La Corte di Giustizia dello Stato del Paraná (Brasile) ha tenuto dal 3 al 5 luglio l'incontro sulla Giustizia Riparativa e gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile. La prof.ssa Diana Sosa, che appartiene al gruppo “Consolata Intergentes” delle Missionarie della Consolata in Argentina, spiega la relazione tra la giustizia riparativa e la “pedagogia allamana”.

Questo evento è stato organizzato con la finalità di celebrare un decennio di esistenza della Giustizia Riparativa nel sistema giudiziario dello stato brasiliano del Paraná. La sua celebrazione ha messo in evidenza il contatto che esiste fra Giustizia Riparativa e gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile stabiliti nel 2015 dalle Nazioni Unite.

Hanno partecipato importanti specialisti internazionali come le professoresse Grazia Mannozzi (Italia), Diana Sosa (Argentina) e la dott.ssa Katie Masfield (Stati Uniti) insieme a ricercatori e specialisti brasiliani che hanno prodotto un amplio scambio di esperienze e conoscenze.

La prof.ssa Diana Sosa –che appartiene alla Piattaforma “Consolata Intergentes” promossa dalle Missionarie della Consolata dell'Argentina a favore delle Politiche Sociali– è stata invitata ad aprire il Congresso con una conferenza con il seguente titolo: “Tre formule, tre forme e tre dimensioni necessarie per pensare alla Giustizia Riparativa”.

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Nella sua presentazione ha messo in evidenza come i concetti di “sostenibile” e “riparativo” hanno rotto molte delle logiche tradizionali legate allo sviluppo e la giustizia e offrono la novità di soluzioni proattive e creative a molti dei problemi che l'umanità soffre oggi. Il punto di fusione di questi nuovi paradigmi, che implicano fondamentalmente responsabilità e solidarietà, è la “cura” che si esprime in diversi modi come la “cura di sé”, la “cura dell'altro” e la “cura dell'ambiente”. La “etica della cura” diventa indispensabile e necessaria se si vogliono promuovere pratiche riparative e i progetti (dello Stato e di organizzazioni religiose e della società civile) devono essere pianificati rispettando tre dimensioni: la partecipazione; l’impegno in diversi fronti (come educazione, disuguaglianze, genere, popolazioni indigene, città sostenibili, ecc.) e le buone pratiche nelle relazioni interpersonali.

Prof.ssa Diana Sosa, cos'è la giustizia riparativa e come può contribuire agli obiettivi di Sviluppo Sostenibile 2030 delle Nazioni Unite?

La giustizia riparativa è uno strumento importante per la trasformazione sociale e per la costruzione di comunità più giuste e connesse. Attraverso l'ascolto attivo, promuove il dialogo, incoraggia la responsabilità e crea spazi in cui tutte le voci sono ascoltate e valorizzate. Le pratiche riparative cercano di riparare i danni subiti da reati o crimini, ripristinando il tessuto sociale colpito.

Nel paradigma della giustizia riparativa, questo processo è conosciuto con il nome delle “tre erre”: Responsabilizzare, Riparare/Ripristinare e Reintegrare. Curiosamente, anche lo sviluppo sostenibile può essere espresso con tre erre: Ridurre, Riutilizzare e Riciclare.

Credo che le “tre erre” della Giustizia Riparativa siano del tutto equivalenti alle “tre erre” dello Sviluppo Sostenibile.

Ridurre significa utilizzare la minor quantità di risorse naturali per preservarle per le generazioni future, è un'azione di prevenzione, insomma è la Responsabilità nel linguaggio della Giustizia Riparativa.

Lo stesso accade con il Riutilizzo, che implica dare un nuovo valore alle risorse per poterle utilizzare nuovamente e prolungarne la vita utile; anche nella Giustizia Riparativa i legami ripristinati acquisiscono un nuovo valore, generando nuove relazioni e ricostruendo la fiducia: questo è ciò che significa Riparare e Ripristinare.

