25 anni dopo... un cammino di fede

Il padre Albino durante la celebrazione di un corso nelle Scuole di Perdona e Riconciliazione Il padre Albino durante la celebrazione di un corso nelle Scuole di Perdona e Riconciliazione Albino Brás
Pubblicato in I missionari dicono

Ottobre è il mese missionario ed è speciale per tutti coloro che si dedicano alla missione. Ma è ancora più speciale per Albino Brás, che il 20 ottobre festeggia le sue nozze d'argento sacerdotali. A 56 anni il missionario fa il punto di tutta la sua carriera. Un'intervista ricca di ricordi, emozione e felicità

Fatima Missionaria (FM) – Padre Albino Brás sei nato il 15 agosto 1965 nel comune di Alvaiázere, distretto di Leiria, ed entrato nel Seminario del Missionari della Consolata di Fatima il 6 ottobre 1979, all'età di 14 anni. Cosa c'era dietro questa decisione presa nella tua prima adolescenza?

Albino Bras (AB) – All'inizio, né le motivazioni né la decisione di entrare in seminario erano molto chiare. Dio stava risvegliando la mia vocazione attraverso segni e mediazioni. Si serviva, per esempio, di un missionario della Consolata che veniva nella mia scuola di Alvaiázere per parlare delle missioni e della sua esperienza missionaria. Era nella classe di Religione e Morale. In un modulo che ci ha dato c'era un elenco di professioni o possibili percorsi futuri di successo, come insegnante, medico, avvocato, vigile del fuoco e, tra questi, c'era anche quello di essere un missionario. Senza molta convinzione, lo confesso, ma molto commosso dalle parole e dalle immagini che il sacerdote mostrava delle missioni in Africa, ho posto la croce in quella casella. Non ricordo bene, ma forse era maggio 1979. Ad agosto ho fatto uno stage di una settimana al seminario della Consolata di Fatima, questa settimana si è conclusa con un colloquio con uno dei sacerdoti. Nell'ottobre dello stesso anno entrai in seminario. Fu l'inizio di un lungo cammino.

FM – Hai studiato Filosofia e laureato in Teologia a Madrid, hai svolto un tirocinio pastorale di due anni a San Paolo, e hai difeso con lode la tua tesi di Master nell'area della teologia Morale, Etica e Bioetica, che ha poi dato origine a una pubblicazione. In che modo tutto questo ha influito sul tuo lavoro missionario?

AB – La formazione di un sacerdote è lunga. Ma la vita e la missione del sacerdote richiedono un'ampia gamma di conoscenze ed esperienze. Io ho seguito i normali passi previsti dal processo formativo della famiglia della Consolata nella quale ho voluto consacrarmi. Per quanto riguarda gli studi accademici, mi è piaciuta particolarmente la tappa di Madrid. Ho preso molto sul serio questi anni di studio e ricordo che il professore che ha seguito la mia tesi, Javier Gafo, era molto orgoglioso di me, perché avevo preso il massimo dei voti nella discussione della mia tesi. Mi ha persino fatto la proposta di rimanere come professore in una delle università dei gesuiti. Siccome la Direzione Generale della Consolata mi avevano già destinato a lavorare in Brasile mi ha proposto di fare l'insegnante a Belo Horizonte, dove c'era un posto vacante.

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Celebrazione dell'Eucaristia il giorno dell'ordinazione

FM – Padre Albino, sei stato ordinato sacerdote il 20 ottobre 1996 da João Alves, allora vescovo di Coimbra, in un anno segnato dalla morte del padre e del fratello. Come ricordi quel giorno oggi, in un anno così forte dal punto di vista emotivo per te e la tua famiglia?

