Lectio magistralis del cardinale Kasper

In occasione dell'inaugurazione dell'anno accademico 2014-2015, l'Università Vita-Salute San Raffaele di Milano ha assegnato la laurea honoris causa in Scienze filosofiche al cardinale Walther Kasper, il quale, dopo la laudatio del prof. Massimo Cacciari che lo considera "tra i teologi più significativi e influenti degli ultimi cinquant'anni, [...] quello che più profondamente si è soffermato sulla difficile relazione tra Rivelazione e filosofia", ha pronunciato la seguente lectio magistralis (ringraziamo per l'invio del materiale il dott. Luigi Menegatti, presidente di ITAS Assicurazioni):

Innanzitutto vorrei ringraziare di cuore l’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano per l’onorificenza della laurea honoris causa. Ringrazio i membri della Facoltà di Filosofia, ringrazio il Prof. Cacciari per la laudatio e il Dott. Vito Limone per la collaborazione. Infine, ringrazio tutti voi, che siete venuti per la celebrazione di questo evento.

La misericordia: ripresa di un tema trascurato

Gentilmente la Facoltà di Filosofia mi ha invitato a parlare sul tema della misericordia – un tema che è centrale nella Bibbia, sia nell’Antico che nel Nuovo Testamento, ed è fondamentale per un’Università dalle radici cristiane, quale è l’Università Vita-Salute San Raffaele. Se si volesse, sarebbe possibile riassumere tutto il Vangelo sotto il titolo della misericordia. Non di rado ‘misericordia’ è diventato il termine-chiave del presente Pontificato, e con questo messaggio Papa Francesco ha toccato i cuori di moltissime persone nella Chiesa cattolica e fuori di essa. Chi di noi non è bisognoso di misericordia e di uomini misericordiosi?

Tanto più sono stato sorpreso quando alcuni anni fa ho voluto preparare una conferenza sulla misericordia. Questa conferenza non voleva vedere la luce. Ho consultato i manuali teologici e gli articoli sulla misericordia nei lessici teologici, ma non mi sono stati di alcun aiuto. Pensavo: questo non può essere vero – che un tema tanto centrale e fondamentale sia imperdonabilmente trascurato nella teologia sistematica e ridotto a un piccolo sottolemma della giustizia, su cui, inoltre, gli autori spesso si mostrano in difficoltà.

Infatti, si domandano in che modo un Dio, che per loro è primariamente giusto, possa essere misericordioso, perché, in quanto è giusto, Egli deve condannare e punire i cattivi e premiare i buoni. Che idea povera e miserabile di Dio, di un Dio che è costretto ad agire secondo le nostre regole della giustizia, un Dio che è un idolo delle nostre concezioni e un’ideologizzazione, un esecutore e il prigioniero delle nostre richieste di un ordine presumibilmente giusto! Un tale Dio non sarebbe più Dio, ma un idolo che diventa ideologia.

Però molto presto ho scoperto che la misericordia non è solo un problema della teologia dei manuali neoscolastici, ma è anche un problema della filosofia, o per meglio dire, di alcune tendenze filosofiche. Secondo il filosofo moderno per eccellenza Immanuel Kant, l’etica deve essere guidata non da emozioni, come la misericordia e la compassione, ma dalla stessa coscienza del dovere morale.

Si pensi anche a filosofie di tipo marxista o socialista, che sospettano che la misericordia sia un sostituto della giustizia, il tentativo di rammendare buche individuali di bisogno sociale invece di riformare lo stesso sistema sociale e creare un nuovo ordine di giustizia per tutti. Sentiamo il grido: Non vogliamo misericordia, no, vogliamo giustizia, vogliamo i nostri diritti! Non vogliamo uno Stato o un imprenditore, che ci faccia misericordiosamente l’elemosina, no, abbiamo diritto a uno stipendio giusto!

È bene che il nostro sistema politico sia basato sull’ideale della giustizia e ne siamo grati. Però il nostro sistema economico e sociale è basato anche sulla competizione. Non c’è spazio per la compassione e la misericordia. Prevale il più intelligente che ha più successo, prevale spesso il più forte o il più furbo, che ha la capacità di imporsi contro gli interessi degli altri e non si cura degli altri. Spesso prevalgono nella nostra società tendenze sociali darwiniste, cioè il diritto del più forte e l’affermazione senza riguardi dei propri interessi egoistici. La Parola di Gesù nel suo Discorso sulla Montagna: «Beati i misericordiosi», suona strana in questo contesto.

Da ultimo Friedrich Nietzsche ha disprezzato la misericordia, come espressione di debolezza, indegna dell’uomo signorile (Herrenmensch) forte e duro. Nietzsche, nel suo libro Così parlò Zarathustra, disegnava un vero contro-vangelo al Discorso sulla Montagna. Le conseguenze del nazismo, o meglio gli abusi che ne facevano i nazisti, erano terribili con la loro ideologia della razza signorile e il loro disprezzo dei deboli, degli handicappati, delle cosiddette razze indegne della vita.

Sono state addirittura le due ideologie del marxismo e del nazismo, che tantissimo hanno devastato il ventesimo secolo e che hanno causato tanti dolori a tantissimi uomini, che hanno portato ad un ripensamento dell’idea di misericordia. Un mondo senza compassione e senza misericordia è un mondo freddo. Esistono testimonianze sconvolgenti a proposito della miseria umana e la disperazione in cui si trovava il mondo ateo del marxismo dell’Unione Sovietica, dove si viveva nella totale assenza di misericordia. Sappiamo che alla fine con la misericordia anche la giustizia era perduta e calpestata.

Già Papa Giovanni XXIII, nel suo discorso di apertura del Concilio Vaticano II, ha detto: «Oggi la Chiesa preferisce usare la medicina della misericordia piuttosto che della severità». Il futuro Papa Giovanni Paolo II ha vissuto il terrore della Seconda Guerra Mondiale, la dittatura nazista e comunista in Polonia, una situazione di ingiustizia, di mancanza di diritto e di misericordia. In tale situazione ha scoperto di nuovo l’importanza della misericordia biblica e ha promulgato la sua seconda enciclica del suo Pontificato sul tema della misericordia, Dives in misericordia. Come risposta ai terrori del secolo scorso, Papa Benedetto ha approfondito questo messaggio nella sua enciclica Dio è amore.

Adesso Papa Francesco ha fatto della misericordia il tema centrale e fondamentale del suo Pontificato. Anche in lui c’è un fondo di esperienza personale. Negli slum di Buenos Aires ha incontrato gente che si sente considerata ed è considerata come scarto, uomini e donne, bambini e anziani che sono esclusi dal progresso economico e culturale, bambini di strada, spesso abusati. Anche oggi si parla di almeno dodici milioni di schiavi a livello mondiale, esseri umani che sono costretti a vivere in situazioni miserabili e sono costretti al lavoro forzato. E chi di noi non pensa al destino di milioni di persone esposte al terrorismo brutale e cinico, ai rifugiati nelle mani di trafficanti senza coscienza? Il tema della misericordia non è superato, il messaggio della misericordia è di grande attualità.

Primi approcci alla misericordia

L’attualità della misericordia ci stimola a scavare nella tradizione del pensiero umano per una risposta alla nostra situazione. Benché la parola ‘misericordia’ sia specifica nella Bibbia e nella tradizione biblica, se ne trovano preparazioni e anticipazioni nella tradizione umana dell’Occidente. La tradizione della filosofia e anche della teoria della tragedia nell’Occidente conosce la compassione. La tragedia classica vuole che lo spettatore sperimenti compassione con il destino dell’eroe e in lui sperimenti il suo proprio destino. Da lì nella teoria moderna del teatro spesso è provenuto l’interesse per l’insegnamento e l’educazione morale dello spettatore. I principi di empatia e di simpatia (syn-pathein, compassione) sono, dunque, costitutivi della tradizione umanistica.

In quasi tutte le religioni dell’umanità si trova la cosiddetta ‘regola d’oro’: «Ciò che non vuoi che sia fatto a te, non farlo ad un altro», o nella sua formulazione positiva: «Ciò che vuoi che sia fatto a te, fallo anche all’altro». Questa ‘regola d’oro’ è un’eredità di tutta l’umanità. Essa è una regola di empatia, che chiede di oltrepassare il proprio io, di mettersi nella situazione dell’altro e di agire come io desidererei che l’altro agisse in tale situazione con me. Questi esempi mostrano una concezione dell’uomo che non è autoreferenziale e rinchiuso in se stesso, ma di un uomo che deve aprirsi all’altro, un’antropologia dell’empathein e del sympathein con l’altro, e una comprensione di se stesso dall’altro, all’altro e nell’altro.

La tradizione biblica – come vedremo subito – va oltre. Tuttavia, è il caso di aggiungere già adesso che il Corano islamico partecipa, in una certa misura, alla tradizione biblica. Ogni Sura coranica (tranne un’eccezione) inizia con l’invocazione di Alla onnipotente e tutto-misericordioso. Ci sono, dunque, similitudini con la concezione biblica della misericordia, similitudini che sono importanti per il dialogo interreligioso e per l’autocomprensione dell’Islam, che contraddice il terrorismo.

Eppure, proprio lì dove appare la similitudine, anche appare la dissimilitudine decisiva fra la Bibbia e il Corano. Infatti, la concezione di Alla come Dio non è la stessa che si ha di Jaweh nell’Antico Testamento e del Dio Padre di Gesù. Un Dio che, in ragione della sua misericordia, si abbassa fino al punto di diventare uomo e morire sulla croce, una tale concezione è del tutto inimmaginabile per l’Islam, anzi essa viene fortemente rifiutata e considerata in stretta contraddizione con la trascendenza assoluta di Dio.

Così, già a questo punto si evidenzia che con l’idea della misericordia non solo la concezione dell’uomo come essere con e per gli altri, ma anche la concezione giudeo-cristiana di Dio stesso entra in gioco. Con la misericordia tocchiamo la vera identità del cristianesimo. Essa presuppone un fondamento generale, che risale alla creazione dell’uomo, per cui non è bene che egli sia da solo; così esiste una salda base comune per il dialogo interreligioso, che oggi è tanto importante per la pace e la sopravvivenza dell’umanità. Esistono approcci umani ermeneutici alla concezione della misericordia. Però, una religione umanistica generale, che oltrepassa la differenza specifica cristiana, oltrepassa anche il contributo specifico del cristianesimo in questo dialogo per il bene di tutti.

Misericordia nell’Antico Testamento

Se apriamo la Bibbia, troviamo già nelle prime pagine che Dio ha creato tutto nel bene, ma tramite il peccato il caos è entrato nel mondo. Nei primi capitoli della Bibbia non troviamo ancora la parola ‘misericordia’. Tuttavia, troviamo che Dio dall’inizio ha resistito al male e al caos. Dopo il diluvio ha garantito l’ordine del mondo e ha dato all’uomo uno spazio di vita e di sopravvivenza (Gen 8-9). Dio vuole la vita e protegge la vita e anche dopo il peccato dà un nuovo inizio, una nuova chance. Lo stesso si vede dopo il disastro della torre di Babele e la disgregazione e la dispersione degli uomini.

