La Formazione Continua Una Esigenza Del Nostro Tempo

Pubblicato in Missione Oggi

Nel processo di accelerazione della storia di cui siamo stati e siamo tuttora spettatori e protagonisti, uno dei fenomeni che è emerso e si è affermato è stato il bisogno della formazione continua. Oggi e normale e abbastanza frequente, dopo la prima formazione, sentirsi incapaci di rispondere alle nuove attese e quindi impreparati quando non inutili. L’hanno scoperto prima di noi i professionisti secolari (medici, ingegneri, tecnici, insegnanti) e le imprese che hanno destinato risorse e tempo per rinnovare il loro personale. Dopo la svolta conciliare (GS 5) anche gli uomini di Chiesa hanno sentito il bisogno di riprendere in mano la formazione per prolungarla nel tempo, aggiungendo dei tempi a quelli previsti per la prima formazione. Quest’esigenza e stata riconosciuta e codificata in vari modi. Nei Capitoli generali degli Istituti religiosi e nelle diocesi si sono prese delle decisioni in questa materia, inizialmente di tipo massimalista, con prospettive irrealizzabili; poi, una volta fatta l’esperienza della loro non praticabilità, si è arrivati a misure più vere. Anche il magistero della Chiesa ha risentito di queste nuove prospettive e ha dato delle indicazioni: vorrei ricordare qui i paragrafi dell’esortazione apostolica Vita consacrata (1996), di Pastores dabo vobis (1992) e le indicazioni dell’Istruzione della Congregazione per la vita consacrata sulla formazione negli Istituti religiosi del 1990.

PER NOI MISSIONARI

Noi missionari ad gentes in questi ultimi decenni siamo stati coinvolti in questo movimento della società:  “Il movimento stesso della storia diventa così rapido, da poter difficilmente essere seguito dai singoli uomini. Unico diventa il destino della umana società o senza diversificarsi più in tante storie separate. Così il genere umano passa da una concezione piuttosto statica dell’ordine delle cose, a una concezione più dinamica ed evolutiva. Ciò favorisce il sorgere di un formidabile complesso di nuovi problemi, che stimola ad analisi e a sintesi nuove” (GS 5).

La nuova situazione ha prodotto notevoli cambiamenti del contesto socioculturale e politico oltre che teologico della missione, con la conseguente urgenza di adattarci ad esso.

- A livello di mondo una serie di fenomeni, tra i quali la fine del colonialismo, i movimenti di liberazione, l’indipendenza politica, le nuove forme di dipendenza neocolonialiste e, oggi, la globalizzazione, ci mostrano un mondo in continuo cambiamento.

- A livello di teologia l’evento Concilio Vaticano II ha prodotto una nuova ecclesiologia, una nuova visione più positiva delle realtà secolari, ha promosso la libertà religiosa, la teologia delle religioni, il dialogo interreligioso, tutti elementi che determinano una nuova percezione della missione con nuovi accenti e nuove sfide.

- A livello di Istituti missionari tutti gli elementi precedenti hanno condotto a creare quasi una nuova identità missionaria, determinata dalle novità teologiche di cui sopra, dal nuovo protagonismo missionario della Chiesa locale, dai nuovi agenti missionari (a partire dai missionari fidei donum ai movimenti di volontariato), dal calo numerico del personale “tradizionale” degli Istituti, dal fenomeno dell’internazionalità o multi culturalità degli Istituti missionari e dalla conseguente nuova composizione delle comunità, fenomeno complesso che ha investito gli Istituti missionari ad gentes.

- Inoltre, per coloro che non sono proprio sordi, le voci del clero locale parlano molto chiaro, facendoci comprendere che l’epoca dei missionari di professione, responsabili della missione ad gentes è finita. Sia chiaro: la missione ad gentes non è finita, ma essa attende un nuovo genere di missionari e un nuovo tipo di Istituti missionari coerente con i tempi attuali.

Il bisogno di cambiare c’è ed e stato sentito. Qualche cambiamento lo si è anche tentato e apportato anche se, in genere, si e trattato di cambiamenti strutturali o istituzionali. Ma sempre più ci siamo resi conto che a questo cambiamento epocale dobbiamo far fronte anzitutto con un profondo cambiamento di atteggiamenti interiori cui seguiranno i cambiamenti strutturali, come uno sconvolgimento che lentamente muove e modifica tutta l’identità del missionario nelle sue componenti umane, spirituali, intellettuali e apostoliche, postulando in seguito, o al massimo contestualmente, i cambiamenti strutturali e istituzionali.

