Una vita intessuta di missione

Una immagine della messa di funerale del padre Franco Gioda Una immagine della messa di funerale del padre Franco Gioda IMC
Pubblicato in I missionari dicono

È il sogno di ogni missionario, quello di morire nella terra di missione ed essere sepolto all'ombra del baobab, in mezzo al popolo che ha tanto amato.

Non è stata la sorte del p. Franco, né la nostra: quella di accompagnare in moltitudine il corpo di colui che ha servito la missione con un ardore eccezionale.

Tutta la vita di padre Franco è stata intessuta di missione: da quando lasciò il seminario diocesano di Torino, per essere missionario. 

Intessuti di missione furono gli anni trascorsi in Italia, per la formazione, l’animazione, la direzione. Ma molto più intensi furono quelli vissuti in Mozambico.

Prima nel Niassa, durante la lunga e dolorosa guerra civile. Quando tutti vivevano in allerta, per timore di imboscate o assalti, p. Franco non tralasciava di visitare le comunità dei cristiani nei villaggi lontani. In bicicletta o a piedi, su sentieri impervi, sole o pioggia, giornate e giornate di cammino per incontrare le piccole comunità, pregare, celebrare, dare coraggio e speranza: «Dio non vi abbandona, io sono qui nel suo nome». 

Più di una volta fu sorpreso da attacchi di guerriglieri, sparatorie e saccheggi. E i cristiani l’hanno nascosto affinché non lo scoprissero. E quando l’assalto era finito, tutti, cristiani e no, a salutarlo, e ringraziarlo: “Dio ci ha protetti dalla morte, perché tu eri qui con noi! Ma, padre, perché sei venuto fin qua?”. E lui: “sono qui per Lui!” ... alzando un crocifisso.

«Lui» è il perché della vita missionaria di p. Franco. In questi ultimi anni, superati i ’70, ma sentendosi ancora un giovanotto, ha fondato con altri due confratelli la missione di Fingoé, nella diocesi di Tete. Fingoé è il capoluogo di una regione vasta 30.000 Kmq, come Piemonte e Liguria insieme. Dal 1974 era rimasta senza nessuna presenza missionaria in assoluto. E p. Franco quotidianamente, prima in macchina, poi in moto, e poi a piedi, secondo le possibilità che le cosiddette strade permettevano, ha visitato i villaggi. Incontrando qualcuno, chiedeva: “amico, sai se qualcuno qui è cristiano?”. “Mi sembra che nella famiglia che vive in quella casa là, qualcuno sia cristiano, ma non sono sicuro, perché qui non abbiamo missionari… Anch’io ho studiato coi padri, ma tanti anni fa…”. E p. Franco: “Non ti piacerebbe incontrarti con altri e insieme conoscere Dio e Gesù?” … E così, iniziava con 4-5-10 persone. Passava poi in un altro villaggio, e un altro, e un altro…. Decine di villaggi che oggi sono piccole e grandi comunità cristiane nel grande territorio che forma la missione di Fingoé. 

Padre Franco credeva nell’importanza della «presenza» e, a costo di non avere un solo giorno di respiro, visitava continuamente tutte le comunità, anche le più piccole. Non spaventavano il “giovane” p. Franco i sentieri, le scarpate, le salite, la pioggia… Lui - Gesù - doveva essere conosciuto e amato da tutti.

Con orgoglio il padre Franco mostrava la mappa dei suoi villaggi. Non c’è ancora una carta geografica che li segnali, ma lui, li aveva tutti identificati, con nome, abitanti, distanze, catecumeni, cristiani… La mappa del tesoro... le sue comunità!

E l’altro caposaldo della sua missione era la formazione dei catechisti a cui dedicava tempo ed energie. Ecco allora il centro catechistico che ha fondato a Uncanha dove non bastava che i catechisti conoscessero la Bibbia, ma dovevano essere uomini e donne di Dio, capaci di testimoniare con la vita il Vangelo che predicavano e poi ardere di vero spirito missionario per andare a evangelizzare le comunità.

A Fingoé, p. Franco ha vissuto la missione «che aveva sempre sognato», come lui stesso ha detto, dove si è sentito ringiovanito potendo dare tutto se stesso per i fratelli in nome del Vangelo.

E quando è stato destinato alla città di Tete per dar vita alla nuova missione di San Paolo, ha accettato a malincuore, per obbedienza… la sua gente gli mancava… Ma quando si è reso conto che San Paolo non era solo la periferia della città, ma anche una grande regione tra i fiumi Zambesi e Luenha, che pochi missionari negli anni avevano visitato, si è animato e nuovi orizzonti a 80 anni gli si sono aperti. Con un gruppo di giovani e alcuni anziani/e, due volte alla settimana si è inoltrato in quella regione… lasciando l’auto da qualche parte, e poi camminando fino ad arrivare a un villaggio, e là chiedere: “amico, sai se…”.

22 nuove comunità sono sorte in questi ultimi due anni. Comunità che hanno già costruito le proprie cappelle, segno della presenza del Signore e della fede di un popolo umile e credente.  

Muore con lui, uno stile di missione. La missione che annuncia un Nome, un Mistero, un Senso, una Vita… il Signore Gesù. Lui, Colui che nobilita, affratella, rende le persone migliori.

Lui, accolga il suo missionario tra le sue braccia, e gli faccia vedere la bellezza del suo Volto.

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