Amazonia: nuovi cammini per la Chiesa e per una ecologia integrale, intervista a Mons. Joaquín Pinzón, IMC

Pubblicato in I missionari dicono

Mons Joaquín Humberto Pinzón Güiza, missionario della Consolata e vescovo di Puerto Leguízamo - Solano in Colombia, membro del consiglio di preparazione del Sinodo per l’Amazzonia ha condiviso con noi i punti centrali del lavoro che hanno fatto ai lavori pre-sinodali e saranno la base per i Lineamenta del Sinodo.

Mons. Joaquín, quali i punti centrali che avete toccato nel raduno del Consiglio pre-sinodale?

In questo raduno si è chiarito quale l’obiettivo del prossimo Sinodo pan-amazzonico. Ossia, “Amazonia: nuovi cammini per la Chiesa e per una ecologia integrale”. Questo obiettivo fu rafforzato dal fatto che da quando è iniziato tutto il processo si ha avuto chiaro che dobbiamo cercare cammini nuovi e che la Chiesa è anche per la proposta di una ecologia integrale. Il Documento Preparatorio porterà ai Lineamenta e ha avuto come base i tre aspetti fondamentali del metodo vedere - discernere - attuare.

La prima parte riguardante il vedere ha come titolo “Identità e clamore della Pan-Amazzonia”. In essa si fa un’analisi di tutte le cose che in questo momento rappresentano dei problemi e ciò che mette in rischio ciò che c’è in Amazzonia. È una sintesi sulla problematica di due situazioni che hanno e continuano a pregiudicare l’Amazzonia: la mentalità estrattiva di coloro che arrivano, dei governi e di tutte le persone che passano per l’Amazzonia e sentono che è terra di nessuno e si credono di avere l’autorità di prendere tutto ciò che c’è li. Questo ha fatto tanto male e continua a fare del male. L’altro aspetto è la deforestazione. Si taglia tanta foresta e sparisce non solo la selva, ma anche tutte le specie che dipendono dell’ecosistema amazzonico. In questa parte si fa tutto uno studio della situazione, dei problemi, delle politiche che non rispondono alla vera realtà dell’Amazzonia. Poi ancora su questo vedere c’è anche la proposta alle Conferenze Episcopali, ai gruppi, alle giurisdizioni ecclesiastiche ed altre persone di continuare ad approfondire la realtà concreta dell’Amazzonia oggi. Questo vedere non ha solo voluto fare una descrizione della realtà, ma anche proporre degli elementi che spingano ad una ulteriore riflessione.

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Il secondo momento del documento, che riguarda il discernere, si intitola: “Verso una conversione pastorale ed ecologica”. Una prima parte contiene una illuminazione biblica e teologica riguardo alla creazione. Di seguito viene una illuminazione dal punto di vista sociale. Quindi una parte che riguarda l’ecologia e ancora una parte che riguarda la dimensione ecclesiale-missionaria. È interessante che il documento contempli la dimensione missionaria come qualcosa molto importante nel cammino che porta avanti e deve continuare a fare l’Amazzonia. Questo per noi missionari è importante poiché ci stiamo vivendo.

Un terzo momento, corrispondente ad una terza parte del documento, che riguarda l’agire e si intitola: “Nuovi cammini per una Chiesa con volto amazzonico”. L’intuizione che ha Papa Francesco e che cerca di infondere soprattutto nel cuore delle Chiese dell’Amazzonia è certamente molto interessante. Mi fa piacere sentire queste cose perché noi Missionari della Consolata da anni che parliamo di come costruir una Chiesa con volto amazzonico. In questo senso ricordo il piano pastorale del Vicariato che ha propio come fine arrivare ad una Chiesa con volto e cuore amazzonico. Noi Missionari della Consolata nell’Amazzonia siamo in sintonia con la ricerca e riflessione che si sta facendo in questi ultimi tempi.