TRE TlPl DI INTERVENTO

Già dagli anni ’70-80 gli Istituti missionari hanno messo in atto un programma di formazione continua per rispondere, nella misura del possibile, alle sollecitazioni della storia. Mi pare che i tipi d’intervento siano stati sostanzialmente due, mentre se ne sta profilando un terzo.

  1. In un primo tempo, dopo il Concilio e negli anni ’70, si e messo l’acccento

davanti ai cambiamenti epocali di vario tipo e a diversi livelli. Far fronte ai cambiamenti anzitutto con diversi atteggiamenti interiori. Corsi di rinnovamento “professionale”. Corsi di rinnovamento, moltiplicati per le serie discipline. Senza sfuggire al rischio di confondere la formazione  continua con l’aggiornamento. chiamiamolo così. professionale. Si e visto molto presto che questo non sarebbe bastato. Erano le persone che dovevano essere non solo oggetto, ma anche soggetto della loro formazione personale. Il rinnovamento solo “professionale” non risolveva i problemi di adattamento alla nuova realtà. Certamente la morale nel decennio dopo il Concilio aveva conosciuto una profonda evoluzione. ancora più l’esegesi, la pastorale. . ., ma un corso di aggiornamento di questo tipo raggiungeva solo un aspetto esteriore della persona, il suo fare, senza toccare il suo essere.

  1. Si è passati allora a corsi di rinnovamento della persona, di rinnovamento dell’io del missionario, della sua maniera di vivere le varie dimensioni: umana, spirituale e missionaria , non dimenticando ma relativizzando molto l’aggiornamento professionale, che veniva demandato (non escluso né minimizzato) a sedi diverse, come le facoltà teologiche. Senza essere degli psicologi, era facile rendersi conto che la persona dopo un certo tempo di impegno nell’attività perde la sua vivacità, si adagia nella routine, vede spegnersi le motivazioni che l’hanno sostenuta fino ad al- lora e rischia di infilare la strada della mediocrità. Era quindi necessario offrire ai missionari dei tempi di riflessione e di verifica del loro vissuto per ridare slancio alla persona. Tali periodi si rivelano di insostituibile importanza: permettono di rivedere la propria esperienza, di analizzarla nei suoi momenti buoni e meno buoni, per cercarne le cause; permettono di rinnovare le energie umane e spirituali della persona, aiutano ad aggiornare le motivazioni della propria consacrazione, danno nuovo slancio per riprendere il cammino. Pur utili e necessari, questi periodi sabbatici presentano un duplice limite: sono degli interventi una fontana e non permettono una crescita comunitaria. Quando un confratello dopo questo periodo rientra nel suo ambiente, non riesce a vivere quello che ha imparato e il beneficio ricevuto si perde come un ruscello nel deserto. Il secondo limite è legato alla concreta fattibilità di questi periodi: in un ambiente umano come quello missionario in cui l’attività è privilegiata, una sosta di qualche tempo (che dovrebbe essere almeno in linea di principio ripetuta dopo un certo periodo) e spesso praticamente difficile, se non quasi impossibile. Non c’è ancora una sufficiente convinzione , nei missionari e neppure nei loro responsabili - che tali periodi sabbatici sono importanti come il lavoro e, senza tale convinzione, difficilmente si possono praticare.
  2. Questa insufficienza dei corsi sabbatici ha fatto riflettere ulteriormente sulla natura della formazione permanente e siamo arrivati oggi alla convinzione che si deve mutare radicalmente l’approccio ad essa. Da una impostazione della formazione permanente che vede la persona oggetto di interventi e di sollecitazioni da parte dell’Istituto o di altre istituzioni, attraverso l’offerta di corsi di vario genere, siamo giunti alla comprensione che la formazione permanente e un impegno affidato direttamente alla persona, la quale e il soggetto di ogni programma e il responsabile della propria formazione. Questa nuova impostazione e tuttavia ancora agli inizi e quindi molto debole sia nella sua comprensione che nella sua esecuzione.
  3. a) Essa suppone una nuova visione della formazione che non solo sia integrale nelle sue componenti comuni (non solo intellettuale, ma anche umana e spirituale e pastorale), ma comprenda anche la componente temporale. È il tempo che deve essere integrato nella formazione. Per questo già all’inizio del processo di formazione deve essere inoculato nel formando il “virus” della durata. In altre parole, bisogna convincere il missionario che la sua formazione non arriverà mai a una conclusione, ma che questo processo sarà permanente, che esso avrà dei tempi, per così dire, concentrati, come la prima formazione, i corsi di rinnovamento personale, professionale e spirituale ecc., ma che la formazione, come tale, deve distendersi sull’arco di tutta la vita, utilizzando tutti i momenti della vita missionaria.
  4. b) È la vita missionaria il luogo e lo strumento della formazione del missionario e tutto quello che ha attinenza alla nostra missione è un mezzo per la formazione permanente: anzitutto il ministero, che il missionario svolge, la comunità in cui vive, i confratelli con cui vive, la comunità cristiana che serve, il mondo sociopolitico e culturale in cui si trova, con le sue istanze. In questo impegno di formazione continua sono mezzi da usare e privilegiare anche quelli relativi alla propria santificazione (preghiera quotidiana, studio, attività pastorale), gli incontri, le esigenze della pastorale, della missione in generale , senza sottovalutare l’importanza delle difficoltà che si incontrano: tutto ha senso e incidenza nella formazione integrale e permanente della persona del missionario.
  5. c) Questa nuova impostazione richiede, però, un profondo rinnovamento della visione della nostra vita missionaria, della vita comunitaria e del modello del missionario. Finché noi saremo guidati dal modello elaborato nell’epoca coloniale, cioè quello del missionario che va in missione per portare fede e civiltà a chi non ha nulla, del missionario caratterizzato dal dare e dal fine molte cose e che vive un rapporto d’inconscia (a volte anche consapevole) superiorità, finché il missionario si sentirà il padrone della missione, finché sarà il missionario eroico di sempre...alla formazione permanente mancherà il punto di arrivo e il cambiamento resterà un sogno, un progetto scritto nei nostri documenti capitolari, ma che non potrà entrare nella vita. Di qui viene l‘urgenza che gli Istituti missionari elaborino un programma di rinnovamento e di aggiornamento di sé stessi! Certamente l’individuo ha una grande responsabilità, ma anche gli Istituti devono darsi una nuova visione della loro partecipazione alla missione della Chiesa e una formazione coerente. La missione non è finita, non finirà mai, ma un certo modello di missionario si, è finito e deve essere aggiornato, se gli Istituti non vogliono scomparire. come è successo a tante istituzioni di vita consacrata nel corso dei tempi.

