“San Paolo vivo oggi”

Pubblicato in I missionari dicono
{mosimage}Dal dossier Fides dedicato alla chiusura dell'Anno Paolino, abbiamo estrapolato la parte riguardante il pensiero del Beato Giuseppe Allamano sull'Apostolo delle genti.

“Quali virtù principali dobbiamo ammirare in S. Paolo? Tutte. Ma vediamo specialmente quelle che devono formare un apostolo. E queste virtù sono tre: primo, un vivissimo amore a nostro Signore Gesù Cristo; poi uno zelo ardente per la salute delle anime; e quindi una grande umiltà. Se non avesse avuto umiltà avrebbe lavorato invano”.
Beato Giuseppe Allamano (1851-1926)

Uno dei principali motivi per cui l'Allamano ricorse così spesso all'insegnamento di S. Paolo per formare i suoi giovani alla missione fu che in lui trovava tutte le caratteristiche del missionario. Lo affermò espressamente più volte: S. Paolo è “il vero tipo del missionario”; “S. Paolo è il modello dei missionari”. Su questa idea tornò diverse volte con espressioni equivalenti, quali: “S. Paolo è il vero tipo dell'Apostolo”, “il vero tipo della missionaria”, “imitate il modello degli apostoli che è S. Paolo”. Alle suore disse addirittura: “Chi non si sente di imitare S. Paolo non si faccia missionaria; stia nel mondo, avrà minori responsabilità”.


In particolare, l'Allamano ammirò in S. Paolo tre virtù, quelle che usava definire “virtù apostoliche”. A questo riguardo, è molto illuminante la sua conferenza tenuta il 29 giugno 1916, solennità dei Santi Pietro e Paolo, rispettivamente alle due comunità.

Come d'abitudine, egli aveva preparato un unico schema, che poi sviluppò ampiamente parlando separatamente ai missionari e alle missionarie. Il suo discorso fu quasi integralmente su S. Paolo, con parole di scusa per S. Pietro, il quale “non si offenderà se per quest'oggi non parliamo di lui, ma di S. Paolo”.

L'Allamano era convinto che Paolo avesse un'identità totalmente apostolica. Cioè, era il missionario per eccellenza. Per chiarire questa sua convinzione riportava e spiegava, una per una, quelle che lui chiamava le “virtù apostoliche” di Paolo. Virtù apostoliche, che possiamo definire: “virtù missionarie”. In questo modo, praticamente, egli intendeva illustrare l'identità missionaria non solo di Paolo, ma anche dei suoi figli e figlie. Per lui S. Paolo, diceva: “si propone a noi come esemplare di vita apostolica”.

Ecco come si introdusse parlando ai missionari: “Quali virtù principali dobbiamo ammirare in S. Paolo? Eh... tutte. Ma vediamo specialmente quelle che devono formare un apostolo. E queste virtù sono tre: primo, un vivissimo amore a nostro Signore Gesù Cristo; poi uno zelo ardente per la salute delle anime; e quindi una grande umiltà. Se non avesse avuto umiltà avrebbe lavorato invano”.

Merita evidenziare i tre aggettivi usati: “vivissimo” per l'amore; “ardente” per lo zelo; “grande” per l'umiltà. E alle missionarie: “S. Paolo aveva tre virtù principali: 1° l'Amore sviscerato verso nostro Signore; 2° zelo ardente per la salute delle anime; 3° umiltà. Ah, cono solo i due amore e zelo, senza umiltà, non si fa niente”.

Benché in questa trilogia di virtù non ci sia uno stretto ordine di precedenza, sembra indubbio che per l'Allamano la ragione di fondo che spiega l'identità di S. Paolo fosse proprio il suo amore per Gesù. Assegnando alla comunità del seminario S. Paolo come protettore, disse: “Carattere di questo Apostolo fu l'amore sviscerato al Signore Gesù Cristo”. Notiamo anche l'aggettivo “sviscerato”!

C'è un altro particolare interessante da sottolineare. Per l'Allamano un segno inequivocabile che S. Paolo era davvero “innamorato” del Signore è il fatto che nelle sue lettere lo nomina molte volte. La sua riflessione, che aveva forse desunta da S. Teresa d'Avila, era semplice: se S. Paolo aveva così spesso il nome di Gesù sulla bocca, significava che lo aveva molto radicato nel cuore.

Ma ascoltiamo ancora l'Allamano: “L'amore ardente che S. Paolo aveva al Signore! Nelle sue lettere nomina Gesù almeno 300 volte!”. Ciò che è curioso notare è che l'Allamano tornò altre volte sull'abitudine di Paolo di nominare Gesù nelle sue lettere; solo che il numero riportato non era sempre lo stesso. In qualche caso si accontentava di dire: “Ad ogni momento S. Paolo nominava Gesù nelle sue lettere”. Oppure: “Tutti i momenti nelle epistole nominava Nostro Signore. Lo nominava con gusto, si vedeva che per lui era tutto”.

