Messaggio per il Primo Maggio, Festa di San Giuseppe! (IT-EN-ES-PT)

Pubblicato in I missionari dicono

Lettera ai Fratelli IMC

UN TESORO PER TUTTO L’ISTITUTO

 

«Avete fatto bene ad inaugurare questa festa di S. Giuseppe come quella particolare dei coadiutori. Non c’è esempio migliore di S. Giuseppe. Egli è il nostro maestro… Questo vi deve insegnare ad amare il lavoro, a fare bene il vostro lavoro, a corrispondere alla vostra vocazione… Dovete pensare che siete missionari e dovete avere un santo orgoglio di appartenere alla classe di S. Giuseppe». (G. Allamano. Conf. III, 563)

«Ci mette in moto l’esempio di tanti sacerdoti, religiose, religiosi e laici che si dedicano ad annunciare e servire con grande fedeltà, molte volte rischiando la vita e certamente a prezzo della loro comodità. La loro testimonianza ci ricorda che la Chiesa non ha bisogno di tanti burocrati e funzionari, ma di missionari appassionati, divorati dall’entusiasmo di comunicare la vera vita. I santi sorprendono, spiazzano, perché la loro vita ci chiama a uscire dalla mediocrità tranquilla e anestetizzante». (Papa Francesco, Gaudete et exsultate, 138)

Carissimi “Fratelli missionari”,
in occasione di questo Primo Maggio, in cui ricordiamo la bella e cara figura di S. Giuseppe, vostro speciale Patrono, il mio pensiero corre a ciascuno di voi e vorrebbe essere pieno di quell’affetto particolare con cui il nostro Fondatore vi guardava, considerandovi i “suoi beniamini”: uno sguardo di ammirazione per la vostra vocazione di consacrati missionari e di profonda gratitudine per l’esemplarità del vostro stile di lavoro. Lui li considerava “indispensabili nelle missioni”, ritenendoli veri apostoli, veri missionari, superando addirittura gli stessi sacerdoti: «Avete ricevuto la vocazione missionaria, o sacerdote o coadiutore... Se non posso essere sacerdote, sarò coadiutore, ma sempre missionario. Anche solo un coadiutore missionario in Paradiso sarà sopra gli altri sacerdoti». Quindi: «Guai se uno dicesse: oh, sei solo un Coadiutore!». Per questo, la storia del nostro Istituto si è snodata nel tempo con l’intreccio di lavoro, sapiente e fraterno, non solo dei missionari sacerdoti, ma anche quello dei “Fratelli” che, pur essendo sempre stati in numero limitato, hanno dato alla nostra Famiglia missionaria la fisionomia che la caratterizza nella Chiesa e tra i popoli a cui annunciamo il Vangelo. È perciò inimmaginabile pensare al nostro Istituto, ai Missionari della Consolata, senza i Fratelli.

Il Capitolo, che abbiamo celebrato poco più di un anno fa e che stiamo cercando di rendere operativo negli incontri continentali, ce lo ricorda ancora con chiarezza: «Sin dalla sua fondazione il nostro Istituto è costituito da presbiteri e fratelli, religiosi missionari che vivono e lavorano assieme. Nello spirito di rivitalizzazione e ristrutturazione e nel rispetto della nostra storia, il XIII Capitolo Generale ribadisce la validità di quanto affermato sulla vocazione del Fratello nei due Capitoli precedenti… Si valorizzi la presenza dei Fratelli nelle nostre missioni e la loro testimonianza come un tesoro per tutto l’Istituto. A questo riguardo si incoraggiano i Fratelli a vivere la vita religiosa con amore e gioia» (nn. 20.22).

Un tesoro per tutto l’Istituto Mi hanno colpito molto queste parole dette al riguardo dei Fratelli; dunque la loro presenza, identità e lavoro non sono una realtà opinabile, una moda passeggera, una scelta più o meno conveniente, ma costituiscono il nostro “modo perenne” di essere Missionari della Consolata, figli dell’Allamano, portatori di consolazione ai poveri e agli afflitti di questo nostro mondo. Perciò voi, Fratelli, siete nell’Istituto i testimoni, la memoria vivente del valore della consacrazione religiosa e di una vita spesa senza misura, definitivamente e totalmente, per Dio e per la Missione. E ce lo ricordate, nonostante si parli forse poco di voi, o il nostro linguaggio è ancora troppo “clericale” (cfr. Atti del Capitolo, n. 22) o il numero di coloro che scelgono di essere missionari-fratelli diminuisce sempre più.

Un tesoro per tutto l’Istituto perché il Fondatore e la storia dei primi Fratelli mostrano, senza ombra di dubbio, che la loro piena realizzazione ha il suo segreto nella santità di vita e nel servizio generoso (spesso eroico) alla Missione, ovunque e sempre: all’inizio del lavoro missionario, quando si è ancora pieni di entusiasmo e generosità, ma anche quando la vita diventa dura, la missione esigente, i ruoli meno chiari e le forze diminuiscono… nella fedeltà quotidiana e nell’esempio di una vita tutta dedicata al Signore e agli altri.

