Le XXI “spade” della via Mariae

Pubblicato in Missione Oggi

Una rilettura inedita del suo itinerario spirituale dall’infanzia alla croce

La vita di Nazareth

Qui è la «colomba» nascosta nella roccia, di cui parla il Cantico dei cantici.1 A Nazareth Maria vive costantemente con Gesù, in intimità col Verbo di Dio (XIII asse della sua via). E c’è un salto di qualità rispetto alla corrente comprensione della vita cristiana. Non si tratta di pregare un’ora al giorno, e neppure sei o sette. È qualcosa di totalmente diverso. Paolo ne accenna quando dice: pregate incessantemente.2 Nei primi secoli del monachesimo vi furono gli acemeti, il cui ideale era quello di rinunciare anche al sonno, pur di non interrompere la preghiera. Ma gli acemeti forse non avevano capito proprio al 100%, perché il salmista dice: anche nel sonno il mio cuore mi istrui¬sce.3 Gesù qualche volta pregava anche di notte, altre si alzava prestissimo per pregare; ma normalmente dormiva anche lui. E altrettanto Maria. Tuttavia anche quando lei dormiva, Gesù le dormiva a poca distanza, sotto lo stesso tetto. Mt 18, 20 dice: «dove due o tre sono riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a essi». Ciò significa che vivere insieme a Gesù, in intimità con Gesù, è possibile anche oggi, sotto opportune condizioni. Ma per ora non entro nel merito di cosa significhi essere riuniti nel nome di Gesù, che è cosa un po’ diversa da come talvolta s’intende.

Questa intimità ha due note di fondo, senza le quali non si comprenderebbe la comunione spirituale dell’anima col suo Dio. La prima è la tenerezza. Quella di una mamma verso il suo piccolo sembra scontata. Invece nella vita spirituale nulla è ovvio. E, soprattutto, non è scontato trattare Dio con delicatezza e con tenerezza. Baciare Gesù era facile, baciarne l’anima molto meno. Ed è qui la delicatezza e il tatto della Vergine, che quando a Gesù lava i piedini è consapevole che sta adorando il Verbo di Dio, annichilitosi in un bimbetto. La seconda nota è che Maria si fa cibo di Dio. Lo fa durante la gestazione, dando a Gesù il proprio sangue; lo fa poi allattandolo; e lo continuerà a fare in Egitto digiunando per dare a Gesù il necessario. Non si può far crescere Dio in noi e in mezzo a noi, senza sacrifici e senza tenerezza e delicatezza. Dio tratta Abramo da amico, perché ne vede la maturità umana e la solidità di cuore e di pensiero. E altrettanto troviamo in Maria, dove l’ossequio verso il Signore si fonde nel calore di un affetto delicato e sempre rispettoso.

Questo asse della via Mariae,4 bisogna ammettere che anche nei santi lo si ritrova a fatica, almeno come chiara trasparenza mariana.5 Forse in Madre Teresa, che in effetti era spinta a trattare i poveri con un affetto orientato dalla consapevolezza della presenza in loro di Gesù, e anche dalla sensibilità che partecipa della sofferenza dell’altro, sentendola in sé, e rispondendo consolando. Probabilmente in Cusmano, che ben comprese la differenza tra beneficenza e carità cristiana: se il povero non è accolto nella Chiesa come in una famiglia, e col calore della famiglia, non ci siamo proprio. E per questo egli arrivava a praticare e chiedere un eroismo che era vero ossequio, perché ai poveri si dava un trattamento migliore che a se stessi. Macrina fu un’altra grande, ma visse nel sec. IV, e il popolo cristiano per lo più oggi neppure ne ricorda il nome.

