Don Tonino Bello: nero su bianco

Pubblicato in I missionari dicono
{mosimage}Introduzione:

Ho già compiuto 40 anni, non vorrei che i miei ricordi su don Tonino Bello si sbiadissero, o svanissero (addirittura) dalla mia memoria, per cui ho deciso di mettere nero su bianco. Si presentano in me come “faville della sua testimonianza”, faville quelle che posso cogliere io, so che lui è stato un fuoco di testimonianza. Senza dubbio una testimonianza profetica. Alla parola profeta (biblicamente parlando) aggiungerei “fuoco”: o . Quindi ciò che desidero comunicare è la sua testimonianza come missionario, in quanto dalla mia povera esperienza di evangelizzatore posso confermare che lui è stato un vero missionario (per di più libero da tante strutture che noi (pur in un campo diverso, e tradizionalmente pensando, con più sfide missionarie!) dobbiamo accettare quasi passivamente, ma che limitano notevolmente la nostra azione). Scrivo questa testimonianza, soprattutto perché a mia insaputa, mi ha contagiato proprio nella dimensione dell’evangelizzazione.

Quanto scrivo è frutto della mia esperienza con lui (sia pure nei suoi limiti), generalmente non ho tenuto conto dei suoi scritti, anche se alcuni li conosco, né di ciò che hanno già scritto su di lui, se mi ripeto con altri significa che la sua testimonianza è proprio incisiva.


Mons. Antonio Bello : “Un Gigante della Nuova Evangelizzazione” (1935-1993)
Una vita donata secondo il Vangelo
Indimenticabile tra coloro che lo hanno conosciuto, continua la sua missione attraverso quella di tanti suoi alunni, del laicato e del clero, familiari e amici
E’ una presenza viva : mi ha saputo insegnare tanto, e la sua testimonianza è ancora attuale
Ricordi come se fossero stati scritti in un diario.

Modello per tutti noi

Don Tonino lo si poteva incontrare soprattutto nelle ore pomeridiane con i suoi seminaristi passeggiando per le strade di Ugento (Le), a giocare nell’oratorio, o alla stazione, o nell’agro salentino: luoghi pregni di simboli storici della nostra cultura e della nostra fede.

Chi non se lo ricorda con la sua fisarmonica accompagnava e incoraggiava la gente a cantare i cari stornelli popolari.

Certe faville della sua esperienza sembrano spezzoni di film tipo “The Mession” sin dall’introduzione quando appare un gesuita che suona il flauto per accattivarsi l’amicizia degli indigeni del Paraguay e in seguito la preoccupazione, di fronte alla corona, da parte dei missionari per far accogliere e rispettare gli indigeni come veramente sono : persone umane , riconoscendo in loro la dignità dei figli di Dio; o il film “State Buoni Se Potete” con Johnny Dorelli in cui S. Filippo Neri cerca di trasmettere ai giovani abbandonati i valori fondamentali della vita. O “La Partenza” di Paolo Damosso, dove il P. Fondatore Giuseppe Allamano è padre e formatore di missionari, vivendo la missione in pienezza nella sua archidiocesi: non parte per una missione geograficamente lontana, ma è lui che prepara e invia...

Don Tonino, così l’abbiamo sempre affettuosamente chiamato, è stato uno strumento nelle mani di Dio per cantare e “portare ai popoli l’annuncio della salvezza”, come dice il testo di un canto a lui molto caro. Direi che è un esempio tipico di coloro che riconoscono, sviluppano e mettono a servizio degli altri i propri talenti. E’ stato certamente un uomo di Dio che continua a essere per molti di noi maestro, modello e padre.

Per questo desidero condividere con gli egregi lettori alcune caratteristiche missionarie (anche se sono convinto che lui ce l’ha tutte, almeno quelle che la chiesa ci insegna, frutto di esperienze millenarie) che ho potuto percepire nei momenti trascorsi con lui, tali momenti sono stati prima di tutto un aiuto nel mio discernimento vocazionale, e attualmente m’incoraggiano nella vita apostolica. Sono sicuro che la vita e l’esempio di questo apostolo della Chiesa continua a incoraggiare vocazioni al servizio dell’uomo, in nome di Gesù. Lo ricordo come pastore della Chiesa locale e universale, nel decimo anniversario del suo dies natalis, avvenuto il <20>. Per di più quest’anniversario coincide provvidenzialmente con la Solennità della Pasqua del Signore, e don Tonino ha preso parte della mensa dell’Eucarestia e della Parola Viva, così pure è stato unito alla morte e resurrezione del Signore Gesù.

Un uomo in cammino

Se è vero che la chiesa è evangelizzata ed evangelizzatrice, come lo ribadiscono i documenti pontifici del XX secolo, specialmente dal Concilio Vaticano II a oggi ; è anche vero che ogni cristiano è parte attiva di questa dialettica in un processo, personale e comunitario, di conversione.

Chi ha conosciuto don Tonino sa bene di aver trovato un apostolo fervente a incoraggiare il cammino della comunità, fermo nelle decisioni, ma anche sensibile discepolo aperto all’ascolto ed eventualmente a rimettere tutto in discussione.

La sua vita è stata una crescita nella dimensione umana e cristiana, nella chiesa locale e universale: dagli insegnamenti di sua madre Maria, a casa e nell’azione cattolica ragazzi (di cui la mamma era l’animatrice) della sua parrocchia natale di Alessano. Frequenta gli studi teologici a Bologna, dove tra i sui maestri c’era il card. Lercaro; è col suo vescovo di Ugento Santa Maria di Leuca, Mons. Giuseppe Ruotolo all’inizio del Concilio Vaticano II, a Roma; per quasi un ventennio è formatore, educatore, padre spirituale, professore, allenatore e amico di quanti entrano nel seminario vescovile di Ugento per discernere la loro vocazione.

Come sacerdote è stato pastore, maestro e animatore in parrocchia, particolarmente a Tricase, Parrocchia della “Natività di Maria Vergine” e nella diocesi di Ugento S.M. di L. è stato promotore di tutte le iniziative per la partecipazione dei laici, ricordiamo la settimana teologica diocesana, che si continua a celebrare annualmente, e la fondazione della scuola di Teologia per laici. Terziario francescano, come il santo d’Assisi, ha cercato anche lui di essere l’uomo della lieta notizia, è stato veramente l’uomo delle beatitudini.

