Visita a San Pedro, Grand Zattry e Abidjan.

Pubblichiamo la seconda puntata della cronaca della visita della Direzione Generale in Costa d'Avorio da parte del Vice Superiore Generale, padre Michelangelo Piovano e dei Consiglieri Generali, i padri Erasto Mgalama e Mathews Odhiambo Owuor.

Continuando la visita alle altre comunità della Delegazione, sempre accompagnati da padre John Baptist Odunga, siamo stati a San Pedro, Grand Zattry e Abidjan. Le prime due comunità sono al sud del Paese, nella diocesi di San Pedro. Qui abbiamo la casa della Delegazione e Centro di Animazione Missionaria dove siamo stati accolti da padre Bonfas Ochieng Mutanda che è lì per sostituire padre Ariel Tosoni e padre Raphael Njoroge che al momento si trovano a Dianra Village.

Abbiamo avuto modo di pregare con un bel gruppo di amici della comunità il rosario, i vespri e la messa celebrata in uno spazio all’aperto molto bello, dove vi è anche la grotta della Consolata. Sull’altare vi è una foto di padre Matteo Pettinari (morto tragicamente il 18 aprile scorso), la sua stola, una bibbia aperta ed un cero acceso.

Tutti lo sentono presente e vivo nel mistero della risurrezione che celebriamo sull’altare. La casa di San Pedro è accogliente ed è dove avremmo dovuto avere la Conferenza della Delegazione. Alla sera la gente ci accoglie con un rito di benvenuto tipico del Paese: “la cola”, un prodotto tipico locale, con peperoncino secco ed una bevanda estratta dalla canna da zucchero. Padre Bonfas ci porta anche a vedere la sede della diocesi, la cattedrale e alcune parrocchie della città dove siamo sempre accolti con gioia dai sacerdoti che vi lavorano.

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Parrocchia di San Giuseppe Artigiano a Grand Zattry

Da San Pedro viaggiamo a Grand Zattry nella Parrocchia di San Giuseppe Artigiano. Ci accoglie il parroco padre James Mwangi Gichani. All’arrivo, su una collinetta rocciosa, sorge la bella e nuova chiesa della Parrocchia terminata da poco. All’interno delle belle pitture raccontano la vita di Cristo, dei Santi patroni delle varie comunità di base della Parrocchia, dell’Allamano, della Consolata e della Beata Irene. Con padre James lavora anche padre Bonfas che abbiamo incontrato a San Pedro. Ricordiamo anche altri missionari che avevano lavorato, in precedenza, contribuendo allo sviluppo della parrocchia: i padri Giano Benedetti, Silvio Gullino, Victor Kota e altri. Accanto alla chiesa è stata costruita recentemente una bella grotta della Madonna di Lourdes dove non manca però anche la Consolata.

Padre James ci accompagna nella visita ad alcune delle comunità di base della parrocchia situate in villaggi molto poveri. Vi sono anche due semplici scuole costruite grazie a dei finanziamenti dal Canada e dalla Caritas. Le condizioni dei bambini e le strutture sono poverissime, mancano tuttora l’acqua corrente ed i servizi igienici. Dei maestri il governo ne paga solo uno, gli altri lavorano come volontari e sostenuti dalla parrocchia in qualche modo.

Dopo la Messa, alla quale partecipa un bel gruppetto di cristiani che fanno parte del consiglio pastorale, ci salutiamo con una foto ricordo. Anche qui siamo grati per la calorosa accoglienza ricevuta da padre James e dalla gente. Ci siamo sentiti a casa, in famiglia e qui non è necessario chiederci se siamo o no ad gentes: lo siamo al 100%.

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Da Grand Zattry partiamo per Abidjan dove si concluderà la nostra visita. Ritorniamo al Seminario dove eravamo stati accolti al nostro arrivo. Padre John Baptist, che ci ha accompagnati in queste due settimane, è il rettore. La comunità è composta da Eduard, uno studente di filosofia al primo anno, e da cinque studenti che stanno facendo la licenza: Telmo Avelino Josè, Urbanus Nzangi, Dickson Kajuna, Fredrick Maina e Fredrick Swai. In questo momento per lo studio della lingua francese vi sono anche due giovani missionari: padre Albert Mwanguhya già destinato alla Delegazione e padre Erasto Gabriel Kabogo destinato al Madagascar. Al nostro arrivo, la settimana precedente, avevamo già incontrato personalmente ognuno degli studenti e fatto un incontro comunitario con loro.

Il sabato sera partecipiamo con loro alla Lectio Divina sul Vangelo della domenica ed il giorno seguente ancora condivisione con la comunità. Lunedì mattina vistiamo gli Istituti Superiori dove vanno gli studenti per la filosofia e le licenze. La sera partiremo per il Sudafrica dove arriveremo il giorno seguente.