 

Per i dodici anni di Gesù,6 la famigliola sale al Tempio con particolare gioia e solennità: Gesù diverrà maggiorenne e gli saranno riconosciuti i diritti e doveri di un israelita adulto. Tra essi anche quello della emancipazione, ossia del non dover render conto ai genitori delle sue azioni. È per questo che resterà nel Tempio a loro insaputa. Ma quando Maria si accorge di averlo perso, per lei è un colpo: è la dodicesima spada. Spiegare in cosa consista non è tanto semplice, perché in quel momento Maria fu presa da molte emozioni e pensieri. Ci fu l’ansia della mamma che non sa dov’è suo figlio, e non le sembra una cosa normale. Dunque si interroga: perché? Ho fatto qualcosa che non dovevo? C’è la moglie che vede il marito preoccupato. Infine c’è la «Sposa» cui viene a mancare lo «Sposo». Ed è propriamente questa la spada: Dio si sottrae all’intimità con l’anima, senza preavviso e senza apparente motivo. E in un attimo l’anima passa dalla pienezza all’esser vuota, svuotata del suo Tesoro. È un buco tanto più terribile quanto maggiore sia la precedente autocomunicazione divina, la precedente intimità.

La risposta di Maria a questa spada è complessa: per prima cosa torna indietro. Non è Dio che deve andare da lei, ma lei da Dio. Così si spoglia del suo essere mamma, ossia propriamente della sua autorità materna. Era stata necessaria per far crescere Gesù, ma adesso vi è una discontinuità, e Maria l’accetta. È un momento di buio e di confusione, cui accenna anche il Vaticano II nella parte finale della Lumen gentium, parlando di peregrinatio fidei (n. 58). «Perché Gesù non mi ha detto?»: questo tormento si fa esame di coscienza, alla ricerca inutile – e ancor più dolorosa – di qualche sbaglio (non certo di Gesù). E così è costretta a rivivere più penosamente la propria inadeguatezza. Non avrebbe mai voluto separarsi da quel Figlio, ma comprende che quella sarebbe stata solo la prima di molte altre e più dolorose separazioni. Forse già intuisce, nella sua lungimiranza, che nella sua missione non potrà seguire il messia. Madre e poi, in un certo senso, messa da parte, come serva inutile. E Maria di nuovo scende: sono una serva inutile. Uno spasimo. Ma quando Gesù insegnerà ai suoi discepoli: dopo aver fatto tutto questo, dite: «Siamo solo servi inutili» ,7 pensava alla sua mamma, e indicava la via per imitarla.

 

L’assenza di Gesù – ossia un’assenza non preavvisata – è per Maria la degradazione da madre di Dio a moglie di Giuseppe. E Maria ingoia e scende, scende senza fermarsi fino all’abisso. E si sente indegna anche di essere moglie. Ritiene giusto tutto, il ripudio del Figlio, ed anche quello eventuale del marito.8 Serva inutile... e giustamente messa da parte. Don Milani visse qualcosa di simile, per quasi tutta la vita. De Lubac, gesuita, si trovò più o meno in questa situazione: il superiore della comunità gli ordinava di andare in un’altra, distante molte ore di viaggio. E, arrivato lì, gli si ordinava di tornare indietro. Visse su un treno per oltre un mese. A Padre Pio per anni fu proibito avere contatti con le persone... Messi da parte. Servi inutili. E Maria come risponde? Accettando pienamente la «degradazione» a moglie: «Tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo ... ».9 S. Paolo, dopo aver ricevuto la visione che gli cambierà la vita, torna a Tarso a fare il suo mestiere, e vi resterà sinché Barnaba non si ricorderà di lui e se lo andrà a prendere.10 Per chi vive al centro del Vortice divino, esser messo da parte è un colpo tanto più profondo quanto più intensa sia la fusione in Dio. Sentirsi ripudiati da Dio è semplicemente terribile. Ma è in quest’inferno che l’anima matura alla virtù della soavità. E questo (XIV) è l’asse più noto della spiritualità mariana, ancorché talvolta non ben compreso.

