Amazzonia: Espulsi i Missionari dalla Missione Maturuca

Pubblicato in I missionari dicono
{mosimage}Il 15 ottobre 2009, verso le 10,30, un elicottero dell’esercito brasiliano ha sorvolato diverse volte la comunità indigena di Maturuca. Pochi momenti dopo la comunità indigena venne circondata da un contingente di militari brasiliani e della Polizia Federale del Brasile.

Verso le 11 il secondo Tuaxaua (ndr: Capo) della comunità, il sig. Starley, è venuto a chiamare i missionari come richiesto dai militari e dalla Polizia Federale: essi richiedevano di effettuare un controllo dei nostri documenti e di sapere di più su chi erano i missionari. Immediatamente ci siamo diretti verso il centro della comunità, sul posto conosciuto come “maloca”, locale dove i suddetti militari e la Polizia Federale, protetti da un forte apparto di sicurezza in armi, parlavano con i leaders della comunità e ci attendevano.

Siamo stati accolti dal Colonnello Fidelis e da un agente di polizia, che però non si è identificato, ma appena siamo arrivati ci ha richiesto i nostri documenti.


Mentre il Colonnello è ritornato sul tavolo verso il quale parlava prima con i leaders indigeni, noi siamo stati orientati a sederci su un altro tavolo, accompagnati da vicino dalla Polizia Federale. Durante tutto il periodo c’erano persone dell’esercito e della polizia che scattavano foto e riprendevano con telecamere tutte le persone (missionari o leaders indigeni, così come la comunità).

Abbiamo presentato i nostri documenti, il protocollo dei missionari Judith e Juan António e il RNE dei missionari Paolo e P. Mário. Il suddetto agente di polizia, che non si è mai presentato, ha richiesto anche il passaporto di ciascuno di noi. Quando abbiamo spiegato che i passaporti si trovavano a Boa Vista, lo stesso agente di polizia è intervenuto sostenendo che questo non sarebbe corretto, perché chi ha il protocollo deve comunque essere in possesso del passaporto. Il P. Mário ha quindi dichiarato che era la prima volta che questa informazione gli era stata comunicata. Allora lo stesso agente di polizia di sempre, però con un tono di voce più duro, ha iniziato ad argomentare che bisogna rispettare la legge e che quest’ultima prevede di tenere il passaporto sempre e comunque con sé, aggiungendo ulteriormente che la legge non solo è valida per chi ha il protocollo, ma anche per chi ha il RNE. Il P. Mário ha insistito dicendo che questa informazione non era mai stata fornita ai missionari e che il passaporto non era mai stato richiesto in presenza del protocollo. Inoltre al momento di ricevere il protocollo aveva persino chiesto al responsabile dell’emissione dei documenti se era necessario avere il passaporto nonostante il protocollo. Il funzionario, a suo tempo, aveva risposto che non era necessario, perché il protocollo è un comunque documento valido e riconosciuto ufficialmente.

In questo momento è intervenuto un altro agente di polizia, ma che neanche lui si è identificato, però ha parlato “in privato” con l’agente di polizia che conduceva il controllo, che da quel momento in poi non ha più parlato sull’argomento.

Pochi momenti dopo è stata richiesto ancora la nostra autorizzazione per stare in quel posto. Gliela abbiamo presentata su carta firmata dai leaders indigeni, Tuxaua Djacir Melquior da Silva, Tuxaua de Maturuca, Tuxaua Ivaldo André, coordinatore dei Tuxauas della Regione della Serra, e Tuxaua Jacir José de Souza, membro del Consiglio Direttivo della Scuola de Surumu. Lo stesso documento è firmato e timbrato dal Sig. Dionito José de Souza, Coordinatore Generale del Consiglio Indígeno di Roraima.

Diversi agenti di polizia hanno questionato quest’ultimo documento, chiedendo chi fossero quelle persone. Le persone presenti sul posto si sono immediatamente presentate. Solo il Sig. Dionito non era presente. Il fatto venne registrato dall’agente di polizia. Il medesimo agente di polizia che conduceva i controlli, con l’appoggio dell’altri, ha dichiarato che l’autorizzazione dei leaders indigeni quindi non era valida, e da quel momento lui ha cambiato nuovamente il tono della voce, iniziando a ricordarci che siamo stranieri, che la legge determina che non ci possono essere stranieri in Terre Indigene e che se non avessimo l’autorizzazione della FUNAI (l’Ente statale che si occupa dei Popoli Indigeni) non eravamo in regola.

