Sabato 18 febbraio nella parrocchia di Montecastello padre Francesco Giuliani ha ricordato il suo 50esimo di ordinazione sacerdotale. 

Nato nel 1945 a Cella di Mercato Saraceno, padre Giuliani racconta: «La mia vita è stata molto varia, con esperienze tanto diverse: in fondo, il missionario è proprio questo». Morendo la madre quando aveva solo due mesi di vita, Francesco viene allevato con grande amore dagli zii analfabeti che, però, credono fermamente nel grande valore della cultura al punto di mandare il nipote a studiare a Roma, dopo una bocciatura in prima media. Seguono il fidanzamento e il diploma di geometra. 

Arriva poi la vocazione e l'ingresso nei Missionari della Consolata di Gambettola, i quali mandano Francesco, ventenne, a studiare alla facoltà teologica di Milano dove studia.

L'ordinazione sacerdotale, conferita dal vescovo Gianfrenceschi nella chiesa di Montecastello, avviene il 18 febbraio 1973. Il canto "esci dalla tua terra" fu il più significativo del momento, fotografia di quel periodo del post Concilio. Viene scelta questa chiesa per l'amicizia e l'affinità di pensiero tra padre Francesco e il parroco don Giovanni Beltrami che, pochi mesi dopo, lo seguirà nello Zaire. Dopo quell'esperienza, ecco la missione in Canada, poi con i nomadi Afar di Gibuti. «Ora opero a Oujda, al confine tra Algeria e Marocco, dove ci sono migranti che escono dal deserto e spesso viene loro rubato tutto, anche l'umanità. Cerchiamo di rincuorarli». 

Negli anni 90' padre Francesco è stato anche assistente spirituale all'università Cattolica di Milano e poi al "Gemelli" di Roma. In questo periodo il fine settimana risiedeva a Montepetra. È seguita l'esperienza di parroco a Gualdo e la permanenza a Gambettola alla Consolata. «Pur in mezzo a crisi di ogni tipo, il Signore mi ha sempre rialzato e mi ha chiesto continuamente, e anche ora, di abbandonarmi a lui». 

Per ricordare il 50esimo di sacerdozio a Montecastello padre Francesco ha svolto una rilettura della sua storia di vita «alla luce della tenerezza di Dio». Sono poi seguite una Messa di ringraziamento e una cena di condivisione. Ora padre Francesco è a Lisieux agli esercizi spirituali, per ringraziare santa Teresa patrona delle missioni. 

*Redattore del Corriere Cesenate dove è stata pubblicata questa notizia il 2 marzo 2023

Giornata storica non solamente per il cardinale Giorgio Marengo e per gli altri vescovi che oggi sono stati creati cardinali, ma anche per la Chiesa che è in Mongolia e per i Missionari della Consolata. È impegnativo ricevere la responsabilità di contribuire alla guida della Chiesa universale a soli 48 anni, ma è un segno di grande stima da parte di papa Francesco per il servizio che è stato fatto e che si continua a fare in Mongolia e nel mondo.

Arrivando a Roma, mons. Giorgio Marengo, vescovo e prefetto apostolico, ha portato con sé un pezzo di Mongolia ed in particolare è stato accompagnato dal suo segretario don Peter Sanjaajav, che è uno dei primissimi preti mongoli, il secondo per esattezza, e due catechiste: Rufina Chamingerel e Monica Odzaya. Parlando con loro si respira la freschezza di una Chiesa che è agli inizi e che gode di quella benedizione che arriva diretta dai primi secoli, quando molte donne e uomini lasciavano trasparire dai loro volti la gioia di aver incontrato Gesù e la sua Bella Notizia e con il loro entusiasmo contagiavano altri ad incamminarsi per la stessa via.

La nomina a cardinale rappresenta una profonda attenzione del Santo Padre alla Chiesa che è in Mongolia, una realtà in cui la Chiesa è in minoranza ed è segnata da marginalità. E un grande incoraggiamento alla piccola comunità cattolica a rinnovare con fervore la propria fede.