Nel Riciclaggio si prendono le risorse scartate e si trasformano e si reinseriscono nel circuito produttivo; lo stesso con la giustizia riparativa: le persone che hanno commesso crimini/reati, una volta assunte le proprie responsabilità e riparato il danno, possono reintegrarsi in modo costruttivo alla società".

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Perché il paradigma della giustizia riparativa è così vicino alla pedagogia allamaniana?

La pedagogia allamana fa parte di una pedagogia affettiva e basta leggere alcune lettere dell'Allamano per scoprire, nella gestione dei problemi e nel rapporto con i suoi missionari, le note di una prassi riparativa: instaura dialoghi e trattative, riconosce il valore del conflitto, cerca di responsabilizzare gli offensori (Lettera del 7 dicembre 1908 a padre Giovanni Battista Rolfo, vol. V, p. 154-155, n. 570); incoraggia la reciprocità, aiuta il recupero dell'altro (Lettera del 7 febbraio 1906 a Fratel Benito Falda, vol. IV, p. 490-491, n. 456); cerca il ripristino dei legami e risolve guardando al futuro (Lettera del 18 maggio 1919 a Mons. Gaudenzio Barlassina e ai Fratelli del Kaffa, vol. VIII, p. 365, n. 1282), cerca di riallacciare i rapporti con la famiglia e la comunità (Lettera del 17/09/1908 al seminarista Mauricio Domingo Ferrero, vol. V, p. 137, n. 561).

Con il criterio “occhio per occhio e dente per dente” finiremo ciechi e sdentati. La punizione, in tutte le sue espressioni, non sembra essere una strada che ha portato felicità al mondo e spesso non ha nemmeno prodotto giustizia. Sicuramente i principi della giustizia riparativa possono illuminare i nostri modi di vivere e di relazionarci con gli altri per rendere reale il nuovo comandamento che Gesù ci ha lasciato: “amerai il tuo prossimo come te stesso” (Mt 22,37-39).

* Padre Donald Mwenesa, Equipe di comunicazione IMC dell’Argentina.

Il 25 giugno è la Giornata di preghiera per la riconciliazione e l’unità nazionale che la Chiesa coreana celebra dal 1965.

È un momento speciale in cui tutta la comunità cattolica coreana si rivolge in modo speciale all'Altissimo invocando un’autentica pace tra la Corea del Nord e la Corea del Sud, pregando per  la riconciliazione e l’unità nazionale.

La giornata risulta tanto più importante e attuale perché, nel tempo presente le relazioni tra Corea del Nord e quella del Sud sono quanto mai lontane dalla pace e dalla riconciliazione. Ogni canale di dialogo è chiuso  e l’accordo militare del 19 settembre 2018, concepito per prevenire scontri accidentali, è stato parzialmente sospeso dal governo di Seoul. Quel patto puntava a ridurre le tensioni lungo il confine inter-coreano, tramite la rimozione di mine antiuomo, posti di guardia, armi e personale da entrambi i lati del confine e  anche con la creazione di zone cuscinetto militari congiunte.

La Corea del Nord, nota il governo di Seoul, continua a condurre test missilistici e continuano esercitazioni militari e ha dichiarato di concepire i rapporti inter-coreani come quelli tra "due paesi ostili, belligeranti", ricordando che la guerra di Corea (1950-1953) si è conclusa con un armistizio, non con un trattato di pace.

Hanno trovato rilievo sui media internazionali gli ultimi "incidenti" al confine: la Corea del Sud ha affermato soldati nordcoreani hanno attraversato - pur accidentalmente - il confine mentre stavano realizzando delle fortificazioni nella "zona demilitarizzata", la  striscia di terra pesantemente fortificata che separa il Nord dal Sud, il secondo  incidente di attraversamento nell'arco di due settimane.

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I vescovi della Corea pregano per la pace nella chiesa del 38° parallelo nei confine con la Corea del Nord. Foto: CBCK

L'esercito sudcoreano ha sparato colpi di avvertimento dando l'allarme tramite un altoparlante. La Corea del Nord, si afferma, ha inviato un gran numero di truppe nella "zona demilitarizzata" per eliminare costruire nuove fortificazioni o disporre mine terrestri.