Tra gli organismi diocesani (sempre a Ugento) fondati grazie al suo incoraggiamento ci tengo a menzionare il Comitato di Evangelizzazione e Promozione Umana.

Ordinato Vescovo il 30 ottobre 1982 è divenuto pastore di comunione in ben quattro diocesi : Molfetta, Ruvo, Giovinazzo e Terlizzi e ha spiegato le sue ali missionarie di amore ai poveri e passione per la pace in tutto il mondo.

Qualcuno pensando alla sua vita l’ha voluta dividere in due parti, come “un primo e un secondo”, “Il giovane e l’adulto”, “Il teorico in seminario e il pragmatico in parrocchia”, “il prete locale rinchiuso nel suo seminario e poi il vescovo dei poveri” e così via. Io invece, seguo la maggioranza credo e sono convinto che è stato tutto un cammino, un allenarsi alla scuola di Gesù, un dialogo con l’Altissimo che è venuto a camminare con noi, e se a volte sono state accentuate le teorie a causa di tanti documenti scritti, in realtà c’è stato bisogno di un po’ di tempo per assimilarle (come il tempo di Nazareth per Gesù), ma poi sono diventate scelte di vita.

So di altri suoi alunni che hanno colto da lui aspetti come lo sport, la musica, la cultura classica, il servizio nella carità e altro, mentre ci tengo a presentarlo come educatore ed evangelizzatore, non dimenticando tutte le altre sue caratteristiche, in quanto la missione ha bisogno delle più svariate potenzialità della persona e della comunità.

Da Nazareth al Tempio

Ha parlato sempre della Madonna e di sua madre (per di più le due hanno lo stesso nome) : ci ha portato spesso a pregare Gesù all’ombra di Maria, da seminarista durante le mie scuole medie (1973-1976, l’ho conosciuto in quegli anni) quasi tutti i giorni si pregava il rosario insieme, a volte anche completo e di solito passeggiando. Invece ci parlava di rado di suo padre Tommaso, (maresciallo dei carabinieri) forse per evitare momenti di commozione, lo aveva perso in tenera età (a circa sei anni), non lo ricordava, ma non viveva quest’assenza come un vuoto, certamente lui stesso è stato un padre, oltre che fratello maggiore, per i suoi due fratelli più giovani e per noi seminaristi. Per di più i due figli del papà, vedovo e risposato, e suoi fratellastri, sono morti in guerra : credo che la passione per la pace ha gli albori nella sua fanciullezza come reazione alla guerra che sempre schiera in trincea gli innocenti senza considerare di quali affetti vengono private le loro famiglie.

E come si scaldava (per un momento...) il 4 novembre alla vista di quelle medaglie durante la celebrazione presso il monumento dei caduti! Per lui avevano un significato le medaglie e i trofei vinti dai suoi seminaristi nelle competizioni sportive o per la costruzione del miglior presepio della provincia, ma quelle medaglie date al valor militare non poteva sopportarle, pensando a quante mogli sono stati strappati i mariti e a quanti genitori i loro figli.

Non credo che per don Tonino ci sia stata una dicotomia fra la realtà “casa” con tutto il suo significato e quella di “Chiesa”. La “Chiesa del Grembiule”, tanto rinomata sin dai primi anni di episcopato, ha sicuramente origine nella sua casa di Alessano, come la “Stola” in chiesa a cominciare dalla sua parrocchia natale.

Mi ricordo che una volta, in seminario, ci ha accennato al significato della stola (secondo la sua interpretazione e l’esperienza di quel momento, ) e mi ha colpito molto quando ha invitato noi seminaristi a prepararci a indossarla come segno della nostra partecipazione alla missione del Buon Pastore che è venuto a cercare la pecorella smarrita (i lontani) e accompagnarla all’ovile, e in certi casi a caricarsela con dolcezza sulle spalle , ecco la stola sulle spalle del prete. (L’atto di “caricarsela” in questo caso è un atto d’amore tipico cristiano, di collaborazione. Lungi dal pensare a costringere l’altro (simboleggiato dalla pecorella) a fare la volontà del pastore, la scelta di seguire Gesù è libera e liberatrice allo stesso tempo) Queste sue immagini mi aiutano a pensare al servizio cristiano caratterizzato dall’umiltà (grembiule), che è anche dinamismo di carità (amore).

La stola, poi, mi ricorda che il potere e l’autorità del pastore cristiano è proprio il servizio che scaturisce da quel “Pane spezzato per tutti” che tanto piaceva celebrare e cantare durante la liturgia in comunità: da questa realtà eucaristica ne deriva tutto il significato teologico di ministro e ministero. Inoltre c’è bisogno di andare oltre il perimetro della proprie amicizie, delle proprie certezze e anche della chiesa per incontrare quella pecorella o pecorelle, così pure c’è bisogno di tanta saggezza e tenerezza per mettersi in cammino con lei, ed eventualmente anche di tanto “amore vigoroso” per caricarsela sulle spalle: forse per questo ci teneva a ribadirci che Santi come Luigi Gonzaga sono grandi perché hanno pregato molto (e così vengono rappresentati), ma anche perché ha avuto il coraggio di caricarsi alcuni ammalati per portarli all’ospedale... Contemplazione e azione sono state caratteristiche dell’esperienza di vita di don Tonino che lo annoverano tra i santi missionari del nostro tempo, che pur non scritti nel registro dei canonizzati del Vaticano, li ricordiamo insieme ad altri il primo novembre nella “Solennità di tutti i Santi”.

Credo che non basta leggere i suoi scritti per conoscerlo, ha pubblicato soprattutto negli anni di episcopato, ma c’è un enorme retroterra edito solo nel cuore di tanta gente che l’ha incontrato e ha celebrato l’Eucarestia con lui. Dovrebbe essere il popolo a scrivere di lui per essere conosciuto con autenticità.

Veramente l’avremmo dovuto seguire col registratore (e in parte è stato fatto) per documentare tutto quello che diceva, forse neanche quello sarebbe bastato, perché certamente è stato un profeta del nostro tempo certamente più eloquente degli odierni mezzi di comunicazione.

Credo che ha vissuto gli anni della sua giovinezza pregni di tanto studio, per essere sempre stato il primo della classe; pieno di vita e coraggio per essere sempre un grande atleta e campione da non scoraggiarsi mai e pronto a sfidare i più giovani e forti, per dare sempre coraggio e speranza focalizzando il positivo di ognuno.