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 Seminario di Abidjan: studio di filosofia, specializzazione e lingua francese

Terminando questa visita alla Costa d’Avorio esprimiamo la nostra gratitudine a tutti. Avremmo dovuto fare la Conferenza e queste visite assieme a padre Matteo…lo ha fatto in un altro modo guidandoci e assistendoci dal Paradiso. Partiamo con il cuore grato e pieno della certezza che questa è la nostra missione, una missione bella, con tante sfide, ma altamente formativa se sappiamo accoglierla con generosità e disponibilità, con fedeltà e coraggio. Preghiamo il Signore, per intercessione della Consolata e dell’Allamano, che la Delegazione possa continuare a compiere con fedeltà il suo cammino che verrà anche orientato in futuro dalla conferenza regionale che faremo quando le condizioni lo permetteranno. Vivremo in comunione particolare con loro il 24 maggio, giorno in cui vi saranno i funerali del nostro caro Padre Matteo.

* Padri Michelangelo Piova, Erasto Mgalama e Mathews Odhiambo Owuor.

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Programma del funerale di padre Matteo Pettinari

Dianra Villade, 23 e 24 maggio 2024

“Le anime dei giusti sono nelle mani di Dio, nessun tormento li toccherà. Agli occhi degli stolti parve che morissero, la loro fine fu ritenuta una sciagura, la loro partenza da noi una rovina, ma essi sono nella pace. I fedeli nell'amore rimarranno presso di lui, perché grazia e misericordia sono per i suoi eletti.” (Sap 3,1-3.9)

“La comunità sarà sempre formata dai vivi e dai defunti, né questo vincolo si scioglierà più, neppure in paradiso.” (Beato Giuseppe Allamano, Fondatore dei Missionari della Consolata)

Carissimi, Con la tristezza nel cuore ma anche con la consolazione che viene dalla fede comunichiamo il programma dei funerali del nostro caro padre Matteo Pettinari, per permettere a tutti di mettersi in comunione con la comunità e poter partecipare.

20240507Costa2Lunedì 20 maggio: arrivo della delegazione dall’Italia formata da 15 persone, membri della sua famiglia: papà di Matteo, fratello e sorella insieme ad altri familiari ed amici.

Martedì 21 maggio: giorno di consolazione e di inserimento nella comunità, dedicato alla preparazione del funerale.

Mercoledì 22 maggio: presso l’obitorio di Katiola (dove è conservato il corpo di padre Matteo) celebrazione della S. Messa di suffragio con il vescovo, i sacerdoti e cristiani della parrocchia della cattedrale.

Giovedì 23 maggio: ultimo saluto alla salma di padre Matteo con la S. Messa di suffragio e poi il corteo funebre da Katiola partirà verso Dianra Prefecture dove il feretro sarà accolto in Chiesa con l’officio de defunti. Si proseguirà poi per Dianra Village per la veglia funebre di tutta la notte.

Venerdì 24 maggio: Celebrazione Eucaristica presieduta dal Vescovo di Odiennè Monsignor Alain Clement Amiezi insieme a tutti i sacerdoti della Diocesi, i Missionari della Consolata presenti in Costa d’Avorio e altri sacerdoti ed amici che saranno presenti. Alla Celebrazione parteciperanno le comunità cristiane di Dianra Village, Dianra Prefecture, Sonozo, Marandalah, i dottori ed infermieri del Centro di Salute Allamano e molti altri cristiani e non che hanno avuto la grazia di incontrare padre Matteo sulla loro strada. 

Seguirà la tumulazione della salma del nostro caro padre Matteo in una tomba mausoleo costruito tra la Chiesa e la grotta della Consolata, luogo che lui stesso aveva indicato in diverse occasioni.

I Missionari della Consolata Delegazione Costa D’Avorio

Dianra, 05 maggio 2024

La «grande isola» è come un ponte tra l’Africa e l’Asia. Porta in sé contrasti e difficoltà, oltre a tanta bellezza. Iniziamo questa serie dall’ultimo paese nel quale hanno messo piede i «figli» di Giuseppe Allamano.

«Ormai è venuto il tempo di una missione più discreta, umile, solidale, propositiva, fondata più sull’essere che sul fare» (cfr. dalla presentazione degli atti del Capitolo Generale dei Missionari della Consolata del 2017).

La genesi

Nel 2012 il vescovo di Abanja, monsignor Rosario Vella, salesiano, passa alla casa Generalizia a Roma. Mi cerca perché le suore Battistine gli hanno parlato bene di noi. Io all’epoca ero superiore generale dei Missionari della Consolata. Mi dice: «perché non venite ad aprire in Madagascar, è una missione ad gentes, adatta a voi. Venite nella nostra diocesi».