Le tensioni tra la Corea del Nord e la Corea del Sud hanno preso, poi, anche una piega insolita, come quella di una sorta di "guerra psicologica". Fotografie diffuse dai media mostrano palloni aerostatici  gonfi, lanciati da Pyongyang, che, una volta atterrati, trasportano un miscuglio di spazzatura e letame. Le autorità sudcoreane hanno lanciato avvisi ai residenti nelle aree di confine, esortandoli a evitare il contatto con questi oggetti. Tali lanci non sono solo una violazione del decoro ma rappresentano anche un chiaro sfregio alle normative internazionali, hanno  sottolineato le autorità sudcoreane, denunciando tali atti come “disumani e volgari”.

La Nord Corea ha riferito che tali azioni sono una risposta diretta ai volantini anti-nordcoreani lanciati oltre confine dalla Corea del Sud. Volantini e discorsi attraverso altoparlanti portano messaggi che criticano il regime nordcoreano e incoraggiano il dissenso tra i cittadini del Nord. In questa situazione, il governo sudcoreano sta enfatizzando la propria potenza militare, in stile Guerra Fredda su fronti contrapposti (da un lato Corea del Nord, Cina e Russia, dall'altro Corea del Sud, Stati Uniti e Giappone).

“Cosa possiamo fare ora che le relazioni inter-coreane sono sull’orlo del collasso?”, si chiede anche con un atteggiamento di amarezza e di dolore il Vescovo Simon Kim Jong-gang, presidente del Comitato di riconciliazione nazionale della Conferenza episcopale di Corea. “Quello che possiamo fare è la  nostra conversione”, ripete. L’idea è “riflettere se abbiamo veramente trattato i fratelli in Corea del Nord come 'compatrioti' in questi anni di divisione . Dobbiamo iniziare il nostro nuovo cammino con cuore umile e con spirito di conversione sincera. Questo perché la vera unità può essere raggiunta quando ci sforziamo di cambiare noi stessi, con un cuore accogliente e comprensivo verso gli altri”.

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Peninsola coreana: “L’educazione del cittadino cattolico e la pace”. Dialogo, cooperazione e convivenza.

Con questo spirito i fedeli in Corea del Sud hanno avviato una speciale novena di  preparazione alla Giornata di preghiera per la riconciliazione e l'unità nazionale, che prevede anche la celebrazione di due simposi.

La novena di preghiera, iniziata il 17 giugno, va avanti fino al 25  in ogni parrocchia del Paese, e ogni comunità recita con fede la stessa “Preghiera per la riconciliazione e l'unità nazionale”, diffusa dalla Conferenza episcopale, prima e dopo ogni messa. Un simposio si tiene domani, 20 giugno all'Auditorium  del complesso della Cattedrale di Seoul , sul tema «Chiesa cattolica ed educazione alla pace».

La professoressa Julia Kim Nam-hee, dell’Università cattolica della Corea, parlerà sul tema “L’educazione del cittadino cattolico e la pace”, mentre la ricercatrice Beatrice  Seo-jeong Son presterà il tema “I giovani e l’educazione alla pace”.  Un ulteriore convegno  intitolato “Il cammino dei credenti per la pace nella penisola coreana” organizzato  dall'arcidiocesi di Seoul, si terrà il 25 giugno, e vuol essere espressione della volontà dei laici cattolici di assumere l'iniziativa nel migliorare le relazioni inter-coreane.

Il Vescovo Simon Kim Joo-young ha detto: “Sono preoccupato perché vediamo quasi svanire la  speranza che i conflitti possano essere risolti attraverso il dialogo e la cooperazione, perché sembra che si enfatizzi solo la sicurezza attraverso l’uso della forza militare”. In una situazione molto difficile, “bisogna chiedere l'aiuto di Dio e c'è bisogno che i laici prendano l'iniziativa” per la prospettiva di riaprire un canale di dialogo, per la pace, ha auspicato. Ahn Jae-hong, presidente della Korea Catholic Lay Apostolate Association, afferma in proposito: “Come cattolico, non posso accettare l’insistenza solo sulla ‘pace attraverso la forza’ mentre sono sotto gli occhi di tutti gli orrori della guerra Ucraina-Russia e della guerra Israele-Hamas. Faremo sentire la nostra voce per chiedere e per  operare per il miglioramento delle relazioni”.

