Quest’anno 2022 celebriamo i cento anni della morte di Giacomo Camisassa e, come ci insegnano i testi del giubileo nell’Antico Testamento (Lv 25,1-54), lo possiamo vivere come “un anno di grazia” nel quale cercheremo di cogliere alcuni aspetti della sua spiritualità e ricevere, come desiderava l’Allamano, un po’ della sua energia e della sua passione missionaria.
1. La spiritualità del lavoro
La vita operosa e attiva era molto cara all'Allamano: lui diceva che il lavoro non è solo un dovere ma un onore, poiché è stato santificato dalla Santa Famiglia di Nazaret; di conseguenza un missionario deve sapere lavorare anche manualmente. Il lavoro deve essere fatto con energia! Ma poi ricordava che tutto il nostro lavoro è inutile se non abbiamo la grazia di Dio, che si ottiene attraverso la preghiera. Quindi, per l'Allamano, si lavora di più in un quarto d'ora dopo aver pregato, che in due ore senza preghiera!
Nella vita del Camisassa la spiritualità del lavoro è molto evidente: lui ha lavorato con tutto il cuore, con molta energia e e senza creare nessuna scissione, Combinava fede e lavoro riproducendo sempre nella sua mente e nel suo cuore le parole di Gesù: “Bene, sei un servo bravo e fedele! Sei stato fedele in cose da poco, ti affiderò cose più importanti. Vieni a partecipare alla gioia del tuo signore” (Mt 25, 21).
La spiritualità del lavoro del Camisassa è certamente una motivazione propedeutica alla missione e indica che fede, consacrazione religiosa e lavoro sono compatibili. La vita del Camisassa è tutto un messaggio cristiano sul lavoro, un messaggio che ci ricorda che nel lavoro troviamo una piccola parte della croce di Cristo e la accettiamo nello stesso spirito di redenzione in cui Cristo ha accettato la sua croce per noi.
2. Il bene fatto bene
Oggi potremmo utilizzare un’espressione inglese, mutuata dall’informatica: multitasking. Questa parola ci parla di lavoro intelligente, fatto in modo da mettere in gioco tutte le nostre potenzialità, ottimizzando l’uso delle risorse, dando importanza ai dettagli (perché anche questi sono importanti).
Questo stile, così caro all’Allamano, è evidente nella vita del Camisassa, che è stato descritto come un maestro in tutti i mestieri. L’Allamano voleva che ogni missionario fosse un po’ così, avesse un profondo spirito di osservazione e intraprendenza. Un missionario non avrebbe mai dovuto dire: «Non sono fatto per questo, o per quello!». Il Fondatore riteneva che tutto fosse utile e importante per la missione: dallo spazzare il pavimento fino agli studi su san Tommaso. Questa “spiritualità multitasking” continua ad essere presente nell’evangelizzazione di ieri e di ogni tempo: in missione, si è chiamati a pregare, ad assistere i malati, a celebrare i sacramenti, a insegnare, a consigliare, a visitare le famiglie, a “consolare”… e anche a cucinare, coltivare l’orto o lavare i panni.
3. Uniti nella diversità
L’anno del Camissasa ci apre gli occhi sulla ricchezza della nostra diversità nell’Istituto. Quando parlava del suo “braccio destro”, l’Allamano diceva: «Se abbiamo ottenuto qualcosa di buono, è stato proprio perché eravamo così diversi; ci siamo fatti la promessa di dirci sempre la verità e l'abbiamo mantenuta. Se fossimo stati uguali, non avremmo visto i difetti dell'altro e avremmo fatto più errori». Invece, la differenza di carattere e personalità ha permesso loro non solo di ottenere di più, ma anche di crescere nella sincerità reciproca e nella stima, e tutto a favore della Missione. Oggi, noi Missionari della Consolata, veniamo da diversi contesti culturali e apparteniamo ad un Istituto internazionale. Questa diversità può significare una vivacità che ci aiuta a ottenere di più nella vita comunitaria, nella spiritualità, nel lavoro missionario e nella nostra interazione quotidiana; se non ben curata, questa diversità può essere fonte di divisione.
Questa è la ricca scuola di spiritualità del Camisassa che quest’anno non possiamo lasciarci sfuggire e che arricchisce la nostra consacrazione missionaria.