Io gli rispondo: «È una bellissima idea, ma noi stiamo lavorando a livello continentale, per cui per aprire una missione in un nuovo paese, mi piacerebbe sentire cosa pensa il consiglio continentale dell’Africa dell’istituto». «Ma come, un generale non può decidere?», dice lui. Io presento l’idea al consiglio, che ci lavora quasi due anni.

Nel 2016, una prima delegazione va in Madagascar a incontrare il vescovo e vedere il possibile luogo di missione. Ne fanno parte il vice superiore generale padre Dietrich Pendawazima, il consigliere per l’Africa padre Marco Marini, e padre Hyeronimus Joya, all’epoca superiore del Kenya, a rappresentare il consiglio d’Africa.

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Ma facciamo un passo indietro. Nel 2010, quando ero vice superiore generale, io ero andato a trovare il nostro confratello padre Noè Cereda (recentemente scomparso, ndr) nella capitale Antananarivo. Lui era lì perché aveva lavorato come responsabile all’Emi (Editrice missionaria italiana), e aveva avuto un contratto per pubblicare i libri per le scuole elementari e medie dello Stato. Quando ha lasciato l’Emi, dati i suoi contatti, si è trasferito in Madagascar, a lavorare con delle suore. Mi ero dunque fatto un’idea del Paese.

Motivazioni

Ma perché il Madagascar? Per noi rispondeva a una delle nostre inquietudini come missionari della Consolata. Oggi tutto è missione e il significato dell’«ad gentes» è in crisi. Non si capisce più esattamente quale sia l’identità concreta dell’andare «alle genti». Diciamo che sono i luoghi dove bisogna annunciare il Vangelo per la prima volta. In Madagascar i cattolici sono una minoranza (circa il 16%, ndr).

Una seconda motivazione era che questo Paese è un ponte che unisce l’Africa all’Asia. La popolazione è in parte di origine africana e in parte austronesiana (come i popoli di Malaysia e Indonesia, ndr).

Il terzo elemento di interesse era quello dare occasione ai nostri missionari africani di realizzare una missione tutta africana.

Difficoltà

Quando i nostri primi tre sono partiti nel marzo 2019, sono andati dal vescovo di Ambanja e hanno iniziato a imparare la lingua. Si trattava del congolese Jean Tuluba, l’ugandese Kizito Mukalazi e il keniano Jared Makori. Come africani non hanno avuto grosse difficoltà a comprendere la cultura. Ma dopo qualche mese il vescovo è cambiato, monsignor Vella è stato trasferito e siamo rimasti per un paio di anni con un amministratore apostolico, che però stava in un’altra diocesi e aveva molto altro da fare. I nostri sono stati lasciati un po’ soli. Questo aspetto ha penalizzato la nostra missione. Quando abbiamo fatto la visita con la nostra delegazione si è dunque pensato di aprire nel Nord del Paese, a Beandrarezona, dove i nostri sono arrivati nell’ottobre 2020. Abbiamo subito visto che si tratta di una missione puramente ad gentes: è proprio un luogo fuori dal mondo.

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Padre Jared Makori, padre Jean Tuluba e padre Kizito Mukalaz a Nairobi, in Kenya, prima della partenza per il Madagascar. Foto: Jaime C. Patias

Durante la stagione delle piogge, per sei mesi all’anno, non si può neppure arrivare con la macchina. Inoltre, l’unica auto che c’è in zona è la nostra. Nella cittadina dove stiamo, le case sono molto vicine tra loro, perché chi vi abita non aveva mai pensato che potesse passare un mezzo, quindi non c’è una vera strada. Anche le comunicazioni sono difficoltose: per usare il telefono cellulare, i missionari devono andare su una montagna.

Inoltre, la nostra è stata la prima presenza missionaria straniera in assoluto. Prima c’era solo un gruppo di suore malgasce che, ancora oggi, gestiscono una scuola. Forse come prima apertura in un paese nuovo è stata un po’ un azzardo.

Quando ho fatto la mia ultima visita canonica, nel luglio 2022, abbiamo confermato che la missione di Beandrarezona è quella dove vogliamo stare. Allo stesso tempo abbiamo rinforzato l’idea di aprire una nuova comunità nella capitale Antananarivo. Abbiamo infatti visto che in Madagascar, tutto si gioca in capitale, quindi una nostra presenza lì è fondamentale. Non soltanto per gli aspetti pratici ma anche per essere riconosciuti e significativi. Molte congregazioni presenti nel Paese non sanno neppure che esistiamo.