È questa la preziosa testimonianza data da molti nostri Fratelli, che rimangono esempio luminosi della  storia IMC. Accenniamo a quelli più noti: Michele Mauro, che passa quasi tutti i suoi cinquanta anni di missione in un laboratorio di falegnameria, “convertendo con l'esempio”; Ernesto Pagliarino, che aveva fatto del suo garage “un campo di apostolato”; Guerrino Simion, Luigi Rubinetto, Guido Grosso e molti altri, straordinariamente amati dagli africani, che hanno educato al cristianesimo con i piccoli gesti quotidiani e la loro sconfinata generosità; e fratel Marino De Cesari che, sul letto di morte, tra gli sbocchi di un’emorragia inarrestabile, sussurra: «Questo sangue che non ho potuto versare per il Signore, glielo do così, adesso, in  questa maniera»…

Ma, senza andare troppo lontani nel tempo, proprio recentemente, due nostri Fratelli hanno concluso la loro avventura missionaria, lasciando dietro di sé “il profumo dell’amore di Dio”: fratel Aldo Allemandi (morto il 3 marzo) e fratel Paolo Ferrari (19 marzo). Li abbiamo conosciuti, abbiamo sperimentato la loro gioia di essere missionari nel silenzio operoso, senza tante parole, sino alla fine. Di fratel Paolo (con cui ho vissuto anni belli in Zaire-Congo) vorrei ricordare ciò che scriveva al superiore generale, in occasione del 25° della sua professione religiosa: «Personalmente non so cosa potrei desiderare di più, anche se qualche momento di piccola difficoltà lo registro anch’io. Ma non c’è da paragonare con la gioia e le soddisfazioni che ho e questo mi mette un po’ in allarme».  Infatti, ciò che lo preoccupa non è la situazione, le difficoltà del lavoro, ma «la capacità di vivere giorno per giorno sempre più generosamente la mia ‘consacrazione’ alla causa del Regno, nella fedeltà allo spirito che, tramite l’Allamano, ha voluto caratterizzi la nostra Famiglia Consolatina».

Un tesoro per tutto l’IstitutoNon è soltanto l’appellativo con cui li chiamiamo a ricordarcelo, ma perché, «guardando alla testimonianza lasciata da molti Fratelli, si constata che nelle comunità e più ancora nella vita laboriosa e spesso dura delle missioni, sono essi che tengono alto il senso di comunione. Lo stile semplice e la concretezza, la “beatitudine di essere secondo”, il buon senso li rendono capaci di sdrammatizzare problemi e situazioni, di semplificare le questioni e le discussioni. Lo sanno fare spesso con arguzia, allegria e ottimismo, che ristabiliscono serenità e pace» (p. G. Inverardi).

Forse per il loro numero non troppo consistente, o per lo stile della loro vita missionaria, nei nostri Fratelli si realizza quello che papa Francesco ci suggerisce nella sua recente Esortazione apostolica sulla santità:

«Lasciamoci stimolare dai segni di santità che il Signore ci presenta attraverso i più umili membri di quel popolo che partecipa pure dell’ufficio profetico di Cristo, col diffondere dovunque la viva testimonianza di Lui, soprattutto per mezzo di una vita di fede e di carità…

Ricordiamo come Gesù invitava i suoi discepoli a fare attenzione ai particolari: il piccolo particolare che si stava esaurendo il vino in una festa; il piccolo particolare che mancava una pecora; il piccolo particolare della vedova che offrì le sue due monetine… il piccolo particolare di avere un focherello pronto e del pesce sulla griglia mentre aspettava i discepoli all’alba…

La comunità che custodisce i piccoli particolari dell’amore, dove i membri si prendono cura gli uni degli altri e costituiscono uno spazio aperto ed evangelizzatore, è luogo della presenza del Risorto che la va santificando secondo il progetto del Padre.

A volte, per un dono dell’amore del Signore, in mezzo a questi piccoli particolari ci vengono regalate consolanti esperienze di Dio». (Gaudete et exsultate, 8. 144-145).

Cari Fratelli missionari, è con queste parole di papa Francesco che mi piace concludere la mia “lettera di auguri” nel giorno della vostra festa. E anche se ci preoccupa la diminuzione numerica Delle vocazioni a fratello; se ci rattrista la paura che può sorgere di fronte a una vocazione difficile quale la vostra; se non sempre riusciamo a scorgere i cammini nuovi della Missione che il Signore ci suggerisce… la nostra Famiglia missionaria vuole guardare a voi come “ai piccoli particolari”, “agli umili segni di santità” non sbandierata, attraverso cui “ci vengono regalate consolanti esperienze di Dio”.

In questo crediamo con tutto il cuore e per questo preghiamo.

Con il mio saluto e i miei auguri più fraterni a tutti e ad ognuno: coraggio e avanti in Domino!

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Ultima modifica il Domenica, 29 Aprile 2018 23:18

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