E chissà come sarà stato bello il rapporto col Padre Celeste, visto che ha saputo sempre essere propositivo nel travaglio nostalgico di ritrovare quel volto umano paterno.

Nazareth, tempo del silenzio di Gesù, tempo di lunga preparazione, di rapporti profondi col Cielo e con la propria cultura, tempo di apertura dalla comunità locale all’universale, un’incarnazione vissuta nel quotidiano insomma. L’esperienza di Gesù, il Verbo incarnato grazie al “si” di Maria, che ha preso parte anche nella storia di uno specifico gruppo umano di questa terra: è l’esperienza dei grandi missionari che danno e soprattutto ricevono dal popolo di Dio in cammino per il mondo, nel meraviglioso interscambio culturale, sociale e religioso.

Così don Tonino sin dalla sua giovinezza ha assunto i valori della cultura salentina per poi ritrasmetterli in un modo elevato e cristiano: basta pensare al valore dell’accoglienza e della condivisione costantemente presenti nella sua vita.

Dal Tempio alla Galilea delle genti

Se dovessi identificare don Tonino con personaggi biblici sceglierei Isaia per l’Antico Testamento e Luca per il Nuovo.

Isaia : il profeta della Consolazione e persino denominato da alcuni come della speranza per il popolo di Dio in cammino, identità di popolo purificata dall’esperienza dell’esilio e ristabilita dopo di esso.

Luca : l’evangelista che ci mette in cammino con Gesù, tessitura d’incontri che ricreano il volto umano in Lui che ci rigenera definitivamente dalla Croce.

Isaia e Luca tra i temi che hanno in comune mi piace ricordarne alcuni come :

la lieta notizia ai poveri
la passione per la pace
l’universalità del messaggio
l’unto del Signore

Riprenderò poi questi aspetti, appena accennati, nell’esperienza di don Tonino che è stata un crescere di tali dimensioni, così importanti nella nostra sequela di Cristo.

L’unzione sacerdotale ed episcopale non ha portato don Tonino a segregarsi dalla gente, in sacrestia o dietro la balaustra. Anzi quella sacrestia è stata utilizzata come aula per incontri socio-pastorali e lezioni di materie classiche e scientifiche. Tant’è vero che in quella di Tricase aveva messo un grande tavolo, quasi come una tavola rotonda dove c’era posto per tutti coloro che volevano partecipare. Poi quel tavolo è stato rimosso dopo il suo trasferimento a Molfetta, si è detto che il tavolo non era in sintonia con gli altri mobili antichi della sala, ma il peggio è che c’è poco da discutere.

Non ne parliamo della balaustra che l’avrebbe ridata al suo scultore per esporla in un qualsiasi museo di questo mondo pur di non vederla in quella chiesa. Così in alcune celebrazioni importanti dell’anno liturgico ha portato l’altare al centro della chiesa, al di là della balaustra (cioè) e nel presbiterio (dove di solito c’è l’altare) ha accolto giovani e bambini. Collocando l’altare al centro, in mezzo alla gente, ci ha indicato che la liturgia esprime e rafforza il nostro impegno di vita con Gesù e col suo ministero di comunione e di missione, Gesù il salvatore che è stato in mezzo alla gente, l’ha toccata e l’ha sanata...

Come Gesù chiamava per nome e ridava la vera identità a ciascuno, un volto a immagine e somiglianza del Creatore, don Tonino dall’altare chiamava per nome e creava un rapporto nuovo, quasi famigliare, tra i presenti in chiesa, tutta la gente si sentiva attiva e partecipante. Ne ricordo una delle tante, a Tricase, ad esempio : per spiegare che Gesù è la pietra angolare ha chiamato e fatto parlare un muratore che essendo del mestiere ha saputo dire il fatto suo, mentre per la parte teologica l’esperto edile è stato ben contento a riconsegnare il microfono al predicatore principale: sicuramente la gente da quel giorno si è sentita pietra viva di questo tempio del Signore in costruzione nel mondo.

La simbologia e il messaggio del tempio lo spronava a una vita più consona con il Vangelo, al di là dello stesso culto. A riguardo il primo radicale esempio (che ricordo) è stato quando in Seminario a Ugento (1976) ha ospitato una famiglia sfrattata e ci ha comunicato la notizia come insegnamento per la nostra vita. Ma anche l’uso della macchina, la “multipla” a Ugento e la “Fiat 500” a Tricase sono segni di alleanza con la potenza di Gesù (che è il servizio), piuttosto che con quella del mondo.

Ho partecipato a un solo ritiro spirituale guidato da lui, avevo tredici anni e l’unico ricordo che ho, e forse era proprio il tema, ci parlò de “la sfida di andare controcorrente” con l’immagine del fiume, di cui non avevo ancora fatto esperienza.

Le sue immagini espressive di quel fiume, di quella corrente d’acqua fredda, ma anche di quella forza del nuotatore coniugata con l’istinto della sopravvivenza e la saggezza per non farsi ingoiare dalle acque turbinose, l’ho vissute sulla mia pelle una decina di anni dopo in Colombia e mi son ricordato di lui. Così pure fino a oggi quei suoi insegnamenti restano una sfida per la mia vita e per la missione stessa. Veramente quando mi ricordo di don Tonino penso che devo essere più radicale per realizzarmi come missionario oggi.

Credo che lui abbia sempre desiderato essere missionario in terre geograficamente lontane dalla sua, lo ricordo, specialmente una volta a Ugento, faceva domande proprio come uno di noi a P. Giacomo Bardelli (SMA), venuto come visitatore (delle PUM) che ci parlò della sua esperienza in Costa D’Avorio.

La gioia e le lacrime durante la proiezione del film “Molokai”

L’entusiasmo al conferimento del mandato missionario a P. Vincenzo Mura, suo alunno, poi missionario della Consolata; in quell’occasione, dopo la celebrazione presieduta dal vescovo di Ugento, Mons. Michele Mincuzzi, ci parlò,( a noi allora del seminario minore), del distacco dai propri cari, forse era uno dei motivi che gli ostacolava di lasciare la terra natia. Ma molti dei suoi alunni, se non tutti, in un modo o nell’altro abbiamo seguito il Cristo Missionario, dalla sinagoga di Nazareth al mare di Galilea, a Gerusalemme e dalla Galilea al mondo.

