ma in funzione di questo. Per cui ritengo prioritario il primo annuncio. Questo, tuttavia, non si esaurisce in pochi anni. E’ nostra responsabilità portare porzioni di chiesa locale al grado di una certa autosufficienza: di ministri a tutti i livelli, e anche finanziaria.

Tale annuncio nella nostra tradizione ha una forte componente di promozione umana, che oggi ha acquisito anche un’altra dimensione: lavorare per la giustizia e la pace e l’armonia del creato. L’impegno in strutture educative, di salute e altre, è facile perché apprezzato.
Più difficile, anche perché stranieri, il ministero della giustizia. Più che denunciare si tratta di educare. E qui la necessità è veramente grande perché la popolazione della Tanzania è piuttosto tranquilla, e per paura non recalcitra agli abusi di vario genere.

Mi sento un vincolo di comunione tra i popoli e le chiese. Non sono parole vuote. Le nostre comunità internazionali, volute così appositamente, rivelano la ricchezza della diversità e sono testimonianza che la convivenza è possibile e arricchente. Messaggio che la nostra gente coglie, spesso con meraviglia. So di dover essere immesso nella vita e prassi della chiesa locale ma, allo stesso tempo, di doverne essere stimolo portando l’esperienza di altre chiese. E a queste additare il cammino della chiesa in Tanzania.

2. Quali le attività dei missionari della Consolata?

Annuncio ed evangelizzazione. Specialmente nelle zone più povere in tutti i sensi. E’ la nostra identità qualificante.

Promozione umana. Il Consolata Hospital e la Scuola per direttori di laboratori medici a Ikonda; la scuola secondaria e la scuola per formare Maestri a Mafinga; la Faraja House per bambini di strada e la scuola professionale a Mgongo. Ogni missione poi ha le sue attività: asili, dispensari, scuole professionali, e altre.

Animazione missionaria e vocazionale. Perché la chiesa fin dai suoi inizi guardi al mondo. Già ci sono 23 missionari della Consolata in varie nazioni. Rientra in questo settore la rivista missionaria Enendeni e il Consolata Mission Centre, creato per offrire una spiritualità missionaria e programmi connessi con la missione ad gentes.

Formazione. Il seminario di Mafinga e di Morogoro.


3. Se dovessi descrivere che cos’è una missione che parole useresti?

La domanda penso intenda proprio ‘missione’ e non ‘Missione.’ Cioè, un posto, e non il contenuto, processo, e metodo dell’evangelizzazione. La parola viene da quando non c’era assolutamente nulla, per cui non si poteva parlare di parrocchie. Come anche non si parlava di diocesi, ma di prefetture e vicariati apostolici. Francamente, nella realtà di oggi, non c’è distinzione tra missione e parrocchia, e le parole vengono usate scambievolmente. Tuttavia qualcosa rimane ancora. Parrocchia dà il senso di completezza, organizzazione, maturità, pastorale. Missione è una realtà ai margini, che ha bisogno ancora dell’annuncio e di una attenzione diversa. Tuttavia, sia la parrocchia che la missione hanno strutture simili e rendono servizi simili.

4. Cos’è la Tanzania oggi?

Politicamente. E’ una repubblica presidenziale. Purtroppo non c’è stata un’auspicabile alternanza al governo. E’ da oltre 40 anni che lo stesso partito governa, e non si intravedono possibili alternative per mancanza di persone carismatiche e di partiti con programmi chiari. Le conseguenze sono intuibili.

Socialmente. Le statistiche lo danno come uno dei paesi più poveri del mondo. Tuttavia, specialmente a Dar es Salaam si sta formando un gruppo di persone veramente ricche. Gli aiuti e prestiti da istituzioni internazionali, dai governi e da varie ONG sono veramente molti, e grande è la corruzione nell’amministrare tali somme. C’è omertà da parte di tutti. Ma almeno l’85% della gente, in gradi diversi, fa veramente difficile a vivere. Lo si percepisce, lo si sente, lo si vede ogni giorno. I salari sono bassi e i prezzi sono alti.

Economicamente. La Tanzania dipende molto dagli aiuti dall’estero, che sempre hanno abbondato, essendo un paese in pace e dal volto attraente del socialismo africano. Tuttavia non produce molto da esportare. L’agricoltura è di sopravvivenza, e sempre minacciata dalla siccità. Negli ultimi anni il Sud Africa ha estratto oro da alcune miniere, ma al dire di tutti la Tanzania ne ha beneficiato ben poco. I contratti sono complicati e sempre a vantaggio delle compagnie, che per anni non pagano tasse per rifarsi del capitale investito. Tre anni fa la Tanzania fu perdonata metà del suo debito estero, ma ora è già più alto di prima.

Religiosamente. Circa il 50% sono i cristiani, dei quali circa il 23% sono cattolici. Circa 30% sono i musulmani, e il 20% delle religioni tradizionali. C’e mutuo rispetto e le relazioni sono serene.