In certi casi indicava numeri differenti, forse inventati nell'entusiasmo del discorso. Per esempio: “Vi è noto l'affetto di S. Paolo per Gesù: nelle sue lettere lo nomina più di 500 volte, tanto ne gode...”. Oppure: “E S. Paolo? (...) Egli, come vi ho detto già altre volte, solo nelle sue lettere nomina Nostro Signore espressamente 243 volte. (...) Perciò anche qui S. Paolo è un grande amante di N. Signore e diceva: 'La carità di Cristo ci spinge'. Per nessun altro motivo egli lavorava tanto, e 'Mi sono fatto tutto a tutti'”. All'Allamano, più che l'esattezza delle volte in cui Paolo nomina Gesù nelle lettere, interessava sottolineare questo semplice dato di carattere piuttosto psicologico, come abbiamo già notato. È indubbio che l'Allamano abbia compreso bene lo stato d'animo di S. Paolo che si è sentito come “afferrato” da Gesù. Lo dicono in modo eloquente queste sue parole: “Lo nominava con gusto!”. Come pure queste altre: “S. paolo era tutto di Gesù; viveva di Gesù. 'Vivo, ma non sono io che vivo, è Cristo che vive in me'”. Questo attaccamento così stretto al Signore l'Allamano voleva infonderlo ai suoi figli e figlie, perché era la base indispensabile per essere veri missionari.

Altre volte il Fondatore si è riferito all’esperienza di Paolo in Arabia quando parlava della necessità di prepararsi bene alla missione. Per esempio, nella conferenza del 29 giugno 1913, dopo avere sottolineato la generosità di Paolo nel rispondere al Signore, così concludeva: “Poi stette due anni in Arabia, perché non si preparò tutto in una volta; e dopo: 'sono debitore a tutti'. L'energia che aveva!”.

È evidente che il Fondatore ammirò la saggezza di Paolo di non iniziare subito ad evangelizzare. Su questo punto si sentiva in piena sintonia con il grande Apostolo. Anzi, sembra quasi che volesse insinuare che è proprio questo lungo tempo di preparazione, trascorso nella meditazione e nella preghiera, che spiega la successiva sapienza dimostrata da Paolo. Prima di parlare di Gesù, Paolo si è impegnato a conoscerlo in profondità. Dalla conoscenza ne è derivata la stima e l’amore.

Uno degli atteggiamenti di S. Paolo che piacevano di più all'Allamano era quello tenuto sulla via di Damasco. Ammirava la sua pronta domanda a Gesù: “Che cosa vuoi che io faccia”. In questa domanda, per l'Allamano, si intravvede la personalità attiva e decisa dell'apostolo e, quindi, quella di ogni missionario.

S. Paolo, dunque, chiede al Signore, che lo aveva disarcionato da cavallo, di indicargli una “missione”. Se quella che stava svolgendo, in tutta buona fede, di perseguitare i cristiani non era giusta, quale altra strada avrebbe dovuto intraprendere? Ma sentiamo l'Allamano, il quale dimostrava di trovarsi a suo agio su questo terreno: “E S. Paolo? Subito rispose alla voce di Dio: Signore, che cosa vuoi ch'io faccia?”. “Ma quando il Signore l'ha prostrato là sulla via di Damasco, e gli disse: 'È duro recalcitrare contro il pungolo', tanta energia aveva contraria, tanta ne ha messa per Nostro Signore. 'Che cosa vuoi che io faccia?'”.

Parole molto vivaci furono quelle rivolte alle suore nella conversazione del 29 giugno 1916: “E da S. paolo? Questo galantuomo non vide mai nostro Signore su questa terra; era un ebreo ostinato quando il Signore lo chiamò. Ma che rispose quando il Signore lo stramazzò a terra colpito dalla sua grazia? 'Che vuoi che io faccia?'. Diciamo anche noi tante volte al giorno: che cosa vuoi che io faccia? Vuoi che sia melanconica? No, no, il Signore vuole che io faccia l'ubbidienza, che sia testarda a fare l'ubbidienza, che io sia disposta a lasciar la vita ma non la volontà di Dio”. Ancora: “Quando fu stramazzato a terra, S. Paolo non disse al Signore: farò questo; ma: Signore che cosa 'vuoi tu' che io faccia?”.

Per incoraggiare le suore a prepararsi bene agli esercizi spirituali nel 1918: “Essere pronti come S. Paolo che appena udita la chiamata del Signore disse: 'Signore, che vuoi ch'io faccia?'”. E due anni dopo, sempre in preparazione agli esercizi spirituali: “'Signore, che volete che io faccia?'. Questa parola ha fatto santo S. Paolo; se la direte di vero cuore vi farete santi anche voi”.

Conclusione: dalle semplici riflessioni che abbiamo proposto, sembra chiaro che l'Allamano era entusiasta di S. Paolo. Questo entusiasmo lo trasmise pure ai suoi missionari e missionarie con parole davvero espressive: il “carattere di questo Apostolo fu l'amore sviscerato per Nostro Signore, per cui ogni cosa riteneva come fango pur di essere di Gesù Cristo e di salvargli delle anime”. (padre Francesco Pavese, IMC)
Ultima modifica il Sabato, 07 Febbraio 2015 21:38

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