Riconosceva con gioia di essere il maestro di lettere classiche e matematica, era evidente che era un teologo di fatto (non solo per la cultura, per le pergamene ricevute e la conoscenza di cui era pregno, ma soprattutto per la sua esperienza di vita con Gesù).

Poi nel versante agonistico della sua personalità era un campione di pallavolo, di calcio e di nuoto, amava il ciclismo ecc., e perché no... anche maestro di vita, visto ché aveva anche tanto desiderio di andare in profondità, cioè all’essenziale, alla motivazione ultima e fondamentale, all’ arké per dirla con i greci.

Ero nel Seminario Liceale di Taranto (credo 1979) quando mia sorella mi comunicò che alcuni giovani missionari erano venuti in parrocchia e un fermento nuovo di speranza cresceva nella comunità, specialmente tra i giovani che ne erano entusiasmati. L’anno dopo si costituiva l’“Associazione Giovanile Tricase” (AGT) (associazione di carattere socio-religioso) con una quarantina di giovani miei coetanei (18-19 anni). Ho saputo solo più tardi che quei giovani missionari erano i novizi dei Missionari della Consolata. Anche se l’ AGT è svanita come organismo (don Tonino, infatti, sentiva l’esigenza di un sacerdote e qualche laico a tempo pieno per i giovani, e sapeva che di preti tipo don Bosco non è facile trovarne ovunque) comunque tanti dei sui soci continuano a portare nella società i valori di vita assunti quegli anni. Inoltre già durante il terremoto in Irpinia (1980) quei giovani dell’AGT sono stati presenza di speranza e di solidarietà, e un punto di riferimento per rispondere alla situazione concreta del momento.

Anche a livello diocesano si è creato un gemellaggio con Bisaccia (AV) sotto la direzione di don Rocco Maglie, direttore diocesano delle Pontificie Opere Missionarie ( anche lui ex alunno di don Tonino) e con l’aiuto di P. Pietro Parcelli, Missionario della Consolata.

E’ stato a Bisaccia che ho maturato la scelta di entrare nell’ Istituto Missioni Consolata(IMC).

Così dopo aver condiviso la mia nuova scelta in famiglia, i miei genitori hanno invitato a pranzo don Tonino, non solo come espressione di amicizia, ma principalmente con lo scopo di convincermi a rimanere in diocesi. Quella volta don Tonino fallì (almeno apparentemente), perché le sue parole non mi convinsero, ma ho sempre creduto che quella scelta era nel suo cuore. Poi, vistomi agitato, e piuttosto scaldato con i miei, mi confidò l’apprezzamento che aveva per i miei genitori che stavano giocando tutta la vita per il successo dei figli, chiedendo di non dimenticarmi mai di loro.

Chiaramente la scelta è venuta come conseguenza di tanti avvenimenti e incontri con persone che mi hanno entusiasmato per il servizio missionario (...)

Comunque anche se poi sono entrato nell’IMC chi ha continuato a seguire Cristo Missionario in un modo radicale è stato lui.

La missione l’ha vissuta non solo perché è andato in Australia, Argentina, Venezuela, U.S.A. per visitare i suoi condiocesani molfettesi emigrati in quelle terre, o in Etiopia per un ritiro ai missionari, o a San Salvador (nel luogo del martirio del vescovo Romero), e resta missionario non solo perché ha scritto e predicato ai quattro venti messaggi di pace per il golfo e ha invitato tutti alla nonviolenza specialmente sin dal momento che è stato nominato presidente del movimento “Pax Christi”, succedendogli all’amico Mons. Luigi Bettazzi, e non è missionario per il solo fatto che ha organizzato la marcia per la pace a Sarajevo, durante i suoi ultimi giorni in questo mondo, con la malattia che l’aveva già consumato. Ma don Tonino resta un grande missionario soprattutto perché quotidianamente ha avuto il coraggio di andare contro corrente con grande fede incoraggiando la gente a “mettere casa” con Gesù, mentre lui prestava il suo tetto.

Don Tonino è stato uno strumento perché tanti potessero incontrare Gesù:

il messaggio evangelico e la missione nascono appunto dalla comunione, dall’incontro con Gesù, nella celebrazione Eucaristica, nella preghiera e nell’incontro con gli altri.

Ha avuto il coraggio di rischiare per la sua grande fede, ospitando nel seminario estivo di Tricase Porto prima e poi nel palazzo episcopale a Molfetta(Ba), non più una, ma tante famiglie di rifugiati albanesi e profughi di altre provenienze e svariate religioni, per non parlare delle sue visite notturne e diurne, alle stazioni ferroviarie, al porto molfettese, nei vicoli ciechi della città vecchia, ai diversi centri di accoglienza dei marginati della nostra società, case di sollievo, ospedali, domicili, scuole, e poi nei luoghi più svariati dove si trova gente di tutte le fasce sociali senza discriminazione, ecc. E come ha saputo parlare al cuore di tante coppie in difficoltà e di sacerdoti in crisi!

Il motto del suo episcopato : “Ascoltino gli umili e si rallegrino” (Salmo 33,3), non è un motto sterile ma esprime il suo programma missionario e la sua vita che pur nei sui limiti umani è stata modellata su Gesù, l’unto del Padre per la salvezza dell’umanità.
la lieta notizia ai poveri

Una sera settembrina del 1984 sono andato a trovarlo a Molfetta, ero in partenza per la Colombia, dove avrei studiato Teologia. Dalla stazione al palazzo vescovile mi sono imbattuto più volte con cartelloni e testate di giornale che descrivevano alcuni aspetti della situazione locale: sfrattati, lavoro nero, clandestini e simili, e spontaneamente mi venivano alla mente alcune scene di don Tonino in seminario a Ugento e nella mia parrocchia natale di Tricase: le sue visite agli ammalati, i suoi incontri con i più poveri, l’accoglienza agli emarginati, e persino i presepi, sempre ideati da lui, che erano così creativi e fantasiosi, ma allo stesso tempo incarnati nella società attuale con gli angeli che proclamano l’inizio della liberazione e un canto di speranza per gli uomini d’oggi. Così quella sera alla stazione di Molfetta, consideravo la sua capacità di saper andare al di là e osare di più, e la sua novità di relazioni che ridavano dignità ai senza nomi di questa società.

Ancora alle edicole sbirciando alcuni sottotitoli di quotidiani e periodici potevo notare anche il suo nome. In soli due anni era diventato così popolare che tutti gli angoli davano segno di una sua presenza.