Con Abramo Dio ha iniziato una nuova storia e una nuova congregazione e riunione di tutta la famiglia umana. La benedizione data ad Abramo era una benedizione per tutte le nazioni: «In te tutte le nazioni saranno benedette» (Gen 12,3;18,18; 22,18; 28,14 et al.). Anche qui il termine ‘misericordia’ non c’è ancora, eppure la realtà della misericordia è già presente. Dio non vuole la morte, ma la vita. Dio non abbandona la sua creatura, non abbandonerà mai l’uomo. Dio offre sempre una nuova chance.

Una nuova tappa nella storia della salvezza si riscontra con Mosè e la liberazione del popolo d’Israele dall’Egitto. Dio si rivela a Mosè nel roveto ardente come Dio che ascolta il grido del suo popolo e che vede la sua miseria. Notiamo: Dio ascolta, Dio vede; il suo cuore è con gli uomini (Es 3,14). Il suo nome, che rivela a Mosè, YHWH (Es 3,14) nella LXX e nella Vulgata va tradotto: «Sono chi sono, sono l’essere» (ho òn). Da questa traduzione scaturiscono tutta la dottrina di Dio e il concetto metafisico di Dio come essere assoluto.

Questo concetto non è sbagliato. In verità, il significato originale di YHWH è più profondo. YHWH significa: «Io sono e sarò presente, io sono e sarò con voi; io sono il vostro Dio e voi siete il mio popolo» (Es 6,7). Con il suo nome Dio mostra commozione e sensazione dolorosa, compassione e prontezza ad aiutare. Dio è il Dio con il suo popolo. Dio è il Dio che cammina con il suo popolo e lo accompagna sul cammino della sua storia. Egli è il Dio che libera il suo popolo.

Nella seconda rivelazione Dio dice a Mosè: «A chi voglio fare grazia e di chi voglio avere misericordia, avrò misericordia» (Es 33,19). Misericordia, dunque, non è solo espressione di un compiacimento, ma di sovranità, di libertà, di indipendenza e di signoria. Il significato metafisico è implicitamente presente. Il significato biblico, però, è più dinamico e personale. In quanto Dio è Dio, Egli è anche misericordioso. In quanto Dio è assoluto, Egli è anche misericordioso. La misericordia è il suo essere assoluto.

Un terzo aspetto occorre nella terza rivelazione a Mosè: «JHWH è un Dio misericordioso e pietoso, lento all’ira e ricco di amore e di fedeltà» (Es 34,6). Adesso misericordia non è solo espressione della sovranità e della libertà, ma anche della fedeltà di Dio. A Lui possiamo affidarci in ogni situazione. Nella Bibbia la formula della terza rivelazione va considerata come nome di Dio e quasi come definizione dell’essenza di Dio. Pertanto nell’Antico Testamento, soprattutto nei Salmi, è sempre nuovamente ripetuta (Dt 4,31; Sal 86,15; 103,8; 116,5; 145,8 et al.).

L’apice della rivelazione antico-testamentaria della misericordia di Dio si trova nel profeta Osea. Egli visse e operò in una situazione drammatica. Alla drammaticità della situazione corrisponde la drammaticità del suo messaggio. Il popolo ha infranto l’alleanza ed è diventato una prostituta disonorata. Perciò, Dio ha rotto con il suo popolo e ha deciso di non mostrare più nessuna misericordia al popolo infedele. Il suo popolo non è e non sarà più il suo popolo (Os 1,6. 9).

Tutta l’alleanza pare finita, e non s’intravvede più alcun futuro. Poi avviene la svolta drammatica: «Il mio cuore si rivolta contro di me». Più correttamente è opportuno tradurre: Dio capovolge la propria giustizia, per così dire, la getta via. Il posto dello sconvolgimento annientatore è preso dallo sconvolgimento all’interno di Dio stesso. La sua compassione esplode e in Lui la misericordia prevale sulla giustizia. La motivazione di questo sconvolgimento manifesta tutto l’abisso del mistero divino: «Perché sono Dio e non un uomo; sono il Santo in mezzo a te e non verrò da te nella mia ira» (Os 11,9).

Con quest’affermazione sorprendente si intende ciò: la santità di Dio, il suo essere totalmente diverso da tutto l’umano, non si manifesta nella giusta ira e neppure nella sua trascendenza inaccessibile e insondabile all’uomo. L’essere di Dio si manifesta nella sua misericordia. La misericordia è espressione della sua essenza divina. La misericordia lo distingue completamente dagli uomini e lo eleva al di sopra di tutto l’umano. Essa è la sua sublimità e la sua sovranità. Il profeta Michea dice: «Egli si compiace di manifestare il suo amore» (Mich 7,18).

A questo punto devo fermarmi con l’esposizione dell’Antico Testamento. Tralascio le lodi della misericordia nei Salmi e la dimensione sociale della misericordia nell’Antico Testamento. Per il momento basta aver evidenziato che l’Antico Testamento non è, come molti sospettano, solo un messaggio di giustizia, oppure della vendetta e dell’ira di Dio. L’Antico Testamento già prepara il messaggio di Gesù e del Nuovo Testamento sulla misericordia di Dio.

Misericordia nel Nuovo Testamento

Al centro del messaggio di Gesù sta il messaggio di Dio come Abbà, Padre. Vorrei ricordare la bellissima parabola di Gesù del figliol prodigo, che piuttosto dovrebbe essere chiamata parabola del padre misericordioso (Lc 15,11-32). È commovente: il padre aspetta il figlio e gli va incontro. Dio aspetta, ci aspetta, ci viene incontro, ci abbraccia e restituisce al suo figlio prodigo tutti i suoi diritti di figlio. Dio particolarmente ci è venuto incontro con la missione del suo unico Figlio, che si è abbassato ed è divenuto uomo fino alla morte sulla croce (Fil 2,5-11).

Il crocifisso è l’immagine concreta della misericordia di Dio. Si può ricordare anche la parabola del buon samaritano, che è diventata proverbiale anche al di fuori del campo cristiano ed ecclesiale (Lc 10,25-37). Questa parabola dimostra un’inversione e conversione della prospettiva, un vero cambiamento del paradigma. Alla domanda: «Chi è il mio prossimo?», Gesù non risponde con una deduzione da alti principi, ma immagina la situazione di un uomo che soffre e che non può più essere d’aiuto a se stesso, un uomo che io trovo e incontro in mezzo alla strada.

Quest’uomo sofferente è l’interpretazione della volontà concreta di Dio per me. Interpretando in modo concreto la volontà di Dio, sarebbe sbagliato intendere il messaggio della parabola nel senso di un umanesimo universale. La parabola illustra il comportamento di Gesù che, da parte sua, è manifestazione del comportamento di Dio e che poté dire di sé: «Io sono mite e umile di cuore» (Mt 11,19).

Alla fine Gesù ha sacrificato la sua vita «per riscattare molti», cioè per ognuno di noi e per tutti noi (Mc 10,45; cfr. 1 Tim 2,3). Questa morte vicaria di Cristo, che commemoriamo e si rende presente ogni volta nella celebrazione eucaristica, non ha solo il significato di solidarietà con noi, non è solo una realtà morale. Infatti, non esiste solo il bisogno sociale e morale. Più profondo è il bisogno metafisico: il destino della morte, che pone nella sua profondità la domanda sul significato della nostra vita. Tramite il peccato abbiamo guadagnato la morte (Gen 2,17; Rom 5,12).

Dalla morte non possiamo liberarci da noi stessi. Noi siamo preda della morte, la morte è il nostro destino. Solo Dio, che è Signore della vita e della morte, può venire in nostro aiuto e liberarci. In Gesù Dio stesso per la sua misericordia è venuto al nostro posto. In quanto era Dio, la morte non prevalse su di lui. Così, per mezzo della sua morte ha distrutto la morte e la vita ha vinto (cfr. la liturgia pasquale). Gesù Cristo ha sacrificato la sua vita affinché noi possiamo vivere.

La giustificazione del peccatore – il grande tema di Lutero e della Riforma, oggi spesso poco inteso – significa questo: normalmente il colpevole deve essere condannato a morte, però noi, grazie alla misericordia di Dio, siamo condannati alla vita. Siamo assolti, liberati dalla morte e chiamati alla libertà cristiana (Gal 5,1). Così il messaggio della misericordia tocca il centro della teologia e della soteriologia e, possiamo anche dire, tocca il centro della nostra esistenza umana e cristiana.

In nessuna situazione umana, neppure nella situazione della nostra morte, possiamo cadere più in profondità quanto nelle mani di Dio misericordioso. La Lettera agli Efesini riassume tutto ciò nelle parole: «Dio è pieno di misericordia» (Ef 2,4). Con questa frase vorrei terminare le riflessioni bibliche. Vorrei aggiungere adesso riflessioni più sistematiche, soprattutto sul concetto di Dio, poi sulla vita cristiana e sulla Chiesa. Tuttavia, non è possibile parlare di tutti questi temi in modo sufficiente. Dunque, mi limiterò solo ad alcuni aspetti.

Misericordia, il nome del nostro Dio

Innanzitutto, come abbiamo visto già all’inizio, la misericordia tocca la questione di Dio. La questione di Dio riguarda la crisi più profonda di oggi, ed è anche la questione oggi più importante. Sebbene già in passato siano stati prevalenti l’ateismo e l’agnosticismo di alcuni filosofi, l’ateismo e l’agnosticismo delle masse sono un fenomeno recente della civiltà occidentale secolarizzata, mentre in tutta la storia più antica dell’umanità non è mai esistita alcuna cultura senza religione. Il Concilio Vaticano II ha affermato che l’ateismo nelle sue diverse forme è uno dei problemi più seri, ma il Concilio ha anche aggiunto che di esso i Cristiani hanno una colpa (GS 19-21).

Infatti, come dice il Concilio, spesso abbiamo oscurato l’immagine di Dio. Spesso abbiamo annunciato unilateralmente il Dio giusto che punisce e talvolta abbiamo disegnato l’immagine di un Dio della vendetta, e abbiamo piuttosto sottovalutato il messaggio di un Dio misericordioso, che nella sua misericordia non vuole la morte del peccatore, ma la vita. Abbiamo sovraccaricato l’immagine del Dio vivente, che cammina con il suo popolo ed è presente in ogni situazione, con idee speculative sull’immobilità di Dio, che non sono sbagliate, ma, intese unilateralmente, hanno allontanato Dio dalla vita.

