Il cammino del missionario e della sua comunità

Pubblicato in I missionari dicono

Sono P. Rocco Marra, Missionario della Consolata, originario di Tricase (LE), sono con voi per ringraziare insieme il Signore per il dono della vita, della comunità e della missione.

Contento di essere nato nel mese missionario 1962, che corrisponde all’apertura del Concilio Vaticano II, che ha dato un respiro missionario alla chiesa, per aprirsi con più amore a tutta l’umanità`.

Mio padre barbiere, socievole e buono, mi ha dato quella voglia di non escludere nessuno nel cammino della vita. A un certo punto ho visto che famiglia e comunità parrocchiale era come una unita`. Sono entrato in seminario diocesano a 11 anni, ingenuamente seguendo le intuizioni del momento, vedendo altri che avevano fatto quello con gioia, prima di me. Un mio educatore è stato don Tonino Bello, che tra le tante aveva accolto in seminario una famiglia sfrattata; qualcosa che mi ha fatto pensare, fino a quando è successo il terremoto dell’Irpinia, quando mi son detto “adesso tocca a me”.  Così appena avuto le vacanze estive, dopo il Liceo, mi sono unito ad altri coetanei della mia diocesi e sono andato in un paese semidistrutto dal terremoto in provincia di Avellino. La riflessione di un diacono, sul cieco Bartimeo (Mc. 10,46-52) che è riuscito a lasciare gli amici e il poco che aveva per seguire Gesù mi ha fatto riflettere e chiedere al missionario che era con noi di entrare nella sua congregazione. 

Mi ritengo fortunato di aver studiato Teologia a Bogotà (Colombia) dove ho incontrato tanta gente molto accogliente; con un gruppo di altri studenti, visitavamo un settore della periferia sud della città, ho imparato molto dalla gente e dall’equipe, quello che apprendevo all’università lo condividevo con i catechisti  e altri agenti pastorali; mentre loro mi offrivano (oltre all’amicizia e insegnarmi la lingua) l’esempio di una vita Cristiana autentica con l’aiuto della parola di Dio e una preghiera semplice e meno formale.

Dopo l’ordinazione sacerdotale, sono stato come missionario prima in Puglia (Italia) e poi in Sudafrica: Noi tutti siamo missionari del Signore sin dal nostro  Battesimo e Cresima, ma Dio chiama sempre qualcuno per predicare il Vangelo in luoghi più lontani, perché il suo messaggio di salvezza raggiunga tutte le nazioni. Ho ricevuto la Croce Missionaria e sono partito per il Sudafrica il 29 luglio 1993, poco meno di un anno prima della fine dell’Apartheid e proclamazione di Nelson Mandela, come primo presidente del nuovo e libero Sudafrica.

Voglio ricordare che nella regione dove più ho operato ci sono due monasteri storicamente importanti, a Mariannhill, nella regione del Natal, nel 1879 arrivarono i monaci Trappisti tedeschi ma questi, che si dedicavano alla vita contemplativa, animati dal loro fondatore, il missionario trappista austriaco Franz Pfanner, decisero di dedicarsi alla pastorale missionarie e nel 1909 nacquero i Missionari di Mariannhill. Nel 1922 fue la volta degli oblati regolari benedettini di Sant’Ottilia, a Inkamana (Vryheid).

Noi della Consolata siamo in quel paese dal 1971 e il nostro obiettivo è formare  comunità cristiane dove non ci sono ancora per poi consegnarle al vescovo locale e il suo clero, forti nella fede e ben organizzate, affinché continuino il cammino di chiesa. Così il primo gruppo dei missionari della Consolata in Sudafrica, insieme ai francescani, che erano arrivati sul territorio già prima di noi, si sono preoccupati di preparare strutture materiali, come chiese e aule, sia scolastiche che per la catechesi, e allo stesso tempo hanno visitato la gente per formare alcune comunità, grazie alle quali si è potuta creare la Diocesi di Dundee, nel 1982. La giovane diocesi comprende parte della terra degli Zulu e parte di quella degli Swati. 