Nel cercare nuovi cammini per una Chiesa con volto amazzonico il documento presenta una prima parte che cerca di delineare il volto che si cerca e si dovrebbe cercare. Poi si parla di una dimensione profetica proponendo come dovrebbe essere la presenza della Chiesa, dei missionari in Amazzonia. Quindi la dimensione ministeriale, ossia, quali sono i ministeri pertinenti all’Amazzonia. Non si può perdere di vista che l’Amazzonia è costituita da grandi territori, con delle persone sparse in tanti posti. Questo richiede una risposta diversa. Ci sono anche i nuovi ministeri da pensare per l’Amazzonia e come valorizzare anche il lavoro della donna, Infatti, sono quasi tutte donne chi porta avanti o la catechesi o l’animazione delle comunità e tanti altri servizi e ministeri. Quindi come valorizzare e rafforzare la sua presenza e includere il loro lavoro in ciò che riguarda la ministerialità.

Papa Francesco ha voluto essere presente a questi lavori preparativi. Come avete sentito la sua presenza?

Vorrei mettere in rilievo tre atteggiamenti che ho visto nella sua presenza in mezzo a noi. Il primo di vicinanza ai vescovi dell’Amazzonia, nel salutare, nel domandare. Ha fatto sentire la sua vicinanza, non solo ai vescovi, ma anche agli esperti che sono venuti, ai laici e c’era anche un sacerdote indio, una suora… Ci ha fatto sentire a casa. Infatti, alla fine fu ciò che abbiamo riferito a Lui. Ci siamo sentiti accolti, ci siamo sentiti ad aggio. Il secondo, lui ha messo a prova la sua capacità di ascolto. Ha ascoltato quasi tutto il tempo. Ha parlato poco. Ha detto “che è il momento per ascoltare l’Amazzonia, tramite i pastori dell’Amazzonia e coloro che vengono dall’Amazzonia”. Un atteggiamento di profondo ascolto. Un terzo atteggiamento che Lui alla fine ha anche riferito, il rispetto. Ci ha detto “Io non sono qui per controllare, non sono qui per condizionare la riflessione, io sono qui per ascoltare e per animare voi.” Questi sono tre atteggiamenti bellissimi e anche missionari: vicinanza, ascolto e rispetto. E penso che ci ha aiutato bastante poiché nessuno si è sentito coartato nel parlare né nel fare le proposte che doveva fare, ma tutti abbiamo contribuito dalla nostra esperienza e da ciò che abbiamo sentito, da ciò che stiamo vivendo. Alla fine, lui stesso ha ratificato che la sua presenza non era altro che ascolto ed animazione. Poi ci ha detto che si è sentito molto bene a lavorare con questo gruppo piccolo, non era infatti così grande. Un gruppo con molta sintonia tra tutti attorno al tema che ci occupava e a tutte le cose che dovevamo approfondire.

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Come stanno sentendo il sinodo i nostri missionari che vivono in Amazzonia? Cosa rappresenta per loro questo sinodo?