La Bibbia ci dice: «Dio è amore» (1 Gv 4,8), cioè comunicazione di se stesso. Prima di tutto, Dio è comunicazione di se stesso nella Trinità. Dio non è un Dio solitario, il Dio trinitario è comunione. L’aspetto esteriore di quest’amore e di questa comunicazione in se stessa è la misericordia. Essa è la fedeltà di Dio a se stesso, che è amore. Poiché Dio è fedele a se stesso, Egli vuole comunicare il suo essere prima nella creazione, poi nella storia della salvezza; Egli non può fare altrimenti che perdonare e dare una nuova chance a ogni peccatore che si pente e si converte.

La misericordia diventa così lo specchio della Trinità e, secondo San Tommaso d’Aquino, essa è la prima proprietà di Dio. Nella sua misericordia Dio apre il suo cuore e ci lascia guardare nel suo cuore. Così Papa Francesco, quando gli ho dato il libro sulla misericordia solo qualche giorno dopo che era stato pubblicato in traduzione spagnola, mi ha detto: «Misericordia, questo è il nome del nostro Dio!».

L’affermazione: «Dio è misericordia» significa che Dio ha un cuore per i miseri. Egli non è un Dio, per così dire, sopra le nuvole, disinteressato al destino degli uomini, ma piuttosto si lascia commuovere e toccare dalla miseria dell’uomo. Egli è un Dio compassionevole, un Dio ‘simpatico’ (nel senso originale di questa parola).

Tali e altri argomenti hanno portato la teologia recente a una nuova riflessione sull’immutabilità e l’impassibilità di Dio. Certo è e resta vero che Dio è sempre lo stesso e che non c’è sviluppo in Dio. Dio non è, in un senso passivo, toccato dal male; in questo senso non ci sono né passione né sofferenza in Dio. A causa della sua perfezione assoluta Dio non si commuove, ma a causa della sua sovranità nella carità in un senso attivo e libero si lascia commuovere e toccare dalla miseria dell’uomo. Non c’è passione, ma c’è compassione in Dio.

A questo punto arriviamo ai problemi più profondi della teologia: Dio e il male, Dio e la sofferenza innocente, Dio e l’ingiustizia e la cattiveria nel mondo – problemi che ci sfidano, come la Shoà nel ventesimo secolo o le inedite brutalità cui siamo sottoposti nel nostro ventunesimo secolo. Una risposta teorica nel senso della teodicea tradizionale, ossia nel senso della giustificazione di Dio, come ha tentato Leibniz, mi pare impossibile.

Non possiamo immaginare una teoria che trascenda e superi i misteri di Dio e il mistero della persona sofferente, che non può essere strumentalizzata da una teoria né da un’ideologia astratta. La risposta non può essere teorica, ma deve essere pratica. La domanda è una sfida per la nostra misericordia. Noi dobbiamo portare almeno un debole raggio della misericordia divina nel buio del mondo.

Misericordia, chiave dell’esistenza cristiana nella società

Credere in questo Dio della misericordia non vuol dire credere che un Dio in qualche mode esista, forse da qualche parte sopra le nuvole. No, se Dio misericordioso esiste, questo cambia tutta la mia vita. Il principio fondamentale della Bibbia per la vita del cristiano suona: «Essere imitatore di Dio» (Ef 5,1). Siamo chiamati a imitare Dio. In questo senso Gesù dice: «Siate perfetti sul modello di Dio» (Mt 5,48). L’evangelista Luca presenta probabilmente il testo originale: «Siate misericordiosi sul modello di Dio» (Lc 6,36).

In questo senso, nel primo e più grande comandamento l’amore con Dio e l’amore con il nostro prossimo sono inscindibilmente connessi (Mt 22,34-40). Nessuno può amare Dio senza anche amare il suo prossimo (1 Gv 4,20; cfr. 3,10-18). Ecco la centralità del Discorso sulla Montagna: «Beati i misericordiosi» (Mt 5,7). Nel suo discorso sull’ultimo giudizio, Gesù conosce solo un criterio: il nostro comportamento con gli affamati, gli assetati, gli ignudi, gli ammalati, i prigionieri...

Gesù non ci domanderà se avremo rispettato il sesto comandamento. Certo, anche quello è importante, perché anche quello fa riferimento al rispetto degli altri, cioè al vero amore, che è altra cosa dal piacere e soddisfare i propri desideri. Eppure, decisivi saranno solo l’amore e la misericordia. Solo l’amore e la misericordia saranno l’unica cosa che potremo portare con noi e presentare al giudizio di Gesù. Perché nei poveri incontriamo Gesù stesso, e lui ci riconoscerà quando lo incontreremo (Mt 25,31-46).

La tradizione cristiana elenca sette opere di misericordia corporale e sette opere di misericordia spirituale. Le opere di misericordia corporale sono: dare da mangiare agli affamati, dare da bere agli assetati, vestire gli ignudi, ospitare i forestieri, visitare gli ammalati, liberare i prigionieri, seppellire i morti.

Alcune di queste opere sono molto attuali: dare da mangiare e bere ci chiama alla giustizia in un mondo in cui le risorse della vita sono distribuite in un modo molto ingiusto; ospitare i forestieri diventa una questione di coscienza di fronte a milioni di rifugiati, questione che oggi è un segno dei tempi; visitare i malati e gli anziani diventa sempre più importante in una società in cui conta spesso solo chi è giovane, chi è sano e forte e chi ha successo, mentre nella nostra società aumenta il numero degli anziani che spesso rimangono da soli; liberare i prigionieri significa migliorare e umanizzare la situazione dei prigionieri e impegnarsi per coloro che ingiustamente sono in prigione (prigionieri politici, prigionieri a causa della religione, per non dimenticare i cristiani perseguitati, ecc.).

Tutto il realismo cristiano viene alla luce quando ci rivolgiamo alle opere della misericordia spirituale. Infatti, non esiste solo la povertà materiale, ma anche la povertà culturale, quella povertà di coloro che non hanno accesso alla cultura (veniamo al problema dell’analfabetismo), la povertà relazionale, cioè la povertà di comunicazione di chi è in solitudine, non ultima la povertà spirituale, il vuoto e sempre crescente deserto interiore, la mancanza e lo smarrimento di orientamento nella vita. In questo senso, le opere della misericordia spirituale diventano di nuovo molto attuali: istruire gli ignoranti, consigliare i dubbiosi, confortare gli afflitti, correggere i peccatori, perdonare chi ci ha offeso, sopportare gli antipatici (il che è la cosa più difficile), pregare per tutti.

Queste opere della misericordia corporale e spirituale non sostituiscono affatto l’ordine di una società giusta. L’idea di uno stato sociale, che preveda una vita umana degna dell’essere umano, è esistita sin dall’Ottocento, perché la povertà non è solo un problema individuale, ma anche un male e una disfunzione sociale. Abbiamo ogni ragione di conservare e migliorare il nostro sistema sociale.

Eppure, si devono anche riconoscere i limiti di questo nostro sistema sociale. Il bisogno ha molte facce, e il bisogno spesso cambia molto velocemente. Non è possibile regolare e prevedere ogni situazione individuale e chi prova a farlo finisce col creare un sistema burocratico pieno di regole, e anche lì sempre si sguscerà tra le maglie di questo sistema, cosicché – come già gli antichi Romani dicevano – summum ius diventerà summa iniuria. La burocratizzazione dell’ambito sociale e sanitario, fino a un certo grado inevitabile, crea nuovi problemi e finisce spesso con un sistema freddo, impersonale e anonimo.

Per esempio, una malattia non è solo un problema di un particolare organo dell’uomo, ma un problema della stessa persona, un problema emozionale ed esistenziale. Il malato ha bisogno di aiuto professionale, ma anche di empatia e di simpatia nel senso originale della parola: egli ha bisogno di misericordia, cioè di un cuore per i miseri. Infatti, spesso una parola confortante e incoraggiante sostituisce la medicina e, anzi, proprio a causa del sistema e dell’unità psicosomatica dell’uomo, risulta la migliore medicina.

Il problema si aggrava sempre di più in ragione di una crescente economicizzazione e commercializzazione dei servizi sanitari e sociali. Detto questo, non ho ancora parlato di molti dei problemi futuri, tra cui quello riguardante l’ambito demografico. Come potrà un numero sempre più basso di giovani prendersi cura personalmente ed economicamente di un numero sempre più alto di anziani che oggi, a confronto con il passato, grazie al progresso della medicina, hanno una vita più lunga e hanno bisogno di cure sempre più lunghe e sempre più costose?

Di fronte a tali e molti altri problemi la misericordia e le opere di misericordia rivelano la loro attualità non solo in situazioni particolari, ma anche in un senso più generale. L’ordine sociale non può sopravvivere senza l’iniziativa e l’impegno personale e privato nell’ambito della famiglia, del vicinato e del volontariato. Tuttavia, per fare questo ci vuole motivazione, ci vuole misericordia, ci vuole cioè un cuore (cor) per i miseri, un cuore aperto che tiene le mani aperte e mette in moto le nostre gambe per aiutare chi ha bisogno. La misericordia individuale non vuole e non può sostituire la giustizia sociale, ma può essere l’ispirazione e la motivazione a darsi da fare.

Sono necessarie delle persone che percepiscano il bisogno che spesso sorge inaspettatamente, e che si lascino commuovere da esso, delle persone che abbiano un cuore, che si prendano a cuore gli altri e che nel caso concreto cerchino di aiutare meglio che possono. Senza una simile misericordia la base motivazionale per un ulteriore sviluppo della legislazione sociale si perde. Pertanto, la nostra società non può cavarsela senza la misericordia.

Oggi, davanti agli enormi problemi cui dobbiamo far fronte, senza una base religiosa, viene a mancare l’impulso emotivo necessario per impegnarsi per un mondo migliore. Senza la misericordia rischiamo che la nostra società si trasformi in un deserto. Possiamo, perciò, intendere la misericordia come il fondamento e la fonte innovativa e motivazionale della giustizia sociale. La misericordia, che è una virtù soprannaturale, ha la sua razionalità e la sua urgenza naturali.

Quest’affermazione dev’essere confrontata con il comandamento più forte di Gesù. Egli dice: «Come Dio ci perdona settanta volte sette, così dobbiamo anche noi perdonare ed amare finanche i nostri nemici» (Mt 4,43s; 18,21s). Sigmund Freud ha detto che il comandamento di amare il proprio nemico è un comandamento assurdo perché è impossibile. Certo non è facile, e spesso ci vuole un lungo camino per arrivare a perdonare e amare il nemico.

Però, Dio ha fatto così con noi. E solo così ha chiuso quel circolo vizioso secondo cui ogni ingiustizia causa vendetta e la vendetta causa nuova ingiustizia e così via. La misericordia frantuma questo circolo vizioso e permette un nuovo inizio, una nuova via comune verso il futuro. La misericordia fino al perdono del nemico – certo non è facile, eppure non è assurdo, ma ragionevole. Solo per mezzo della misericordia e del perdono possiamo essere operatori di pace (Mt 5,9).