Interessante che nella neo-diocesi ci si è preoccupati subito dei più bisognosi, gli orfani e gli anziani, poi e anche un hospice per malati terminali. Ho svolto gran parte del mio ministero in alcune townships (città dei neri) dove la segregazione razziale aveva forzato la popolazione zulu a prendere dimora. In generale in queste township abbiamo solo un 4% di cattolici, ma c’è da parte di molti un’apertura a Dio; inoltre,  grazie all’esempio di Nelson Mandela c’è il desiderio di perdonare e di continuare e a fare del bene. 

Si sono consumate molte energie per la formazione di catechisti per la guida di piccole comunità,  e abbiamo fondato tanti gruppi accompagnando le persone con la speranza di poter sanare tante ferite interiori, conseguenza di una storia di sottomissione e dell’Apartheid. Nonostante gli aspetti positivi che vi presento, non posso nascondere che il Sudafrica è un paese molto violento, e questa si esprime nella criminalità, nel vandalismo e nel razzismo latente.  

Come cristiani siamo chiamati a cogliere e i segni del Regno di Dio, ma per essere sensibili a questo occorre preghiera, cammino personale e comunitario. 

Ci tengo a mettere in evidenza che il progetto missionario fatto con i missionari e con i collaboratori laici, poi condiviso col vescovo e con la comunità dei fedeli, produce prima di tutto un cammino di fede. Ci accorgiamo che la condivisione è molto importante: si tratta di dare e ricevere, costruire la comunità dove tutti siamo discepoli di Gesù e impariamo gli uni dagli altri. La missione di Gesù non ha un solo centro geografico, ma da qualsiasi punto della terra partono missionari del Signore.

Ricordo ancora che all’approssimarsi dell’anno 2000 e gli anni successivi c’è stato il flagello dall’Aids e ci sono stati molti malati e decessi: il quel caso l’impegno e la solidarietà della gente delle diverse denominazioni religiose sono state di consolazione per tutta la popolazione. Visitavo le carceri e si è creato una catena di consolazione e d’incoraggiamento che includeva detenuti, carcerieri, noi cappellani e i familiari degli stessi detenuti. 

Abbiamo compreso che per vincere un male come l’Aids bisognava conoscerlo e combatterlo, non solo con le medicine, che sono arrivate molto tardi, ma anche con un nuovo modo di vivere, dove era importante fare delle scelte responsabili e soprattutto avere cura, amore e rispetto. Dietro a questo impegno c’erano tanti incontri, corsi, momenti di preghiera e ritiri oltre alla visita minuziosa e a tappeto fatta alle famiglie.  

Dopo 50 anni, è arrivato il momento di ringraziare il Signore per l’evangelizzazione svolta nella diocesi di Dundee: il vescovo ha creato cinque parrocchie composte da comunità cristiane mature con i loro rispettivi parroci nelle tre grandi townships, che fino poco a tempo fa sono state servite da una nostra equipe.  Il 17 ottobre scorso è stata  la data ufficiale della consegna al vescovo di Dundee dei frutti del ministero svolto nella sua diocesi.

Poi i nostri cammini si sono orientati verso la capitale Pretoria, le archidiocesi di Johannesburg e Durban, dove abbiamo aperto anche un seminario di Teologia, e la diocesi di Manzini (Eswatini) dove il vescovo è un missionario della Consolata, José Luis Ponce de León.

Come è capitato a Mosè che ha accompagnato il popolo d’Israele fino alle soglie della terra promessa e non è entrato, così è capitato a me che ho fatto tutti i preparativi per il cambio di guardia del 17 ottobre scorso, ma non ho potuto essere presente a causa del mio melanoma e della terapia che devo seguire. Ma in Italia ho trovato i miei fratelli e alcuni confratelli che hanno cura di me; per di più mi è stata data la possibilità di collaborare per il festival della missione che si sta preparando a celebrare il prossimo anno.

Questa è una  sintesi dell'intervento del padre Rocco nell'incontro al Monastero di San Benedetto, celebrato nell'ambito della preparazione al Festival della Missione del 2022

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Ultima modifica il Lunedì, 08 Novembre 2021 11:02

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