Rufina e Monica, cosa significa per voi essere catechiste nel vostro Paese?

«La Mongolia è grande e la popolazione in rapida crescita, ma molto esigua rispetto alle dimensioni del territorio. Come catechisti siamo pochi, una trentina in tutto il Paese e gli strumenti per l’annuncio non sono molti, abbiamo una traduzione della Bibbia fatta dai protestanti e poco altro, ma la ricchezza più grande per noi è la presenza dei missionari: sono “vite che parlano”».

Qual è la gioia più grande e la fatica maggiore dell’essere catechiste?

«La felicità più grande - spiega Rufina - è proprio il poter parlare ai nostri connazionali di Gesù e del suo Vangelo, a volte, però, ti senti piccola di fronte a quello che devi annunciare e davanti a uomini e donne che spesso sono più grandi di te, con un’esperienza di vita ricca e che ha attraversato tante difficoltà».

«In Mongolia molte persone vivono ancora prive dei mezzi minimi per vincere la povertà ed è difficile pensare ad altro quando sei tutto intento a sopravvivere. Ci sono anche alcune persone benestanti che hanno studiato all’estero, ma a loro la proposta cristiana non interessa molto - spiega Monica - Quando vedo un gruppo di catecumeni di quindici persone che con il tempo si assottiglia e rimangono solo in quattro mi chiedo: sto sbagliando qualcosa? Come mai alcuni se ne vanno? È molto bello, però, accompagnarli e parlare loro di una Persona che ha cambiato la mia vita».

Don Peter, com’è che sei diventato prete e cosa ti coinvolge particolarmente del servizio alla tua Chiesa?

«Nel 2003 durante la notte di Pasqua sono stato battezzato e l’anno seguente ho iniziato a fare il catechista nella mia parrocchia, eravamo tra i primi. Una notte - racconta don Peter - ho sentito come una voce che diceva per tre volte: "Peter, Peter, Peter" e ho pensato che forse era una chiamata particolare. Le condizioni in Mongolia non sono semplici ed io ho iniziato ad andare a scuola solamente a quindici anni. Eppure, sono riuscito a portare avanti gli studi, sono partito per la Korea per frequentare il seminario e mi son detto: “Se nonostante abbia iniziato così in ritardo la scuola sono riuscito ugualmente ad arrivare fin qui, forse è un segno che la mia strada è proprio questa”. Adesso sono viceparroco della cattedrale e andare a trovare a casa le persone, in particolare quelle che sono più in difficoltà mi riempie di gioia».

20220827Marengo01

Nella foto da sinistra a destra Monica Odzaya, Rufina Chamingerel, Mons. Giorgio Marengo, don Peter Sanjaajav

Quale augurio fate a p. Giorgio che è appena diventato cardinale?

«Ho conosciuto p. Giorgio nel 2005 - ricorda don Peter -, quando era un giovane prete alle prese con lo studio della lingua mongola, poi è diventato responsabile di una delle più importanti missioni della Mongolia, ad Arvaikheer, vicino a Karakorum, dove Gengis Khan, molti secoli or sono aveva radunato i responsabili di tutte le religioni allora presenti nel Paese. Due anni fa p. Giorgio è diventato vescovo ed ora cardinale, ma è rimasto sempre se stesso, con la sua gentilezza e attenzione alle persone, con la sua passione missionaria. Gli auguro di continuare così e di non perdere la sua genuinità».

«Quando vedo p. Giorgio vorrei diventare come lui, con il suo sorriso, con la sua grande pazienza con tutti... - confida Rufina - P. Giorgio, ti siamo vicini!»

«Hai una responsabilità molto grande adesso, p. Giorgio, hai bisogno di un’équipe: noi ci siamo, qualunque cosa deciderai di fare, ti sosterremo».

Grazie p. Giorgio, grazie don Peter, Monica e Rufina perché ci trasmettete la bellezza di scoprire un mondo nuovo, una via non ancora percorsa, e contagiate anche noi con la voglia di essere cristiani veri, trasparenti, desiderosi di trasmettere con tanto rispetto ciò che ha conquistato il vostro cuore.

