Kenya: Un’ oasi di speranza per gli orfani di AIDS

Pubblicato in I missionari dicono
{mosimage}Il Papa, nella sua prima visita all’Africa, ha focalizzato alcuni temi di capitale importanza. Uno di questi è la situazione dell’AIDS non solo per le sue vittime adulte, ma anche per i loro figli che rimangono orfani e, tante volte, senza nessuno che li aiuti. La situazione del Camerun ed Angola che il Papa ha constatato con i suoi occhi, è la medesima in tutte le città e slums dell’Africa.

Nello slum di Kibera, in Nairobi, un gruppo di Cattolici, sia locali che esteri, che fanno parte del movimento Christian Life Community (Comunità per una Vita Cristiana, CLC), hanno già da alcuni anni dato una risposta all’invito del Papa di interessarsi di questi orfani. Armati da una fede incrollabile, e motivati da un amore senza barriere, decisero di stabilirsi nello stesso slum di Kibera, per vivere più da vicino la tragedia di queste povere creature. Una volta conosciuta la loro situazione, iniziarono il loro lavoro nel 2003, con la sponsorizzazione di 12 giovani in una scuola secondaria dello slum. L’esperimento fu giudicato positivo dal punto di vista accademico, in quanto questi giovani risultarono i migliori della loro classe, ma non dal punto di vista formativo. Infatti, dopo un anno di sponsorizzazione, avevano le stesse paure di prima, nutrivano gli stessi timori, si rifiutavano di sperare in un futuro migliore. L’angoscia li inchiodava culla croce della disperazione! I membri del CLC compresero che la scienza non bastava: ci voleva un ambiente diverso, insegnanti che, oltre impartire nozioni accademiche, dessero anche comprensione, amore e soprattutto speranza! Ed allora l’anno dopo, nel 2004, iniziarono la loro scuola intitolata San Luigi Gonzaga.


In tre anni il numero degli studenti salì a 260, e il CLC ha iniziato la costruzione di una scuola in muratura, che dovrebbe ospitare 420 studenti. Fedeli al loro piano di cambiare l’ambiente nella scuola, di impartire non solo nozioni, ma anche valori e virtù Cristiane che li sostenessero nella vita, iniziarono ad attuare il loro piano a scadenze prefisse.

- L’esterno della persona: essere dignitosi! Gli insegnanti si accorsero che gli studenti avevano vestiti rattoppati, non puliti e, dopo un periodo di orientazione sull’uso dei vestiti, fornirono una uniforme ciascuno. Ma ben presto gli stessi insegnanti o i membri del CFC notarono che gli studenti vestivano sempre la stessa uniforme in scuola o fuori della scuola, ed allora regalarono loro vestiti da portarsi fuori dalla scuola.

- Lo studio nella capanna era impossibile per la maggior parte. Chi viveva in una camera con diverse altre persone: molti non avevano la luce elettrica, per cui non potevano vedere bene; altri vivevano in prossimità di bettole aperte fino a tarda notte, con un chiasso che non permetteva concentrazione. Ed allora il Consiglio Direttivo fece aprire la scuola alla sera per dare la possibilità di studiare in un ambiente meno chiassoso, e chiesero anche a molte famiglie di mettere a disposizione un locale nella loro casetta per lo studio di questi studenti.

- Lo stomaco vuoto non conduce al lavoro. Gli insegnanti si accorsero che diversi studenti dormivano sui libri. Ed allora decisero di offrire la colazione e il pranzo, per una nutrizione che aiutasse lo studio. Da parte loro, gli studenti si impegnavano alla pulizia della scuola, ad usare e trattare tutto ciò che apparteneva alla scuola, come se fosse loro, a lavorare nell'orto per produrre verdure per i loro pasti.

- L’interno della persona, l’ambiente del cuore. L’intuizione più profonda e creativa fu di non togliere i giovani dalle situazioni create dalla morte di AIDS dei genitori, ma lasciarli in quelle situazioni, aiutandoli ad affrontarle con uno spirito nuovo, con valori e virtù cristiane che fanno da sopporto nel loro sforzo di superarle e vincerle. Ed ecco allora che il Consiglio Direttivo aprì le porte della scuola a professionisti in questo campo, per offrire corsi, per aiutare gli studenti ad aprirsi nelle loro difficoltà, in modo da sbloccare quell’interno che ancora soffriva e non si leniva. Loro stessi, in piccoli gruppi, condividevano settimanalmente le loro esperienze, i mezzi usati per superarle, e i progressi raggiunti.

- Periodicamente gli stessi studenti visitavano altri bambini in case di ricupero per aiutarli a comprendersi, a non avvilirsi, e per giocare con loro. Nell’ultimo anno della scuola secondaria, gli studenti inoltre debbono partecipare ad un programma che prevede l'assistenza ad altri bambini, o giovani, nel loro sforzo per costruire un futuro più roseo. Tutti nella scuola riconoscono questo aspetto come il più positivo di tutto il programma. Una studentessa affermò: “Gli insegnanti di San Luigi Gonzaga si impegnano sia per la qualità che nostra educazione, che per il nostro bene come orfani di genitori morti per AIDS”. Ed uno studente completò con il seguente commento: “Gli insegnanti di San Luigi Gonzaga si sono dedicati a noi e ci sostengono con una grande speranza”. Un insegnante descrisse così il suo ruolo: “Io vado oltre il semplice ruolo di insegnante di scienze: io voglio insegnare come si affronta la vita, e dare forza a questi giovani con una speranza invincibile”. Il Direttore della scuola, Dr. Giambi, concluse: “La nostra missione e speranza è che chi si diploma in questa scuola, impari dall’esempio dei loro benefattori a diventare altruista e condividere con gli altri ciò che ha ricevuto qui”. Ed alla fine tutti gli insegnanti e studenti gridarono a squarcia gola il motto della scuola “YES, WE CAN” (sì lo possiamo raggiungere)”.
Ultima modifica il Sabato, 07 Febbraio 2015 21:39
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