Il P. Mário ha spiegato che l’autorizzazione era già stata richiesta al Sig. Gonçalo, amministratore della FUNAI, il quale non l’aveva ancora messa su carta, ma che aveva confermato di conoscere il lavoro che veniva svolto dai missionari, che era a conoscenza che si lavora congiuntamente ai leaders indigeni, che si sosteneva un rapporto rispettoso con la FUNAI e che per questo motivo potevamo continuare il nostro lavoro nella zona.

Il già riferito agente di polizia ha chiesto che attendessimo per alcuni momenti per verificare con un suo superiore, e si è rivolto verso una delle volanti della Polizia Federale. Quando è tornato, ha ribadito che siamo stranieri e che come tale senza un documento su carta intestata dalla FUNAI non eravamo in regola. Il P. Mário ha chiesto come sarebbe possibile che i missionari lavorassero con i tempi richiesti dalla FUNAI per emettere un documento, ricordando che i missionari cattolici e il proprio Vescovo della Diocesi non hanno mai fatto niente contro la legge e neanche fuori dalla conoscenza delle autorità competenti; inoltre ha ricordato l’esempio di quanto accaduto nel 2004 e nel 2005, quando subito dopo le due invasioni e conseguente distruzione della missione di Surumu per colpa dei latifondiari, i missionari tempestivamente e volontariamente si sono presentati nella FUNAI, MPF (Pubblico Ministero Federale) e Polizia Federale. Infatti, l’agente di polizia ha riconosciuto aver visto i missionari Juan Antonio e Judith in assemblea del CIR realizzata a Surumu nel 2006.

Malgrado ciò, il riferito agente di polizia ha insistito sul fatto che eravamo stranieri e che per questo motivo eravamo fuori legge. Ha comunicato che dovevamo lasciare l’area, e che disponevano di un mezzo aereo per portarci a Uiramuta, posto della loro base operazionale, per chiarire la situazione. Dopo un certo periodo, per un motivo a noi sconosciuto, quest’agente di polizia viene ritirato dalla scena e un altro, che si è presentato come comandante Fredson, ha occupato il suo posto d’interlocutore.

Il comandante Fredson ha avuto con noi una conversazione più serena però ferma, ribadendo che dovevamo in ogni modo lascia l’area. Spiegò di avere a disposizione un mezzo per trasportarci a Uiramuta o Pacaraima, due zone fuori dall’area indigena.

Il P. Mário ha risposto che la residenza dei missionari era a Boa Vista e sia a Uiramuta sia a  Pacaraima non avrebbero avuto un posto d’appoggio. A questo punto il Tuxaua di Maturuca è intervenuto comunicando che era in partenza per Boa Vista nello stesso giorno e che avrebbe potuto accompagnare i missionari fino a Boa Vista.

Il P. Mário ha quindi ribadito che i missionari rispettavano la decisione dell’autorità presente e che se la questione era cercare la FUNAI per avere la riferita autorizzazione, avrebbero preferito andare verso Boa Vista con i propri mezzi, perché, oltre che poter rimanere nella propria casa, avrebbero potuto più agevolmente risolvere la questione.

Il comandante Fredson ha dato in suo consenso e ha fornito anche il tempo necessario per farci prendere le nostre cose e prepararci per il viaggio, chiedendo però che facessimo in fretta.

I missionari sono partiti in due macchine della Diocesi verso le 12,15, seguite dalla macchina del Sig. Jacir e ancora dalla volante della Polizia Federale che ci ha scortato in parte sul percorso.

Come indicato dal comandante Fredson, i missionari si sono fermati nel posto fisso di blocco della Polizia Federale a Surumu, dove si sono presentati alle autorità per spiegare quanto accaduto, quindi che provenivano da Maturuca e che avevano lasciato l’area per ordine di un’equipe della Polizia Federale.

Sono stati fermati ancora nel raccordo della BR-174 (autostrada) in un posto di blocco militare che ha sollecitato soltanto la documentazione personale, delle macchine e chiesto conferma se eravamo stranieri. Senza ulteriori fatti rilevanti siamo arrivati a Boa Vista verso le 18,30 del pomeriggio.

Per amore di verità e perché riteniamo opportuno registrare, abbiamo realizzato questa relazione che sottoscriviamo.

(traduzione del CO.RO. Onlus dall'originale brasiliano)
Ultima modifica il Giovedì, 05 Febbraio 2015 20:29

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