Certo, c’è voluto impegno, tempo e una buona dose di pazienza. Non solo per mettere insieme le note musicali, ma anche le voci, gli strumenti ecc. questo ha richiesto due giorni di prove e preparazione, poi i cinque concerti in diverse località del Trevigiano.
È stato un momento di comunione, prima di tutto tra di noi: si sentiva la differenza negli accenti: piemontese, pugliese e veneto…, eppure ci trovavamo bene insieme come fossimo vissuti assieme tutta una vita, ci univa lo spirito di famiglia “consolatino”. Ci siamo conosciuti, abbiamo condiviso le nostre esperienze di vita e di fede, l’esperienza missionaria di chi era già stato in un paese lontano e di chi si prepara a farlo. È stato anche un momento forte di interculturalità, soprattutto attraverso i canti di diverse nazioni e popoli, appunto perché siamo missionari ad gentes.
In questo periodo in cui regna un clima di diffidenza verso l’atro, il diverso o lo straniero, cantare canti in lingue diverse dell’Africa, Asia, Europa e America, ha fatto sì che noi, come missionari, annunciassimo che Cristo ha abbattuto i muri che separavano i popoli.
È stato anche un momento di spiritualità : eravamo “in missione”, non nostra, ma del Signore. Dovevamo dunque consultarci con Lui, far sì che Lui fosse la guida, ispiratore e protagonista di tutto l’evento. L’eucaristia ha costituito il momento centrale delle nostre giornate, soprattutto verso la fine, quando la tensione dei primi giorni era ormai dimenticata.
È stato un momento di testimonianza della nostra fede giovanile, universale e gioiosa. La cattolicità della Chiesa era manifesta nei canti e nelle immagini in powerpoint che accompagnavano ogni canto e che rappresentavano la vita dei popoli che si esprimono in questi canti. Mentre sul palco le voci cantavano e gli strumenti suonavano, le immagini trasportavano lontano, verso quei popoli e quei luoghi.
È stato anche un periodo di duro lavoro, sotto il sole, che arrivava qualche volta a 40 gradi. Un’ estate diversa, questa volta. Non c’era il fresco di boschi montani e nemmeno il mormorio delle onde del mare… ma si lavorava volentieri, anzi, qualche volta, troppo.
È stato un momento di “ricarica missionaria”.
“Ricarica missionaria” effettuata, siamo tornati a casa, da una parte con tanta nostalgia – basta andare su facebook e leggere i messaggi che i ragazzi si scrivono - ma anche pieni di entusiasmo per riprendere il nostro cammino missionario che anima tutti i giorni della nostra vita.