Arrivato a destinazione il Vescovo era ad animare un incontro con una bella rappresentanza di convenuti: Con l’entusiasmo di sempre raccoglieva consigli e dava suggerimenti per incrementare una pastorale d’insieme. Circa un anno dopo in Colombia leggendo un numero del bollettino (“Siamo la Chiesa”) di una parrocchia (“Sant’Antonio da Padova”)del mio paese natale ho saputo che proprio alla fine del 1984 don Tonino aveva pubblicato il suo progetto pastorale: “Insieme, alla sequela di Cristo, sul passo degli ultimi”, che si completa col suo motto episcopale “Ascoltino gli umili e si rallegrino”. Questo mi porta a pensare all’importanza della comunione e partecipazione (prima di attuare) degli agenti di pastorale e dall’altra il messaggio evangelico testimoniato da chi fa comunione con Cristo. Poi sia il titolo del progetto pastorale e sia il motto hanno come scelta fondamentale i più poveri. E così emotivamente mi piace ricordare il motto di noi missionari della Consolata consegnatoci dal Fondatore, Beato Giuseppe Allamano “Annunceranno la mia Gloria alle Nazioni”(Is.66,19), sicuro che don Tonino ha fatto tutto per la Gloria di Dio e la sua vita così pregna di Vangelo e donata in un modo unico ha portato l’annuncio di Gesù Salvatore ovunque nel mondo. Nondimeno tutti siamo ascoltatori della Parola che ci sprona a seguire Gesù in scelte più radicali di cui don Tonino ci è di esempio.

Tornando a quella serata, rimasti da soli mi ha offerto una frisa, (pane tipico della gente del Salento), con pomodoro, olio e sale, che mi ha fatto ricordare le colazioni al seminario estivo di Tricase Porto quando lui era ancora nostro educatore, e soprattutto mi ha chiamato alla memoria le nostre famiglie e tutto il popolo salentino, le sue tradizioni, la sua fede... quella frisa mi ha messo in comunione con lui e con il popolo insomma.

Poi abbiamo parlato a lungo sui suoi progetti, sia a casa che passeggiando sul porto di Molfetta. Mi ha condiviso l’idea di prendersi un appartamento e lasciare il palazzo episcopale come dimora per i più poveri e centro culturale e teologico per la base a servizio della nuova evangelizzazione.

E’ stata la più lunga chiacchierata ininterrotta con lui della mia vita (siamo arrivati alle “ore piccole”) e sembrava che non sentisse la stanchezza della lunga e pesante giornata.

Mi ha dato molto coraggio quando mi ha donato il libro “Sotto la Croce del Sud”, frutto della sua visita pastorale agli emigrati in Australia, e come suo solito mi ha scritto una dedica che suona così : “al carissimo Rocco, che il Signore chiama a vivere sotto la Sua croce, perché in ogni angolo della terra sappia annunciare che Lui è risorto” (data: 12/9/1984). Quella sera la ricordo come la celebrazione del mio primo mandato missionario, in un’atmosfera evangelica, presso le barche ormeggiate nel porto di Molfetta. In seguito, in diverse circostanze della mia vita ho desiderato averlo vicino, soprattutto quando capita la crisi, quasi per rinnovare con più radicalità la mia disponibilità ad andare controcorrente. Ricordo che l’ho scritto chiedendo di essere ordinato prete da lui, ma i piani umani impastati con quelli del Signore non mi hanno data la gioia sperata. Ma nel 1993, alla fine di luglio, ormai dopo la sua dipartita, arrivato in Sud Africa ho potuto riassaporare quella gioia al porto di Molfetta, vedendo anch’io la costellazione della Croce del Sud che mi ricordava lui e m’incoraggiava a non aver paura a saper osare nel mio nuovo mandato, secondo il suo esempio.

La passione per la pace

La Chiesa ha predicato sempre la pace, ma durante la sua storia è stata anche artefice, direttamente o indirettamente, di qualche escursione militare. Certamente dalla nascita di Gesù, cullata dalla pace augusta, a oggi sono stati tanti i figli del popolo e i poveri in spirito a continuare a tessere nella storia la pace evangelica (che va al di là della sola assenza di guerra), certamente don Tonino è stato uno di questi poveri in spirito.

Sin dagli anni trascorsi a Ugento, don Tonino ci teneva a richiamarci la centralità della Pasqua nell’anno liturgico. Così da aiutarci a comprendere che la “Pace” è una persona ed è precisamente Gesù risorto, e lo ricordava quando si presenta agli apostoli e li saluta con .

A Natale sono gli angeli a cantare, quasi a dire c’è pace sulla terra se ci sono persone che danno Gloria a Dio con le loro opere, cioè fanno presente Gesù principe della pace. Il missionario è colui che collabora a costruire il Regno di Dio sulla terra. Il termine Regno è usato soprattutto dai Sinottici, mentre Giovanni sottolinea di più la parola “Gloria”. Così da farmi pensare che chi dà Gloria a Dio con la sua vita è uno degli operai del Regno. Poi il Regno praticamente è Gesù stesso, nostra Pace. E si torna così al punto, Gesù è sempre il centro il punto di riferimento del cristiano.

A don Tonino piaceva ricordare i missionari con quel versetto “Beati i piedi del messaggero che annuncia la pace”, cioè che annuncia Gesù, la sua Pasqua, il suo progetto, il suo amore, che si esprime in azione nella caritas quotidiana.

Un’altra immagine a lui cara è la fontana del villaggio, che non è altro che Gesù fontana antica intorno a cui si costruisce la città nuova, la nuova Gerusalemme (=città della pace). Le nostre nonne sanno che significa avere una sola fontana in paese e fare la coda per attingere quell’acqua fresca. Così pure tanti abitanti del Sud del mondo che non hanno accesso all’acqua potabile e a altri servizi di base, e secondo quello che hanno detto i capi di stato al Vertice di Johannesburg lo scorso anno questi popoli devono aspettare l’anno 2015, per ottenere quello che di diritto avrebbero già dovuto ricevere. Chiaro che viene da pensare, che i diritti umani in questo mondo sono secondari e i governanti devono utilizzare le fontane di quattrini per altri scopi soprattutto quelli bellici. Certamente molti politici di questo mondo non fanno scelte politiche per la costruzione della “città umana”, ma per la tanto antica e tanto attuale torre di Babele, che serve l’umanità parzialmente e crea intrighi di fazioni.

