Per quest’anno proviamo a cambiare la prospettiva, e anziché fare gli auguri, essere auguri, farsi augurio per gli altri, non chiedendo cosa l’anno nuovo possa donare, ma impegnandosi a portare qualcosa per renderlo più bello, più umano, come insegna il Nuovo Testamento, per il quale la felicità non è un’utopia, una chimera sempre rincorsa e mai raggiunta, ma una possibilità concreta alla portata di tutti. Infatti, la felicità, per Gesù, non consiste in quel che si riceve, ma in quel che si è capaci di donare: “Si è più beati nel dare che nel ricevere” (At 20,35).
Se la felicità dipende da quel che si riceve, si rischia di consumare l’esistenza sempre amareggiati, perché gli altri non hanno saputo rispondere ai bisogni, ai desideri per i quali si è atteso invano una risposta. Ma se la felicità consiste invece in quel che si dona, questa può essere possibile, immediata e piena; anzi, più si dà e più si è felici, perché il Padre non si lascia vincere in generosità, e regala vita a chi dona amore: “Con la misura con la quale misurate sarà misurato a voi; anzi, vi sarà dato di più”, (Mc 4,24; Lc 12,31).
Essere un augurio per gli altri significa fare della generosità il distintivo che rende riconoscibili. Chi è capace di offrire che quel che è e ciò che ha, in maniera abituale, possiede la vita in pienezza, e per questo ne può fare dono. Come il Cristo risuscitato, che ogni volta che si manifesta ai suoi discepoli dice loro: “Pace a voi!” (Gv 20,19.21.26). Il suo non è un augurio “La pace sia con voi”, ma un dono. La pace può essere un dono solo quando è espressione di tutta la vita della persona, altrimenti è solo un suono: “Ognuno parla di pace con il prossimo, ma nell’intimo gli ordisce un tranello”, (Ger 9,8). Chi dona pace non solo comunica gioia, ma arricchisce la propria: “Perché la nostra gioia sia perfetta”, (1 Gv 1,4).
La pace, l’ebraico shalom, nel mondo semitico ha un significato molto più ampio, infatti include tutto quel che di buono e bello rende appagata la persona, dalla pienezza di salute all’amore, dal lavoro al benessere: la felicità. Per questo in quella cultura il saluto augurale non era (e non è) mai espresso solo verbalmente, ma sempre accompagnato da un dono, che può essere un dolce, una bevanda, un frutto, per contribuire alla felicità e alla gioia di chi riceve il saluto. Per questo quando Gesù dona pace, regala felicità, e quel che aveva promesso non rimane un augurio, ma diventa realtà, affinché “la vostra gioia sia piena” (Gv 15,11; 16,24). I Vangeli invitano a essere portatori di questa pace: “In qualunque casa entriate, prima di tutto dite: ‘Pace a questa casa”, (Lc 10,5) affinché questa raggiunga tutti gli uomini: “E sulla terra pace agli uomini, che egli ama” (Lc 2,14).
In questo nuovo anno, proviamo ad essere auguri per gli altri!
Coraggio e avanti in Domino!