Storia di ordinaria migrazione

Insegnando a leggere e scrivere Insegnando a leggere e scrivere Foto Giuliani
Pubblicato in I missionari dicono

Una storia triste, tra le altre, che mi ha ferito il cuore. Vi voglio parlare del piccolo Freddy Camerunese arrivato qui da noi ad Oujda tre anni fa con un suo così detto fratello attraversando il deserto come tutti i migranti. Tutti i giorni lo accompagnavo a scuola quattro volte, mattino e pomeriggio, essendo minorenne,12 anni, non poteva girare la città da solo.

Durante questi percorsi tra la casa e la scuola che duravano 20 minuti mi raccontava la sua storia passata fatta di distacchi dalla famiglia, dagli amici, dal paese e riuscivo a percepire ancora la sua sofferenza e, ricordando, a volte notavo nella sua voce il pianto soffocato di chi vuole essere forte e non farsi vedere a piangere.

Avevamo instaurato un bel rapporto di amicizia, quasi da nonno a nipotino. Una volta si spacciò anche per italiano con il negoziante che doveva vendergli il panino che preferiva ma non aveva sufficiente denaro. Il negoziante lo vedeva passare sempre con me e quindi poteva essere anche vero e così quel giorno lo sconto sul panino arrivò, anche perché poi la stessa figlia del negoziante era compagna di scuola di Fredy. 

Spesso mi consegnava, per paura di perderli, i pochi soldi che il P.Edwin gli dava ogni giorno, poi all’uscita della scuola gli davo un diram (10 centesimi di euro) per comprarsi le patatine ma mi diceva che non voleva comprarle tutti i giorni perché potrebbero far male allo stomaco.

Freddy frequentava la quarta elementare e con molta tristezza mi disse che aveva perso due anni, perché qui in Marocco i programmi scolastici erano diversi da quelli del suo paese e così lo avevano inserito in una classe inferiore. È un bambino molto intelligente e il giorno che gli hanno dato la pagella del primo trimestre è uscito di classe di corsa e aprendo il suo zainetto mi ha fatto vedere i voti con orgoglio e mi ha detto: “Vedi, sono il secondo della classe ma perché l’arabo non lo conosco ancora bene’’. 

L’insegnante, un giorno, portò la classe in una palestra di judo e l’allenatore propose al piccolo africano, unico nella sua classe, di iscriversi al corso principianti. Mi spiegò con entusiasmo che voleva pensarci un po’ ma poi, qualche giorno dopo, mi chiese se lo avevo iscritto; alla mia risposta positiva si mise a saltellare davanti a me di gioia.

Rientrando al pomeriggio passavamo dalla piazza dove si radunano tutti i ragazzini a giocare il pallone e lui li salutava tutti indicandomi i suoi amici preferiti. Freddy era felice della sua nuova situazione che durava da tre anni.

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Una volta gli chiesi della sua famiglia in Camerun: immediatamente si rattristò dicendomi di non volerne parlare. Seppi poi che gli incaricati della nostra equipe più volte avevano chiamato la famiglia per chiedere se volevano che Freddy rientrasse a casa ma la loro risposta era stata sempre negativa. Lui sapeva che la sua famiglia non lo rivoleva a casa ma che doveva continuare il viaggio verso l’Europa anche se aveva solo 12 anni.

Spesso si intratteneva a lungo a parlarmi dei suoi sogni. Voleva continuare gli studi qui in Marocco dove ormai si era fatto amici a scuola, in piazzetta e la nostra comunità. Tutti erano un po’ come la sua nuova famiglia.

Venerdì scorso, rientrando a casa, lo vidi un po’ triste; mi disse: “Purtroppo lunedì non potrò andare a scuola perché domani con mio fratello devo andare a Rabat per trovarmi con alcuni  nostri parenti che abitano là... ma mi raccomando, martedì torno, e dobbiamo andare a scuola!”.

Purtroppo non è più tornato, tante telefonate fatte al fratello sono andate a vuoto. Solo dopo una settimana il fratello mi risponde che i genitori hanno deciso che deve restare con questi parenti a Rabat. Loro vivono in poche stanze e con altri sono in attesa dell’occasione per partire per L’Europa.

La tristezza ha attanagliato il mio cuore e quello dei suoi dieci compagni con i quali viveva in questa casa. Ditemi voi se questo non è un attentato contro tutte le speranza dell’infanzia. Se in Italia incontrate Freddy che lava i vetri delle macchine al semaforo, salutatelo da parte mia, parlategli pure in Francese lo conosce alla perfezione. Ciao mio piccolo Freddy.

*Francesco Giuliani è missionario a Oujda (Marocco).

 

Ultima modifica il Venerdì, 25 Marzo 2022 20:46

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