Quella di Maria è infatti una soavità radicale, che si sviluppa a partire da una piallatura radicale: resa perfetta dalle cose che patì.11 Non si può comprendere il senso della piallatura, se non si scende nella vergogna che l’anima prova.12 Chi non conosce il disonore non può capire. Ma anche chi lo conosce,

 

solo alla lontana comprende cosa significhi sentirsi disonorati da Dio. La vita diventa un deserto, senza nessuna attrattiva. Tutto è amaro, anche la lode umana, che si accoglie con sobrietà per non esser scortesi, ma che dentro suona irridente, inutile, vuota. Il Ripudio divino è la Grande Medicina che trasforma l’anima docile in sacramento stabile dello Spirito Santo. Maria fu sempre tale sacramento ma, come Gesù, anche lei cresceva in età sapienza e grazia. 13 Luca, sobrio nella sua narrazione, ci lascia una traccia del cataclisma che segnò l’anima della Vergine. Infatti dice che Gesù restò loro sottomesso.14 Nella stessa vita dei santi è raro trovare qualcosa del genere. Una delle poche eccezioni potrebbe essere (forse) Padre Pio. La soavità di Maria prima e dopo la maggiore età di Gesù sembra la stessa, ma non è più la stessa; e infatti Luca annota: serbava tutte queste cose nel suo cuore. 15 Maria stava diventando in modo sempre più profondo sacramento del Padre, che fa sorgere il suo sole sui giusti e sugli ingiusti. 16 Quando Dio si sottrae in modo violento all’anima, è per renderla quel sole che egli è,17 nella notte infinita del peccato. Ecco perché la soavità non è più la stessa. Perché si è inserita una distanza radicale tra l’anima e il mondo. S. Agostino in una pagina accenna alla sua solitudine di Vescovo, pur circondato da tanti amici e da una comunità che lo amava. Eppure avverte che ben pochi riescono a scendere nell’intimo del suo cuore. La sottomissione di Gesù è dunque la risposta all’oblazione perfetta di Maria.

di Gesù. Occorre entrare nel mistero della vergogna di Dio, per comprenderne non solo e non tanto la piccolezza, quanto l’infinità dell’Amore. Per comprendere la via cristiana e il rapporto fra via, verità e vita. Tutto è infatti chiuso nel sigillo della vergogna. Il sigillo battesimale, come il sigillo apocalittico non è altro che la vergogna (oggi ne abbiamo perso un po’ il senso, ma è possibile risalirvi attraverso due tracce: la teologia della discesa agli inferi e la storiografia della Chiesa antica: emblematico è ad es. il «duello» tra Ambrogio e la Chiesa di Milano che lo vuole Vescovo). Solo chi vive in modo immacolato la vergogna, ossia senza giudizio e senza ribellione, grato a Dio della condivisione intima del destino dei più disgraziati che gli viene concessa, e per i quali sente sgorgare spontaneo un affetto profondo e senza alterità, solo questi ha realmente fatto propria la via cristiana. Questi vive realmente la pasqua, il passaggio dalla regione della dissimilitudine al paradiso della somiglianza. Perché è la vergogna che blocca l’affetto e crea alterità. È la condivisione della vergogna che ristabilisce l’affetto e la Comunione. Maria fu completamente avvolta dalla vergogna del Figlio.

 

A Nazareth Gesù lavorò con Giuseppe,18 fino alla morte di questi, che si immagina avvenuta quando Gesù era adulto, nella pienezza della sua forza fisica. Per Maria fu un dolore, come lo è sempre il distacco da una persona cara. Ma insieme a esso vi fu la doppia consolazione di saperlo nel seno di Abramo, 19 e che gli fossero risparmiate le sofferenze connesse alle successive vicende messianiche. Dopo la morte di Giuseppe, Gesù divenne formalmente capofamiglia; tuttavia nelle attese dei compaesani Maria conservò sul Figlio un ascendente, che divenne per lei la tredicesima spada. Gesù era ormai in età di sposarsi, tutti vedevano che era bravo nel lavoro, onesto, pio. Sarebbe stato un buon marito... Di fatto andò più o meno così: qualche ebrea che gli aveva messo gli occhi addosso lo fece capire alla madre, e qualche padre non ebbe bisogno di imbeccate. Così Gesù era invitato alle feste dove sarebbe stato possibile scambiare qualche parola con la figlia. Qualche volta andò per cortesia, ma la cosa non ebbe seguito. Qualche volta declinò l’invito. Questo comportamento lasciava perplessi, e iniziarono le pressioni su Maria.

