I rappresentanti dei popoli nativi dell'Amazzonia peruviana, insieme ai missionari, si sono riuniti nella Prima Assemblea dei Popoli Nativi, che si propone rafforzare il dialogo interculturale  con il fine di camminare insieme verso la monifue (“la vita piena”) e costruire una Chiesa più vicina alla realtà dei popoli indigeni.

Nell’Amazzonia peruviana vivono 51 popoli nativi, di cui nove si trovano nel Vicariato di San José del Amazonas; una Chiesa particolare che nel corso dei suoi anni ha camminato e navigato a fianco delle popolazioni indigene, come nel caso di Juan Marcos Coquinche Mercier, che da anni vive inserito nella cultura “Naporuna” (indigena Kichwa della regione prossima al fiume Napo).

Il Sinodo per l'Amazzonia, che è stato celebrato nell’ottobre del 2019, proponeva nuove modalità nelle relazioni fra Chiesa cattolica e territorio, culture e vita ancestrale. Si tratta di camminare con i criteri di Papa Francesco che, a Puerto Maldonado, aveva detto alle popolazioni indigene “aiutate i vostri missionari a diventare una cosa sola con voi”.

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Tutto è una sfida rivolta alle Chiese locali che dovranno riflettere quotidianamente e concretamente su come camminare insieme a questi popoli nel qui e ora.

Con la consapevolezza che il piano pastorale del Vicariato Apostolico di San José del Amazonas non è all'altezza dell'opzione indigena, i rappresentanti di sei missioni che convivono direttamente con i popoli indigeni, assieme ad alcuni membri del personale amministrativo, si sono incontrati per condividere le comuni preoccupazioni ed esperienze su come dare passi concreti verso una opzione preferenziale per i popoli indigeni. Con rispetto a questo tutti siamo consapevoli che ciò richiede una conversione nelle forme, metodi, tempi, ritmi, lingua e spiritualità.

Si è quindi consolidata la proposta di tenere una prima Assemblea dei Popoli Indigeni con i missionari che liberamente desideravano far parte di questo processo: sentire, imparare, camminare con loro, insieme nella costruzione della monifue, quella pienezza di vita che nel nostro caso si basa sulla gratuità e l'interculturalità.

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Padre Fernando Flórez è accolto dalla comunità indigena Murui di Puerto Refugio sulle rive del fiume Putumayo, Perù

A questo processo si è unito anche il Vicariato come istituzione - si unisce, consigliato dai nonni e dalle nonne del territorio. Così, nel villaggio di Angoteros, dal 27 di giugno al primo di luglio 2024, si sono incontrati i rappresentanti dei popoli Tikuna, Arabela, Murui-Uitoto, Yagua, Secoya, Bora, Maijuna, Okaina, Kichwa, nonché missionari, missionarie e alcune istituzioni che desiderano tenere pronti i propri remi per meglio navigare con questi popoli. 

L'obiettivo non era altro che quello di offrire uno spazio di dialogo tra culture che permettesse conoscersi, valorizzarsi e camminare insieme e seminare la parola di vita dalla loro saggezza.

Per i popoli indigeni il termine monifue significa abbondanza e questa prima assemblea rappresenta proprio questo: il raccolto di questa grande chagra (campo) seminata nella diversità che non ha mai rappresentato una minaccia ma una promessa. Il monifue si può vedere riflesso, tra le altre cose, in questi quattro aspetti che possiamo mettere in evidenza.

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  1. Non è necessario aspettare che i processi vengano dall'alto verso il basso. I processi nascono dai bisogni quotidiani che sono sentiti più acutamente da chi li vive. Dal basso si avviano processi validi che integrano gli orientamenti istituzionali senza perdere l'unità e senza cadere nell'uniformità.
  1. L'opzione indigena va di pari passo con l'opzione dell'abbattimento delle frontiere... frontiere geografiche, frontiere territoriali, frontiere esistenziali. Da soli e divisi non andremo lontano. È stato significativo vedere i Kichwa dell’Ecuador assieme a quelli del Perù; i Murui della Colombia con i Murui–Uitoto del Perù. Gli Stati nazionali volevano dividere, ma non potevano spezzare la spiritualità dello stesso popolo. E questo rappresenta anche un appello alle Chiese chiamate a camminare insieme, incontrarsi e riconoscersi.
  1. L'Opzione Indigena non si realizza sulla base del protagonismo: fare così porta a nuovi colonialismi in cui si usa l'altro per far crescere sé stessi. No! Qui dovremmo piuttosto accettare la spiritualità di Giovanni Battista che diventava più piccolo nella misura in cui Gesù, il maestro, cresceva (cf Gv 3,30). I missionari dovrebbero sentirsi come Giovanni, in modo da vedere le persone come maestri di saggezza.
  1. Nell’Amazzonia non si tratta di starci ma di saperci stare. È stato detto in molti modi che il territorio ha bisogno di missionari gioiosi, aperti all'ascolto, alla parola, al mistero, perché conoscendosi possano insieme –sempre insieme– proteggere, difendere e generare la vita, non una vita qualsiasi ma una vita che sia monifue.

* Padre José Fernando Flórez Arias, IMC, missionario nel Vicariato di San José del Amazonas, Perù.

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Missionari e missionarie della Consolata in visita alla Missione Putumayo a Suplin Vargas, Perù, nel febbraio 2022. Foto: Jaime C. Patias

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