Con questa mia riflessione voglio dire che don Tonino non ha pubblicizzato la politica di questo mondo, ma quella di Dio. Quando diciamo di voler costruire un mondo migliore, stiamo collaborando a fare della città eterna una realtà già presente in questo mondo, questo è messaggio evangelico ed è profezia cristiana, come è anche non violenza.

Don Tonino sapeva che abbiamo bisogno di essere educati alla non violenza e abbiamo bisogno di essere informati per sapere che nel mondo ci si sta dando da fare per intessere una nuova società. Sapeva benissimo dagli insegnamenti di Gesù che ogni sorta di peccato, e quindi anche la guerra, ha origine nel cuore dell’uomo. Ed è dal cuore dell’uomo che il Signore vuole operare per sradicare il male in radice. C’è bisogno di educare a partire dai più piccoli, per cominciare a eliminare la violenze nelle case, nelle scuole, nel posto di lavoro ecc. Don Tonino ha incoraggiato la stampa missionaria e tutti gli altri areopaghi non violenti che ha conosciuto, o creato, per continuare il loro lavoro informativo e formativo dalla base.

Certamente sarà contento in Paradiso sapere che le Suore hanno deciso di fare voto di nonviolenza, così da far diventare il suo messaggio un impegno di vita personale e comunitario, ed è proprio un voto evangelico.

Poi don Tonino è stata la nostra voce, visto che alcuni costruttori di pace preferiscono lavorare in silenzio, giustamente pensando che la voce della testimonianza è più eloquente. Ma don Tonino ha saputo coniugare Parola e Testimonianza in modo unico tanto che molti ci sentiamo ancora toccati in profondità.

Parlando con Mons. Martino lo scorso anno al Summit di Johannesburg, (*S. E. Arcivescovo Mons. Renato R. Martino, Nunzio Apostolico, Osservatore Permanente della Santa Sede, presso le Nazioni Unite) cercavo di dirgli che tutti i progetti di base per lo sviluppo che si fa vedere che arrivino da chi sa dove, praticamente di sicuro la maggior parte sono originati dalla carità cristiana e dall’amore per l’umanità, e Gesù è stato il più appassionato delle creature umane. E il nunzio mi ha dato conferma pensando ai missionari e a tanta gente (cristiani e cristiani anonimi) che praticamente se presi insieme formano un esercito o sono ruscelli verso un grande fiume che fertilizza la terra con la Pace di Cristo.

Tutto quello che don Tonino ha fatto per la pace ha come centro Cristo ed è stato incoraggiato dall’insegnamento del Concilio Vaticano II. Poi essendo stato sempre il primo della classe è stato anche tra i primi a tradurre in vita tali direttive conciliari.
l’universalità del messaggio

Quante parole si sprecano oggi nel mondo, da quanti pulpiti echeggiano messaggi, ma quanti annunci sono veramente autorevoli? La parola di don Tonino era sostanziosa pregna di cultura umanistica, di saggezza popolare e soprattutto imbevuta dello stesso Cristo, Sapienza del Padre. Ricordo che fino a tarda adolescenza non sono riuscito a seguire le prediche della maggior parte dei preti con cui venivo a contatto, Coloro che veramente ho capito li posso contare sulle dita di una sola mano e senza dubbio don Tonino è stato il più semplice, ricco dei più svariati esempi, e semplificava i concetti difficili tanto da renderli come pane spezzato e acqua fresca per il nutrimento quotidiano. Tutti comprendevano la sua parola, i dotti l’apprezzavano perché riconoscevano l’origine del suo spessore culturale, gli illetterati s’affezionavano a lui perché le veniva offerto un messaggio originale evangelico, di liberazione, che li incoraggiava a essere protagonisti della loro storia, il Vangelo inculturato nell’oggi della storia umana.

Solo in Colombia, studiando la “Teologia della Liberazione”, mi sono accorto di essere già stato introdotto a quel tipo di riflessione, che è anche metodologia missionaria, da don Tonino : Lui conosceva sicuramente i documenti di Puebla e Medellin e altri documenti del mondo missionario.

Nella sala dove studiavamo a Ugento sulla sua scrivania c’era sempre la Bibbia e vari commentari, lui era sempre a leggere soprattutto la “Civiltà Cattolica”, credo che questa rivista era al secondo posto dopo la Bibbia, e poi altri mass- media per informarsi sugli avvenimenti socio-religiosi, politici e sportivi.

Ci teneva a mantenersi in allenamento fisicamente, intellettualmente, spiritualmente ecc., direi un allenamento ontologico, sapeva di essere un uomo dotato dal buon Dio, non si vantava, ma si curava per poter curare meglio il suo prossimo.

Direi che aveva una passione anche per l’estetica fisica, morale, caritativa (=Agapé=Amore), spirituale, sacramentale... componenti dell’immagine di Dio in noi.

Ricordo in parrocchia, è venuta a trovarlo una ragazza, dopo la conversazione, m’invitò a pregare per lei perché le avevano diagnosticato la leucemia, e poi soggiunse “è una dolcissima ragazza ed è bellissima!”

Lui sapeva cogliere il buono e il bello di ognuno, e soprattutto si entusiasmava quando poteva elogiare chi, pur nei suoi limiti umani, faceva trasparire, come in un sorriso, un cuore pregno della stessa sollecitudine di Gesù.

Ci teneva a educarci come persone capaci di comunicare correttamente (anche questo è parte dell’ “estetica”) insegnandoci i buoni comportamenti scritti nel “Galateo”, e soprattutto introducendoci a interpretare correttamente la parola di Dio e attenti ai segni dei tempi.

Voleva che ci esprimessimo con frasi brevi e semplici pensando come a una serie di immagini da trasmettere simile a un film, o un album di fotografie.

Ci ha proposto la sua esperienza simboleggiata dalla Bibbia e dal giornale, che per molti di noi resta preziosa e avventurosa, tanto da tenerci sempre in ricerca.

In seminario, a volte, ci insegnava a leggere il giornale, differenziando le notizie proposte dai titoli, i messaggi dei sottotitoli e i contenuti dell’articolo di fondo.

Ci teneva a spiegarci la Parola di Dio, fino a sbriciolarla per renderla masticabile specialmente ai più piccoli, diceva infatti che bisognava prepararci a saper parlare ai più giovani, perché se il messaggio arriva ai piccoli è comprensibile anche agli adulti.