AB  – È stato molto difficile. Mia madre era morta tre anni prima e mio padre e mio fratello erano morti entrambi nell'anno della mia ordinazione. Ricordo che una domanda continuava a ripetersi nella mia testa: "Perché?" Ho anche avuto la tentazione di abbandonare tutto ma alla fine sentivo, più che mai, di non poter contare esclusivamente sulle mie forze: Dio ha messo a prova la mia fede, ma non ho ceduto. Resilienza, questa capacità di superare situazioni avverse, era la parola d'ordine. Mi sono aggrappato ancora di più al mio desiderio di essere sacerdote. Nel giorno della mia ordinazione sacerdotale, tutto è stato sentito, profondo e vissuto: i miei famigliari defunti erano forse più presenti dei presenti... presenti in altro modo. E allora, 25 anni dopo, sono qui rafforzato dalla fede e dal ricordo grato di coloro che non ci sono più.

FM - Sei stato in missione nelle favelas di Rio de Janeiro dal 17 maggio 1997 al 14 gennaio 2005. Può raccontarci uno degli episodi missionari più notevoli che hai vissuto in questo periodo?

AB – È difficile sceglierne uno. Il lavoro pastorale nella parte nord di Rio de Janeiro, nella baraccopoli dove si trovavano le sette comunità della parrocchia della Consolata che mi ha accolto, e di cui sono stato poi parroco, è stato piuttosto impegnativo. Ordinato da poco, lì ho vissuto il meglio del mio ministero sacerdotale e della mia vita missionaria. Oggi ho ancora un bel ricordo di quei tempi e sono molto grato a tutti coloro che mi hanno aiutato a muovere i primi passi nel ministero ed essere attento alle chiamate e ai bisogni pastorali di quelle comunità. Scelgo un episodio molto positivo: nelle prime riunioni di consiglio e nelle assemblee parrocchiali, ho notato che c'erano forti divisioni nella comunità, con gruppi che si fronteggiavano per vari motivi. Ho iniziato a promuovere due ritiri annuali obbligatori per tutti gli operatori pastorali e abbiamo trovato la pace. La comunità è maturata molto, il che mi ha portato a comprendere l'importanza della spiritualità come cemento per formare comunità di fede e di vita. Un episodio negativo è stato quando qualcuno dello IURD, una setta presente anche in Portogallo, e che non accetta la venerazione delle immagini, soprattutto di Maria, ha fatto irruzione nella parrocchia e fatto a pezzi l’immagine della madonna della Consolata, patrona della parrocchia. Ha fatto arrabbiare l'intera comunità e mi ha fatto pensare alle disastrose conseguenze dell'intolleranza religiosa. Potrei raccontarvi tanti altri episodi piacevoli e spiacevoli ma mi sono convinto che è quando si vivono situazioni di tensione che la Chiesa deve essere presente, anche correndo dei rischi, per annunciare il suo messaggio di pace e di rispetto reciproco. La Chiesa deve essere sempre fedele alla missione che ha ricevuto. che mi ha portato a realizzare l'importanza della spiritualità come cemento per formare comunità di fede e di vita. Un episodio negativo è stato quando qualcuno dello IURD, una setta presente anche in Portogallo, e che non accetta la venerazione delle immagini, soprattutto di Maria, ha fatto irruzione nella parrocchia e ha mandato a terra l'immagine della Madonna della Consolata, lasciando il patrona della parrocchia a pezzi. Ha fatto arrabbiare l'intera comunità e mi ha fatto pensare alle disastrose conseguenze dell'intolleranza religiosa. Ma potrei raccontarvi tanti altri episodi piacevoli e spiacevoli. Credo che sia nelle situazioni di tensione che la Chiesa ha bisogno di essere presente, anche correndo dei rischi per cercare di annunciare il suo messaggio di pace e di rispetto reciproco. La Chiesa deve essere sempre fedele alla missione che ha ricevuto. che mi ha portato a realizzare l'importanza della spiritualità come cemento per formare comunità di fede e di vita. Un episodio negativo è stato quando qualcuno dello IURD, una setta presente anche in Portogallo, e che non accetta la venerazione delle immagini, soprattutto di Maria, ha fatto irruzione nella parrocchia e ha mandato a terra l'immagine della Madonna della Consolata, lasciando il patrona della parrocchia a pezzi. Ha fatto arrabbiare l'intera comunità e mi ha fatto pensare alle disastrose conseguenze dell'intolleranza religiosa. Ma potrei raccontarvi tanti altri episodi piacevoli e spiacevoli. Credo che sia nelle situazioni di tensione che la Chiesa ha bisogno di essere presente, anche correndo dei rischi per cercare di annunciare il suo messaggio di pace e di rispetto reciproco. La Chiesa deve essere sempre fedele alla missione che ha ricevuto.