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Nella stagione delle piogge le strade sono impraticabili. Foto: Godfrey Msumange

Missione povera

È una missione povera, le entrate sono limitate, anche per mantenere il minimo di strutture non è facile. I tre missionari sono rimasti per tre anni in una famiglia il cui papà era direttore della scuola. Loro si sono ristretti e ci hanno lasciato due stanze con una specie di cucina. Solo recentemente abbiamo fatto fare una casa e poi anche una scuola, che potrebbe dare un senso alla missione e una piccola entrata economica. Il luogo ci definisce, ovvero certe scelte ci definiscono. Essere in Madagascar in questo momento storico è una scelta di campo, da ad gentes, tra i più poveri e abbandonati. La forza di questo Paese è il turismo, ma si concentra sulle coste mentre all’interno la popolazione vive in una povertà estrema.

Adesso padre Kizito ha cambiato destinazione, mentre due padri giovani si stanno preparando per integrare il gruppo.

Provocazione

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Questa nuova modalità di missione, si presenta con pochi mezzi. Si esplicita in tre punti: stare con la gente, avere meno potere e più condivisione. Il missionario non deve essere il solito straniero potente che risolve tutto. Questa è però una fatica per i giovani, che sono portati a essere protagonisti.

Bisogna trovare le condizioni per riuscire a stare o, al contrario, capire le condizioni che ti obbligano ad andare via.

La missione oggi chiede una grande conversione: si fa fatica a individuarla, è diversa da quella di una volta, ed è difficile portarla avanti.

* Padre Stefano Camerlengo, IMC, missionario in Costa d’Avorio. Pubblicato originalmente in: Missioni Consolata, Maggio 2024.

Approfittiamo della visita a Roma di Mons Alain Clément Amiézi, da solo un anno vescovo della diocesi di Odienné e in visita “ad limina” a Roma per farci dire qualcosa della chiesa che sta accompagnando come pastore e dove anche i Missionari della Consolata sono presenti con tre parrocchie.

Devo cominciare con dire che io sono vescovo da solo un anno ed originario di un’altra regione, molto lontana da Odienné e lontana non solo geograficamente ma anche religiosamente e culturalmente. Nella mia terra d’origine le comunità cristiane sono fiorenti e la chiesa conta con una gran popolazione. Invece noi a Odienné abbiamo pochi cristiani che vivono assieme a una gran maggioranza di popolazione mussulmana. Almeno il 90% della popolazione è di religione islamica.

Insomma siamo la diocesi missionaria e di prima evangelizzazione della Costa d’Avorio e per questo lavoro, per me una sfida importante che il papa Francesco ha messo sul mio cammino –prima ero educatore in seminario–, abbiamo bisogno di missionari, pazienza e disponibilità al dialogo. 

Per fortuna, e a differenza di paesi poco più a nord del nostro, le relazioni con il mondo islamico sono armoniose e francamente buone. In un modo o nell’altro riusciamo a vivere come fratelli. Poi ci sono le famiglie che professano la religione tradizionale africana e con loro è più facile un processo di evangelizzazione, ma con tutti c’è dialogo, armonia e rispetto che è un indispensabile punto di partenza sul quale costruire qualsiasi processo di annuncio della Buona Notizia di Gesù.

Per questo diamo anche molta importanza alla cura delle situazioni umane in cui vivono le persone... per esempio voi in Dianrá Village, dove siete, avete aperto un piccolo ospedale per sopperire ai bisogni di salute della popolazione in questo senso abbastanza abbandonata dallo stato. La Pastorale Sociale vuole essere il nostro biglietto da visita e parla di cura, attenzione, preoccupazione, vicinanza.

Odienné ha un territorio immenso e quindi il lavoro sarebbe impossibile se non contiamo con la solidarietà di tante chiese che ci sono vicine. Ci accompagnano, spesso anche da molti anni, alcuni missionari di comunità religiose come voi o i missionari del Pime, dello Sma e i Saveriani, ma poi anche un certo numero di sacerdoti diocesani. Quando era stata creata la diocesi di Odienné, che oggi non conta con nessun sacerdote nativo di questa regione, c’era stato l’impegno formale delle altre diocesi di sostenere il lavoro missionario in questo immenso territorio. Forse con qualche difficoltà ma questo impegno è stato mantenuto o sono 16 i sacerdoti “fidei donum” che provengono da altre giurisdizioni della Costa d’Avorio. In sintesi l’evangelizzazione di questo territorio è un fatto potremmo quasi dire sinodale, un cammino fatto insieme con la solidarietà di altre chiese della Costa d’Avorio e di tutta la chiesa universale rappresentata dai missionari e dalla missionarie presenti da anni fa di noi. Di questo impegno dovrei ringraziare specialmente il vescovo Jean Salomon Lezoutié, della diocesi di Yopougon. Lui è stato mio predecessore ed è ancora particolarmente vicino a questa chiesa... e non ci ha lasciato mancare la collaborazione di sacerdoti e seminaristi. Era stato lui ad accogliervi quando eravate arrivati a questa zona del paese.

