In Ucraina, dove Caritas è speranza

Immagini della visita del padre Luca in Ucraina Immagini della visita del padre Luca in Ucraina Tutte le foto: Luca Bovio.
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Con l’avvicinarsi dell’inverno, con don Leszek e Rika, un gruppo ormai ben collaudato e affiatato, mi metto in viaggio per l’Ucraina per portare aiuti e raccogliere testimonianze. Con l’auto piena di aiuti umanitari e con i permessi della Caritas passiamo la frontiera senza grandi difficoltà. Appena entrati in Ucraina ci colpisce immediatamente la mancanza di luce, non solo di quella naturale per le giornate ormai molto corte, ma anche e soprattutto di luce elettrica. Le strade sono buie. Ci raccontano che il 40 % della produzione di energia in tutto il paese è fuori uso a seguito degli ultimi attacchi avvenuti alle centrali elettriche nel mese di ottobre. Il carburante e i generi alimentari, invece, si trovano senza difficoltà, soltanto a prezzi raddoppiati.

Trascorriamo la prima notte nella città di Lutsk, a meno di due ore dal confine con la Polonia. Siamo ospitati dal vescovo della diocesi, S.E. Vitalij Skomarovs’kyj. Durante la cena ci racconta circa la situazione attuale dalla sua diocesi. Lutsk, pur trovandosi lontano dai territori dei conflitti che avvengono ad Est e a Sud del paese, è stata colpita le scorse settimane per danneggiare la centrale elettrica causando così la perdita parziale di corrente. Oltre a questo, il problema più grande che qui si deve affrontare è l’accoglienza dei profughi arrivati dall’Est del paese. Ogni settimana presso il centro della Caritas della diocesi vengono distribuiti aiuti per oltre 300 nuclei familiari. Grazie alla generosità di diversi benefattori possiamo lasciare una somma che aiuterà l’acquisto di generi alimentari e di beni di prima necessità.

Il giorno successivo, di buon mattino, ci mettiamo in macchina per raggiungere la capitale Kiev, dove, negli ultimi giorni, il numero degli attacchi è diminuito. A differenza di luglio, quando arrivammo qui l’ultima volta, notiamo un minor numero di controlli stradali. La città mostra ancora le ferite degli attacchi precedenti ai palazzi e alle infrastrutture. Facendo una passeggiata alla sera vediamo nel centralissimo parco della città il nuovo ponte distrutto da un razzo poche settimane fa. Gli abitanti della città vivono normalmente, ci racconta il nunzio apostolico, mons. Visvaldas Kulbokas, che gentilmente ci ospita. La corrente elettrica è collegata solo per poche ore al giorno e i grandi quartieri della città devono fare a turno per riceverla. Sono tantissimi i palazzi popolari molto alti, a volte di 30 piani, dove vivono migliaia di persone. La mancanza di energia interrompe l’uso degli ascensori obbligando a raggiungere a piedi il proprio appartamento. Il giorno successivo, prima di lasciare la città, visitiamo brevemente una parrocchia in costruzione dei padri Pallottini.

Dopo alcune ore di viaggio e dopo esserci assicurati sulla situazione raggiungiamo Charkiw, la seconda città per grandezza dell’Ucraina. La città è all’estremo Est del paese a soli 30 km dal confine con la Russia. Prima dello scoppio del conflitto, Charkiw contava più di 3 milioni di abitanti, oggi poco più di un milione. Qui gli attacchi sono quasi ininterrotti da febbraio e la città, così come la provincia, mostra tutte le sue ferite.

Arriviamo in serata avvolti da una nebbia molto fitta. La città è completamente al buio non solo a motivo del razionamento elettrico, ma anche e soprattutto per non dare riferimenti agli aggressori che sono stati respinti fino al loro confine a soli 30 km. A settembre erano arrivati a soli 10 km dal centro città per essere poi respinti di nuovo dietro al confine. Don Wojciech, sacerdote polacco che lavora qui da 6 anni, è il direttore diocesano della Caritas, attraverso la quale gli aiuti vengono distribuiti alla popolazione.

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Dopo l’arrivo siamo accompagnati da due volontari della Caritas in una zona popolare della città pesantemente colpita. In quei palazzi vivono centinaia di persone nelle cantine. Lì le incontriamo. Scendendo una scaletta illuminata dalla torcia del telefonino, incontriamo le prime famiglie che qui vivono da ormai otto mesi. Sono nuclei familiari grandi, composti dai nonni, dai genitori e da bambini, a volte anche molto piccoli. I locali sono scaldati o dai tubi del sistema principale di riscaldamento ancora intatto, oppure da alcune stufette a legna. I letti sono costruiti sopra dei bancali di legno usati per le merci e ammorbiditi da materassi o da coperte. Quello che colpisce è la semplicità con cui vivono queste persone che riescono a sorridere incontrandoci e ringraziano continuamente per tutto quello che facciamo. Una tra queste ci dice: «Padre ci sono persone che stanno peggio di noi». Siamo guidati per i corridoi delle cantine. Su ogni porta con un gessetto ci sono scritti i cognomi e il numero della famiglia che in quella cantina vive. Una cantina è attrezzata con un wc rialzato da dei bancali e serve per decine di famiglie.

