Arvaiheer, a Pasqua battezzati otto cristiani: mai così tanti

Pubblicato in I missionari dicono

I neofiti sono adolescenti, giovani e adulti. “La scelta cristiana ha bisogno del sostegno dalle famiglie”. “Il ricorso alla fede è vista come un ricorso di liberazione, guarigione e protezione” dagli spiriti malvagi del culto sciamanico. La conversione di un ragazzo malato, che ha incontrato Dio nella sofferenza.

La notte di Pasqua “abbiamo avuto otto battesimi di catecumeni, il numero più alto mai raggiunto dalla nostra comunità di cristiani”. Lo dice con gioia p. Giorgio Marengo, missionario della Consolata in Mongolia. Egli vive nelle steppe asiatiche dal 2003 e guida la parrocchia di Arvaiheer, a oltre 400 km dalla capitale Ulaanbaatar. Ad AsiaNews racconta il percorso di conversione spirituale che ha spinto otto abitanti del villaggio – adolescenti, giovani e adulti – ad abbracciare la fede cristiana durante la veglia di Pasqua.

Tra gli otto battezzati, p. Giorgio riporta che ci sono quattro adolescenti tra i 15 e i 18 anni: “Essi provengono da famigli cattoliche o hanno qualche parente già battezzato. Hanno seguito i due anni di preparazione prescritti dalla Chiesa locale e vissuto il battesimo come il coronamento di un cammino”. La loro età adulta, continua, “si spiega con la nostra decisione di essere cauti con i battesimi dei più piccoli e puntare invece, negli anni passati, sul creare le condizioni affinchè fossero gli adulti ad abbracciare la fede. Questo faceva sì che i loro figli o nipoti avessero dei punti di riferimento all’interno delle famiglie. Al contrario, abbiamo notato che nel caso in cui mancava il sostegno nella fede da parte dei familiari, era più diffuso l’abbandono del cristianesimo tra i ragazzi”. “Nonostante il forte entusiasmo giovanile – sostiene – se a casa non c’è nessuno che ti aiuta, spesso ci si allontana dalla Chiesa e dalla pratica della fede. In un Paese non cristiano come la Mongolia, la scelta cristiana ha bisogno del sostegno dalle famiglie, altrimenti nei momenti cruciali della vita come il matrimonio o quando si hanno dei figli, il resto della famiglia ti ostracizza, ti mette da parte o crea dei problemi”.

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La tendenza a essere ostracizzati all’interno della società – se si aderisce ad un culto diverso dal Buddismo tibetano o dallo Sciamanesimo – è quanto avvenuto ad un’altra famiglia della zona. Gantulga e Uurtsaikh sono i genitori cattolici di Otgonerdene e Sainzaya, 10 e 13 anni, tra gli otto battezzati nella notte di Pasqua. “Di recente – riporta – questa famiglia è stata colpita da un grave lutto: il suicidio del figlio 17enne. Il gesto del ragazzo ha creato enorme dolore e destabilizzazione nella famiglia e noi cerchiamo di sostenerli in un percorso di riflessione”.

Oltre al dolore che già colpisce i familiari, ad aggravare la situazione intervengono anche le credenze popolari, nelle quali gli spiriti hanno un ruolo di rilievo; gli eventi dolorosi o tragici vengono spesso letti alla luce di questo mondo spirituale avverso, che bisogna in qualche modo controllare. “Da quando loro figlio si è tolto la vita – riporta – i genitori stanno vivendo molta sofferenza e paura. E ora c’è il timore che gli spiriti tornino per disturbare gli altri familiari, se essi non si affideranno all’intervento degli sciamani”.

Per questo motivo “abbiamo accolto la richiesta di battezzare i figli minori della coppia, perché il battesimo è considerato un dono di protezione e sicurezza spirituale. I bambini non hanno fatto un percorso di formazione convenzionale, per cui recupereranno con il catechismo per la Prima Comunione”. In questo senso, aggiunge, “il ricorso alla fede è vista come un ricorso di liberazione, guarigione e protezione da tutto questo. Ovvio che debba essere maturato e coscientizzato, però la realtà è percepita così. E noi dobbiamo venire incontro a queste paure e possibilmente alleviarle, sollevarle. Inoltre sono le stesse persone che vedono nel battesimo e nella vita cristiana una forma di ingresso sotto la protezione di Dio, un Dio onnipotente e misericordioso che non permette che le persone siano attaccate dagli spiriti maligni”.

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Tra i neofiti cui p. Marengo è più legato, vi è Baterdene, un giovane di 28 anni. “Egli – racconta – ha una storia molto particolare. Gli ultimi otto anni li ha passati tra ricoveri e operazioni chirurgiche. Lo conosciamo da anni, da quando frequentava il secondo anno della facoltà di agraria. A quel tempo gli è stato diagnosticato un tumore al cervello e noi siamo riusciti a mandarlo in Corea per essere operato. L’operazione ha avuto successo ed egli è guarito. Di ritorno, ha iniziato ad accusare problemi alla schiena, fino a quando gli viene diagnosticata la spondilite anchilosante, un disturbo che causa il progressivo incurvamento della colonna vertebrale del malato. In quel periodo ha iniziato a frequentare la chiesa, veniva a messa e si interessava della catechesi. Noi ci siamo accorti della sua sofferenza, abbiamo mobilitato un po’ di persone fino a quando un ospedale cattolico coreano ha accettato di operarlo e di sostenere le spese dell’operazione e della degenza”.

In questo cammino di estrema sofferenza, che lo ha portato a trascorrere lunghi mesi immobile nel letto, “Baterdene si è accorto che delle persone si prendevano cura di lui, anche se non era cristiano, ma semplicemente per il suo bene. Dopo l’operazione abbiamo intensificato i rapporti e lui ha espresso il desiderio di essere battezzato. Una signora è andata tutte le settimane nella sua tenda per prepararlo nel catecumenato, che è stato integrato da lunghe discussioni con me a proposito di fede, sul senso della vita cristiana e della preghiera. Egli ha capito che la preghiera è il mezzo per mantenere il legame vitale con Dio, che ci permette di ricorrere a lui ogni volta che lo vogliamo e che tutto quello che portiamo nella preghiera non va perso ma viene offerto nella preghiera. Ed il Signore assume su di sé tutti i nostri pesi”. “Il giovane ha incontrato Dio nella sofferenza – conclude p. Giorgio – e ha trovato qualcuno disposto ad alleviarla per amore. Uno dei motivi che lo ha spinto a chiedere il battesimo è aver sperimentato che Dio è vicino, che non ti abbandona quando hai un problema. Cristo sofferente ha aperto la strada al fatto che si possa vivere la malattia con fede e con fiducia”.

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