In questi casi è facile opporre un rifiuto, se esiste qualche altra candidata che sia preferita. Ma questo non era il caso e, per non offendere le «pre-tendenti», alla fine fu necessario lasciar trasparire la verità: Gesù non aveva alcuna intenzione di sposarsi. E a quel punto le pressioni su Maria cambiarono registro: tuo figlio è tanto religioso, ma la legge e i rabbini invitano tutti a sposarsi. Devi fargli capire che sta sbagliando, sei sua madre, alla fine... Il consenso sociale si coagula contro Gesù, e Maria non riesce a fare breccia per sgretolarlo. Non può. Se lo facesse dovrebbe mettere i nazareni gli uni contro gli altri, produrre divisione, creare inimicizie. E Maria non ci pensa proprio. Invece comprende che quel dissenso sociale si ripeterà durante la missione pubblica. L’accusa di essere una madre debole e troppo accondiscendente è poca cosa rispetto ai giudizi che sente serpeggiare, e che saranno quelli che ritroveremo accentuati durante la predicazione. Non dicono ancora che Gesù è un demonio, ma che è un tipo strano sì, che è senza criterio, sì.

Loro non sanno che stanno giudicando il Verbo di Dio, ma Maria lo sa. Perciò percepisce con chiarezza l’oggettività del peccato e la sua gravità; e vede benissimo che vi sono due mentalità destinate a scontrarsi: quella di Dio, e quella del «buon senso» umano, per non dir peggio. Il miracolo farà breccia nelle persone semplici, di buon cuore. Ma né il miracolo né la predicazione potranno scalfire la mentalità mondana, nella sua forma più radicale e patologica. Ecco il senso della spada, che si coglie solo alla luce della lungimiranza della Vergine. Tutto quello che riesce a fare è di trattenere dalla parte di Gesù una parte della parentela più stretta (ma non i capifamiglia). E lo fa orientando chi poté alla conoscenza della spiritualità essena, o forse anche alla sequela del Battista, appena ebbe notizia dell’inizio della sua predicazione. Coloro che si avvicinarono a questa forma di religiosità ebraica non ebbero bisogno di lunghi discorsi per comprendere l’atteggiamento di Gesù: vedevano infatti che a Qumran in molti erano celibi, o che lo era il Battista e qualche suo seguace. Dove vede che c’è ascolto, Maria si limita a raccontare qualcosa della propria esperienza al Tempio, e degli insegnamenti ricevuti, dei loro effetti sulla sua anima. In questo modo chi ne raccoglie le parole resta libero, e decide secondo coscienza.

Ma, tra i pretendenti, vi era anche qualche buon partito, che aveva creduto bene incentivare Gesù dandogli lavoro, e pagandolo con generosità. E, in queste cose, lo smacco brucia e sovente si tramuta in atteggiamenti contrari. Il lavoro divenne più scarso, e alla fine Gesù dovette accettare qualche commissione che lo tratteneva anche a lungo lontano da Nazareth. Così, in quei frangenti, alla lontananza di quel Figlio si sommavano nel cuore di Maria le querele dei delusi: eh, se si fosse sposato adesso avrebbe questo e que-st’altro, e non doveva certo lasciarti sola... Una vera tortura, a cui ella rispondeva con la soavità del silenzio. E questo è un altro asse (XV) della via Mariae.20 Notiamo, infatti, che il silenzio ha molte forme. Può essere duro, severo, addolorato, o anche soave. Maria ingoia amaro e tace dolce. E lo può fare, perché pensa: hanno ragione. Tuttavia nel riconoscere le ragioni di chi accusa suo Figlio, mai si schiera dalla loro parte fino a mettersi contro Gesù: pensa che hanno ragione, ma non lo dice. Dicendolo li avrebbe confermati nella loro prospettiva parziale, e non può. Dà loro ragione nel proprio intimo per difenderli e intercedere per loro, come aveva fatto con Giuseppe; ma tace per difendere Gesù senza doverli attaccare. E così vive l’impotenza di Dio davanti al peccato. Ossia la pazienza di Dio Padre. Una pazienza che è assoluta, proprio perché assoluta la riprovazione sociale: i capi sono tutti contro di lei. E saranno tutti contro Gesù, durante la sua missione.21 Non per caso è ancora Luca che ci narra della chiusura di Nazareth, che poi si propagò anche altrove, probabilmente attraverso la rete farisaica.