Su questo punto, se devo essere sincero, sono anche abbastanza ottimista: anche se i cristiani siamo ancora pochi, ho visto nelle mie visite famiglie cristiane solide e capaci di testimonianza, da queste famiglie nascono e nasceranno le future vocazioni della chiesa di Odienné. In questo momento abbiamo un seminarista che persevera nel suo processo di discernimento e di consacrazione, spero, anzi sono sicuro, che ne verranno degli altri. 

Ad ogni modo voglio ribadire il mio ringraziamento ai Missionari della Consolata che da anni ci stanno accompagnando. Il papa Francesco nell’incontro che abbiamo avuto in questa visita Ad Limina... ci ha invitati a rinnovare l’impegno a favore delle vocazioni, tutte le vocazioni, perché assieme faremo e saremo chiesa.

 

Missione in cammino

Come avete potuto vedere è un po’ che non scrivo; sono più concentrato sulla comprensione di questa nuova realtà. Non è stato facile trasferirsi dalla Costa d'Avorio al Messico e non è stato facile lasciare San Antonio Juanacaxtle e venire a Tuxtla.

Mi sento un po’ addosso la “sindrome dell'impostore” perché mi sento come se avessi declassato il mio impegno missionario. Questa realtà è molto diversa: la vita missionaria è meno aspra, anche se poi le sfide missionarie siano molto presenti. La mia qualità di vita è migliorata, non c’è più la malaria e io mi sento in forma (nonostante gli anni che passano).

Attualmente sono molto concentrato sui giovani della parrocchia e sull'ascolto in chiave sinodale di tutte le persone che chiedono accompagnamento. 

Sto creando legami che mi avvicinano alle periferie esistenziali; sto toccando da vicino tanti drammi quotidiani, tanti itinerari storici stroncati da scelte sbagliate o delusioni inaspettate. Allo stesso tempo vedo che molte persone perdono l'opportunità di lasciarsi aiutare: ognuno di noi si costruisce la propria storia di salvezza.

Negli ultimo tre mesi sono stato particolarmente vicino alla nostra comunità indigena Tzeltal: un paio di domeniche al mese ci vado e creo anche dei legami, dando spazio a loro che sono  sempre stati esclusi e ignorati.

La promozione umana della nostra presenza passa attraverso un dispensario, un'équipe di psicologi e tanatologi, aiuti economici a persone in difficoltà, aiuti per l'educazione dei bambini di famiglie in difficoltà, formazione di gruppi e animatori parrocchiali.

Quello che resta forse un po’ in sospeso è l'animazione vocazionale: mi hanno mandato a Tuxtla apposta per questo ma non si trovano giovani con queste preoccupazioni;  c'è chi vuole essere sacerdote diocesano ma essere missionari ad gentes è difficile. La terra, la famiglia e anche solo l’alimentazione hanno molto peso esistenziale nelle loro opzioni. È vero che la chiamata missionaria è una grazia e una vocazione, ma ciò non mi impedisce di sentire che mi sostengo maggiormente dove ci sono oasi (come i giovani, l’ascolto in chiave sinodale, le periferie esistenziali, i popoli originari e la promozione umana) che dove c’è l'aridità (le vocazioni e l’animazione missionaria della chiesa locale).

Altri temi continuano ad essere assenti dal mio quotidiano e diventano una sfida alla mia missione: la costruzione della pace in una realtà così violenta; le alternative all'alcool e alla droga così diffuse in tante famiglie, il silenzio ecologico nella pastorale ordinaria. Sono attività per adesso in sospeso.

Il nuovo itinerario che si apre è quello della collaborazione con le persone che migrano. Il Chiapas è per loro una porta e un luogo di passaggio. L'obiettivo sono gli Stati Uniti o, se ciò non è possibile, Città del Messico, Guadalajara, Monterrey... Mi sto informando sulle possibilità che il Chiapas ci darebbe per avere una presenza più significativa in quest'area: è una realtà che ci interpella soprattutto come missionari della Consolata.

Per il resto sto bene, sono sereno e ringrazio Dio ogni giorno perché mi offre la possibilità di essere al servizio del suo Regno. Un servizio che ha senso malgrado la quantità di formalismi liturgici, strutture ecclesiali anchilosate, parrocchia stagnanti e una realtà clericalizzata, rigida e sacramentalista.

È l'acqua nella quale bisogna nuotare controcorrente, seguendo la spiritualità della trota. Vi ringrazio per il vostro sostegno, la vostra preghiera e le vostre preoccupazioni. È bello sapere che ci siete sempre. This is the way.