Nel 2024, anno in cui ricorre il 74° anniversario dello scoppio della guerra di Corea, che portò a consolidare la divisione della penisola coreana, le relazioni inter-coreane sembrano essere al loro punto più basso, ma il popolo coreano non dimentica di essere “un unico popolo”, facendo memoria delle stagioni passate nell'arco di 70 anni, quando si parlava di dialogo, cooperazione e convivenza.

Fonte: Agenzia Fides. Originalmente pubblicato in: www.fides.org

Nel silenzio dell'Eucaristia, presieduta dal padre David Bambilikping Moke, Superiore Regionale, nella mattina del venerdì 12 aprile, si è aperta una finestra sulla prospettiva della Conferenza regionale, ispirata dalla saggezza del Maestro Gamaliele, Dottore della Legge. “Se infatti questo piano o quest’opera fosse di origine umana, verrebbe distrutta; ma, se viene da Dio, non riuscirete a distruggerli” (At 5, 38-39). Con queste parole evidenziano l'importanza di non opporsi alla volontà divina ma piuttosto di conformarcisi, come ha fatto Cristo nell'adempire fino in fondo la volontà del Padre per la nostra salvezza.

La Conferenza è iniziata l'8 e durerà fino al 15 aprile. Una volta terminato il ritiro guidato da padre Michelangelo Piovano, è stato presentato il regolamento e la condivisione delle comunità IMC in Congo: Somana, Neisu, Casa del Procure di Isiro e Bisengo Mwambe.

Il perdono e la riconciliazione

È buono condividere quello che il padre Gianfranco Testa ci ha lasciato in questi giorni come eredità a proposito del perdono e la riconciliazione. In breve, potremmo dire che perdonare significa rileggere l'offesa in un altro modo: “Quando qualcuno ci fa del male, dobbiamo scrivere questa offesa sulla sabbia, dove il vento del perdono e dell'oblio la cancellerà e la farà sparire. Invece quando ci succede qualcosa di grande, dobbiamo inciderlo nella pietra della memoria del cuore, dove nessun vento del mondo potrà cancellarla".

Perdonare significa ristabilire l’umanità di chi offende cambiando il nostro punto di vista. Non si tratta di giustificare o di diminuire il peso dell’offesa ma di cambiare il nostro atteggiamento nei suoi confronti perché possiamo accettala e continuare a vivere, oppure negarla e continuare a soffrire. Chi ci ha offeso non è un criminale, ma una persona che ha commesso un crimine; non è un ladro, ma una persona che ha commesso un furto... Vedendolo come una persona, umanizziamo colui che ci offende e capiamo che non è nato criminale o ladro...

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Il perdono serve a rompere il circolo vizioso dell'offesa e ci incoraggia a costruire una nuova immagine. Il processo di riconciliazione richiede memoria, verità, giustizia e impegno. Se la persona che mi ha offeso mi chiede perdono, bene; ma se non lo chiede, non importa! Ciò che veramente conta è il fatto che mi sono liberato da un circolo vizioso che mi impedisce di progredire nella mia storia e nella mia vita!

L’azione dannosa può lasciare cicatrici indelebili se noi non siamo capaci di elaborare la rabbia e prendere il cammino del perdono. Il risentimento e la vendetta paralizzino lo sviluppo degli individui e delle comunità.

È meglio abbracciare l'irrazionalità del perdono piuttosto che l'irrazionalità della violenza. Promuovere la cultura del perdono e della riconciliazione è la via sicura per la pace.