Messaggio in occasione della nomina di padre Joya Hieronymus a vescovo della Diocesi di Maralal in Kenya

“Sono tempi cattivi, dicono gli uomini. Vivano bene ed i tempi saranno buoni. Noi siamo i tempi.” (St. Agostino)

“Siate generosi, datevi interamente al Signore; non bisogna misurare, non fermarsi a guardare delle storie. Il Signore pensa lui a quello che è necessario, e se qualche volta si devono fare dei sacrifici, ebbene facciamoli volentieri. Siate umili!” (Beato Giuseppe Allamano)

Beandrarezona Madagascar, 26 luglio 2022.

Missionari carissimi, giunga a tutti voi questo messaggio di gioia e di festa per il nostro Istituto. Il 20 luglio scorso, il Santo Padre, Papa Francesco, ha nominato il nostro caro padre Joya come nuovo vescovo della Diocesi di Maralal in Kenya.

Mi si perdoni se questo messaggio vi raggiunge un po’ in ritardo, ma proprio il giorno 20 luglio, ho intrapreso il viaggio per la visita ai nostri tre confratelli che da tre anni sono impegnati nel lavoro missionario in Madagascar e precisamente nella missione di Beandrarezona nella diocesi di Ambanja.

La nomina di padre Joya come vescovo riempie di gioia il nostro cuore. Vogliamo ringraziarlo per la sua testimonianza e la sua disponibilità a lavorare come pastore nella Chiesa. La gioia e la festa per padre Joya diventa più grande se la viviamo insieme alle numerose grazie che in questi ultimi tempi, il nostro Istituto ha ricevuto. Penso sia a padre Joya come agli altri vescovi nominati, penso anche al dono che il Papa ci ha regalato nominando Monsignor Giorgio Marengo come primo cardinale della nostra famiglia, ma non possono passare sotto silenzio i tanti nostri missionari che con umiltà e spirito di servizio si donano ogni giorno nella missione.

Il mio pensiero va anche al bel gruppo di giovani che in questi ultimi anni si è donato totalmente al Signore accettando con gioia l’ordinazione sacerdotale allo scopo di servirlo e impiantare il suo regno. Come dimenticare le tante comunità sparse per il mondo che, pur tra molte sofferenze e disagi, vivono con gioia la loro missione: i missionari in Venezuela, in Congo, in Costa d’Avorio, in Etiopia, nell’Amazzonia, nella stessa Madagascar dove mi trovo attualmente e da dove scrivo. Attualmente siamo presenti in 28 paesi e rappresentiamo 27 nazionalità di cui siamo originari.

Ho anche nel cuore il cammino sinodale iniziato in preparazione del prossimo Capitolo Generale che vorrebbe che tutti diventassero veri e autentici protagonisti. Come dimenticare le nostre diverse case di formazione che sono sparse nei diversi Continenti. Esse sono luoghi privilegiati dove cerchiamo, seppur con fatica, di trasmettere il nostro carisma, di instillare nei giovani l’amore per Gesù e per la Missione, dove tentiamo anche di trasmettere i valori umani e cristiani che dovrebbero rendere tutti noi persone mature, vere e generose.

Sono certo che questo tempo è un tempo di grazia per il nostro Istituto e vorrei invitare tutti a mettersi in ascolto dello Spirito per cogliere quanto egli vuol comunicarci. La sua voce si percepisce solo nel silenzio della contemplazione. Credo che dobbiamo rendere grazie per questi “giorni buoni” che il Signore ci dona, ringraziandolo, vivendo con più amore e donazione la nostra vita missionaria, e ricordandoci sia dei poveri e sia di coloro che Dio ha messo sul nostro cammino.