5. Quali le urgenze e le sfide?

• Una classe politica e governante meno corrotta e più sensibile alle necessità della gente. Più senso di responsabilità civica e del bene comune, e dell’autorità come servizio. Lo sviluppo non è possibile, né sarebbe vero, senza i valori umani.

• Maggior giustizia, salari più equi.

• Miglioramento dell’educazione, potenziamento dei servizi sociali, strade, sradicamento della povertà.

• L’HIV-AIDS è un vero dramma che priva la nazione di forze giovani e preparate, spoglia le famiglie di genitori, lascia miriadi di orfani, rompe il tessuto sociale.

6. Come ritieni si possa conciliare la necessità di promozione umana di un popolo con il rischio di non salvaguardarne la propria peculiarità culturale?

So di non rispondere. L’intreccio di popoli, culture e religioni c’è sempre stato, con tutti i suoi aspetti positivi e negativi. Particolarmente nel mondo globalizzato di oggi nessuno può isolarsi ed essere isolato. Sulle strade fa impressione vedere grandi cartelloni di fieri Masai nella steppa con in mano il telefonino. In neppure 10 anni si è passati dal silenzio del villaggio alla televisione con canali internazionali e ai cafè internet. Si è passati dall’andare a piedi alla macchina. In un breve tempo si sono avverati grandi contrasti, dei quali non è facile coglierne l’impatto psicologico e culturale, ma che esiste: a livello familiare, di società e nazione. Tanti aspetti toccano pochi esplicitamente, ma raggiungono tutti indirettamente.

La promozione umana fa parte della dignità della persona. Il processo è irreversibile. L’importante sarebbe fare le cose gradualmente, senza fare violenza alle persone, alle nazioni e culture. Questo spesso non capita. Un esempio: le campagne di sterilizzazione delle donne e dell’aborto, promosse da paesi donatori.

Anche così, sono convinto che la cultura ha, e continuerà ad avere un suo sostrato, che guida uno specifico modo di pensare, essere ed agire, e che emerge nella vita familiare e sociale. Spesso affiora anche nelle sue dimensioni negative.

7. L’annuncio del Vangelo trova terreno favorevole in Tanzania?

Indubbiamente l’annuncio trova un terreno ricettivo nell’Africa subsahariana. Spesso mi chiedo fino a quando sarà così. Per ora non c’è divario tra cultura e religione. Non esiste l’ateo in Africa, e moltissime espressioni della gente ne rivelano l’animo religioso. Dio non è mai lontano dalle persone e dagli eventi, neppure quelli di sofferenza e morte. Questo non significa che ci sia sempre armonia tra fede e vita personale. Problemi ve ne sono. Per esempio, il matrimonio, il ricorso alla superstizione, costumi contrari al Vangelo.

Buona, attiva e gioiosa è la partecipazione domenicale. Ma anche in molti posti della Tanzania non credo raggiunga più del 25 – 30%, dovuto pure alle distanze e ai mille problemi dei quali è afflitta la nostra gente. Lodevole è l’impegno dei laici nelle attività della parrocchia e villaggio. Molte le associazioni.

8. Com’è la chiesa in Tanzania?

Per necessità di cose è una chiesa che ha al centro la dimensione strutturale e amministrativa, la celebrazione, il cercare fonti di sostentamento al di dentro e al di fuori della Tanzania. Cose necessarie, ma che mortificano la dimensione profetica e formativa. E’ necessario formare alla profondità, alla gratuità e alla giustizia, evangelizzare il mondo della politica e del denaro, curare le famiglie e i giovani, dialogare con l’Islam.

Per motivi culturali l’autorità ha un peso eccessivo pure nella chiesa. Per cui anche se i laici sono molto impegnati, l’ombra del clericalismo spesso sovrasta. Una chiesa che deve un grande debito ai catechisti, ma che deve favorire la varietà di ministri e ministeri, perché si arricchisca dei doni di tutti.

La parrocchia o missione è strutturata sulle ‘piccole comunità cristiane.’ Hanno delle debolezze: pochi gli uomini e i giovani che vi partecipano, difficile avere leader capaci, spesso è preghiera più che riflessione della Parola di Dio, ma sono un’importante ossatura. Può sempre essere migliorata. In molti posti si incontrano ogni settimana. Non è cosa da poco poter raggiungere tutti attraverso questa compagine.

In relazione al governo, nelle questioni che riguardano la giustizia viene spesso giudicata troppo timida dai non Tanzaniani. Rientra nello spirito culturale comune: cercare il dialogo e l’armonia più che il confronto e la divisione.

Se posso esprimermi così, direi che è una chiesa ‘simpatica’, ma che deve rivestirsi di interiorità.
Ultima modifica il Sabato, 07 Febbraio 2015 21:02

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