E andava in escandescenza (solo per un attimo, fortunatamente!) quando ci vedeva impreparati a esprimere concetti che dovrebbero essere di ordinaria amministrazione nei nostri studi. Ogni anno sceglieva un personaggio biblico e, al riguardo, si leggeva insieme un libro per adolescenti, edito dalle Paoline, ricordo alcune letture su Paolo Apostolo e Marco Evangelista, ad esempio.

Ogni settimana ci introduceva al vangelo domenicale e i rispettivi segni liturgici, così per le solennità e i tempi forti, quelle sue immagini bibliche e liturgiche mi sono state presenti durante lo studio basico di Teologia e ancora sono motivo di meditazione e proposte di novità nel mio ministero. Le sue esegesi bibliche restano indimenticabili!

Mi è sembrato assai originale che una mattina ci ha portati a una cripta dell’agro ugentino (=di Ugento) denominata “il crocifisso”, conosciuta da tutti noi, e scesi ai piedi del dipinto abbiamo atteso un po’ di tempo prima di rivederci in faccia e scorgere quella croce illuminata da una luce proveniente dall’esterno della grotta. Dopo di che cominciò a dirci il motivo di quella passeggiata, in un’ora insolita. Ci volle introdurre al documento conciliare “Lumen Gentium” con tutta la carica simbolica del sole mattutino che penetra l’oscurità di una cripta, di per sé ricca della storia e della fede del nostro popolo, simbolo di comunione dell’Est e dell’Ovest, che conserva nel suo seno la luce delle genti Cristo nostro Signore.

E’ evidente che lui era amante dei simboli, della liturgia, dei sacramenti, della Bibbia ... e più di tutto di Gesù e dell’umanità. Voleva che la Chiesa fosse più fedele al suo sposo Gesù e leggesse la storia di tutta l’umanità e quella di ognuno di noi come “storia di salvezza”. Don Tonino non era affatto un matto e sterile filantropo...

L’unica volta che mi son trovato a pranzo da lui, a Molfetta, insieme a un missionario Comboniano, come rappresentanti del SUAM(Segretariato Unitario di Animazione Missionaria) pugliese, ci ha fatto vedere la sua piccola cappella :

ricordo un tavolino, l’inginocchiatoio di fronte al santissimo, sul tavolo c’era la Bibbia aperta e altri libri e poi la sua penna e manoscritti qua e là, mi è sembrato di vedere simbolicamente la sapienza umana attenta ad attingere dalla Sapienza divina. Don Tonino spendeva ore di adorazione di fronte al Santissimo durante le notti, a pregare a scrivere, a progettare... Con don Tonino la contemplazione diveniva azione e il suo dialogo col Signore era prototipo di nuove relazioni nella chiesa e nella società. Dopo la visita in cappella ci ha fatto vedere gli oggetti esposti su un tavolo, ci ha parlato di persone di diverse razze, culture e religioni a cui appartenevano quegli oggetti e attrezzi. Ogni pezzo ricordava una persona con nome e cognome che lui aveva incontrato nel suo girovagare pastorale, non solo nelle sue diocesi, ma anche per l’Italia e all’estero; in quei segni c’erano persone che aveva aiutato e, a volte, dalle quali era persino stato aiutato. E’ stato l’uomo del dialogo con Dio e con la gente, e quando ha dovuto lasciare Tricase per andare a Molfetta si è scusato con i suoi confratelli diocesani per il fatto di non essere riuscito a formare una vera comunità con gli altri sacerdoti del decanato, sapeva benissimo che una vera evangelizzazione non può farne almeno di quel tipo di testimonianza di vita e di lavoro insieme.

Gli piaceva preparare i catechisti e portare i cresimandi dell’anno alla messa crismale per assistere alla consacrazione degli oli santi e comprendere a quale ceppo siamo stati innestati e a quale missione siamo chiamati, per cui il sacramento della Cresima non è celebrato per abbandonare la chiesa, ma per rimanere più uniti a Cristo e rischiare la nostra vita per lui.

I primi tempi, a Tricase, durante le celebrazioni feriali, ha chiamato i pochi fedeli, presenti in chiesa, intorno all’altare, e dopo la lettura del Vangelo cercava d’insegnare alcuni elementi basici per conoscere e leggere la Bibbia. Chiaramente quei fedeli avevano altro per la testa e nonostante la semplicità del maestro si è dovuto chiudere al più presto quel capitolo e aspettare che i tempi maturassero per comprenderne l’importanza di questo studio e preghiera nella fede. Ma don Tonino da buon educatore non ha mollato e ha insistito in diversi modi fino alla fine, e come ricordo della sua Ordinazione Episcopale, prima di partire, ha dato a tutte le famiglie del paese un “Nuovo Testamento” con la dedica sulla prima pagina con scritto il versetto del profeta Isaia : “Non ti dimenticherò. Ti ho disegnato sulle palme delle mie mani” e poi la sua firma. Questo segno è un ulteriore invito a prendere sul serio la Parola di Dio, ponendola al centro della vita personale, famigliare e comunitaria, per questo ha animato tutti a conoscerla e donarci completamente, senza calcoli umani, perché Dio è immensamente più grande.

E’ parlando e scrivendo della grandezza di Dio che incoraggiava il cammino, animava a seguire Gesù missionario. Mi son trovato un articolo curato da un suo ex alunno dove riporta un così detto “Bollettino alla ciurma del nostromo di bordo” scritto da don Tonino ai suoi seminaristi nell’estate 1965, tra l’altro dice :
“...Su questo mare con la sua quiete e con le sue paurose bufere ti parla della sconfinata grandezza di Dio. Non ti dimenticare che Dio ha bisogno di te. Forse anche, un giorno, questo mare lo varcherai per davvero, per portare il Vangelo a genti lontane, cullate dal mormorio delle foreste...In ogni modo, preparati sin d’ora, senza perdere tempo, alla missione a cui Dio ti ha chiamato. Gioisci, inebriati di felicità. Mantieni però il contatto radio con Colui che solo può darti la gioia...”

Non ne parliamo per la preparazione dei sussidi pastorali-liturgici, prima in seminario e poi in parrocchia, coinvolgendo nella preparazione alcuni seminaristi, o agenti di pastorale in parrocchia: questo succedeva soprattutto per la giornata del Seminario, per i tempi forti dell’anno liturgico, per l’animazione delle celebrazioni del Sacramento dell’Ordine, e altre ancora.