Questa era la saggezza dei grandi politici italiani, francesi e tedeschi dopo il disastro della Seconda Guerra Mondiale; da popoli nemici sono divenuti popoli amici. Così furono fondati la pace e il futuro dell’Europa, e speriamo che oggi non prevalgano di nuovo l’egoismo nazionale e i risentimenti irrazionali del passato, affinché la pace e il futuro dell’Europa esistano per sempre.

La Chiesa, sacramento della misericordia

Per concludere, parliamo adesso in un ultimo capitolo della dimensione ecclesiale della misericordia. Il Concilio Vaticano II ha definito la Chiesa quasi come un sacramento di Cristo, cioè segno e strumento di Cristo (LG 1). Così la Chiesa è anche sacramento, ossia segno e strumento della misericordia di Cristo. Essa nella sua dimensione visibile, sociale e istituzionale deve rappresentare e rendere visibile il Cristo misericordioso. In questa prospettiva si capisce qual è lo scandalo per cui la Chiesa spesso viene considerata, talvolta anche denunciata, non misericordiosa, ma piuttosto dura e severa.

Fu in ragione della sua genialità spirituale che Papa Giovanni XXIII disse nel suo famoso discorso all’inizio del Concilio Vaticano II: «Non c’è nessun tempo in cui la Chiesa non si sia opposta a questi errori; spesso li ha anche condannati, e talvolta con la massima severità. Quanto al tempo presente, la Sposa di Cristo preferisce usare la medicina della misericordia invece di imbracciare le armi del rigore; pensa che si debba andare incontro alle necessità odierne, esponendo più chiaramente il valore del suo insegnamento piuttosto che condannando».

Con queste parole il Papa diede inizio non solo al Concilio, ma anche all’orientamento pastorale postconciliare. Papa Paolo VI ha confermato questa scelta e ha continuato su questa scia. Nella sua ultima allocuzione al Concilio ha detto che il comportamento del buon samaritano è la spiritualità del Concilio. Papa Giovanni Paolo II ha pubblicato la sua seconda enciclica sulla misericordia. Così Papa Francesco, con l’Evangelii gaudium, è in ottima continuità con il Concilio e i suoi predecessori. ‘Misericordia’ è il termine-chiave del suo Pontificato.

C’è una triplice missione della Chiesa riguardo alla misericordia. La Chiesa deve predicare la misericordia, deve celebrare la misericordia nella liturgia dei sacramenti, soprattutto nel sacramento della misericordia, nel sacramento della penitenza e nella liturgia eucaristica, e deve praticare la misericordia nella sua prassi pastorale. La pastorale misericordiosa non va confusa con una pseudo-misericordia, cioè con una prassi pastorale di compiacimento e di un cristianesimo light e a buon mercato.

La stessa misericordia è la verità fondamentale della fede cristiana. Perciò, essa non può essere contrapposta alla testimonianza della verità. È teologicamente del tutto insensato metterla in contrapposizione alla verità, ovvero sospettare che essa indebolisca le altre verità e i comandamenti di Dio, o dispensi dalla conversione.

Anzi, come verità fondamentale secondo la gerarchia delle verità, la misericordia deve essere intesa come il principio ermeneutico per l’interpretazione e l’applicazione delle verità di fede e per l’interpretazione e l’applicazione del diritto canonico, la cui legge suprema è la salvezza delle anime. Così la misericordia fa brillare sempre di nuovo la bellezza del Vangelo e della fede, che non è mai fuori moda, bensì sempre attuale, sempre nuova e sempre sorprendente.

Nella misericordia la Chiesa si presenta come Madre misericordiosa, la cui casa è sempre aperta ai suoi figli, una Chiesa dalle porte aperte e non dai ponti levatoi chiusi. In questo contesto non voglio entrare in problemi pastorali concreti e in situazioni complesse, come, ad esempio, il problema dei divorziati risposati, che è stato discusso in modo controverso durante il Sinodo straordinario nell’Ottobre scorso.

Sono convinto che nel Sinodo ordinario previsto per l’Ottobre di quest’anno si raggiungerà un largo consenso, come è stato fatto dal Concilio Vaticano II, il cui cinquantesimo anniversario della chiusura commemoriamo quest’anno. Anche in quel Concilio ci furono molti lunghi dibattiti e controversie, ma alla fine si è sempre raggiunto un largo consenso ben oltre i due terzi dei voti. Lo stesso avverrà questa volta.

In questo contesto voglio indicare solo la dimensione più profonda della misericordia. Essa non ha solo una dimensione sociale ed ecclesiale, ma una dimensione cristologica e mistica. Gesù è venuto per predicare il Vangelo, la lieta novella per i poveri (Lc 4,18). Lui che era ricco si è abbassato e si è fatto povero e debole fino alla croce (2 Cor 8,9). Questa kénosis, cioè questo auto-abbassamento, questa auto-spoliazione ed auto-umiliazione continua nel suo corpo mistico che è la Chiesa, continua nei poveri. Papa Francesco spesso ripete che nelle piaghe dei lacerati e dei poveri possiamo toccare Gesù. Ciò che abbiamo fatto ai poveri e ai miseri, lo abbiamo fatto a Lui stesso (Mt 25,40).

Questo aspetto cristologico e mistico della misericordia è molto caro a Papa Francesco. Il suo programma è profondamente radicato nella tradizione della Bibbia e nella tradizione agiografica. San Benedetto ammonisce i monaci di accogliere uno straniero come Cristo. San Francesco d’Assisi, all’inizio del suo cammino spirituale, ha abbracciato e baciato un lebbroso.

Madre Teresa ha ricevuto la sua vocazione originale quando sulle strade di Calcutta ha trovato un moribondo, lo ha portato nel suo monastero e ha avuto la sensazione di portare tra le sue mani Cristo in persona. L’ultimo Concilio ha riscoperto questa dimensione nella Lumen gentium (LG 8,3). Con il suo insegnamento Papa Francesco segue un’antichissima tradizione e inizia una nuova fase della ricezione del Concilio Vaticano II.

D’altra parte, questo insegnamento corrisponde benissimo alla situazione attuale del mondo, dove più di due terzi degli uomini e anche dei cristiani vivono in povertà e miseria, mentre noi nel mondo occidentale viviamo in una società di abbondanza. Così aumenta l’abisso sociale fra benestanti e poveri, e soprattutto aumenta il deserto spirituale, nel quale molti si domandano: Come posso, in questo mondo profondamente secolarizzato, trovare e incontrare Cristo?

In questa situazione la misericordia e la sua spiritualità diventano chiave dell’esistenza cristiana. La sua mistica non è quella degli occhi chiusi, ma degli occhi aperti, occhi che ci portano ai cuori aperti, alle mani aperte, alle gambe veloci per venire incontro a coloro che sono nel bisogno e nella miseria. Così la misericordia diventa fondamentale per una spiritualità e una mistica non solo monastiche e clericali, ma per una mistica laica in mezzo al mondo.

Questa è la spiritualità di San Raffaele, uno degli sette angeli, il cui nome significa: ‘Dio guarisce’, ‘Dio si mostra come medico’. Come tale, San Raffaele è messaggero di Dio e compagno di viaggio nella vita, esperto di salute e rivelatore del piano salvifico e misericordioso di Dio. Pertanto San Raffaele, patrono di questa Università ci sia un messaggero della misericordia, di cui abbiamo bisogno tutti noi.

 

Fonte: retesicomoro.it

"Siate misericordiosi come è misericordioso il Padre Vostro". Questa direttiva che il Signore ha dato ai suoi discepoli nel Vangelo e che San Luca ha raccolto (Luca 6,36), è passata attraverso due millenni di guerre e di lotte inespiabili, nelle quali i cristiani stessi non hanno purtroppo potuto fare a meno di essere sommersi, anche se l'ideale evangelico della misericordia continua a commuoverli ed animarli: innumerevoli opere di misericordia sono state suscitate dallo Spirito di Dio, sempre operante nella Chiesa. E anche ai giorni nostri, un papa come Giovanni XXIII non trascurava nessuna occasione per celebrare la pratica delle opere di misericordia, che il suo carissimo zio, Saverio, gli aveva insegnato sin dalla prima infanzia. Ritorno al Centro

Ma la misericordia sembrava essere piuttosto una conseguenza, un corollario, un accessorio d'obbligo della fede, e non una prospettiva centrale. E dobbiamo a Papa Giovanni Paolo II e alla sua Enciclica Dives in Misericordia, l'aver operato quello che si può definire un ritorno al centro. Infatti, è proprio di tutti i rinnovamenti della Chiesa e di ogni ritorno spirituale alle sorgenti, l'operare questo riconvergere sul Vangelo, da cui il peso della vita quotidiana ci distrae senza sosta.

Ripercorro con la mente un fatto. Era lo scorso anno, il 30 novembre 1980, nella celebrazione della prima domenica d'avvento. A quell'epoca facevo la spola, ogni mese, tra Parigi - dove mantenevo ancora la mia carica di rettore dell'Istituto Cattolico - e Roma, dove cominciavo ad esercitare la responsabilità di pro-presidente del Segretario per i Non Credenti, responsabilità che, come papa Giovanni Paolo II mi ha chiesto di fare, mi assorbe ora interamente. Si, ricordo l'incredulità di qualcuno quando cominciò a circolare la notizia che il Santo Padre, per la sua seconda Enciclica, dopo la Redemptor Hominis, aveva scelto di parlare della misericordia. Che cosa? Nel nostro mondo tormentato, nella nostra Chiesa in preda a problemi tanto gravi, il Papa non aveva qualcosa di più urgente da dire che parlare della misericordia? Un interrogativo, questo, alquanto rivelatore. Che non possiamo passare sotto silenzio. È chiaro che, per molti, la misericordia è un qualcosa in più, come lo sono le opere di misericordia in relazione alla giustizia. Il merito di Giovanni Paolo II sta nel ricordarci che si tratta invece di cosa essenziale, di una dimensione inalienabile dell'Amore, che è esso stesso nel cuore di Dio, e che tutto il movimento di conversione a cui siamo chiamati dalla fede in Cristo ci conduce ad imitarlo, ci conduce fino al punto di imitarlo.

