Avremmo dovuto incontrarci ai piedi dei boschi colorati d’autunno in Certosa o a Bravetta o nei luoghi del Fondatore e invece ci siamo visti in rete, attraverso una delle tante piattaforme che in questo periodo così particolare rompono il muro dell’isolamento. Noi giovani Missionari della Consolata (giovani si fa per dire, comunque con non troppi anni di ordinazione alle spalle) periodicamente ci troviamo per rinsaldare l’amicizia, per condividere gioie e difficoltà del cammino missionario e per gettare insieme qualche linea progettuale per il futuro.
La direzione generale, nella persona di p Antonio Rovelli, la direzione della Regione Europa e la commissione ad gentes hanno organizzato per oggi, 25 novembre e per domani, una due giorni alternativa in cui porci in ascolto di noi stessi e della realtà giovanile alla quale ci dirigiamo in maniera particolare. P Antonio ci ha condotti per le strade della Parola, in compagnia dei discepoli che, spaventati dalle onde del lago su cui navigano, chiedono a Gesù: “Signore non ti importa che andiamo a fondo?” e di quei due che diretti ad Emmaus hanno la fortuna e la gioia di incontrare un viandante che sa aprire come nessun altro il loro cuore alle Scritture. Anche in noi e nella gente che accompagniamo a volte sorge la domanda: “Signore, dove sei? Non t’importa che il mondo stia soffrendo così tanto? Non fai nulla?”.
I sentimenti che più facilmente riscontriamo sono la paura e, a volte, la rabbia. Paura di venir contagiati, ma soprattutto di esser causa di contagio per altri, rabbia per una situazione paradossale in cui anche l’amico più caro può venir guardato con sospetto come possibile “inconsapevole asintomatico contagioso”. Accanto a questi sentimenti, però, per fortuna non manca la passione missionaria che spinge ognuno di noi a dar fondo alle sue risorse creative per esser vicini alle persone, per non restarsene con le mani in mano, ma per trovare un modo, con l’ausilio della tecnologia e della fantasia, per essere disponibili all’ascolto, alla consolazione, allo sguardo di speranza verso il futuro.
Ci ha colpito la testimonianza di uno di noi che, a causa di una malattia, sta perdendo quasi completamente la vista. Invece di perdersi di coraggio, questo nostro confratello ha saputo farsi aiutare dalla sua comunità per trasformare un dolore grande in fonte di benedizione per gli altri. Non può leggere, fatica persino a celebrare messa, ma ascoltare … quello sì. Quanto bisogno di ascolto c’è nelle persone in questo periodo, bisogno di poter esprimere la propria rabbia e paura, bisogno di una parola amica o anche solo di un silenzio che faccia sentire accolti e compresi. Così la nostra missione diventa forse meno un “fare” mille cose e più uno “stare” con le persone, gravita meno attorno ai nostri obiettivi pastorali e s’immerge di più nelle necessità, nei bisogni e nei sogni delle persone.
Forse dovremmo trovarci più spesso, senza dimenticare la bellezza insostituibile dell’incontro dal vivo, con uno stare insieme fatto di risate, di preghiera di riflessione, ma senza disdegnare le possibilità offerte dalla rete, per vivere queste stesse esperienze. Condividere i passi che ognuno di noi è riuscito a fare per avvicinarsi alle persone senza scottarsi, pensare a come questo tempo strano ci spinga a cambiare il nostro modo di fare missione è una necessità non trascurabile, se desideriamo che quella bella notizia proclamata duemila anni fa, faccia ancora del bene agli uomini e alle donne di oggi.