Innanzi tutto, sono molto contento di partecipare a questa equipe della commissione di preparazione del Sinodo. E lo faccio non soltanto perché mi dà piacere personale, ma per me è molto importante e non sono solo io, sono i missionari della Consolata che da quando sono arrivati alla Colombia o al Brasile soprattutto, hanno intuito che nell’Amazzonia c’era uno spazio, un contesto per vivere la nostra missione e il nostro carisma. Penso che adesso la nostra partecipazione alla riflessione e il vivere tutte queste cose con gioia è qualcosa che abbiamo ereditato dai nostri antenati, come Gaetano Mazzolenni, ho parlato con Lino Tagliani, ho parlato con tanti altri e senza ricordare coloro che hanno lavorato in Brasile per anni. Noi Missionari della Consolata da quando siamo arrivati all’America Latina abbiamo avuto qun’intuizione che non è solo rimasta come tale, ma c’è stato tutto un impegno di essere lì, di accompagnare e di propiziare anche nuovi cammini. Dunque, non mi sento io solo a livello personale contento di partecipare, ma sento che lo faccio a nome dei Missionari della Consolata, raccogliendo anche tutto ciò che i missionari hanno seminato e continuano a fare in Amazzonia. Nel progetto regionale di Colombia e anche nel progetto continentale l’Amazzonia è presente come una delle scelte. Questa è la prima nota di sintonia con il Sinodo. Noi siamo presenti in Amazzonia. Dicevo al Consiglio Regionale della Colombia quando è sorta tutta questa sensibilità per l’Amazzonia. Tante congregazioni vorrebbero, e vogliono, entrare in essa per partecipare di tutta questa riflessione. Io dicevo loro: noi non abbiamo bisogno di pensare di andarvi, noi già siamo familiari con l’Amazzonia. È da anni che ci siamo e ciò che noi dobbiamo fare è sintetizzare e fare confluire la nostra esperienza a tutta la riflessione che si sta facendo. Questo non solo adesso, ma la settimana prossima a Trabatinga, nel Brasile, ci sarà un incontro della CLAR(Conferenza Latinoamericana dei Religiosi), dei religiosi che lavorano in Amazzonia e dalla Colombia, Brasile ci saranno dei partecipanti. Noi siamo dentro la dinamica degli organismi ecclesiali a livello di Continente, sia del CELAM sia della CLAR. Poi, senz’altro, che in questi giorni in cui si fanno tutte le Conferenze Regionali, ci sarà certamente anche la sintonia con il Sinodo. In ogni paese ci saranno degli incontri per riflettere attorno al Sinodo ci saremo presenti certamente anche noi. E ancora, noi facciamo parte e partecipiamo alla REPAM (Rete Ecclesiale Pan Amazzonica). La REPAM è come la piattaforma su cui si porterà avanti la riflessione.

Come sentite in Amazzonia, al Vicariato di Puerto Leguizamo, il processo di riconciliazione e di pace iniziati con gli accordi con le FARC?

Prima di parlare concretamente del processo di pace, due cose bisogna avere in mente: nella Colombia c’erano due guerriglie, quella più forte, le FARC e poi la ELN. L’accordo fu fatto con le FARC e anche se buono e non perfetto è fatto e se percepisce il risultato e le conseguenze di esso. Con le ELN fu più difficile e si continua ancora a parlare. In secondo luogo, nell’Amazzonia non ci sono le ELN, era territorio delle FARC. Quindi da noi si sente di modo più evidente l’accordo fatto e si vede il cambiamento. Per esempio, la facilità di spostarsi senza problemi, senza trovare dei pericoli. Una altra cosa è che le persone trovano anche un certo sollievo poiché non devono pagare le tasse alle FARC. Noi dovevamo pagare tasse al governo e poi anche alle FARC. Poi l’ambiente è diverso. Sussiste il problema che il nostro territorio è abbastanza periferico, distante da dove si trovano le strutture del governo che ogni tanto non ci arriva. Noi, da quando sono andati via quelli delle FARC, continuiamo a chiedere al governo che si faccia più presente perché se esso non è presente arriveranno altri. Quindi il grande problema che abbiamo in questo momento è che se il governo non arriva, non soltanto la presenza militare, ma anche a livello dei servizi basici: una salute migliore, l’educazione migliore, i servizi che la gente ha bisogno per vivere con dignità; altri illegali potrebbero riempire questo vuoto.

Quali processi tracciati per la riconciliazione sociale per guarire le profonde ferite create dalla violenza? Cosa si fa a livello sociale ed ecclesiale?

A livello sociale ci sono dei programmi del governo in sintonia con i post-accordi. Ci sono dei programmi che riguardano la riconciliazione e la pace, anche se sono arrivati in ritardo. Per esempio, per le scuole hanno proposto una materia sulla riconciliazione e pace. Solo adesso si comincia a mettere questo in atto. Poi ci sono dei programmi dentro le comunità. Già da tanto che gli accordi sono stati fatti e le FARC sono andate via, comunque solo adesso si comincia. Quindi noi come Chiesa di Amazzonia e in sintonia con la Chiesa colombiana, abbiamo deciso che l’impegno con la pace e riconciliazione è qualcosa che riguarda la missione stessa della Chiesa. Da parte nostra si tratta soltanto di rafforzare i piani pastorali, nel lavoro con i ragazzi, nel lavoro con i catechisti, con le donne, con tutti… In tutti questi lavori che si fanno mettere anche questa dimensione del perdono e della riconciliazione. Sentiamo che ci mancano persone e anche tempo per l’ascolto che crediamo sia essenziale per le persone che devono sanare tante ferite e parlare, esprimere ciò che si ha portato nel cuore per tanto tempo, tante situazioni di violenza che è buono siano espresse. Ma non è facile perché gli agenti di evangelizzazione sono pochi, ci dovrebbero essere più persone e più tempo per offrire la possibilità alle persone di parlare e di esprimersi. Questa è una parte essenziale per fare un cammino di guarigione di queste ferite che sono state aperte dalla guerra.