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Alla Giornata Mondiale della Gioventù. Madrid 2011

FM – Dal 2005 al 2012 ti sei occupato di animazione missionaria e hai accompagnato i gruppi giovanili di Fatima. Quali parole di speranza e di incoraggiamento vorresti lasciare ai giovani di oggi, specialmente a quelli che si sentono attratti dalla missione?

AB – I giovani di oggi sono certamente molto diversi dalla generazione di quel ragazzo che è entrato in seminario tanti anni fa e che adesso ti parla. Loro sono cresciuti in un contesto di consumi e benessere estremamente elevati che rende difficile la maturazione di altre abitudini; hanno sviluppato altre abilità e sensibilità; possono contare con nuovi strumenti per affrontare il mondo che li circonda. In loro ammiro la sensibilità ecologica, l’impegno per la tutela dell'ambiente, lo spirito generoso… ma noto anche una diffusa indifferenza alle questioni della fede e dell'impegno cristiano. Ho l'impressione che ai giovani di oggi piaccia partecipare ad eventi ed attività, ma poi fuggono all'idea di impegnarsi in un processo, una maturazione, un progetto che esige continuità, sacrificio e solidità

Per questo dico a loro che vale la pena impegnare la vita per ciò che rende veramente felici. non abbiate paura: fra queste cose c’è anche la possibilità di un servizio a Dio e alla Chiesa come missionario della Consolata per tutta la vita!

FM – Sei stato in missione nel quartiere di Zambujal, ad Amadora.  Quali sono le maggiori difficoltà che hai trovato?

AB – Ho trascorso quattro anni nel distretto di Zambujal. Ci sono stato nel settembre 2012 con altri due confratelli. In quel quartiere abbiamo inaugurato la prima comunità residente dei Missionari della Consolata. La sfida più grande che ho incontrato lì è stata quella della multietnicità: del dialogo e del lavoro pastorale impegnato, e non sempre facile, tra popoli diversi, di origine africana, zingara e altri. Mi è piaciuta molto la comunità che si stava formando: abbiamo creato il “centro di consolazione e vita” come modo di vivere e celebrare la fede e la vita, alla luce del carisma ereditato da Giuseppe Allamano e dalla Consolata. Le strutture, piccole e familiari, hanno contribuito a creare quello spirito. Da lì, alla fine del 2016, sono partito con un certo di dispiacere, su richiesta del mio superiore regionale di allora, per incaricarmi della direzione di “Fátima Missionária” e la comunicazione digitale della comunità.

FM – Padre Albino sei il coordinatore di ESPERE (Scuole di Perdono e Riconciliazione) in Portogallo. Come è attualmente lo sviluppo di questo progetto?

AB – Abbiamo già fatto otto corsi ESPERE, e tutti con ottimi risultati. Con la pandemia anche il progetto ESPERE è entrato in una sorta di letargo. I corsi ESPERE si fanno in presenza e non abbiamo una metodologia pensata per l'ambiente digitale. Anche l'équipe si è dispersa, ma credo che, una volta soddisfatte le condizioni necessarie, si possa riprendere al più presto questo progetto che dà un grande contributo alla Chiesa e alla nostra società. Molte persone chiedono di frequentare il corso, più che mai necessario in questi giorni. Papa Francesco diceva e ripeteva che il perdono è fonte di gioia, di salute. Chi non perdona si ammala fisicamente e mentalmente. È ormai noto che le persone che non perdonano hanno maggiori probabilità di ammalarsi. Nutrire rancore e risentimenti lascia segni sui nostri corpi. E noi vogliamo essere persone sane! Non vogliamo entrare nel circolo vizioso della violenza. Recentemente, la rivista "Time" ha persino suggerito che il perdono diventi "virale", chiedendo, in un articolo di Andrew Serazin, che il perdono emerga come un potente strumento per affrontare la vita quotidiana in un momento in cui le tensioni e le politiche relazionate con la pandemia hanno avuto un impatto importante sulla salute mentale delle persone. Devo anche dire che sono stato invitato a far parte di un movimento internazionale che è SAPERE (Sacerdoti per il perdono e la riconciliazione) che vuole aiutare a far emergere il perdono come un potente strumento per affrontare i problemi della vita quotidiana. 