Popolo di Dio, peccatori riscattati dalla morte e dalla Resurrezione di Cristo, peccatori perdonati, chiamati a perdonare per essere perdonati, come diciamo - senza ben comprenderlo - nel nostro Pater Noster quotidiano: "Perdona le nostre offese, come noi perdoniamo".... Sii misericordioso con noi, come noi lo siamo: divina e stupefacente analogia tra i costumi di Dio e quelli che noi siamo chiamati a praticare, per mettere la nostra vita all'unisono con la nostra fede. Dio è amore e l'amore è misericordia

Dio è amore e l'amore è misericordia. Ecco l'asse fondamentale della nostra fede, che l'Enciclica di Giovanni Paolo II ci ricorda con fervore. Giovanni Paolo II ci chiama al superamento, sul cammino della salvezza che è il nostro cammino, al superamento del tempo, verso l'eternità. La sua prima Enciclica, Redemptor Hominis, ha tracciato, ha segnalato questo cammino della salvezza, questa strada dell'uomo, che è la strada del Cristo, e la strada della Chiesa. Non si tratta di un cammino tracciato nella terra, è la via regale. L'uomo è a percorrerla nella sequela del Cristo, è chiamato a vivere come figlio di Dio animato dallo Spirito, Dives in misericordia. E, recentemente, con la sua terza Enciclica, Giovanni Paolo II ci ha dato la terza anta di questo trittico teologico e antropologico. Come è stato scritto: "Papa Wojtyla viene da lontano e mira lontano". L'uomo salvato dal Cristo, circondato dalla misericordia di Dio, procede lavorando, Laborem Exercens, sul cammino della salvezza, cammino della croce, cammino della vita. Ecco le dimensioni fondamentali della nostra fede, che dilatano l'orizzonte della nostra vita quotidiana fino all'infinito di Dio, "ricco di misericordia" (Ef. 2,4). Amore misericordioso, misericordia. Che cosa è, dunque, la misericordia?

Giovanni Paolo II la definisce così nel capitolo quinto della sua Enciclica: "la misericordia è la dimensione indispensabile dell'amore, è come il suo secondo nome e, al tempo stesso, è il modo specifico della sua rivelazione ed attuazione nei confronti della realtà del male che è nel mondo, che tocca e assedia l'uomo". In altre parole, noi parliamo dell'amore misericordioso perché esiste, tra amore e misericordia, uno stretto vincolo di parentela, e tuttavia una differenza, che è molto reale. Essa si fonda sulla presenza, nel mondo e in mezzo agli uomini, del peccato. La misericordia è la forma assunta dall'amore per affrancare l'uomo dal peccato e sottrarlo al male. Giovanni Paolo II ce lo ripete a suo modo, il modo di un poeta: "La croce è come un tocco di amore eterno sulle ferite più dolorose dell'esistenza terrena dell'uomo".

Sappiamo che la parola misericordia deriva da due vocaboli latini, misereri, aver pietà di, e cor, cordis, cuore. Come vi è stato spiegato, nella Bibbia la misericordia è il supremo attributo di Dio, che spiega l'intero disegno della salvezza. Dio ama l'uomo. Egli non può rassegnarsi al peccato e alla miseria dell'uomo. Questa miseria commuove il suo cuore e lo sollecita a soccorrerci. E l'uomo, da parte sua, si inserisce in questo grande movimento della misericordia, questa virtù del cuore compassionevole, che condivide la miseria altrui, per soccorrerla. Lo ripeto, non si tratta di un supererogare, ma, al contrario, di una esigenza profonda dell'amore: l'amore genera necessariamente la misericordia, la quale è, già per San Paolo, con la pace e la gioia, una delle se conseguenze più dirette e necessarie. Una strana dimenticanza

Eppure, né il Dizionario di teologia cattolica in quindici volumi, né l'Enciclopedia della Fede in quattro volumi, né, più recentemente, il Dizionario di teologia cristiana, i grandi temi della fede, si soffermano, nelle loro erudite colonne, sulla parola misericordia; mentre il Vocabolario di teologia biblica le consacra un importante articolo. Il Dizionario di spiritualità è il solo a soffermarsi sulla misericordia per farne uno studio sostanziale. L'Enciclopedia Catholicisme ("Cattolicesimo"), nel volume nono, trentanove, pubblicato lo scorso anno, comincia così: "Il sostantivo "misericordia" come l'aggettivo "misericordioso" sono termini in disuso, che non appartengono ora che al linguaggio religioso, più precisamente liturgico, e solo in qualche rara occasione. Mentre si tratta di un tema biblico ed evangelico che dà una rivelazione essenziale del mistero di Dio e del mistero di Gesù". Queste poche parole scritte da quell'eccellente esegeta che è Charles Augrain, dicono tutto: il posto centrale della misericordia nella rivelazione e la sua condizione di marginalità nel cattolicesimo di oggi. Ciò che ci incita a riflettere e a riconsiderare i nostri modi di pensare e di agire.

Noi cristiani, che esistiamo e abbiamo ragione di essere, solo nella fedeltà alla rivelazione, e specialmente nel Vangelo, come abbiamo potuto permettere che una tale distorsione si insinuasse tra la nostra fede professata e la nostra vita vissuta, questa fede che è speranza nell'amore, questo amore che è misericordia? Come è detto nel Vocabolario di teologia biblica, rahamin e hésed sono le due radici ebraiche che danno alla misericordia le sue due componenti: le traduzioni francesi delle parole ebraiche e greche (eleos) oscillano dalla misericordia all'amore, passando attraverso la tenerezza, la pietà, la compassione, la clemenza, la bontà e persino la grazia. Malgrado tale verità, non è impossibile delineare l'intelligenza biblica della misericordia. Dal principio alla fine, Dio manifesta la sua tenerezza nei confronti della miseria umana. E l'uomo, a sua volta, deve mostrarsi misericordioso verso il suo prossimo, a imitazione del suo creatore. Viscere di misericordia

Il nostro Dio è il Dio delle misericordie. Egli ha "delle viscere di misericordia". Per questo l'infelice si volge a lui nella sua disperazione: ogni persona, come il salmista, o tutto il popolo, quando il castigo si abbatte su di esso. Non è un Dio lontano, ma un Dio vicino. Non è un Dio astratto, ma un Dio incarnato. Egli ode il grido dell'uomo: ci dice il profeta, "Dio non vuole la morte dell'uomo, ma vuole che l'uomo si converta e viva". È il testo famoso che non si può fare a meno di rileggere, al capitolo trentaquattro dell'Esodo. Proprio quando il popolo si è appena abbandonato all'idolatria, Dio si rivela a Mosé sul Sinai: "Jahvé è pietoso e misericordioso, tardo all'ira e grande in benignità e fedeltà, che conserva il suo favore per migliaia di generazioni, tollera l'iniquità, il misfatto e il peccato".

Quando il suo popolo si allontana da lui, Jahvé lo conduce nel deserto, per parlare al suo cuore (Osea). E il popolo si converte. È il potente grido del Miserere che scaturisce dalla disperazione dell'uomo e va dritto a colpire il cuore di Dio: "Nella tua bontà, abbi pietà di me, o Signore. Nella tua tenerezza, cancella il mio peccato". "Non voglio altro che la tua misericordia", questo è l'insegnamento dell'Antico Testamento, quando l'uomo appare come un lupo per l'uomo: homo homini lupus. Alla luce di questa rivelazione del Dio di misericordia, si opera allora un capovolgimento antropologico notevole. Non si tratta più del Dio dei pagani che gli uomini si sono costruiti come un idolo, secondo la loro immagine antropocentrica, ma è l'uomo che rivela la sua vera natura, malgrado le apparenze, come un riflesso di Dio: l'antropologia non è più antropocentrica, essa diventa teocentrica, prima di divenire cristocentrica: non più Dio a immagine dell'uomo, ma l'uomo ad immagine di Dio. E siamo così ricondotti all'importanza del mistero centrale della creazione, mistero a cui, senza sosta, si deve ritornare: "Facciamo l'uomo a nostra immagine e a nostra somiglianza". Malgrado le sue imperfezioni, le sue miserie ed il suo peccato, l'uomo resta specchio e riflesso della trascendenza di Dio. Ed è solo così che si dilegua l'antica tentazione, sempre rinascente e sempre rinnovata, del panteismo. Il Padre delle misericordie

Dio non è una forza cieca e impersonale, ma un padre tenerissimo che ci dà suo Figlio. Ricordiamo la parabola del Figliol prodigo, che potrebbe anche avere il nome di Parabola del Padre misericordioso (Luca, 15). Gesù ci mostra il Padre che è come appostato, in attesa di suo figlio. E quando lo scorge da lontano, mosso da compassione, corre verso di lui, gli va incontro.

Come dirà San Paolo, Dio è proprio "il Padre di ogni consolazione" (2 Cor 1, 3). Ciò che spiega il testo misterioso di Romani 11,32: "Dio infatti ha rinchiuso tutti nella disobbedienza, per usare a tutti misericordia". Ciascuno di noi deve riconoscersi peccatore, per essere avvolto nel grande manto della misericordia divina.

Il messaggio di San Paolo è molto coerente: l'assenza della misericordia nei pagani scatena la collera divina (Rom 1, 31). Il cristiano non può chiudere le sue viscere, deve avere compassione nel suo cuore (Ef. 4,31). Come lo dirà San Giovanni, "L'amore di Dio dimora in coloro che non chiudono il proprio cuore" (I Giov. 3,17). È il senso della parabola del buon samaritano (Luca 10, 30-37), in cui la compassione mi rende vicino al più lontano fratello. È la lezione del giudizio secondo il capitolo venticinque di San Matteo: saremo giudicati per la misericordia che avremo esercitato, più o meno consciamente, nei riguardi di Gesù stesso, attraverso i nostri fratelli più derelitti, poveri, ammalati, affamati, assetati, abbandonati. Il mistero dell'alleanza

Tale è il mistero essenziale dell'alleanza del Dio di misericordia con l'uomo peccatore. La storia dell'alleanza, così come è riportata dalla Bibbia, è la storia del dialogo del peccato con la misericordia. Il peccatore David preferisce cadere "nelle mani del Signore, perché grandi sono le sue misericordie, anziché cadere nelle mani dell'uomo" (2 Samuele 24, 14). Di conseguenza, vivere secondo l'alleanza, essere fedeli all'alleanza, non è solo sperare nella misericordia di Dio per l'uomo, ma anche testimoniarne, vivere di essa, metterla in pratica ad immagine di Dio: "perché io sono compassionevole, dice il Signore" (Esodo 22, 20-26). "La pietà del Signore si estende a tutti i viventi" (Ecclesiastico 18, 13). Questo universalismo che infrange la corazza nazionalista di Israele, si incarna in Gesù Cristo, che non fa parzialità, e viene per salvare tutti gli uomini, non i giusti, ma i peccatori. Di conseguenza, persino i pubblicani e le prostitute sono chiamati a precederci nel Regno di Dio. Si è detto di San Luca, che il suo Vangelo è il vangelo della misericordia, nel cuore stesso delle sofferenze della passione: sguardo di chiamata e di perdono a Pietro che ha rinnegato, parole alle donne di Gerusalemme, preghiera al Padre per i suoi carnefici: "Perdonali, perché non sanno quello che fanno", promessa al malfattore buono (Luca 22-23). Beati i misericordiosi

Ed ecco il famoso appello del capitolo sei, trentasei di Luca: "Siate misericordiosi, come è misericordioso il Padre vostro", appello che riecheggia la massima di Matteo: "Siate voi dunque perfetti, come è perfetto il Padre vostro celeste" (Matteo 5, 48). Ho citato Matteo. Come non evocare la beatitudine che riassume in modo perfetto tutta la vita e tutto l'insegnamento di Gesù: Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia.