Molto suggestivi e di respiro universale erano i commenti e i canti preparati da lui in occasione delle Sacre Ordinazioni, quasi a dire che l’unzione non si esaurisce in un annuncio ristretto nel perimetro della propria parrocchia, né della Diocesi, né della chiesa in quanto tale nel mondo, ma si estende a tutta l’umanità, nelle diverse culture e religioni.

E’ stato un animatore, un architetto, un poeta e cantore della nuova evangelizzazione, e non credo di esagerare a venerarlo come un padre di questa Nuova Evangelizzazione.

L’unto del Signore

Credo che per noi salentini non sia difficile abbinare olio e lavoro ( e ... anche “servizio”). Così pure non è difficile immaginare il paesaggio palestinese dove Gesù passeggiava tra gli oliveti e pregava da solo, o in compagnia dei sui apostoli. Basta andare nel nostro agro, eccone tanti di alberi d’ulivo. Durante quelle passeggiate da seminarista, in autunno, spesso trovavamo alcuni contadini intenti a raccogliere olive. Così, al cenno di don Tonino, tutti ci precipitavamo per dare loro una mano. In seminario, poi, non si aspettavano gli addetti ai lavori per pulire gli ambienti, ma come lui sapeva organizzare e allenare squadre di calcio e di pallavolo, era capace anche a motivarci al lavoro manuale e alle pulizie domestiche: anche se sentiva che un suo “handicap”(o limite) era quello di non riuscire a familiarizzare con strumenti e impianti elettrici.
Un altro esempio che ricordo del tempo del seminario, quando lui era rettore, è che visitando le nostre famiglie, tra l’altro con quella macchina, motivo anche di tante barzellette, la “multipla”, che si doveva versare un litro d’acqua ogni dieci chilometri (perché non andasse in escandescenza). Arrivato a Tricase ha trovato mia sorella studiando, completando i compiti scolastici, mentre il resto della famiglia, genitori e fratelli erano in campagna a raccogliere olive.

Per lui quella visita è stata molto significativa, tanto che tornato in seminario ci ha motivati alla responsabilità elogiando mia sorella e apprezzando il lavoro dei nostri genitori, così ci invitava a fare altrettanto nel nostro studio e prepararci per l’imminente futuro.

Don Tonino un uomo che è stato capace di mimetizzarsi con i suoi seminaristi accompagnandoli ovunque, è stato un vero leader motivando dal di dentro, non ci teneva neanche a sedersi al così detto tavolo dei superiori, tanto che si voleva confondere con i suoi “pargoli” spirituali. Anche con la gente era lo stesso, era empatetico con loro, partecipava alla gioia e al dolore e allo stesso tempo era propositivo suggerendo qualcosa di nuovo in aiuto alla situazione. Aveva come personalizzato le parole della costituzione pastorale sulla chiesa del Concilio, “Gaudium et spes” (al n°89), continuamente citate da lui : “Le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d’oggi...sono pure le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce dei discepoli di Cristo” e lui è uno dei più autorevoli discepoli di Cristo del nostro tempo. Quando sono morti i genitori del mio amico d’infanzia attualmente sacerdote diocesano, don Rocco Zocco, a causa di un incidente stradale, avevamo dodici anni, per la prima volta l’ho visto piangere, (lui che mi scoraggiava alle facili lacrime, per un serio cammino virile) sono stato sorpreso, ma anche contento, perché l’ho riconosciuto uno di noi, vicino alla gente, come Gesù e Marta dopo la morte di Lazzaro. Quel dolore di partecipazione che l’ha vissuto in modo superlativo negli ultimi mesi della sua vita terrena a causa della malattia, sull’altare della sofferenza (come lui l’ha definito) per la salvezza dell’umanità.

Avendo come premessa la sua vita, la sua scelta per i poveri, si può capire anche il motivo di preferire il Pastorale di legno d’ulivo, la croce pettorale anche coniata dallo stesso legno, a mia vista con taglio molto simile al tao francescano con l’incisione di un povero Cristo. Anche l’anello episcopale, quello delle nozze di sua madre. Così l’unzione episcopale con quell’olio d’oliva non è stato altro che la celebrazione delle sue nozze con il suo popolo e Dio, dopo un fidanzamento durato tutta la sua vita specialmente dalla sua ordinazione sacerdotale.

Figlio del suo popolo è stato sempre legato a sua madre e l’anello ne è il segno, un’unità che gli ha dato energie per continuare il cammino col suo popolo anche quando ci sono state difficoltà. Come Gesù anche lui non è stato capito, l’invidia di alcuni ecclesiastici e politici gli avrà bruciato lo stomaco chissà quante volte e avrà persino accelerato lo spandersi nel suo corpo dello stesso cancro, ma non portava rancore per nessuno.

Persino alla RAI è stato deriso quando lui cercava di esprimere un’alternativa di pace alla guerra del Golfo. Ricordo una trasmissione condotta da Santoro dove Don Tonino era stato invitato a dire la sua opinione, in quell’occasione è stato interrotto moltissime volte da interventi in diretta dall’esterno tanto che non gli è stato possibile presentare la sua posizione pacifista e di nonviolenza. Colui che ha accolto tanti emarginati e li ha chiamati per nome ridandoli dignità e amore, non ha trovato accoglienza da tanti altri, proprio come nel Vangelo : presenti oggi come sempre nel cuore e nell’umanità.

A partire da queste difficoltà e incomprensioni così accentuate in certi momenti è molto probabile che se fosse stato missionario in America Latina, o in qualche paese dell’Africa, o dell’Asia, ci avrebbe lasciato persino la pelle.

Poche ore prima della sua dipartita chiedeva ai fratelli di collocare sulle pareti della sua stanza quadri della Madonna, e chissà se non c’era anche quello della Consolata, per essere sicuro di morire fissando lo sguardo su uno di essi. Come Gesù sulla Croce ha parlato al Discepolo e alla Madre in segno di comunione, di mandato e di rinascita dalla Nuova Alleanza suggellata dal suo sangue, così don Tonino discepolo fedele ha celebrato le nozze dell’Agnello entrando nel suo Regno di Giustizia e di Pace attraverso Maria e sospirando le parole di tanta gente sofferente del Salento dicendo "Mamma mia, Madonna mia".
Ultima modifica il Giovedì, 05 Febbraio 2015 20:29
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