Dal punto di vista della via Mariae, anche tutto questo pesa, perché la Vergine fu la prima a comprendere come stavano le cose, e ben si guardò dall’impancarsi in una funzione non sua: piuttosto sta un passo indietro. Maria spesso comprende che nell’occhio altrui vi è qualche bruscolo, ma per prima cosa pensa: Gesù ci vede meglio di me. E dunque non prende iniziative, ma cerca di rafforzare l’azione di Gesù, o di portare le persone a contatto con lui. Dare un nome a questo atteggiamento spirituale non è facile: è certamente sequela; è cristocentrismo; è anche equilibrio, che procede da una corretta comprensione della propria missione in rapporto a quelle altrui. E come Maria non prevarica Gesù, similmente non prevaricherà Pietro, né Giovanni o altri. Si potrebbe quasi dire che Maria è maestra nello star ferma. È un paradosso, come si vede dalla visita a Elisabetta, dalla fuga in Egitto, ecc. Ma è la sua anima che spontaneamente è inclinata a ritirarsi, a far spazio, al passo indietro. E questo lo vedremo meglio appresso, considerando l’episodio di Cana, dove per una volta ella esercita una certa autorità. Ma a modo suo, con tenerezza materna.

Tuttavia Maria comprende la missione di Gesù soprattutto nella prospettiva fallimentare determinata dal convergente volere dello Spirito e della libertà peccatrice e inaccogliente la grazia. E questa comprensione si traduce nella radicalità della sua immolazione. Come Gesù, ella prega, soffre, ama, spera. L’eroismo della speranza mariana non si comprende se non in tale prospettiva tragica. Maria spera e si affida, ma trafitta. Ella comprende che vi è una sola giustizia: quella che rende giusti. E che per rendere giusti i peccatori ostinati una sola via è possibile: l’immolazione alla loro follia.22 Infatti non credono all’amore.23 E chi non crede all’amore, neppure può accogliere un’ammonizione, un consiglio: e meno che mai un’ispirazione angelica. Ha bisogno del sangue, della tragedia consumata per svegliarsi dal suo delirio, per rimanere toccato interiormente e convertirsi. Maria lo sa. E anche la Chiesa apostolica lo aveva altrettanto ben compreso. Da qui l’efficacia della sua penetrazione evangelizzatrice.24

 