Ne dobbiamo dimenticare il commento, come di consueto, realista di Giacomo: "Il giudizio sarà senza misericordia contro chi non avrà usato misericordia, la misericordia invece ha sempre la meglio sul giudizio" (Giacomo 2, 13). Ho citato San Giacomo. Forse, ascoltando il suo linguaggio così diretto toccare i nostri cuori, possiamo negli esorcizzare quell'antica tendenza occidentale che vela la misericordia, attribuendole il sospetto di accondiscendente paternalismo. In Gesù comprendiamo che Dio stesso si è rivestito della nostra miseria per esorcizzarla. Secondo la meditazione dell'autore della Lettera agli Ebrei, egli è diventato per noi "sommo sacerdote misericordioso e fedele" (Ebrei 2, 17). È questa la vera misericordia, il condividere l'umana debolezza, la comunione fraterna nella condizione umana.

Non più condiscendenza, ma compartecipazione, è questo il senso del mistero centrale dell'incarnazione. Come i Padri della Chiesa non hanno mai cessato di ripeterlo, Dio si è fatto uomo perché l'uomo diventasse Dio e, per fare questo, egli deve dapprima, nel suo terreno errare, comprendere con pazienza quali siano i costumi di Dio e, ad immagine di Dio, e secondo il suo esempio, deve diventare misericordioso.

Perché noi non viviamo in un modo perfetto, che avrebbe, se così fosse, tutti i meriti, ma un grave difetto: quello di non esistere...! Non viviamo in un modo utopico, ma in un mondo reale, segnato da profondi impedimenti e dalla grazia, dall'aspra lotta tra peccato e virtù. Tornando da un mondo fraterno, ci imbattiamo nella durezza degli uomini e nella loro disperazione. E nell'uno e nell'altro caso ci si chiede di essere misericordiosi, caritatevoli per gli uomini che soffrono e compassionevoli per coloro che hanno durezza di cuore. Non è forse questo il paradosso del mondo moderno: affabile con il peccato e duro con il peccatore? Inversamente, dobbiamo, secondo l'esempio di Cristo con la donna adultera, condannare il peccato ed amare il peccatore. Questo è il cuore compassionevole, che anima una volontà ferma, perché esso si radica in uno spirito retto. Questo è il movimento dell'amore, che ci fa mettere in pratica le parole di San Paolo: "Rallegratevi con quelli che sono nella gioia, piangete con quelli che sono nel pianto" (Romani 12,15). Un posto centrale nell'economia della salvezza

Si comprende allora quanto sia centrale il posto che la misericordia ha nell'economia della salvezza. Un atto di volontà, perché - insito - è proprio di un atto di volontà che si tratta, e non di un mero impulso emozionale, un atto di volontà che è governato dalla ragione, il quale ci fa efficacemente detestare la miseria dell'altro e ci conduce ad agire per liberarlo di questa miseria. Così noi partecipiamo al movimento d'amore misericordioso di Dio stesso, venuto a rivelare la disperazione della sua miseria per introdurla nella pienezza della sua vita vivificante, sublime compartecipazione in cui il cuore che assume la miseria esorcizza la miseria del cuore. Gesù non è venuto per rendere giustizia - dirà Madeleine Delbrel nella nostra epoca - ma per rendere gli uomini giusti: ecco il segreto della misericordia!

In tal modo la misericordia appare come un compimento di quella crescita spirituale alla quale tutti noi siamo chiamati, in Cristo Gesù, attraverso l'impulso dello Spirito che egli ci ha dato. È così che si crea l'umanità nuova, in opposizione, come contro corrente, all'umanità peccatrice. L'uccisione di Abele da parte di Caino aveva trascinato dietro di sé la spirale omicida della vendetta che è illustrata da Lamek. Il cammino che conduce l'umanità al perdono è lento, così come testimonia l'interrogativo di Pietro: "Signore, quante volte si deve perdonare?". Sette volte?. No, settantasette volte vette, cioè senza stancarsi mai, come fa il Padre delle misericordie, come fa il Cristo sulla croce. Storia lunga e commovente, in cui si procede e si regredisce, una storia costellata di intuizioni luminose, come quella di Massimiliano Kolbe, nel suo ignobile campo di concentramento, come quella di Jean Mialet, con il quale ho avuto il privilegio di partecipare, lo scorso anno, ad un programma della televisione francese intitolato Apostrophes ("Apostrofi"), la sera del venerdì santo: "Il deportato. L'odio e il Perdono" (Fayard, 1980). Nel cuore della Conversione Cristiana

Non nascondiamolo. La misericordia ci conduce al cuore stesso della conversione cristiana, vera metanoia, se paragonata alle mode, agli usi e ai principi che governano la vita degli uomini. E non è cosa di oggi! Che mi sia permesso di fare dei riferimenti.

Per Platone, la misericordia è una debolezza (cfr. Leggi XI, Repubblica X). Nella morale di Aristotele, la misericordia non è una virtù, ma una mancanza, che si può scusare solo negli anziani e nei fanciulli (Etica a Nicomano 2,4). Per gli stoici, è la malattia dell'anima. E l'uomo maturo deve saper dominare con la ragione queste manifestazioni di affettività (cfr. Seneca, De Clementia 2, 3-4). Bisogna arrivare a Cicerone per una denuncia del concetto stoico come assurdo, e per riconoscere che la misericordia per il vero filosofo è la saggezza: Viri boni esse misereri (Pro Murena 29,61). Un Sant'Agostino saprà trarvi la sua ispirazione, dimostrando come la misericordia sia l'autentica filiazione imitatrice di Dio.

Tale è l'uomo nuovo, in Gesù Cristo. L'amore è la sorgente e la struttura essenziale della misericordia, scaturita dal cuore di Dio e incarnata nel Cristo, perfetta immagine di Dio. Mentre troppo spesso teologi e moralisti si sono compiaciuti di contrapporre le diverse componenti delle virtù cristiane, è tutto l'agire dell'uomo rendendo in Cristo che è innalzato dallo Spirito. L'unico amore soffuso dallo Spirito nel cuore dei nostri pensatori umani è grazia multiforme e compenetrazione armonica dell'infinita varietà degli aspetti della nostra vita quotidiana.

San Paolo non si stanca di ritornare su queste parènesi soffuse di un alito liberatore. Ricordiamo il capitolo tre dell'Epistola ai Colossesi che ci esorta a vivere la nostra nuova vita di battezzati nel Cristo risorto, rigettando gli atteggiamenti dell'uomo vecchio: "Come eletti di Dio, santi ed amati, di viscera misericordiae, di bontà, di umiltà, di dolcezza, di pazienza. Sopportatevi a vicenda; e se qualcuno ha di che lagnarsi di un altro, perdonatevi scambievolmente: come vi ha perdonato il Signore, così fate voi" (Colossesi 3, 12-13). Così fate voi, è questo il principio essenziale: siate imitatori del Cristo, come Cristo stesso è imitatore del Padre delle misericordie, con "delle viscere di pietà, di bontà, chrestoteta", verso tutti, come Cristo. Una misura che non ha misura

Si può ben comprendere che le nostre considerazioni sono lontanissime da quelle dei moralisti tradizionali e dal loro orizzonte intermedio. Secondo il punto di vista degli uomini, noi siamo, invece, nell'eccesso. Che si tratti della misericordia o dell'amore; e la sua misura consiste nel non avere misura. Quanto si medita il capitolo ottavo della Lettera ai Romani, è chiaro che per San Paolo la misericordia di Dio è un mistero che supera ogni intelletto, soprattutto quando egli riflette sull'infedeltà di Israele e sulla vocazione dei pagani della salvezza promessa ai figli d'Israele, avvolti nella misericordia che avvolge tutti i figli di Abramo, noi, figli della promessa, numerosi come le stelle nel cielo, e i granelli di sabbia nei mari, figli di Abramo, figli di Adamo, figli di Dio: come è grande il mistero della fede! La nuova alleanza di misericordia

La misericordia, lo ripeto secondo San Paolo, è nel cuore del mistero dell'Alleanza, estesa a tutti gli uomini in Gesù Cristo, nuovo Adamo (cfr. Romani 5). Essa ci rivela gli abissi del cuore di Dio, le sue insondabili dimensioni di tenerezza misericordiosa, di giustizia e di fedeltà. Il nostro Dio, il Dio dei Padri, non è un Dio lontano, un Dio di pietà condiscendente, è il Dio vicino, il Dio dell'amore misericordioso. Il suo simbolo più tragico e commovente non è forse quello del Libro di Osea, dello sposo tradito da una sposa infedele, e che manifesta in questa prova - perché di una prova si tratta - la grandezza della sua misericordia, attraverso il perdono del cuore, perdono che arriva a rinnovare il cuore della stessa infedele. E c'è forse bisogno di precisare che questa infedele, è ciascuno di noi?

Non è forse, in fondo, l'esegesi della prima Lettera di San Pietro (2, 9-10), che spiga a dei pagani convertiti la grazia del battesimo, applicando loro il testo di Osea 1, 6-9 e 2, 3-25: "Voi che prima non eravate un popolo e che ora siete il popolo di Dio, voi che eravate esclusi dalla misericordia e che ora invece avete ottenuto misericordia". Come lo afferma Théodore Koehler nel suo articolo del Dizionario della Spiritualità (volume X, colonna 1318): in Osea, i fanciulli della prostituta erano stati chiamati: "Non-Mio-Popolo" e "Non-Amati-di misericordia". Dopo la Nuova Alleanza, sono chiamati "Mio-Popolo" e "Amati-di misericordia". L'Epistola di Pietro indica così che la nuova alleanza di Dio con i pagani deve essere compresa in quel clima di misericordia annunciato e preparato dall'antica alleanza, da "questo amore paterno e tenero" secondo l'espressione usata da Roberto Bellarmino (Explanatio in Psalmos, Ps. 50, versetto 2). Maria Madre di Misericordia

In Gesù Cristo la misericordia di Dio si estende di epoca in epoca a tutti coloro che lo temono, secondo il Magnificat della Vergine Maria (Luca 1,50): par viscere misericordiae Dei nostri. Visitando Maria, Dio si è ricordato della sua misericordia, secondo quanto aveva promesso. In Maria, la misericordia pianta la sua tenda messianica, rispondendo all'attesa di tutti i poveri d'Israele, quegli anawim, di cui noi siano i discendenti spirituali, "quella stirpe mistica dei clienti di Jahvé", che si abbandonano alla sua alleanza misericordiosa, secondo l'espressione adoperata da A. Gelin, nel suo libro Les idées maîtresses de l'Ancien Testament ("Le linee conduttrice dell'Antico Testamento", Edizione Le Cerf, collezione Lectio divina, 1948, p. 72), e nel libro dello stesso autore: Les pauvres de Yahvé ("I Poveri di Yahvé", Edizione Le Cerf, collezione Lectio divina, 1953, p. 125).

