Sono il quinto nella famiglia di sette figli e ho conosciuto i missionari della Consolata al Seminario Minore della diocesi di Kisumu nel 1998, attraverso due riviste (The Seed e The Call) che hanno inviato al gruppo di “Young Christian Students” di cui ero segretario. Io ho scritto una lettera per ringraziare per le riviste che avevamo recevuto ma poi Padre Attilio mi ha scritto personalmente facendomi conoscere di più i Missionari della Consolata e la corrispondenza è continuata fino alla fine della scuola secondaria nel 1999 e l’anno seguente sono entrato in seminario.
Ho studiato teologia in Colombia a Bogotá fra il 2007 e il 2010 e poi in quello stesso anno ho raggiunto il Venezuela: ho fatto la professione perpetua il 18 novembre 2011, sono stato ordinato diacono il 25 febbraio 2012 a Panaquire Venezuela e sacerdote il 9 dicembre 2013 a Kisumu, nel mio paese di origine, il Kenya. Anche come sacerdote ho continuato a lavorare in Venezuela e quindi ho già compiuto undici anni in quel paese.
Nei primi anni di questo periodo mi sono laureato in Teologia pastorale presso l’Università Cattolica Andrés Bello; ho accompagnato per due anni la pastorale giovanile nelle nostre tre parrocchie di Barlovento e, dopo la mia ordinazione diaconale il 25 febbraio 2012, ho coordinato l’équipe di formazione dei catechisti nel Vicariato di Barlovento. Successivamente, quando sono stato ordinato sacerdote il 9 dicembre di 2013, ho lavorato prima come vice parroco e poi come parroco in tre nostre. A fine novembre 2019 sono stato assegnato alla comunità apostolica di Tucupita nello Stato del Delta Amacuro alla pastorale indigena dove sono stato fino alla fine dello scorso anno. In questa comunità, oltre al lavoro della pastorale indigena ho anche accompagnato alcuni giovani in formazione e ho anche fatto parte del Consiglio di delegazione di Venezuela come vice superiore e segretario.
Ci sono diverse cose che mi hanno aiutato a vivere questi impegni: la prima è la grazia di Dio; la seconda è il cammino già tracciato dal missionari che mi hanno preceduto; la terza la corresponsabilità dei fratelli e degli agenti pastorali che ho trovato sul mio cammino alla fine anche i progetti pastorali esistenti che abbiamo cercato di mettere in pratica con responsabilità.
Non sono affatto mancati gli ostacoli e le difficoltà come l’immensità dei territori da servire; il numero insufficiente di missionari; la crisi politica, economica e culturale del Paese che ha accresciuto la violenza e l’insicurezza. Dopo una rapina nella casa parrocchiale a luglio nel 2017 ho fatto un’esperienza nella Scuola di perdono y riconciliazione che ho cercato di introdurre nella nostra missione. Il 5 gennaio 2019 sono anche stato vittima di un rapimento.
Per me la missione non è solo uno spazio di impegno per l’evangelizzazione, la consolazione e la maturazione nella fede di tutti. È anche una scuola nella quale non si smette mai di imparare e si cammina verso l’eternità imparando a riconoscere la presenza attenta e provvidente di Dio.
Dopo aver vissuto a lungo da solo, sono convinto e voglio riaffermare che la vita comunitaria è l’essenziale nella nostra vocazione missionaria e per la missione.
Nel fare la missione e nell’essere missionario, ho sperimentato la forza della preghiera soprattutto in questo tempo di pandemia di Covid 19 che ha limitato le nostre attività pastorali. Ho visto con chiarezza che la missione conduce alla preghiera e la preghiera conduce alla missione.