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* Ramón Lázaro Esnaola è Missionario della Consolata e lavora in Messico

Pubblichiamo la riflessione che il Superiore Generale, padre Stefano Camerlengo, ha condiviso con la comunità della Casa Generalizia a Roma il Giovedì Santo, 6 aprile, durante la Messa della Cena del Signore.

“Desidero tanto che siate compenetrati di nostro Signore!... Chi ama il Signore non ha nessun tedio, nessuna solitudine...Fare “Nostro” il Signore! ...Vedete l’importanza della Santa Messa! La Messa è il tempo più bello della nostra vita: una basterebbe a rendere felice chiunque venga a celebrarla. Anche se dovessimo prepararci per quindici o vent’anni per celebrarne una, quanto saremmo felici! Sarebbe il più grande compenso! Oh, la felicità di celebrare l’Eucarestia! ...Questa deve essere la festa del cuore, della riconoscenza!” (beato Giuseppe Allamano).

Tutto taceva nel momento dell’imposizione delle mani. Tutto quello che umanamente si poteva fare per prepararci bene alla missione a cui Dio ci aveva chiamati, era stato fatto, ora toccava a Dio, allo Spirito farci diventare quello che oggi siamo non per una nostra perfezione, ma per servire il popolo santo di Dio.

«Portare il lieto annuncio ai miseri, fasciare le piaghe dei cuori spezzati, proclamare la libertà degli schiavi, la scarcerazione dei prigionieri […] per dare agli afflitti di Sion una corona invece della cenere, olio di letizia invece dell’abito da lutto, veste di lode invece di uno spirito mesto» (Is 61, 1-7).

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Oggi, Giovedì Santo, vogliamo soffermarci sulla nostra chiamata a dedicare la nostra vita a Dio e ai fratelli nel ministero del presbiterato.

Papa Francesco parlava così ai preti il Giovedì Santo 2014: «Credo che non esageriamo se diciamo che il sacerdote è una persona molto piccola: l’incommensurabile grandezza del dono che ci è dato per il ministero ci relega tra i più piccoli degli uomini. Il sacerdote è il più povero degli uomini se Gesù non lo arricchisce con la sua povertà; è il più inutile servo se Gesù non lo chiama amico; il più stolto degli uomini se Gesù non lo istruisce pazientemente come Pietro; il più indifeso dei cristiani se il Buon Pastore non lo fortifica in mezzo al gregge. Nessuno è più piccolo di un sacerdote lasciato alle sue sole forze; perciò, la nostra preghiera di difesa contro ogni insidia del Maligno è la preghiera di nostra Madre: sono sacerdote perché Lui ha guardato con bontà la mia piccolezza (Lc 1,48). E a partire da tale piccolezza accogliamo la nostra gioia. Gioia nella nostra piccolezza!» (Francesco, Omelia Giovedì Santo 2014).

Cari missionari, consacrati per la missione: siamo un piccolo gruppo, siamo poca cosa di fronte alle necessità delle nostre comunità, della nostra gente, dei popoli che accompagniamo; ci sembra di non vedere futuro davanti a loro.

Molti di noi sentono il peso degli anni ma sono ancora in prima linea; altri portano nel cuore delle ferite che ogni tanto sanguinano. Alcuni vorrebbero servire delle comunità belle e vivaci e sentono la fatica di dover curare un terreno arido; alcuni sono un po’ spaesati di fronte ai cambiamenti sociali in atto, altri cercano altrove un cibo spirituale più nutriente e una fraternità più significativa.

Oggi il Pastore supremo, Cristo Signore, ripete a noi, proprio a noi, a te caro confratello, proprio a te: «Lo Spirito del Signore Dio è su di te, perché il Signore ti ha consacrato con l’unzione; ti ha mandato a portare il lieto annuncio ai miseri, a fasciare le piaghe dei cuori spezzati, a proclamare la libertà degli schiavi, la scarcerazione dei prigionieri» (Is 61,1-3).

Guardiamo con stupore e con un sano timore di Dio quello che siamo, il tesoro che è stato donato a noi piccoli e fragili vasi di creta. Le gioie e le fatiche del nostro ministero sono quelle che anche Gesù ha attraversato ma senza mai perdersi anzi è andato sempre avanti forte della sua relazione col Padre e obbediente alla missione che gli era stata affidata. Come dire che gioie e fatiche non sono un incidente di percorso, ma erano tutte già nel conto di quando siamo diventati missionari.

Papa Francesco parla del sacerdote come di una piccola moneta con due facce: da una parte c’è l’effige del discepolo innamorato, dall’altra quella del missionario fervoroso, noi diremmo zelante secondo l’ispirazione dall’Allamano.

1) Il discepolo innamorato. All’origine della nostra chiamata c’è una realtà permanente: siamo stati chiamati per rimanere con Gesù, uniti a lui: «Li chiamò perché stessero con lui e per mandarli» (Mc 3,14). Questo rimanere in lui e segna tutto ciò che siamo e facciamo. È la “vita in Cristo” che garantisce la nostra efficacia apostolica e la fecondità del nostro ministero.

