E noi che ci professiamo discepoli del Cristo, che ascoltiamo oggi la parola di Dio, con la nostra preghiera e solidarietà dimostriamo di volere la guarigione dei milioni di lebbrosi a tutt’oggi esistenti nel mondo missionario? E soprattutto ci sentiamo solidali con tanti che come e a fianco di don Ciotti, di Don Mazzi, di Don Gelmini, di Don Benzi, si impegnano volontariamente e generosamente per coloro che sono emarginati dalla nostra società: drogati, sieropositivi, malati di AIDS e terminali, prostitute, extracomunitari? Quali i nostri sentimenti?
Nei suoi viaggi e nei suoi discorsi, Raoul Follerau, conosciuto ormai come l’amico dei lebbrosi, era solito ripetere: “Mi vergogno di mangiare con appetito, di dormire senza incubi. Amici, ribelliamoci. Nessuno ha il diritto di essere felice da solo, aiutiamo a costruire la felicità degli altri”. Il Beato Padre Damiano impressionato dall’emarginazione dei lebbrosi, confinati in un’isola, senza assistenza sanitaria e religiosa, si è offerto a vivere nell’isola dei lebbrosi. Si è prodigato per aiutarli nella sofferenza e confortarli nella solitudine. La lebbra non lo ha risparmiato ed è morto nel lebbrosario.
Ho benedetto anni fa a Milano il grande stabilimento chimico di un giovane industriale, Marcello Candia. Ha poi liquidato tutto per andare in Amazzonia dove ha costruito e diretto un lebbrosario a Manibù. Gli fu conferito il premio “Città di Milano” ed anche per lui è iniziato il cammino di beatificazione.
Un nostro missionario, P. Ludovico Crimella, ha fondato in Amazzonia un villaggio, con industrie proprie per i malati di lebbra. In Congo, in un lebbrosario, ho potuto stringere la mano a qualche ammalato e ammirare l’attenzione di un confratello mentre curava il piede corroso di un lebbroso.
Ma non mancano gli atti di generosità ordinaria. Paolo, volontario, lascia l’università; un finanziere rinuncia al suo primo stipendio, un operaio alla sua tredicesima; Maurizio e Sonia rinunciano al loro pranzo di nozze e al viaggio. E non mancano i piccoli amici dei lebbrosi: Io Vannes ho rinunciato alla bambola; io Massimiliano al cioccolato e al Commodor… ed altri piccoli alla loro paghetta.
Ma soprattutto questa è giornata di preghiera ed ognuno di noi può e deve dare il suo contributo di preghiere per tanti sofferenti e per tanti missionari e volontari che continuano la missione di Gesù che passava di villaggio in villaggio, guarendo tutti ed annunciando la buona novella.
Racconta Raoul Follerau: “Ho sognato. Un uomo si era presentato al giudizio del Signore. Vedi mio Dio – diceva – io ho osservato la tua legge, non ho fatto nulla di disonesto, di cattivo, di empio. Signore, veramente io ho le mani pulite. Senza dubbio – replica Dio – le tue mani sono pure, ma sono anche vuote”. E ancora diceva Follerau in una visita ai suoi lebbrosi: Vedete io non ho nulla da lasciarvi, da donarvi. Non importa – replicavano i lebbrosi – le tue mani sono nude di aiuto, ma piene d’amore. E Follerau, incurante del contagio, stringeva le loro mani purulente. Per giorni nessuno di loro volle lavarsi le mani per non perdere il profumo del suo amore.
La fondatrice delle Missionarie della Carità ha seguito la stessa strategia del Vagabondo della carità. Si direbbe di ascoltare quest’ultimo quando essa dice: “La lebbra non è una disgrazia, ma una malattia. La più grande malattia non è la lebbra, ma la mancanza d’amore. Tocca il lebbroso, toccalo col tuo amore. Non date solo del vostro superfluo, date qualcosa del vostro cuore. Riceviamo dai poveri molto di più di quanto non diamo loro”. E racconta anch’essa aneddoti commoventi: “Sono ammirevoli i nostri lebbrosi! A Natale sono andata a trovarli e ho detto loro: Dio vi ama in modo tutto speciale. Un vecchietto dal viso devastato si è trascinato vicino a me e m’ha detto: Ho sempre sentito dire che nessuno ci amava”.
Nel 1960 mi trovavo in un lebbrosario del Tanzania. Là una Suora della Consolata da trent’anni trascorreva la sua vita. Un giorno le si avvicina un lebbroso e le dice: Suora, permetti che baci la tua mano? Domandò la Suora: Perché? Perché la tua mano è la mano di Dio; mi ha toccato, mi ha guarito. Un bacio e la Suora ha un fremito, non per il contatto ma per la gioia. E la sera, inginocchiata nella cappella, dice: Grazie Gesù perché quest’oggi mi hai dato la gioia di aver fatto felice un fratello ammalato e afflitto. Grazie!
Preghiamo: O Padre, che ascolti il grido del povero, aiutaci a vedere nel volto del lebbroso, del sofferente, l’immagine di Cristo sanguinante, affinché spezzato il giogo del nostro egoismo, diventiamo segno di una umanità nuova a imitazione di Gesù Cristo, tuo Figlio che è Dio e vive e regna con te nell’unità dello Spirito santo, per tutti i secoli dei secoli. Amen
NB:
la lebbra è indicata come uno degli indici di povertà di un popolo. Ogni lebbroso porta in sé le conseguenze di una vita vissuta in condizioni di povertà. Il 70% dei malati lebbra vive nei Paesi sottosviluppati o eufemisticamente detti in via di sviluppo. Le radici affondano nel consumismo della nostra società che brucia quasi il 90% delle risorse naturali e che nutre gatti e cani meglio dei bambini del terzo – quarto mondo.