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Il Vicariato ha appena celebrato i primi 5 anni. Quali sono le gioie, i dolori e le speranze?

Abbiamo fatto una valutazione dei 5 anni e per noi il più importante è la nostra presenza ed è anche la nostra prima gioia: essere presenti in questa realtà amazzonica. La seconda è l’avere un’equipe, anche se non siamo tanti, un’equipe di lavoro, di preghiera. Questo è la gioia del cammino fatto non da solo ma insieme, con discernimento che ci garantisce il procedere bene. Un’altra gioia è quella di avere formulato un piano pastorale fino al 2020. Questo ci dà l’orizzonte dove andare. Un’altra gioia è che abbiamo tre seminaristi del vicariato e si stanno formando per quella Chiesa e nella loro formazione è chiaro che sono per una chiesa particolare che deve crescere un volto amazzonico. La Minga (ndr.: in quechua, lavoro comune fatto ad utilità della comunità) che si è fatta è anche una gioia. Abbiamo propiziato l’opportunità di sederci insieme tutti gli attori dell’Amazzonia, le persone, le istituzioni che riguardano questo contesto e presenza. La Chiesa ha propiziato quest’incontro per riflettere assieme su territorio, come vivere in esso e che cammini fare per rispondervi con fedeltà.

Dei dolori il più grande, come dicevo anteriormente, è il non avere il personale e il tempo per sentire di più le persone che hanno voglia di essere ascoltate e di potere esprimere ciò che hanno nel cuore. L’essere in pochi ci limita anche nel tempo. Un altro dolore è tutto il danno che si reca all’Amazzonia. Fa male alla Chiesa che i fiumi vengano contaminati, tanta deforestazione della selva. Noi cerchiamo di parlare alla coscienza, ma il problema è grosso. Poi ancora, il percepire la poca identità della popolazione con il territorio. Non soltanto degli indios, ma di coloro che ora vi abitano. Fa male vedere la non identità e mancanza di voglia di costruire.

Una delle speranze più belle che abbiamo è potere arrivare a costruire il volto della Chiesa che ci chiede il territorio. Ci troviamo in sintonia tra il Piano Pastorale del Vicariato e i Sinodo. Un’altra speranza è potere continuare a contribuire nei processi di formazione formali e informali. Adesso stiamo dialogando con l’Università La Salle per portare avanti a Leguízamo programmi di formazione di maestri, di persone che ci aiutino ad aiutare a crescere le persone e permettano opportunità formative per le nuove generazioni. Nel piano informale abbiamo costruito una scuola di formazione per animatori e leader delle comunità indigene. Stiamo anche a costruire un'altra sulla stessa scia, ma per i contadini. Sono piani di formazione che nonostante informali tutti guardano ad un orizzonte che è lo stesso: formazione integrale, a livello umano, di fede, ecclesiale, perché possano portare avanti le loro comunità. Abbiamo anche la speranza di contribuire al Sinodo essendo disponibili a ciò in cui il Sinodo ci può arricchire. Abbiamo tante speranze e soprattutto siamo fiduciosi di continuare a svolgere la nostra missione e rispondere con fedeltà a tutto ciò che Dio ci chiede in questo contesto.

Mons. Joaquín presenta a Papa Francesco il documento della Minga Amazzonica.
Mons. Joaquín presenta a Papa Francesco il documento della Minga Amazzonica.

Ultima modifica il Mercoledì, 18 Aprile 2018 12:19

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