Scrive il Papa: «Non è la creatività, per quanto pastorale sia, non sono gli incontri, le pianificazioni, che assicurano i frutti, anche se aiutano e molto, ma quello che assicura il frutto è l’essere fedeli a Gesù, che ci dice con insistenza: “Rimanete in me e io in voi” (Gv 15,4)» (Francesco, Cattedrale di Rio, 27 luglio 2013).

La nostra relazione col Signore, tuttavia, non è mai scontata. Paolo raccomanda al discepolo Timoteo di non trascurare, anzi, di ravvivare sempre il dono che gli è stato dato per l’imposizione delle mani (1Tm 4,14).

Quando non alimentiamo il nostro ministero con la preghiera, con l’ascolto e la meditazione della Parola di Dio, con la celebrazione quotidiana dell’Eucaristia e anche con la frequentazione del Sacramento della Penitenza, finiamo inevitabilmente per perdere di vista il senso autentico del nostro servizio e la gioia che deriva da una profonda comunione con Gesù e si scade in una mediocrità che non fa bene né a noi, né alla Chiesa, né al mondo.

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Il sacerdote è per eccellenza il discepolo configurato al suo maestro: le beatitudini sono la nostra carta di identità, lo stile è quello di Gesù, obbediente al Padre e compassionevole con tutti. La nostra vita è vicina ai poveri e ai piccoli, la missione arriva al dono totale di noi stessi.

Su questo punto il Papa è molto duro: «Senza Cristo da unti si diventa untuosi» (Francesco, Omelia a S. Marta, 11.1.2014). I veri sacerdoti sono quelli che hanno un rapporto stretto con Gesù che è la loro pietra angolare. Un rapporto vivo, personale, da discepolo a maestro, da fratello a fratello, da pover’uomo a Dio.

Sull’altra sponda ci sono i sacerdoti che, avendo con Dio un rapporto “artificiale”, che non viene dal cuore, diventano vanitosi e scontrosi, sono sempre scontenti, insoddisfatti, arrabbiati; si legano alle forme più che alla sostanza; cercano un ministero alternativo o lanciandosi in avanti per sembrare moderni, o cercando nel passato quella identità e sicurezza che dovrebbero trovare prima di tutto nella relazione col Signore. Diventano così “untuosi” come scrive il Papa.

Non è questione di essere più o meno peccatori perché tutti lo siamo. «Se andiamo da Cristo, se cerchiamo il Signore nella preghiera, quella di intercessione, di adorazione, siamo buoni sacerdoti, benché siamo peccatori. Se ci allontaniamo da Gesù diventiamo mondani, tristi, sempre insoddisfatti di dove operiamo».

Cari missionari, siamo diventati religiosi e sacerdoti per Lui, per amore del Signore. Cristo è il centro della nostra vita, se perdiamo questo centro perdiamo tutto; e cosa daremo alla gente?

2) L’altra faccia della moneta porta l’icona del missionario zelante. Al centro c’è il carisma del sacerdote: la carità pastorale nella quale possiamo investire anche la nostra umanità e affettività. Il sacerdote è fratello con altri fratelli, è padre e madre, nutre e cura le pecore. La cura del gregge è un’esperienza d’amore che esige energia e tenerezza. Le pecore non sono il mio lavoro, sono la ragione della mia vita per amore del Signore.

In cosa consiste la missione del sacerdote? In tutto quello che Gesù ha proclamato nella sinagoga di Nazareth: annunciare il Vangelo e prendersi cura di tutti; condividere l’esperienza del nostro incontro con Cristo, la gioia di essere discepoli innamorati. Siamo mandati per testimoniarlo e annunciarlo da persona a persona, da comunità a comunità, quando celebriamo e quando insegniamo, quando stiamo con la gente e quando ci occupiamo di cose pratiche.

Grazie per la vostra accoglienza, grazie per la fiducia che ho percepito, quando nel corso degli anni ci siamo incontrati e mi avete aperto il cuore condividendo le gioie e le fatiche del vostro ministero. Senza pretese faccio un po’ mie le parole di Paolo: «Così affezionato a voi, avremmo desiderato darvi non solo il vangelo, ma la stessa vita perché mi siete diventati cari».

Se c’è qualcosa che oggi sento essenziale, prioritario, ineludibile per me e per voi è centrarci sull’essenziale, e l’essenziale è il tesoro che ci è stato dato perché lo custodiamo gelosamente: «Li chiamò perché stessero con lui e per mandarli».

