Fossano: Missione e consolazione tra persone diversamente abili

Pubblicato in I missionari dicono
{mosimage}Dopo la professione perpetua, in dialogo con i miei superiori, decisi di fare un anno di riflessione sulla mia persona nell’esercizio delle opere di carità. Essi mi trasferirono da Roma a Fossano (CN) dove incominciai la mia “particolare” missione: servizio e consolazione tra persone diversamente abili e con un gruppo d’immigrati.

Vorrei parlavi sulla prima categoria di persone che ho nominato. Non mi soffermerò sulla realtà dell’immigrazione perché mi pare che questa per ovvie ragioni ci sia più vicina. Invece, le persone diversamente abili o handicappate come vengono chiamate di consueto sono una realtà, che in alcuni casi, ci è vicina in apparenza. Questo perché, probabilmente, siamo lontani dal loro “Essere”. Non pretendo di formulare un giudizio. Vorrei solo condividervi la missione come servizio e consolazione vissuta a Fossano e che ora si avvia alla sua conclusione.


Questo “vivere” è nato l’autunno scorso. Grazie a p. Mario Dotta I.M.C mi sono inserito tra i volontari dell’Istituto Mons. Signori. Ente privato gestito dalla diocesi di Fossano e la collaborazione delle suore del Cottolengo. Lo scopo di quest’opera dalla sua fondazione è stata l’accoglienza di maschi diversamente abili: sindrome di down, ritardo mentale, schizofrenia e altri. Attualmente gli ospiti sono 31 con età oscillante tra i 35-91 anni. I “ragazzi”, come vengono abitualmente chiamati, durante la giornata svolgono diverse attività: incastrano piccole calamite tra lettere di plastica che dopo verranno usate dai bambini nella loro attività scolastica. Un altro piccolo lavoretto è con le biglie: mettono 12 di queste in sacchetti che dopo sono destinati ai giochi dei bambini. Tutto questo in accordo con una ditta della zona. Altre attività sono: colorare, scrivere, cantare, ballare, fare ginnastica, andare in piscina, andare a cavallo … Queste sono gestite da una educatrice e dei volontari. La mia settimana con loro era: tre mattinate e due giornate. Inoltre la messa della Domenica.

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Vivere con questi “ragazzi” mi ha fatto riflettere sulla fragilità della vita e sulle difficoltà che noi “apparentemente sani” possiamo creare loro “apparentemente ammalati”. Oggettivamente sono portatori di un handicap. Questa oggettività può diventare negativa quando i nostri pregiudizi ci portano a velare la loro gioia e la loro capacità di sperare. Il loro “Essere” non è portatore di handicap, esso ha ricevuto “l’alito di vita”. Vivere la “Caritas reciproca” con loro ha fatto si che scoprissi in me il grande amore di Dio per i più piccoli. Questo nella concretezza di una realtà che consideravo vicina a me, ma che in realtà mi era molto lontana. Sentirmi responsabile di queste persone, gradualmente ha fatto diventare questa “esperienza” una “scuola di umanità”. Per alcuni può bastare un significativo “vivere una missione” dell’Africa, per altri la morte inaspettata di un parente o amico. La mia particolare realtà queste ultime stagioni è stata questa e da essa ho appresso un po’ di umanità.

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È importante conoscere le proprie emozioni e sapere farle parte della pastorale che stai vivendo, in modo che queste non ti controllino. Lavorare con i “ragazzi” mi ha fatto discernere anche su questo. Davanti ad un malato (anche se malato come aggettivo applicato a loro non mi sembra adatto) ti commuovi e ti può venire un inaspettato rimorso di coscienza. Con loro ho imparato a vivere una sofferenza che è diventata speranza, addirittura “capricciosa”. Mi spiego: ogni tanto ho dovuto rimproverarli come a dei bambini. Loro fisicamente sono adulti, anziani se vogliamo. Ma nella maggioranza dei casi, la loro mente è quella di un bambino con un ritardo mentale. Pertanto se c’era bisogno di “parlare con autorità” lo scopo non era fargli del male ma aiutarli a capire. Sono diventati anche i testimoni silenziosi delle mie emozioni più profonde.

Ringrazio i padri I.M.C di Fossano i quali si sono resi partecipi di tutto il mio vissuto grazie alle chiacchierate a tavola. Lodo il Signore, ringrazio la vita e i miei superiori che mi hanno dato la possibilità di vivere con questi “ragazzi” e imparare “Umanità” con la metodologia della carità, in una realtà che ora non mi è più lontana.

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Ultima modifica il Giovedì, 05 Febbraio 2015 20:29
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