In ascolto del Padre - 16 Febbraio 2018

Pubblicato in I missionari dicono

Nel nostro Istituto è a lungo durata la bella tradizione di tenere una "commemorazione" del Fondatore ogni anno, il 16 febbraio. Nei primi anni erano i missionari che l'avevano conosciuto a ripercorrere tratti di vita e d'insegnamento del Padre; un desiderio spontaneo li muoveva a ricordare parole, episodi, insegnamenti che li avevano illuminati, con l'intenzione di arricchire i confratelli e le consorelle di un pezzo in più del mosaico, prima che si sbiadissero i colori col passare del tempo. Erano testimonianze molto vibranti ed entusiaste, a testimonianza di un legame affettivo, molto concreto con colui che li aveva accolti nella nostra Famiglia e aveva dato un chiaro orientamento al nostro modo di essere e di agire. Oggi, a distanza di molti anni, desideriamo anche noi aiutarci a vicenda a sentire sempre più vicino il Fondatore, riprendendo alcuni tratti del carisma che Dio ha voluto dare alla Chiesa attraverso di lui, perchè ci servano da segnali e luci sul nostro cammino.

Proponiamo quest'anno alcuni semplici riferimenti al nucleo identitario del nostro carisma: l'essere chiamati a seguire Cristo più da vicino per testimoniarlo a coloro che non lo conoscono ancora, in una parola l'Ad Gentes. Consultando documenti dei primi anni (il carteggio della fondazione, i regolamenti, le costituzioni e le conferenze) emerge molto chiaramente che noi siamo stati fondati/e in maniera esclusiva per la prima evangelizzazione, l'annuncio evangelico a gruppi umani che per varie ragioni storico-culturali non si sono ancora confrontati con esso. Lo stesso nome con cui venimmo alla luce nel decreto di approvazione del Card. Richelmy (1909) conteneva - con il vocabolario del tempo - la chiara indicazione: "Istituto della Consolata per le missioni estere". La dicitura "missioni estere"[1] intende specificare quale tipo di "missione" fosse il nostro specifico, e cioè non le "missioni popolari" o la pastorale ordinaria (la "cura delle anime" presso comunità già costituite), ma l'annuncio evangelico laddove non era stato ancora compiuto. Siamo tutti d'accordo che oggi questa dicitura non piace più, vista la mutata sensibilità sul concetto stesso di "estero", ma resta valida l'indicazione di fondo: siamo nati/e per l'ad gentes.

Il primo Regolamento approvato dal Cardinale di Torino (e che riprendeva quasi alla lettera la prima bozza stilata dal Fondatore già nel 1891) parla al N. 1 di "un Istituto di Missionari per la evangelizzazione degli infedeli". Anche qui la terminologia è antiquata, ma dobbiamo tener conto della mentalità del tempo. In ogni caso è chiara la finalità. Per capire quanto fosse importante tale finalità nella coscienza del Fondatore e nell'autocomprensione dell'Istituto degli inizi, può essere utile ricordare una vicenda. Nel 1909 l'Istituto aveva ottenuto in tempi molto ridotti il Decretum Laudis, cioè l'approvazione pontificia che gli dava piena dignità di congregazione regolarmente costituita. Essendo un istituto religioso veniva a dipendere contemporaneamente dalla Congregazione per i Religiosi e da Propaganda Fide; questa situazione spinse il Fondatore a scrivere una "Supplica" al Santo Padre (16 novembre 1910) per chiedere di dipendere unicamente da Propaganda Fide, giustificando la richiesta con queste parole: "Se parecchi Ordini Religiosi hanno pure delle Missioni, questo ideale, rispetto alla generalità dell'Ordine è secondario, laddove per il nostro Istituto questo delle Missioni è lo scopo essenziale e unico, escludendo perciò studi e pratiche religiose che non siano coordinate all'apostolato tra gli infedeli"[2].