FM – Qual è il lavoro missionario che svolgi oggi a Lisbona?

AB – Immediatamente prima della pandemia, ho lasciato la direzione della rivista “Fátima Missionária”, ma ho continuato come collaboratore. Sono nella comunità dei Missionari della Consolata a Olivais, Lisbona, dove mi è stato affidato l'incarico di superiore della comunità. Con sei membri, questa comunità è anche la casa di riferimento della Consolata in Portogallo. Di qui passano i missionari che vanno o tornano dalle missioni e che spesso hanno bisogno di cure mediche, o semplicemente di riposarsi, ricaricare le batterie, studiare. Abbiamo alcune cappellanie dove celebriamo quotidianamente l'Eucaristia, collaboriamo con alcune parrocchie intorno a noi, ci impegniamo nelle confessioni, accogliamo e accompagniamo alcuni gruppi nella nostra casa. Continuerò invece a promuovere e gestire i corsi ESPERE e a produrre contenuti per le piattaforme digitali ufficiali della Consolata in Portogallo.

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Con un gruppo di bambini a Rio de Janeiro

FM – Come valuti i tuoi25 anni di ordinazione sacerdotale?

AB – Rivedendo questo cammino di 25 anni di sacerdozio, devo dire che il tempo è passato molto velocemente e che molte delle convinzioni, ma anche delle ansie e dei dubbi che avevo all'inizio, continuano a manifestarsi seppure in modo diverso. Mi sembra che sia un normale processo storico: il "sì" del principio bisogna ridirlo ogni giorno. Non smetto mai di chiedermi: “che significa essere missionario ed evangelizzare oggi?”. In questi ultimi 25 anni, la prospettiva di cosa sia la missione è molto cambiata: ora è meno geografica e più cuore a cuore; poi è diventata anche digitale. È una missione non più solo fatta di progetti ma anche di cause: giustizia e pace, rifugiati, traffico di esseri umani, difesa e promozione dei diritti umani, per incoraggiare una nuova speranza nel mondo.
Il messaggio di Papa Francesco per la Giornata Missionaria Mondiale 2021 ha come titolo un testo del libro degli Atti degli Apostoli: «Non possiamo non affermare ciò che abbiamo visto e udito». Gesù è ancora vivo e deve essere annunciato. Sento che più di 2000 anni dopo, la proposta e il messaggio di Gesù continuano ad avere un senso perfetto, ad affascinare generazioni. Mi sono anche innamorato ma ho la sensazione che Dio accoglie e perdona le mie fragilità e umane imperfezioni. 
In questo Anno Giubilare, chiedo l'aiuto di Maria Consolata e del Beato Giuseppe Allamano, fondatore del Missionari della Consolata. Lui ha detto che la missione deve essere nella testa, nella bocca e nel cuore. Io credo che sia anche nei  piedi e nelle ginocchia perché, così come io lo sento, la preghiera è quella che porta ossigeno alla vita del cristiano, del discepolo missionario. Edith Stein diceva e penso siano parole ancora molto attuali “Non so dove mi porta Dio, ma so che mi conduce”. Tutto è grazia, tutto è dono.

Ultima modifica il Lunedì, 11 Ottobre 2021 09:37
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