Il dialogo fraterno

20240414Congo3Nell'Eucaristia presieduta dal padre Rinaldo Do, Vice-Superiore Regionale, il sabato 13 aprile, è stato posto l'accento sui conflitti emersi nelle due letture: la distribuzione disuguale e l'agitazione del mare, dove il dialogo tra gli apostoli e il dialogo con Gesù portano a soluzioni adeguate. Non agiamo a nostro piacimento (autoreferenzialità) ma dialoghiamo tra di noi per affrontare i problemi che incontriamo nella vita, senza dimenticare Cristo che è sempre presente nella nostra barca per placare le onde agitate che sconvolgono le nostre vite missionaria.

La giornata prosegue con la condivisione avviata il giorno precedente sulle nostre comunità presentate dai partecipanti alla conferenza: la parrocchia di San Giuseppe di Arimatea, il Seminario Antonio Barbero, la parrocchia Mater Dei, la Direzione Regionale e l'Economato Regionale. Dopo ogni condivisione è stato dato del tempo per domande di chiarimento, contributi e reazioni da parti dei confratelli.

Nel pomeriggio si sono svolti i lavori di gruppo sui temi del Capitolo Generale per aggiustare il testo dell'Instrumentum Laboris e fare proposte per il programma della Regione.

* Padre Nhessy Nkulu Iland, Nestor, IMC, Segretario della Regione Congo.

 

Il 14 marzo si è celebrato il 21° anniversario della Fondazione per la Riconciliazione, creata da padre Leonel Narváez Gómez, sacerdote e sociologo della comunità dei Missionari della Consolata e attuale presidente di questa istituzione.

Si tratta di una fondazione senza animo di lucro che lavora per facilitare, progettare e realizzare proposte relative al perdono, insegnando in modo pedagogico gli strumenti chiave per facilitare la risoluzione pacifica dei conflitti.

Insegna anche come curare le ferite del cuore, prevenire e superare gli atti di violenza in qualsiasi circostanza della vita, aiutando a costruire la pace dalla famiglia alla sfera sociale.

"La sua missione si concentra nel contribuire alla pace e alla felice convivenza in Colombia e nel mondo, promuovendo la cultura, la pedagogia, la spiritualità della cura, del perdono e della riconciliazione. La pace non può essere raggiunta senza processi di perdono e riconciliazione. La Colombia è un Paese con ferite aperte e queste si traducono in ritorsioni e in maggiori gradi di violenza", afferma padre Leonel Narváez.

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La sede della Fondazione per la Riconciliazione a Bogotá, Colombia.

Per perdonare è necessario sentire la misericordia di Dio"

La Fondazione per la Riconciliazione organizza anche le Scuole di Perdono e Riconciliazione (Espere), un processo pedagogico per guarire le ferite, trasformare i ricordi ingrati, generare pratiche riparative e fornire strumenti per recuperare la fiducia.

In 20 anni di lavoro, Espere ha raggiunto più di 2 milioni di persone in 23 Paesi, dove la metodologia è stata adattata in popolazioni diverse.

"Dal 2003 sono stati formate persone incaricate di moltiplicare questo modello pedagogico in vari Paesi del mondo; sono state create reti di quartiere, e altre in parrocchie, aziende, scuole, università e famiglie. In questo modo abbiamo collaborato all'avvento della pace e al progresso delle comunità e delle persone". Sottolinea padre Narváez.

Il 21 settembre 2006, a Parigi, la Fondazione per la Riconciliazione ha ricevuto la menzione speciale del Premio UNESCO per l'Educazione alla Pace per l’impegno di promuovere il perdono e la riconciliazione lavorando all’educazione emozionale delle persone.

Nel 2007 ha ricevuto anche il premio "Ordine alla Democrazia" Simón Bolívar e poi, il primo settembre 2011, il premio "costruire la pace attraverso la metodologia dei centri di convivenza, pace e riconciliazione" oltre ad altri premi e riconoscimenti a livello nazionale e internazionale.