Sappiamo che la fondazione necessitò di una "incubazione" piuttosto lunga: iniziata intorno al 1885-86, nel 1891 si concretizzò in una prima bozza di regolamento, dove è già chiaro che "nel fondare l'Istituto il Can. Allamano ebbe in mira di dare vita ad una istituzione destinata essenzialmente alle missioni tra i non Cristiani"[3]. Ma si dovette ancora aspettare a lungo: ed è questa prova del tempo e del lungo discernimento (portato sull'orlo della rinuncia con la malattia dell'anno 1900) che convinse il Fondatore in maniera inequivocabile che la volontà di Dio era proprio quella di dar vita ad un nuovo Istituto per la missione ad gentes. Questo elemento è importante: infatti negli anni dell'attesa era stato anche in dubbio se riprendere semplicemente una qualche opera già avviata in diocesi, ma tanti segnali della Provvidenza lo convinsero infine che il Signore gli stava veramente chiedendo di dare inizio ad una nuova Famiglia religiosa per l'evangelizzazione delle genti. Da ultima si mise anche la malattia e conseguente guarigione miracolosa, con le parole che tutti sappiamo pronunciate dal Card. Richelmy: "Guarirai e [la fondazione] la farai tu".

E' dunque chiaro che quello della prima evangelizzazione in situazioni di inizio (papa Francesco oggi direbbe "di frontiera") ha rappresentato fin dagl'inizi e nell'intenzione del Fondatore la vera identità dei Missionari e Missionarie della Consolata. Dopo l'approvazione definitiva delle Costituzioni nel 1909, il Fondatore ebbe spesso a commentarne il contenuto in varie conferenze tenute ai suoi missionari. Tra il novembre e il dicembre del 1913 così commentò il fine primario e secondario dell'Istituto:

"Prima di tutto siamo in questa casa per farci santi e poi missionari: non bisogna cambiare i punti. La santificazione dei suoi membri: non di qualcuno, ma di tutti. La nostra santità deve essere maggiore di quella dei semplici cristiani, più distinta che quella dei sacerdoti secolari. La santità dei Missionari deve essere speciale, ed anche eroica e all'occasione straordinaria da operare miracoli" (16 novembre 1913).

"Il fine secondario o speciale, proprio di ciascun Istituto, è costituito da quelle particolari opere di carità verso Dio e verso il prossimo pel cui esercizio lo stesso Istituto venne fondato. Questo nostro fine, che forma la caratteristica del nostro Istituto e la sua ragione di essere, è l'evangelizzazione degli infedeli. [...] Per questo suo carattere esclusivo il nostro Istituto si distingue da quelle Congregazioni, che pur avendo Missioni, si occupano di predicazione nei paesi cristiani, di scuole, ecc [...]. Qui bisogna stare per diventare Missionario, e chi non si sentisse non può starvi, perchè porterebbe danno agli altri" (7 dicembre 1913).

C'è ancora un elemento su cui riflettere. E' interessante notare che la chiarezza sulla finalità propria della nostra Famiglia spinse anche a scelte che forse oggi consideriamo coraggiose, ma che per l'Allamano erano semplicemente la conseguenza di essere concentrati sull'essenziale. Il P. Giuseppe Gallea (1891 - 1979) nel primo volume di una voluminosa storia dell'Istituto Missioni Consolata da lui compilata con molta cura e con abbondanza di documenti (cfr. nota 3), parlando dei primi sviluppi della missione in Kenya annota a p. 222: "Non era nel programma iniziale del metodo di apostolato la creazione di ospedali, scuole, collegi, ecc.". E questo per espressa volontà del Fondatore, che in una lettera al P. Gays il 3 aprile 1902 diceva: "Una sola eccezione faccio a proposito della norma di non fare collegi: ed è di preparare una specie di Seminario per i futuri catechisti in una sola Missione". Il fine esclusivo della nostra Famiglia orientava chiaramente le decisioni sul campo, diventando tradizione vagliata e approvata (o corretta) dall'Allamano, coadiuvato dall'immancabile can. Giacomo Camisassa.

