Quando è giunto in Sud Africa per la prima volta si è subito tuffato nello studio della lingua Zulu, parlata dal quel popolo di antichissima tradizione, e dopo pochi mesi è stato in grado di entrare in contatto con la gente del posto. E’ vero che molti parlano anche inglese, però rivolgersi a loro in Zulu è diverso: è come dirgli «vi rispetto, voi siete importanti e per questo ho affrontato la fatica di imparare bene la vostra lingua, per incontrarvi nella casa del vostro essere Zulu, dove vi potete sentire a vostro agio».
Nella nostra preghiera abbiamo ricordato Sud Africa e Mozambico, i quali hanno realtà storiche e sociali molto differenti. In modo particolare abbiamo chiesto pace e riconciliazione per il Sud Africa in relazione ai recenti tristi casi di xenofobia. Abbiamo anche ricordato i nostri confratelli p.Alexius Lipingu e p.Joseph Rurunga che hanno lavorato in questi due Paesi e che erano formatori.
Mentre p. Trabucco parlava dei due grandi missionari morti durante il loro lavoro, sembrava di vedere quella lunga strada diritta che da Kinross porta a Joannesburg sulla quale p. Lipingu insieme ad altri due confratelli e un catechista ha lasciato la vita schiacciato da un camion. Era il primo superiore africano e la gente gli voleva un bene dell’anima, tanto che ancora parecchi anni dopo la sua morte si parlava di lui. Egli si sentiva profondamente missionario della Consolata, profondamente africano e lavorava con passione per la costruzione di una Chiesa che sapesse accogliere e valorizzare le ricchezze e le potenzialità di ogni popolo.
Nella assemblea della mattinata p. Antonio Rovelli, i.m.c. ci ha dato alcuni input sugli atteggiamenti e dinamiche dell’interculturalità.
{mosimage}Nel pomeriggio ci siamo recati alla Basilica di S. Paolo Fuori le Mura. L’intero complesso comprende anche un’abbazia molto antica, restaurata da Odone di Cluny nel 936. Essa è tutt’ora attiva e i monaci, presenti stabilmente dall’epoca di papa Gregorio II (715- 731), attendono in modo particolare al ministero della riconciliazione e alla promozione di eventi ecumenici. E’ in questa Basilica che ogni anno, durante la festa della conversione di S. Paolo, il 25 gennaio, si conclude solennemente la Settimana di preghiera per l’unità dei Cristiani.
Sabato 30 agosto
Oggi, sabato 30 agosto abbiamo iniziato la giornata con la messa animata dai formatori della Colombia-Equador. Davanti all’altare la bandiera colombiana, un cappello tipico degli afroamericani, i sandali dei campesinos e l’icona del giovane indigeno san Juan Diego rappresentavano le tre etnie che compongono questo popolo latinoamericano. P. Joaquín ha presieduto l’Eucarestia e p. Nyakenyanya durante l’omelia ci ha presentato le sfide dei missionari di quella regione. Dawinso, seminarista della Consolata, che da pochi mesi è giunto dalla Colombia per gli studi teologici, ci ha fatto assaporare qualcosa del suo popolo, animando l’Eucarestia con la chitarra e raccontandoci come il popolo colombiano sia costretto spesso a fuggire abbandonando casa e campi, (si tratta dei desplazados), ma non perda la capacità di sorridere alla vita. Inoltre i desplazados pur trovandosi in contesti completamente nuovi in cui non conoscono nessuno e non hanno un lavoro, tuttavia ricevono ospitalità dai loro connazionali e il calore dell’amicizia aiuta loro a non perdere la speranza e a ricominciare tutto da capo.
La sessione mattutina del nostro incontro è iniziata con una relazione di P. Francesco Pavese i.m.c. sul tema “Giuseppe Allamano modello e maestro dei formatori di missionari”. Come formatore egli era conscio della sua responsabilità nell’educazione ed aveva un proprio metodo. Considerava di grande valore i contatti personali che portava avanti con una rara capacità di accoglienza, di comprensione delle singole situazioni, di incoraggiamento. Mirava alla libertà e alla maturità della persona e sapeva mantenere queste relazioni anche a distanza, mediante contatto epistolare. Nelle conferenze comunicava se stesso (era autentico) prestando attenzione ai singoli persino mentre parlava a tutta la assemblea. Il suo atteggiamento era quello di chi incontra i propri figli e figlie e non quello di un rettore. Era capace di rendere presente all’uditorio l’esperienza di missionari che si trovavano a migliaia di chilometri di distanza. Per L’Allamano la comunità era il luogo per eccellenza della formazione, non creava gaps tra individui e comunità perché la qualità dell’individuo e quella della comunità sono strettamente connesse. La comunità dona autenticità e facilita la crescita dell’individuo.
Questi sono solo alcuni degli aspetti dell’Allamano formatore, presentatici da p. Pavese.
Nel pomeriggio abbiamo discusso in gruppi sui seguenti argomenti:
formazione in piccole comunità
inserimento della casa formativa nella vita del luogo in cui ci si trova
comunità formative
L’incontro dei formatori continua …