I grandi maestri dell'anima sono senza dubbio i bambini, e in particolare i bambini indigeni, questa è stata la mia esperienza nel campo missionario. Con loro ho imparato a valorizzare molte cose in questa vita, come il sorriso, la capacità di stupirsi, il lavoro, sì, da loro ho imparato anche questa virtù, e poi anche la spontaneità e onestà. Naturalmente, non posso dimenticare che sono stati anche i miei primi maestri per imparare la lingua che si parla in ciascuna delle loro comunità indigene dove ho avuto l'opportunità di stare.
Vorrei mettere in evidenza alcune parole chiave che hanno segnato la mia vita con questi bambini e che descrivono la mia esperienza loro. Ho imparato molto di più ma questo lo vorrei specialmente sottolineare:
Patume o "gentilezza": i bambini Yukpa sono pieni di gentilezza e di risate, nonostante le difficoltà esterne a cui sono esposti perché vivono in una zona di confine, sentono che "Kumoko" (Dio), non li abbandona. Come bambini imparano a divertirsi con quello che per molti sembrerebbe poco, ma per loro è molto: non hanno perso la capacità di immaginare e creare con quello che li circonda. Questa parola la usano anche per ringraziare.
Aapajaa o "Ascolto": Con i bambini Wayuú ho imparato l'importanza dell'ascolto, hanno molte cose da raccontare, ma solo se apri il tuo cuore li puoi davvero sentire. Il loro racconto è fatto da infinite storie ed esperienze. Non si tratta di trovare una risposta immediata a tante loro preoccupazioni che sono celate nei loro racconti... la prima cosa, anche questo un valore missionario, è l’ascolto attivo.
Sennakamato o "Lavoro". Questa parola l'ho imparata con un popolo indigeno che amo molto, il popolo Pemón. Fin da piccoli, i bambini accompagnano i loro genitori nel lavoro del Konuko e hanno una partecipazione attiva nelle cose di casa. Di buon mattino, prima di andare al lavoro, con i loro genitori partecipavano alla celebrazione della Parola. In loro fede e vita sono strettamente legate.
Namuara o "Perdono": i bambini Warao sono la mia esperienza più recente, sono bambini pieni di risate e gentilezza, e hanno una capacità di perdonare molto rapida, litigano tra loro, e dopo poco tempo sono di nuovo felici e continuano a giocare nel fiume o a correre avanti e indietro nel cortile. Anche loro hanno anche un posto molto speciale nel mio cuore.
Tutti questi bambini sono anche stati i miei primi maestri della lingua locale. Loro lo facevano per gioco, a volte mi insegnavano male, scambiando il significato della parola e prendendosi gioco di me. Ma con risate e scherzi si arriva molto più lontano. Non nego che molte volte ero imbarazzato e frustrato ma credo che essere aperti ad imparare anche dai più giovani che si prendono gioco di te fa parte dell'umiltà che il missionario deve avere.
È importante sottolineare che quando si ha l'opportunità di andare in missione in qualche parte del nostro paese o oltre i nostri confini, è necessario essere umili, essere aperti alle novità, avere una grande capacità di stupore e tenere presente che non sappiamo tutto, tanto meno siamo lì solo per insegnare a chi non sa, al contrario, siamo lì per imparare da loro, e crescere insieme come comunità.
Dio è stato grande con me, è stato fedele alle sue promesse e incoraggia la mia vita a continuare ad essere uno strumento del suo amore e della sua consolazione sulla terra. Incoraggio voi che leggete queste righe ad unirvi alla missione di annunciare la Buona Notizia di Dio anche ai popoli indigeni, ne usciremo tutti arricchiti.
Non abbiate paura di rispondere generosamente alla chiamata missionaria che Gesù fa a ciascuno di noi, i battezzati. Se la tua salute o per la tua età non te lo permettono, aiuta i missionari con una preghiera affinché lo Spirito di Dio guidi ciascuno dei loro passi.
Alla luce di tutto quello che ho vissuto, non mi resta che dire: Patume (Yukpa), Anayawachija (Wayuú), Waküpeman (Pemón), Yakera (Warao). Sencillamante, “Gracias”.
* Jhonny González è un giovane in formazione nel seminario IMC del Venezuela
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