Il grande obbiettivo che la Corea vuole raggiungere è quello della Riunificazione, mentre per la Chiesa lo scopo è quello di continuare il processo d’evangelizzazione iniziato circa 200 anni fa. È una delle Chiese più attive e con tante vocazioni, soprattutto per il clero diocesano.
Guardando all’Asia in generale, constatiamo che dopo 2000 anni di storia e apostolato missionario della Chiesa, il continente dove Gesù è nato rimane ancora il meno evangelizzato di tutti. Nonostante questo, la Chiesa in questi ultimi anni sta vivendo una fase di crescita, sia a livello del numero dei fedeli sia come protagonista nella sfera sociale e religiosa di molti Paesi. Oltre le Filippine, la Chiesa ha una storia lunga e preponderante in altri Paesi come la Corea, la Cina e il Vietnam, dove è presente da oltre 200 anni. Dopo la caduta dei regimi comunisti e dittatoriali in questi e altri Paesi, la diffusione e lo sviluppo della Chiesa sono aumentati considerevolmente. Ricordiamo anche i nostri confratelli e consorelle che lavorano in Mongolia, un Paese dove la presenza e l’attività missionaria della Chiesa è ancora agli inizi.
Riguardo alla Corea, siamo presenti su tre fronti: l’animazione missionaria della Chiesa locale e promozione vocazionale; il dialogo interreligioso; per ultimo, la presenza in un contesto di povertà urbana e appoggio ai lavoratori stranieri illegali. Sin dall’inizio dell’arrivo dei primi missionari, si è visto come prioritario aiutare la Chiesa locale a sviluppare e a crescere nell’ambito della missione ad gentes. Ancora oggi la Chiesa coreana è molto dedicata alla missione ad intra, mentre quella ad extra rimane compito di pochi missionari. Se poi guardiamo alle molte Chiese protestanti, vediamo che esse sono molto più missionarie della nostra. Comunque, dobbiamo anche dire che il numero dei missionari cattolici coreani all’estero è aumentato in questi ultimi anni. Da parte nostra, abbiamo attualmente 6 seminaristi in Italia, tre qui con noi in Corea e uno che fa un periodo di esperienza missionaria in Colombia. Credo che tra due o tre anni potremmo avere il nostro o i nostri primi sacerdoti missionari della Consolata “made in Corea”. Abbiamo poi un numero considerevole di benefattori, frutto dei vari weekend d’animazione nelle parrocchie. La nostra rivista missionaria, chiamata “Consolata” è uno dei mezzi più efficaci per spargere il messaggio missionario in tutta la Corea. Poi, facciamo ogni mese un incontro di formazione ad un gruppo più ristretto di benefattori: tra i più fedeli, abbiamo creato anche il gruppo “Famiglia Consolata”. É in corso il progetto di creare un gruppo giovanile, mentre in due parrocchie abbiamo dato inizio ad un gruppo missionario.
Con riguardo al dialogo interreligioso, abbiamo creato nel 1999 un piccolo centro per la spiritualità del dialogo con altre religioni. Purtroppo, questa dimensione missionaria è ancora agli inizi in Corea, cioè, nemmeno la Chiesa locale ha una lunga e forte tradizione di dialogo interreligioso. Basta dire che il dialogo è stato “inventato” dalla Chiesa e, almeno qui in Corea, non è facile trovare chi voglia dialogare. Certo, ci sono incontri vari a livello di cupola, ma il nostro centro vuole raggiungere le basi, cioè, la gente comune delle varie religioni. Per circa un anno, siamo riusciti a portare avanti incontri di scambio con un gruppo dei fedeli di un tempio buddista, assieme al loro monaco, ma poi… questo se n’è andato e così si è chiusa quell’attività. Il tema del dialogo non è facile e questo lo stiamo sperimentando, ma senza scoraggiarci. Abbiamo un gruppo di nostri amici a cui diamo formazione sulle altre religioni: con loro vogliamo crescere e camminare in questa dimensione della missione in Asia. E siccome senza una preparazione più profonda non si può dialogare, abbiamo il nostro padre Peter Njoroge, keniano, che studia religioni comparate all’Università dei Gesuiti a Seul.
Finalmente, dopo due esperienze precedenti di presenza in baraccopoli in Incheon e Seul, abbiamo riaperto la nostra terza comunità, dedicata alla realtà di povertà urbana, lo scorso 24 Ottobre 2007. Per adesso, ci concentriamo nel servizio, soprattutto religioso, a vari gruppi di lavoratori stranieri illegali, i quali sono tra i più poveri in Corea.
Le sfide per la nostra missione qui in Corea sono varie. Innanzitutto, continuare ad investire forze nell’animazione missionaria, tenendo in conto che sia questa che altre aree di attività sono dipendenti da un fattore importante: la lingua. Cioè, si fa ciò che la lingua ci permette di fare. Poi, siamo inseriti in un contesto dove la Chiesa locale ci guarda come “fuori posto”: siccome la Chiesa ha già una struttura ben organizzata e tantissime vocazioni, soprattutto per il clero diocesano, aumenta il numero di coloro che dicono che l’evangelizzazione della Corea la può fare la Chiesa locale da sola, mentre noi dovremmo andare in Africa o in altri posti dove il Vangelo non è ancora conosciuto. Ma siccome la coscienza missionaria della Chiesa locale è ancora molto debole, continuiamo avanti con il nostro lavoro. Riguardo al dialogo interreligioso, credo che la sfida è quella di non scoraggiarci. Dobbiamo continuare a cercare modi e persone che ci possono aiutare a portare avanti l’impegno per quest’areopago della missione. Poi, una grossa sfida, sia per noi sia per la Chiesa locale, è quella dei giovani. Non è facile attrarli, non soltanto perchè la società è troppo materialista, ma anche perchè noi come Chiesa in generale non siamo capaci di offrirgli qualcosa di nuovo e diverso. Certo, il fatto che la società coreana sta diventando sempre più alienata dai valori religiosi è anche una sfida, non solo per noi come per tutte le religioni. E i pochi giovani attivi nella Chiesa sono tutti impegnati nelle loro parrocchie…
E la Corea del Nord? Si spera che, eventualmente, un giorno ci sia la riunificazione delle due Coree e per questo la Chiesa si sta preparando per la possibile evangelizzazione del Nord, ma per il momento noi ci concentriamo con ciò che possiamo nel momento presente. Siamo contenti di come le cose stanno andando avanti, ma siamo anche consapevoli del dovere investire di più nel fare missione non tanto con parole, ma con uno stile di vita sempre di più identificato col vangelo e con Gesù, il vero protagonista della missione. Poi… abbiamo poche forze per affrontare tanto lavoro. Se qualcuno o alcuni tra voi, siano seminaristi nostri, siano giovani che pensano alla missione, vogliono venire da noi, vi aspettiamo con la promessa di un’esperienza affascinante, diversa e ricca, sia di Dio sia d’umanità.
Anyong hi kyeseyo! (Ciao)