PER NOI MISSIONARI DELLA CONSOLATA …

 

DOMANDE PER L’APPROFONDIMENTO

 

  1. Qual è la difficoltà o quali sono le difficoltà maggiori ad aprirci alla formazione continua in una forma più permanente?
  2. Come possiamo aiutare la nostra Circoscrizione e le nostre comunità di appartenenza a valorizzare la Formazione Continua?
  3. Quali proposte-orientamenti posso portare a casa dal Corso a cui ho partecipato? Come penso di continuare questa formazione ?

 

 

“…Preti così non s’improvvisano: li forgia il prezioso lavoro formativo del Seminario e l’Ordinazione li consacra per sempre uomini di Dio e servitori del suo popolo. Ma può accadere che il tempo intiepidisca la generosa dedizione degli inizi e, allora, è vano cucire toppe nuove su un vestito vecchio: l’identità del presbitero, proprio perché viene dall’alto, esige da lui un cammino quotidiano di riappropriazione, a partire da ciò che ne ha fatto un ministro di Gesù Cristo. La formazione di cui parliamo è un’esperienza di discepolato permanente, che avvicina a Cristo e permette di conformarsi sempre più a Lui. Perciò essa non ha un termine, perché i sacerdoti non smettono mai di essere discepoli di Gesù, di seguirlo. Quindi, la formazione in quanto discepolato accompagna tutta la vita del ministro ordinato e riguarda integralmente la sua persona e il suo ministero. La formazione iniziale e quella permanente sono due momenti di una sola realtà: il cammino del discepolo presbitero, innamorato del suo Signore e costantemente alla sua sequela.”

 (cfr Discorso alla Plenaria della Congregazione per il Clero, 3 ottobre 2014)

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