Giovanni Paolo II ha commentato tutti questi testi, e altri ancora, con grande interiorità, in questa sua Enciclica, essa stessa soffusa del medesimo amore misericordioso per l'uomo, amore attinto dal cuore del Cristo, dal cuore del Padre delle misericordie, il cui spirito ci fa scoprire ogni giorno delle ricchezze insondabili. Il Santo Padre ci invita a meditare il mistero di Maria, madre di misericordia, colei che più profondamente ha penetrato questo mistero di misericordia, come la Chiesa che ella rappresenta e significa nella sua misteriosa maternità. Dives in misericordia

Vi invito a mia volta a farlo, in questa svolta misteriosa della nostra storia che si volge verso l'esasperazione alla soglia del nuovo millennio.

Come non rileggere allora quelle righe premonitrici che concludono *Dives in Misericordia?

"Per quanto forte possa essere la resistenza della storia umana, per quanto marcata l'eterogeneità della civiltà contemporanea, per quanto grande la negazione di Dio nel mondo umano, tuttavia tanto più grande deve essere la vicinanza a quel mistero che, nascosto da secoli in Dio, è poi stato realmente partecipato nel tempo all'uomo mediante Gesù Cristo".

Nella nostra epoca di esacerbati conflitti e di lotte inespiabili, è con l'ispirazione dello Spirito che Giovanni Paolo II ci ha invitati a recuperare le nostre convinzioni spirituali, nella forza della fede al Padre delle misericordie. Nel nostro mondo ce tanto povero è di viscere di misericordia, egli ci ha invitato così a recuperare la forza dell'amore misericordioso. Bisognava essere coraggiosi per dirlo. E noi dobbiamo essere altrettanto coraggiosi per metterlo in pratica. Confusi tra una pietà condiscendente, tra il disprezzo e l'odio, tanti uomini del nostro tempo hanno sete di vera tenerezza, una tenerezza che sia il riflesso e la promessa della tenerezza di Dio. Non si tratta di convenienza morale o di necessità sociale, ma piuttosto di esigenza evangelica. Giovanni Paolo II non ci ha forse dato, lui stesso, all'indomani della pubblicazione della sua Enciclica, il commovente esempio della sua applicazione pratica, perdonando pubblicamente, durante l'Angelus del 17 maggio, colui che aveva tentato di ucciderlo il 13 maggio: "Ho già perdonato al fratello che mi ha colpito". La dignità dell'uomo

Chi non lo vede? Molti uomini si sono allontanati dalla Chiesa perché non hanno scorto il suo volto fraterno. Ed essi hanno rifiutato Dio perché l'hanno scambiato per un tiranno intollerante o un padre abusivo, un padre che non riconosce la loro libertà. Ciò indica l'urgenza di assumere un comportamento cristiano radicato nelle Beatitudini, che restituisca, attraverso il comportamento dei discepoli di Cristo, il volto del Cristo stesso, Cristo dolce e umile di cuore. Fallirei il compito che il Santo Padre mi ha misteriosamente affidato - quello di prendere cura dell'immensa parrocchia dei non-credenti in tutto il mondo - se non condividessi con voi questa angoscia pastorale. Ne va del vero volto di Dio, volto che è dono e perdono. Ne va del vero volto dell'uomo, così come lo mostra la parabola del Figliuol prodigo, come è ammirevolmente commentato dal Santo Padre: invero di umiliare, la misericordia da un nuovo valore; rende la perduta dignità di umiliare, la misericordia da un nuovo valore; rende la perduta dignità d'uomo e di figlio. La gioia del Padre nel ritrovare suo figlio risiede nella sua consapevolezza "che è stato salvato un bene fondamentale, il bene dell'umanità del suo figlio" (Dives in Misericordia n. 6).

Perché la misericordia, contrariamente alla caricatura che di essa si fa da secoli, non testimonia di un rapporto di ineguaglianza tra Dio e gli uomini, o degli uomini tra di loro. Essa si fonda invece "sulla esperienza comune di questo bene che è l'uomo, sull'esperienza comune della dignità che gli è propria" (ibid.). Come lo afferma Giovanni Paolo II, la misericordia "è realmente un atto di amore misericordioso: quando, attuandola, siamo profondamente convinti che, al tempo stesso, noi la sperimentiamo da parte di coloro che l'accettano da noi" (n. 14). A questo livello, o, se si preferisce, a questa "profondità", si può ben comprendere che, non solo la misericordia non è la sorella minore della giustizia, ma al contrario, essa è "la sua sorgente più autentica" (n. 14).

È sorgente divina. Il suo canale è sacramentale, dalla penitenza all'eucarestia. E allora comprendiamo che l'"amore misericordioso è più forte del peccato" (ibid.). La teologia dell'amore misericordioso

Mi sia concesso, alla fine di queste mie riflessioni, troppo brevi e troppo lunghe al tempo stesso, di confidarvi qualcosa. Rileggendo l'Enciclica di Giovanni Paolo II per preparare questo incontro, la mia anima si è come dilatata. Ritornando con la mente a certi insegnamenti di teologia, tanto logici nel senso umano del termine, tanto logici da lasciare appena un pò di posto alla logica dell'amore, mi sono detto che troppo spesso noi non arriviamo fino al fondo del Vangelo che ci è proposto, e che rimaniamo al livello di una meditazione troppo umana, una specie di dibattito intellettuale che coinvolge solo l'intelletto. La teologia dell'amore misericordioso che ci propone Giovanni Paolo II ci fa, invece, tornare alle fonti autentiche della nostra fede, alla speranza nell'amore del Dio di misericordia. Ecco la novità della grazia e della salvezza in Gesù Cristo, che ha assunto il nostro peccato, perché ci amava più di quanto lo amassimo noi. Ecco la potenza dell'amore misericordioso. Un parroco di Ars l'aveva capito bene, quando affermava la necessità di avere un cuore tenero, mentre il suo era troppo spesso simile alla pietra.

Ho citato il parroco di Ars. Da buon francese, penso inevitabilmente a San Vincenzo de Paoli, Santa Teresa di Lisieux e a Charles de Foucauld. Ma come non citare anche San Francesco d'Assisi e tutti i santi che sono stati consumati dalla fiamma di questo amore misericordioso? Bernanos ha affermato ai nostri giorni che il nostro mondo batte i denti per il freddo e che solo l'amore dei Santi, l'amore attinto dal cuore di Cristo, può riscaldarlo.

Ho parlato poco fa di teologia. Esiste una visione teologica più profonda di quella che ricorda come Dio renda le cose buone amandole? Non era forse San Tommaso a dichiarare che "perdonare gli uomini, essere compassionevoli con loro, è opera più grande della stessa creazione del mondo"?

Davanti alla folla omicida dell'uomo contemporaneo, in che altro modo si può addolcire il suo cuore, se non riconducendolo alla contemplazione della dolcezza inerme del Cristo in croce, l'Agnello ferito dai nostri peccati? San Domenico nella sua preghiera domandava "un po' di quella carità che ha fatto salire il Cristo sulla croce".

Mi era stato chiesto di parlarvi, sulla scia dell'Enciclica Dives in Misericordia, della teologica dell'amore misericordioso. Era mia intenzione comunicarvi la mia convinzione profonda: l'uomo è chiamato a partecipare alla beatitudine. Questa beatitudine è Dio. E Dio è per l'uomo amore misericordioso. Non esiste teologia antropologica che sul fondamento rivelato, incarnato nel Cristo. Si, "la misericordia è la sola realtà che possa ricapitolare e illuminare definitivamente tutti gli altri aspetti del mistero cristiano" (R. P. Bernard BRO, Introduzione all'Enciclica di Giovanni Paolo II, Dieu riche en Miséricorde, Editioni Le Cerf, 1980, p. 16).

Papa Francesco ha una visione di Dio come luogo della misericor­dia. Essa è un vero e proprio baricentro del modo di vedere e ope­rare di Dio. «Non c'è alcun limite alla mise­ricordia», diceva do­menica 6 aprile 2014. E ancora: «Dio ha tanta misericordia con noi. Impariamo anche noi ad avere misericor­dia con gli altri, spe­cialmente con quelli che soffrono».

Come papa Francesco, anche Giovanni Paolo II sottoli­neava il tema della miseri­cordia: «Al di fuori della mi­sericordia di Dio non c'è nes­sun'altra fonte di speranza per gli esseri umani», e aggiungeva: «In Cristo Gesù, Dio ha assunto dav­vero un cuore divino, ricco di mi­sericordia e di perdono, ma an­che un cuore umano, capace di tutte le vibrazioni dell'affetto». Questo spiega come mai Gio­vanni Paolo II abbia istituito un giorno dedicato proprio alla mise­ricordia, la domenica dopo la Pa­squa, nonostante tutta la liturgia sia già, di per sé, piena di termini che rimandano a essa.

Ciò che caratterizza la catechesi di papa Francesco è il primato della misericordia in tutta la sua azione pastorale.

Il primato della misericordia, rife­rito a una delle Beatitudini («Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia», Mt 5, 7), è stato indicato dal papa an­che come tema della giornata mondiale della gioventù che si terrà nel 2016 a Cracovia, la città polacca dove Giovanni Paolo II fu vescovo negli anni 1964-1978. Ma il tema scelto da papa Bergo­glio ci suggerisce che sono miseri­cordiosi anche gli uomini capaci di sentire come proprie le miserie e le difficoltà degli altri, che si preoccupano e si danno da fare di fronte alla sofferenza altrui. È questa una grazia, un puro dono di Dio. Chi lo riceve rimane radi­calmente orientato a comportarsi allo stesso modo di Dio con tutti gli altri, uomini e donne, di qual­siasi età e condizione sociale. Papa Francesco parla continua­mente di misericordia, e la gente ha recepito subito e bene. Uno dei ricordini che a Roma i pelle­grini comprano dí più è la «mise­ricordina», una scatoletta simile a quelle dei farmaci con dentro un rosario. Non soltanto ai pellegrini papa Francesco parla in questo modo, ma anche agli intellettuali agnostici, come è successo con la lettera che ha scritto a Eugenio

Scalfari, il fondatore del quoti­diano la Repubblica: «La miseri­cordia di Dio è infinita, non ha li­miti, la verità di Dio è l'amore...». Papa Francesco definisce Dio come misericordia, così come l'e­vangelista Giovanni definisce Dio come amore; in fondo entrambi dicono la stessa cosa, perché per sua natura l'amore è misericor­dioso.

Vi è un testo molto bello nel libro del profeta Osea: «A Efraim io insegnavo a cam­minare, ma essi non com­presero che avevo cura di loro. lo li traevo con legami di bontà, con vincolo di amore, ero per loro come chi solleva un bimbo alla sua guancia; mi chinavo su di lui per dargli da mangiare. Come po­trei abbandonarti, Efraim [...]. Il mio cuore si commuove dentro di me, il mio intimo freme di com­passione [...] perché sono Dio e non uomo; sono santo in mezzo a te e non verrò nella mia ira» (Os 11, 1-9).