Una famiglia ci spiega che nella propria cantina hanno l’accesso a internet grazie a un vicino che abita al pian terreno e che ha messo il router in una posizione favorevole affinché il segnale arrivi. Un’altra cantina è organizzata come spazio di incontro per i bambini. Chi vive in queste condizioni in varie parti della città sono coloro che hanno la casa completamente distrutta o gravemente danneggiata. Una signora ci spiega che il suo appartamento al sedicesimo piano è del tutto senza finestre distrutte dall’onda d’urto delle esplosioni. Se anche le finestre fossero intere o riparate, lei sceglierebbe comunque di stare in cantina perché i piani alti dei palazzi sono quelli più esposti alle esplosioni.

Dopo questa toccante visita, conclusasi con abbracci e con la promessa che non li avremmo dimenticati, andiamo a trovare un parroco in un quartiere periferico della città. Ci racconta che nella sua parrocchia c’erano circa mille cattolici. Ora solo 4 o 5 vengono ancora per la Messa domenicale, tutti gli altri sono scappati. Nelle sale della parrocchia vivono alcuni anziani che qui si sentono più al sicuro che nelle proprie case. Nel garage ci mostra i resti di alcuni razzi caduti nei pressi della chiesa che per fortuna non è stata seriamente danneggiata. Ci fa vedere un mucchio di schegge affilate come rasoi delle bombe a grappolo. Colpiscono tutto nei dintorni dell’esplosione.

La notte, nonostante le allerte che arrivano sui telefonini, trascorre tranquilla e finalmente il giorno successivo alla luce del giorno possiamo vedere la città coi nostri occhi. Siamo accompagnati dal giovane vescovo Pavlo Honcaruk. I grandi palazzi centrali della città sono quasi tutti senza finestre a motivo delle esplosioni. Alcune sono riparate con dei pannelli di legno, altre sono distrutte e senza vetri.

Ci dirigiamo rapidamente nei villaggi fuori città in direzione Sud Est. Raggiungiamo un villaggio, Korobochkyne, accompagnati da una troupe televisiva polacca che avendo saputo della nostra presenza ci ha raggiunto per fare delle registrazioni. Andiamo in una scuola pesantemente colpita. La direttrice ci dà il benvenuto e ci mostra i danni dell’edifico. Ci racconta che i soldati russi hanno portato via anche le scarpe degli alunni più grandi lasciando solo quelle piccole. Alla domanda di che cosa più urgente ha bisogno, ci risponde che i suoi bambini possano ritornare al più presto nel paese e a scuola. 

Oltre alla distruzione degli edifici il problema più grande, ci spiegano due soldati, è quello delle mine. Nei campi attorno alla città sono state collocate molte mine che rendono impossibile e molto pericoloso ogni tentativo di coltivazione. Riceviamo un appello affinché l’esercito si possa occupare della messa in sicurezza del territorio. Ora capiamo inoltre perché nei campi tantissimo granoturco e frumento sono rimasti non raccolti.

Nel pomeriggio abbiamo ancora la possibilità di vedere in città dove vengono distribuiti gli aiuti dalla Caritas. La fila di persone è impressionante. Ci raccontano che mediamente in un pomeriggio distribuiscono aiuti a più di 2000 persone, 30mila in due settimane. Per aiutare il numero più grande possibile di persone la distribuzione è regolarizzata con un sistema di tagliandi per cui i beneficiari possono ritirare i beni una volta ogni due settimane. Ognuno riceve 1 kg di pasta, latte, conserve di carne. I bambini in fila sono invitati a fare dei disegni e per questo ricevono cioccolata, caramelle e quaderni. Non solo gli anziani ricevono questi aiuti, ma anche adulti rimasti senza lavoro, una vera piaga lasciata dalla guerra. Tra questi un insegnante ci dice che con vergogna deve ricevere questo aiuto per sopravvivere, ma preferirebbe lavorare e pagare di tasca sua la spesa. Sono 4 i punti di questo tipo organizzati dalla Caritas nella città Charkiw.

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Alla fine della giornata ritorniamo a Kiev prima delle 23.00 appena in tempo per evitare il coprifuoco che dura fino alle 5 del mattino.

Il penultimo giorno del nostro viaggio lo viviamo in una casa di bambini orfani gestita dalle suore Benedettine in un villaggio nel centro ovest del paese di Balyn. Per raggiungerli passiamo vicino alle città di Zytomyr e di Vinnica. Nella casa vivono 9 bambini dai 3 ai 12 anni senza genitori oppure con difficolta che non permettono loro di vivere in un normale clima familiare. L’attesa per il nostro arrivo è trepidante. Riceviamo durante il viaggio video e messaggi dai bambini che ci incoraggiano a raggiungerli al più presto. Alla sera siamo accolti con una grande festa. Una squisita cena preparata dalle suore, e il dono di bellissimi vestiti ricamati a mano secondo la cultura tipica di quelle regioni, fanno da contorno alla compagnia festosa e rumorosa dei bambini.

Il giorno dopo rientriamo in Polonia, per fortuna senza essere fermati a lungo alla frontiera (la volta scorsa furono ben dieci ore di attesa). Durante il viaggio abbiamo ricevuto tante altre richieste di aiuto tra queste alcune dalla città di Kherson liberata pochi giorni fa. L’inverno e solo all’inizio ma siamo sicuri che tanti di voi continueranno ad aiutare. Qualcuno ci ha detto: «Padri, avete degli ottimi angeli custodi che vi hanno sempre protetto durante questo viaggio». È vero lo abbiamo avvertito. Tuttavia, agli angeli custodi ci proteggono ancora di più quando qualcuno li prega e per questo ringraziamo anche per le tante preghiere che non sono mancate e che non mancheranno.

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