Come missionari della Consolata dobbiamo essere capaci di investigare questo particolare momento storico che, soprattutto per noi, potrebbe essere un tempo di grazia. È questo lo sguardo che dobbiamo avere sulla realtà che stiamo vivendo. Forse anche noi, come dice Isaia, ci sentiamo un po’ come delle canne incrinate, come delle fiamme smorte, incapaci realizzare con determinazione qualcosa che possa essere un segno forte. Ma questo è il tempo della grazia, in cui il Signore ci invita a seguirlo con forza, e ad affidarci a lui senza condizioni. Solo così possiamo cogliere la sua voce e diventare segni visibili della sua grazia.

Celebrare la festa di un confratello che diventa pastore vuol dire ricordarlo e, insieme a lui, ricordare tutte quelle persone che, nel corso della storia, hanno vissuto, con coerenza, fino alla fine, la propria fede senza paura, senza timori e tentennamenti.

Celebrare questi avvenimenti, forieri di “giorni buoni” per il nostro Istituto, vuol dire prendere sul serio la nostra fede e la nostra missione. La fede e anche la missione sono una cosa seria, non sono di certo un passatempo. Siamo invitati, prima di tutto, a vivere la nostra donazione coerentemente. Quando si vive in modo mediocre e non si vive il Vangelo fino in fondo, non si partecipa alla vita della comunità, e non ci si sente membra vive della Chiesa e dell’Istituto, allora si offende apertamente la memoria di quei missionari che prendono sul serio la loro vocazione e la loro missione. L’Istituto si fonda sulla roccia che è Gesù Cristo, ma anche su altri due pilastri: da una parte, la testimonianza e l’insegnamento del nostro Fondatore e, dall’altra parte, la vita di tutti i missionari che, nel corso della storia, ci hanno annunciato e testimoniato, con la loro vita, Gesù Cristo.

20220804StefanoB

Persone disponibili al servizio

Il primo invito, dunque, che ci viene dal momento storico che viviamo come Istituto, è che ci aiuti a vivere la nostra fede e la nostra missione, sempre fino in fondo, senza mezze misure, senza falsità, e senza mediocrità.

Il secondo invito, che ci viene da questi “giorni buoni” per il nostro Istituto, è di prenderci sempre cura, all’interno delle nostre comunità missionarie, di quelle situazioni di difficoltà che le persone vivono, facendoci loro compagni di viaggio allo scopo di aiutarle e di infondere in loro speranza per sé e per i loro cari. Amare è servire e servire vuol dire appunto essere disposti a mettersi in gioco, a donare la propria vita. Esiste un martirio che spinge fino al dono del proprio sangue. Ma esiste anche un martirio quotidiano che siamo chiamati a vivere, attraverso la nostra testimonianza di fede. A questo proposito dice Gesù: «Chi vuole salvare la propria vita, la perderà, ma chi perderà la propria vita per causa mia, la salverà» (Lc 9,24). Gesù insegna che crescere nella vita vuol dire imparare a donarla agli altri, donarla attraverso il servizio.

A questo punto la domanda è d’obbligo: che cosa possiamo fare noi per il nostro Istituto? Che cosa possiamo fare noi per la nostra comunità? Che tempo possiamo mettere a disposizione degli altri? Quali nostre qualità possiamo donare agli altri? Quali servizi possiamo offrire agli altri perché ci aiutino a crescere insieme sia come comunità sia come Istituto?

Pensando alla vita dell’Istituto, ritengo che i servizi di cui abbiamo bisogno sono tanti, ma uno, penso, sia necessario in modo particolare. C’è bisogno di crescere nella responsabilità. Nel sentirsi parte viva della comunità. C’è bisogno di prendersi le proprie responsabilità. Ognuno dovrebbe dire: questa è la mia casa. C’è bisogno di domandarsi che cosa posso fare per farla crescere sempre di più, per far conoscere sempre di più gli altri, la persona e il messaggio di Gesù Cristo.