Efraim è il secondo figlio di Giu­seppe, nato in Egitto, fratello di Manasse. I profeti usarono que­sto nome per indicare l'intero re­gno di Israele. Ma che cosa dice il testo?

 * Dio si cura di noi e ci insegna a camminare, ci guida come un padre.

* Usa verso di noi legami di bontà e vincoli di amore.

* Ci porta in braccio fino a toc­care la nostra guancia con la sua. * Si china su di noi e non ci ab­bandona.

* Si commuove e freme di com­passione.

E tutto questo perché è santo e non si adira contro di noi.

Siamo di fronte al paradosso in­comprensibile dell'amore di Dio per noi. Dio è il santo, il trascen­dente: la sua santità, la sua na­tura misteriosa è il solo fonda­mento possibile della sua miseri­cordia verso chi si allontana da Lui e lo abbandona con il peccato (Gr 3, 12-19; 31, 20).

Vi è un altro testo del profeta Osea che mette bene in luce la bontà amorosa di Dio: «Ella inse­guirà i suoi amanti, ma non li rag­giungerà; li cercherà senza tro­varli. Allora dirà: "Ritornerò al mio marito di prima perché ero più felice di ora [...]. Perciò, ecco, l'attirerò a me, la condurrò nel deserto e parlerò sul suo cuore

[...]. Ti farò mia sposa per sempre, ti farò mia sposa nella giusti­zia e nel diritto, nella benevo­lenza e nell'amore, ti fidanzerò con me nella fedeltà e tu cono­scerai il Signore» (Os 2, 8-9. 16. 21-22).

Osea ha fatto l'esperienza di un amore che l'ha tradito, la sua donna lo ha lasciato.

Attraverso l'esperienza del pec­cato Israele ha penetrato a poco a poco la profondità della bontà e della misericordia di Dio.

Dio è sempre disposto all'amore per un figlio ingrato; è lo sposo sempre fedele, pronto ad acco­gliere la sposa infedele.

Dio è solidale con il suo popolo, lo mette davanti al suo peccato e lo provoca al pentimento.

Ma fino a che punto Dio si può impegnare con gli uomini? Fino a che punto arriva il suo per­dono e la sua misericordia? Gesù solo può rispondere a queste do­mande. Egli, infatti, ha il compito di rivelare la misericordia del Pa­dre. Fin dall'inizio del suo Van­gelo, Luca canta la misericordia di Dio: essa si estende di età in età, di generazione in generazione; si manifesta nella nascita di Gio­vanni Battista; Zaccaria proclama che Dio ha concesso la sua miseri­cordia ai padri antichi e che, con la nascita di Giovanni, inaugura l'opera della sua misericordia. Tutti gli atti di Gesù si pongono in questa linea: «lo voglio misericor­dia, non sacrifici», «Sono venuto per i peccatori, non per i giusti». È il suo programma di vita e di an­nuncio. E la misericordia di Dio. Per questo Gesù predilige i poveri, è l'amico dei pubblicani, siede alla loro tavola, lascia che gli si avvicini una peccatrice e con infinita deli­catezza la perdona. Gesù è venuto a «cercare e salvare ciò che era perduto» (Lc 19, 10; cfr. Lc 4, 18; 7, 22.34.39; 19, 5).

 Spesso gli evangelisti usano un verbo molto significativo per indicare la misericordia di Dio verso di noi: «Com­muoversi fin nell'interiora», sen­tire uno sconvolgimento simile a quello della madre verso il figlio portato nell'utero. Misericordia è come la dimensione materna del­l'amore. E questo termine è usato dagli evangelisti per descrivere le azioni di Gesù che ne evidenziano la missione. Ecco alcuni esempi: «Sbarcando, Gesù vide una folla numerosa e si commosse per loro, perché erano come pecore senza pastore, e si mise a inse­gnare loro molte cose» (Mc 6, 34; cfr. Mt 14, 14). Matteo usa un'e­spressione che riassume il mi­stero di Gesù: «Vedendo le folle ne sentì compassione, perché erano stanche e sfinite come pe­core senza pastore» (Mt 9, 36). Gesù si comporta come il Dio di misericordia descritto nell'A.T., le cui viscere tremarono alla vista del popolo oppresso dai peccati e dalla schiavitù d'Egitto. Così Gesù appare senza difesa davanti alla miseria e alla sofferenza degli uo­mini, è la misericordia incarnata di Dio. La parabola del Figliol Pro­digo o, meglio, del Padre buono e misericordioso, del Padre con vi­scere di madre, è una chiara testi­monianza. Vi è evocata tutta la storia dell'A.T. Il figlio più giovane (come Israele), si allontana dal padre (da Dio), e fa esperienza di peccato, di povertà e fame. Ricorda il tempo dell'abbondanza e, come la sposa di Osea, dice: «Mi leverò e andrò da mio pa­dre». Il padre è lì in attesa e, quando il figlio è ancora lontano, lo vede, si commuove, gli corre incontro e lo bacia. Di fronte a questo atteggiamento, scribi e fa­risei sono sconcertati.

 La misericordia di Dio si estende a tutti gli uomini. Lo sottolinea in particolare Paolo: «Dico infatti che Cri­sto si è fatto servitore dei circon­cisi in favore di Dio vero, per com­piere le promesse dei padri: le na­zioni pagane invece glorificano Dio per la sua misericordia» (Rm 15, 8-9). Pagani e giudei, tutti sono uguali davanti a Dio, perché tutti hanno peccato e tutti hanno assoluto bisogno della misericordia di Dio.

È questa la teologia contenuta nella lettera ai Romani, riassunta con incisività e vigore in Ef 2, 4-7: «Ma Dio, ricco di miseri­cordia, per il grande amore con il quale ci ha amati, da morti che eravamo per i peccati, ci ha fatti rivivere in Cristo; per grazia infatti siete stati salvati e ci ha risuscitati in Cristo Gesù, per mostrare nei secoli futuri la straordinaria ric­chezza della sua grazia mediante la sua bontà verso di noi in Cristo Gesù». A causa della sua miseri­cordia Dio ci salva. La parola chiave di tutta la storia umana in relazione a Dio è dunque la mise­ricordia.

Uno degli aspetti essenziali della misericordia di Dio è la gratuità. Dal momento in cui Dio ha deciso di avvicinarsi all'uomo per farsi conoscere, ha già preso la deci­sione di perdonarlo. L'incontro di Dio con l'uomo è sempre in vista del perdono, della pace, della ri­conciliazione. La storia della sal­vezza non è altro che la storia di questo incontro, che diventa to­tale e decisivo fino a farsi defini­tivo in Cristo Gesù. «Quando però si sono manifestati la bontà di Dio e il suo amore per gli uomini, egli ci ha salvati non in virtù di opere di giustizia da noi compiuta, ma per sua misericordia mediante il lavacro di rigenerazione e di rin­novamento nello Spirito Santo, ef­fuso da lui su di noi abbondante­mente per mezzo di Gesù Cristo, salvatore nostro, perché giustifi­cati dalla sua grazia diventassimo eredi, secondo la speranza, della vita eterna» (Tt 3, 4-7). Proprio perché totalmente gratuita, senza supporre nulla da parte dell'uomo peccatore, la misericordia chiede di essere accettata e creduta. ll Si­gnore è vicino all'uomo per do­nargli la sua misericordia.

Dire misericordia è dire qualcosa di inaudito sulla vita intima di Dio. Non vuole dire quindi solo che Dio ci riconcilia a Lui, ma anche che egli si svela come misericor­dioso. È questo un mistero che supera le nostre capacità di com­prendere Dio nella sua realtà. C'è un mistero di sovrabbondanza del dono di Dio, di misericordia, al punto che Paolo esclama: «Dio ha rinchiuso tutti nella disobbe­dienza in rapporto al peccato, per usare a tutti misericordia [...]. O profondità della ricchezza, della sapienza e della scienza di Dio! Quanto sono impenetrabili i suoi giudizi e inaccessibili le sue vie! Infatti, chi mai ha potuto cono­scere il pensiero del Signore? [...] O chi gli ha dato qualcosa per primo, sì che abbia a riceverne il contraccambio? Poiché da lui, grazie a lui sono tutte le cose» (Rm 11, 32-36). La misericordia di Dio non è dunque un attributo se­condario: è il volto stesso dell'a­more di Dio per noi. Per questo Dio non si pentirà mai di essere misericordioso. La misericordia impegna l'amore infinito ed eterno che è Dio: «Dio è amore», ha scritto l'evangelista Giovanni. Una misericordia che cancella to­talmente il peccato. La misericor­dia che si manifesta attraverso la persona di Cristo non è mai arro­ gante, ma è quella di un servitore dolce e umile di cuore. Non cade dall'alto, non mantiene le di­stanze, si fa semplice, vicina. Non è sentimentalismo. È la misericor­dia di Dio che cancella veramente il peccato. Il suo primo effetto è di perdonare, rialzare, guidare.

A volte si dice che l'insistenza del cristianesimo sul peccato ha os­sessionato patologicamente l'u­manità. Un certo modo di presen­tare le verità cristiane può avere favorito una tale interpretazione, e avere dinanzi certi confessori anche. Occorre sempre ricordare che non si può mai slegare il pec­cato dal perdono e dalla miseri­cordia di Dio. La misericordia ha la capacità di risvegliare il pecca­tore: «Se son caduto, mi rialzerò; se siedo nelle tenebre il Signore sarà la mia luce» (Michea 7, 7-9).

Infine la misericordia è la prima e ultima parola della fede. Le difficoltà e la durezza dell'esi­stenza, per chi accetta la parola di Dio, acquisiscono un tono, un si­gnificato diverso e nuovo. il mondo nella sua concreta realtà di bene e di male appare più accettabile. Accanto alla durezza della vita, il credente scopre la miseri­cordia materna e paterna di Dio. Solo in questa prospettiva si pos­sono comprendere il senso degli avvenimenti della nostra vita e della nostra storia umana. È que­sta la sconcertante rivelazione di fronte alle tragedie umane: «Voi siete i miei testimoni, che io mi sono scelto perché mi conosciate e crediate in me e comprendiate chi sono io». Chi crede osa leggere gli avvenimenti nel linguaggio della misericordia, dell'amore e della bontà di Dio per noi, e acqui­sisce la facoltà di illuminare la du­rezza dell'esistenza e della storia umana. Lo dice il salmo 103/102, 8: «Buono e pietoso è il Signore, lento all'ira e grande nell'amore», frase che l'evangelista Matteo in­vita a tradurre in una Beatitudine: «Beati i misericordiosi, perché tro­veranno misericordia» (Mt 5, 7).

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