Alle riflessioni fin qui fatte bisognerebbe aggiungere le innumerevoli espressioni con cui il Fondatore ha sempre descritto la bellezza della vocazione missionaria ad gentes; ma su questo abbiamo probabilmente un ricco campionario a cui siamo affezionati e che dovremmo comunque rivitalizzare, se vogliamo nutrire il nostro presente con l'ispirazione iniziale che sta all'origine della nostra Famiglia. Solo più una considerazione finale circa la necessità di ricuperare un attaccamento effettivo (e affettivo) al Fondatore.

L'Allamano era convinto di doverci trasmettere il nucleo essenziale del carisma ricevuto da Dio come pura grazia, per l'edificazione del Suo Regno. Sono note alcune sue espressioni: "Il Signore m'ha posto a capo dell'Istituto e mi dà anche la grazia di dirigerlo: lo spirito dovete prenderlo da me". "Gli altri possono darci il loro spirito, ma non il nostro". Nella frequentazione di S. Giovanni Bosco aveva apprezzato molto la forte identità che i suoi primi seguaci avevano saputo costruire proprio attorno alla figura del loro Fondatore. Un giorno confidò a un missionario: "Mi sono domandato molte volte quale sia il motivo per cui il Signore abbia benedetto e benedica i Salesiani in modo così straordinario; e penso che uno dei motivi, se non il principale, è che essi hanno rispettato Don Bosco. L'hanno rispettato da vivo e l'hanno rispettato da morto. Io ne sono testimone, e ricordo come ai miei tempi nell'Oratorio si eseguivano le volontà e i desideri di Don Bosco. Per questo il Signore li ha benedetti e li benedice"[4].

Una riflessione nasce spontanea: stiamo noi davvero "rispettando" il nostro Fondatore, impegnandoci a conoscerlo sempre meglio, per sviluppare quella sintonia che ci permetterebbe di sentirci più sereni e fiduciosi nel solco del carisma ricevuto? Talvolta sembra che il nostro riferirci a lui sia poco convinto o marginale; forse, nel quadro generale di rivitalizzazione che l'IMC di oggi si sta dando, occorrerebbe tornare con più decisione a una conoscenza reale della sua persona e delle sue scelte, se davvero vogliamo continuare a godere dell'assistenza che lo Spirito Santo ha garantito, attraverso il riconoscimento ecclesiale della nostra Famiglia. Riconoscimento per ciò che è uscito dalle mani del Fondatore e che continua in noi, a condizione che ne accogliamo l'eredità e la sviluppiamo con fedeltà.

Alcune domande per la riflessione personale:

Cosa vuole dire per me oggi ricuperare la consapevolezza che la finalità specifica della nostra Famiglia è la missione ad gentes? I nostri due Istituti mi sembrano ben identificati con questa finalità?

Quali scelte può suggerire questa rinnovata consapevolezza nel concreto della nostra missione in Mongolia?

La Provvidenza, attraverso i nostri Istituti, mi ha portato/a qui in Mongolia. Sono consapevole di aver ricevuto una grazia speciale, venendo proprio in una realtà dove Cristo è ancora poco conosciuto e seguito? Quali atteggiamenti penso mi possano aiutare a vivere in pienezza questa vocazione?

___________________________ 

[1] Si vedano altri Istituti con la stessa finalità e denominazione, come le Missioni Estere di Parigi e lo stesso PIME (Pontificio Istituto per le Missioni Estere).

[2] La stessa sottolineatura si trova nella risposta della Congregazione Concistoriale dell'8 gennaio 1911, che approvava la richiesta dell'Allamano: "Il detto Istituto [è] destinato unicamente alle Missioni Estere".

[3] G. Gallea, Istituto Missioni Consolata. Fondazione e Primi Sviluppi, Pro-manoscritto, Torino 1973. Vol I, p. 49.

[4] Testimonianza di G. Nepote, citata in F. Pavese. Scegliendo fior da fiore. I cinquantun santi di Giuseppe Allamano, Edizioni Missioni Consolata, Torino 2014, p. 282.

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