"Il tema del perdono e della riconciliazione è uno strumento di benessere, è il cuore del Vangelo. Sempre la grande opera che Gesù compie è quella di mostrare la misericordia del Signore, affinché impariamo a fare lo stesso con gli altri". Una pace senza perdono non durerà a lungo e non è sostenibile e lo stesso succede con la fede che non pratica la compassione perché il perdono viene dato a chi non lo chiede o a chi non lo merita". Ribadisce il sacerdote.

Fatti sul fondatore

Il presidente della Fondazione per la Riconciliazione, padre Leonel Narváez Gómez, IMC, è un filosofo e teologo dell'Università di San Buenaventura di Bogotá e un sociologo con titoli post-laurea dell'Università di Cambridge in Inghilterra e dell'Università di Harvard negli Stati Uniti.

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Padre Leonel Narváez Gómez, IMC,

È sacerdote religioso dei Missionari della Consolata, una comunità fondata a Torino, in Italia e ha trascorso i primi 10 anni di sacerdozio come coordinatore dello sviluppo sociale nella diocesi di Marsabit, in Kenya, lavorando principalmente con le tribù nomadi del deserto di Chalbi, al confine tra Kenya, Sudan ed Etiopia. Ha organizzato vaste campagne di alfabetizzazione e promozione umana, economica e culturale con queste comunità indigene. Nella Conferenza Episcopale del Kenya è stato responsabile della promozione dei diritti umani.

Poi, tornato in Colombia, dal 1990 al 2000 ha lavorato nel vicariato di San Vicente del Caguán - Puerto Leguizamo come responsabile dell'ufficio di pastorale sociale, dove ha attuato programmi di sostegno socio-economico nelle regioni del Caquetá e Putumayo attraverso il progetto Grafam (Fattorie amazzoniche).

È stato il fondatore del Centro di Ricerca e Formazione Amazzonica (Cifisam) e nel periodo conosciuto con il nome di “despeje” (quando si erano svolti dialoghi di pace fra la guerrilla delle Farc e il Governo in un territorio appositamente privato dalla presenza dello stato) si è impegnato nella commissione tematica di quel negoziato e ha collaborato alla realizzazione dei primi contatti con i rappresentanti del governo.

Tra i suoi scritti ricordiamo: Comparative conflicts nel capitolo The Colombian case (Tufts University. Boston, 2010). Manual de Perdón. (Bogotá, Colombia, 2006). Manual de Reconciliación (Bogotá, Colombia, 2006). La revolución del Perdón (Bogotá, Colombia, 2010) ed è stato editore della pubblicazione Filosofía política del Perdón y de la Reconciliación (Bogotá, Colombia, 2010).

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Parlare di perdono è parlare di riconciliazione

"Dobbiamo passare dalla bestia all'angelo, dal desiderio di vendetta al desiderio di compassione... i grandi fatti violenti si trovano nella famiglia, nella scuola, in mezzo alla strada e i bambini, fin da piccoli, imparano a conoscere violenza, il desiderio di vendetta, il regolamento di conti... la  vendetta è quasi una religione e questo è il più grande cambiamento culturale che noi colombiani dobbiamo fare". Il Missionario della Consolata Leonel Narváez Gómez, presto festeggerà i 50 anni di ordinazione sacerdotale.

Di seguito una intervista a Padre Leonel Narváez

* Fonte: El Catolicismo - Arcidiocesi di Bogotá, Colombia.

Le speranze di padre Pietro Han, IMC, di arrivare un giorno alla riconciliazione fra le due Coree

La foto si può considerare un simbolo: si vede padre Pietro Han insieme a due suore che mimano il gesto di un abbraccio che racchiude un paesaggio alle loro spalle. Un’istantanea che potrebbe essere archiviata come la testimonianza di un bel momento di fraternità ma che in realtà nasconde un profondo messaggio.

Quelli che si intravedono alle spalle delle suore e del sacerdote, membro dell’Istituto Missioni Consolata, non sono i luoghi ameni di una felice scampagnata ma i campi verdi e le montagne brulle di uno dei paesi più impenetrabili e misteriosi della Terra: la Corea del Nord. E quell’abbraccio sorridente immortalato in una zona di confine della Corea del Sud sta a significare solo una cosa: il desiderio di riconciliazione dell’intera penisola coreana che dagli inizi degli anni ’50 vive tagliata in due da una guerra congelata che si teme possa riprendere da un momento all’altro.