Di conseguenza in questi “giorni buoni”, come padre, vorrei chiedere questa grazia per l’Istituto alla Consolata: che faccia crescere e maturare nelle nostre comunità persone disponibili al servizio. Di fronte al Signore, per intercessione del Beato Giuseppe Allamano e delle Beate Leonella e Irene, mettiamo oggi le nostre comunità, il nostro Istituto, perché ognuno di noi possa sentirsi sempre più parte viva e possa fare la sua parte, per la crescita della fede e per la crescita del bene comune. Possa il Signore inviare il suo Spirito su di noi perché ci renda sempre più sensibili e impegnati a sollevare la sorte dei più poveri della nostra società.

Mentre promettiamo il ricordo nelle nostre preghiere e rinnoviamo i nostri auguri a p. Joya, accogliamo con gioia quanto questo tempo ci offre per vivere meglio la nostra vita e la nostra missione. Che la grazia del Signore, che ci sta visitando abbondantemente in questo tempo, aiuti tutti noi a essere più missionari. Che questi “giorni buoni”, che il Signore ci dona, ci aiutino a ben preparare e vivere il prossimo Capitolo Genarele come un momento di grande rinnovamento e purificazione affinché possiamo essere sempre più degni del nome che portiamo. Fraternamente a tutti e ad ognuno: coraggio e avanti in Domino!

* Stefano Camerlengo è Superiore Generale dei Missionari della Consolata

DOCUMENTO IN INGLESE

Gli ultimi articoli

Giustizia Riparativa e la “pedagogia allamana”

15-07-2024 Missione Oggi

Giustizia Riparativa e la “pedagogia allamana”

La Corte di Giustizia dello Stato del Paraná (Brasile) ha tenuto dal 3 al 5 luglio l'incontro sulla Giustizia Riparativa...

Perù: prima assemblea dei popoli nativi

14-07-2024 Missione Oggi

Perù: prima assemblea dei popoli nativi

I rappresentanti dei popoli nativi dell'Amazzonia peruviana, insieme ai missionari, si sono riuniti nella Prima Assemblea dei Popoli Nativi, che...

Padre James Lengarin festeggia 25 anni di sacerdozio

13-07-2024 Notizie

Padre James Lengarin festeggia 25 anni di sacerdozio

La comunità di Casa Generalizia a Roma festeggerà, il 18 luglio 2024, il 25° anniversario di ordinazione sacerdotale di padre...

Nei panni di Padre Giuseppe Allamano

13-07-2024 Allamano sarà Santo

Nei panni di Padre Giuseppe Allamano

L'11 maggio 1925 padre Giuseppe Allamano scrisse una lettera ai suoi missionari che erano sparsi in diverse missioni. A quel...

Un pellegrinaggio nel cuore del Beato Giuseppe Allamano

11-07-2024 Allamano sarà Santo

Un pellegrinaggio nel cuore del Beato Giuseppe Allamano

In una edizione speciale interamente dedicata alla figura di Giuseppe Allamano, la rivista “Dimensión Misionera” curata della Regione Colombia, esplora...

XV Domenica del TO / B - “Gesù chiamò a sé i Dodici e prese a mandarli a due a due"

10-07-2024 Domenica Missionaria

XV Domenica del TO / B - “Gesù chiamò a sé i Dodici e prese a mandarli a due a due"

Am 7, 12-15; Sal 84; Ef 1, 3-14; Mc 6, 7-13 La prima Lettura e il Vangelo sottolineano che la chiamata...

"Camminatori di consolazione e di speranza"

10-07-2024 I missionari dicono

"Camminatori di consolazione e di speranza"

I missionari della Consolata che operano in Venezuela si sono radunati per la loro IX Conferenza con il motto "Camminatori...

Un faro di speranza per le persone che vivono per strada

10-07-2024 Missione Oggi

Un faro di speranza per le persone che vivono per strada

I Missionari della Consolata dell'Argentina accompagnano le “Case di Cristo” a “Villa Soldati” Nel cuore di Villa Soldati, a Buenos Aires...

Santo (in punta di piedi)

09-07-2024 Allamano sarà Santo

Santo (in punta di piedi)

Il 23 maggio scorso la sala stampa del Vaticano annunciava che papa Francesco aveva approvato l’avvenuto miracolo della guarigione dell’indigeno...

onlus

onlus