Non siano queste solo parole belle; sono la ragione della nostra vita. Se ci ricentriamo su questo, se ci centriamo sull’essenziale i conti torneranno sempre: sia che siamo in una bella e ricca comunità e parrocchia, sia che ci troviamo nelle periferie povere dove, in base a ragionamenti solo umani, nessuno vorrebbe andare. Sia che ci sentiamo capiti, sia che ci sentiamo poco valorizzati. Potremo più avanti riflettere anche sulla qualità delle nostre relazioni, ma alla luce del Vangelo e delle sue logiche.

Chiedo al Signore che siamo uomini di Dio, discepoli innamorati, servi disponibili ad andare dovunque ci fosse bisogno soprattutto dove sappiamo che ci sono i poveri e gli ultimi. E se non possiamo più andare che abbiamo il coraggio di restare e continuare ad offrire noi stessi là dove Dio ci pianta.

È vero, siamo pochi, ma se custodiremo e vivremo l’essenziale non dobbiamo temere; saremo contagiosi, capaci di suscitare una Chiesa popolo di Dio, dove tutti i battezzati si sentiranno pietre vive attorno alla pietra angolare che è Cristo. Missionari autentici, consacrati per la missione, discepoli missionari, testimoni instancabili della prossimità di Dio Padre verso tutti i suoi figli e figlie con l’impegno di operare per la nostra umanità e diventare “cantieri di fraternità”.  

Faccio mie le parole del salmo 88: «Ho trovato Davide mio servo, con il mio santo olio l’ho consacrato. La mia mano è il suo sostegno, il mio braccio è la sua forza. La mia fedeltà e il mio amore saranno con lui. Egli mi invocherà: “Tu sei mio padre, mio Dio e roccia della mia salvezza».

Prego ogni giorno per ciascuno di voi e voi: pregate per me, perché sia fedele al servizio affidato alla mia umile persona. Vi voglio bene! A tutti e ad ognuno: auguri per il dono del sacerdozio, coraggio e avanti in Domino! (Roma, 06 aprile 2023).

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Giustizia Riparativa e la “pedagogia allamana”

15-07-2024 Missione Oggi

Giustizia Riparativa e la “pedagogia allamana”

La Corte di Giustizia dello Stato del Paraná (Brasile) ha tenuto dal 3 al 5 luglio l'incontro sulla Giustizia Riparativa...

Perù: prima assemblea dei popoli nativi

14-07-2024 Missione Oggi

Perù: prima assemblea dei popoli nativi

I rappresentanti dei popoli nativi dell'Amazzonia peruviana, insieme ai missionari, si sono riuniti nella Prima Assemblea dei Popoli Nativi, che...

Padre James Lengarin festeggia 25 anni di sacerdozio

13-07-2024 Notizie

Padre James Lengarin festeggia 25 anni di sacerdozio

La comunità di Casa Generalizia a Roma festeggerà, il 18 luglio 2024, il 25° anniversario di ordinazione sacerdotale di padre...

Nei panni di Padre Giuseppe Allamano

13-07-2024 Allamano sarà Santo

Nei panni di Padre Giuseppe Allamano

L'11 maggio 1925 padre Giuseppe Allamano scrisse una lettera ai suoi missionari che erano sparsi in diverse missioni. A quel...

Un pellegrinaggio nel cuore del Beato Giuseppe Allamano

11-07-2024 Allamano sarà Santo

Un pellegrinaggio nel cuore del Beato Giuseppe Allamano

In una edizione speciale interamente dedicata alla figura di Giuseppe Allamano, la rivista “Dimensión Misionera” curata della Regione Colombia, esplora...

XV Domenica del TO / B - “Gesù chiamò a sé i Dodici e prese a mandarli a due a due"

10-07-2024 Domenica Missionaria

XV Domenica del TO / B - “Gesù chiamò a sé i Dodici e prese a mandarli a due a due"

Am 7, 12-15; Sal 84; Ef 1, 3-14; Mc 6, 7-13 La prima Lettura e il Vangelo sottolineano che la chiamata...

"Camminatori di consolazione e di speranza"

10-07-2024 I missionari dicono

"Camminatori di consolazione e di speranza"

I missionari della Consolata che operano in Venezuela si sono radunati per la loro IX Conferenza con il motto "Camminatori...

Un faro di speranza per le persone che vivono per strada

10-07-2024 Missione Oggi

Un faro di speranza per le persone che vivono per strada

I Missionari della Consolata dell'Argentina accompagnano le “Case di Cristo” a “Villa Soldati” Nel cuore di Villa Soldati, a Buenos Aires...

Santo (in punta di piedi)

09-07-2024 Allamano sarà Santo

Santo (in punta di piedi)

Il 23 maggio scorso la sala stampa del Vaticano annunciava che papa Francesco aveva approvato l’avvenuto miracolo della guarigione dell’indigeno...

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