20240224Corea2Sapere che il religioso e le due suore ritratti nella foto si trovavano al confine per partecipare a un pellegrinaggio per la pace non è un dettaglio di poca importanza ma rappresenta uno dei principali pezzi del complesso puzzle del cammino verso l’unità e la pacificazione che la Chiesa coreana sta tentando da anni di mettere insieme, anche se con difficoltà, accelerate e, molto spesso, brusche frenate. Ne sa qualcosa proprio padre Pietro Hann, della diocesi di Incheon, che è membro della Commissione di riconciliazione nazionale, nata grazie alla partecipazione degli istituti religiosi maschili e le società di vita apostolica: «La commissione, che è in stretta collaborazione con la nostra Conferenza episcopale, è stata fondata nel 2015 dopo l’esperienza di sette organizzazioni religiose impegnate a dare aiuto ai nordcoreani rifugiati al sud e a sostenere la popolazione della Corea del Nord», spiega a «L’Osservatore Romano». Una delle attività fondamentali della commissione, che opera su base diocesana ed è composta da quindici comitati di riconciliazione, è la preghiera. Ed è merito anche di questo organismo se, ormai da qualche anno, alle 21 di ogni giorno, in tutte le chiese si recita un’orazione per la pace seguita da un canto mariano e il Gloria.

«La nostra commissione — aggiunge padre Han — si impegna a portare avanti un costante movimento di preghiera che coinvolge leader e semplici fedeli. Con la nostra testimonianza di fede mettiamo in evidenza la necessità dell’unità e della riconciliazione nazionale. Inoltre, è forte la nostra collaborazione con altre associazioni per condividere le informazioni essenziali necessarie allo svolgimento dei nostri progetti».

Che il lavoro della commissione e di tutta la Chiesa coreana si possa paragonare a un vero e proprio cammino quaresimale lo si capisce, però, da un’altra foto. Quella scattata durante l’annuale pellegrinaggio per la pace al confine con la Corea del Nord che mostra delle suore sedute, forse anche stanche, provate. Davanti ai loro occhi si staglia l’orizzonte abitato da quei fratelli separati per i quali tutte loro, insieme a ogni cristiano del Sud, sono disposte ad affrontare pericoli, sconfitte e dolore, anche nel silenzio e nel nascondimento che la prudenza richiede e come ogni deserto insegna.

Hann è convinto che la Quaresima della Chiesa coreana passi anche attraverso il perdono reciproco dei torti subiti, la cancellazione dell’odio: «Il cammino verso la pace deve eliminare l’ira da ogni cuore seguendo il percorso della Croce di Gesù e mettendo in pratica i suoi insegnamenti: accettare il nemico come fratello». Nel deserto quaresimale che dura ormai da oltre sette decenni, la Commissione di riconciliazione nazionale non lascia indietro nessuno. Le persone che riescono a fuggire dal duro regime dittatoriale — i “defezionisti nordcoreani”, come li definisce la Conferenza episcopale — vengono assistite e sostenute non solo dal punto di vista spirituale ma anche materiale. Inoltre, ricorda il religioso, «portiamo assistenza umanitaria direttamente in Corea del Nord anche se ora, per via del deterioramento delle relazioni, i nostri canali sono stati interrotti». L’educazione all’unificazione è un altro obiettivo essenziale della commissione che sta sperimentando delle borse di studio destinate ai giovani rifugiati nordcoreani.

È nel profondo della sua anima che padre Pietro Han coltiva quella che lui stesso considera più di una speranza: «La possibilità concreta che la maggiore interazione con il Nord possa trasformarsi in uno strumento per diffondere meglio il Vangelo».

Fonte: www.osservatoreromano.va (Pubblicato il 21 febbraio 2024).

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