La missione pubblica

In questo tempo la tredicesima ferita, soprattutto in qualche circostanza, si farà più pesante: la missione pubblica fu occasione di trepidazione, di sofferenze, di gioie, e anche di altre spade, concentrate particolarmente nella passione. Tuttavia il Nuovo Testamento ci lascia già prima altre tracce della via Mariae, che è utile raccogliere. Del distacco da Nazareth non parla, ma è implicito. Non fu il primo, e non ebbe l’inaspettato della dodicesima spada, ma fu comunque non meno lacerante. Questa volta al perdere Dio per Dio, nell’accettazione della Sua volontà, si aggiunge la trepidazione della precarietà e la certezza che la missione sarà per il Figlio più occasione di pianto che di gioia, come egli stesso dirà (altri è colui che semina... altri chi miete).25 Si aggiunge il senso di una definitività dolorosa, di una discontinuità: comunque non sarà più come prima. Gesù non sarà più tutto per lei, e lei non potrà più essere tutta per Gesù, almeno in quel modo in cui lo era stata nell’intimità della sua vita nascosta. Ci saranno i discepoli, e ci saranno gli avversari. E qui la dodicesima e la tredicesima spada si fondono, si uniscono nel rinnovare più acutamente la ferita dell’Amore impotente, cui ella risponde – come sempre – rifugiandosi nella propria douleia sacra: la schiava compiace e basta. Maria vorrebbe, ma non può. Vorrebbe essergli vicino, e deve rimanere a Nazareth; vorrebbe poterlo sostenere economicamente, ma è povera; vorrebbe dargli appoggio sociale, ma la sua rete di relazioni è insignificante; vorrebbe dargli appoggio politico, ma a Gerusalemme ci sono i Romani e lei è solo una povera e disprezzata ebrea. Deve lasciare il Verbo-di-Dio-incarnato nella sua solitudine umano-divina. Una solitudine che le torna addosso trafiggendola di rimbalzo, sicché lasciandolo si sforza di reprimere il pianto e di sorridere, ma c’è un tremore lieve che non può soffocare. Gesù ne resta ferito, e insieme sente tutto l’amore della mamma, di quella mamma che deve lasciare per noi... Ma nelle troppo lunghe ore di quella casa vuota, Maria contemplò il mistero del Padre, e del suo troppo vuoto paradiso, che Gesù voleva riempire (vado a preparare dei posti per voi... dirà alla fine).26 Sente in sé la ferita di quel vuoto, tanto più immenso, e aumenta ancora l’affetto della propria preghiera.

Delle tentazioni nel deserto ci parla la Fonte Q, ripresa da Luca e Matteo. Ma alle tentazioni non erano presenti i discepoli. Che Gesù ne abbia rac-contato in un momento di intimità è possibile, ma improbabile per due motivi: sul piano letterario manca Gesù narratore. Perché? Sul piano spirituale, Gesù che narra una propria vittoria sembra un Gesù che si vanta: non è da lui. Infine la Fonte Q è ripresa da Luca e Matteo secondo due piccole varianti. Ciò lascia pensare a una tradizione orale, che tuttavia dovette avere una fonte autorevolissima, per essere accolta subito dalla Chiesa. Uno scenario plausibile è che Maria abbia misticamente sentito nella preghiera ciò che Gesù viveva,27 ragion per cui sarebbe la redazione lucana quella più fedele alla catechesi ma¬riana.28 E prima ella sente la fame del suo digiuno, e poi il confronto terribile con Satana. E questa fu la quattordicesima spada. Due sono le sue note principali: la perfidia, e la predizione della croce, ossia del fallimento della predicazione messianica.

Una perfidia che già si annuncia nei «se»: se sei Figlio di Dio = «Io non ti credo e ti sfido». Già questo è brutto, perché tenta di far leva sull’orgoglio. Poi c’è la seconda parte: dì a questa pietra che diventi pane = usa del tuo potere divino a tuo favore. E Gesù vince rifiutando la sfida e contrattaccando: sei tu che hai fame, perché denutrito della Parola di Dio. A questo punto Satana attacca il messia: vuoi essere il Re della terra? Ti aiuto: adorami! Cioè: metti la tua missione più in alto di Dio. Questo è un punto che per lo più sfug¬ge.29 Invece Gesù risponde: piuttosto di alterare l’ordine soprannaturale, preferisco perdere. Il terzo assalto è infine il più tremendo, perché questa volta Satana usa la stessa parola di Dio, facendosi teologo: sta scritto... Naturalmente non riesce a ingannare Gesù, ma la sconfitta ne aumenta il livore in una minaccia che è appena accennata nella redazione lucana: si allontanò fino al tempo opportuno.30 E qui Maria per la prima volta ha veramente paura.31 C’è la paura della mamma per il figlio, c’è la paura di fronte a una minaccia cosmica, irreversibile; e – soprattutto – c’è la paura indotta dall’interferenza di satana sull’attenzione di Gesù.32

Molto acutamente il prologo giovanneo – anche questo probabile sedimento delle catechesi mariane – esordisce dicendo che il Verbo era pròs tòn theón. E cioè la sua attenzione era rivolta al Padre. Satana tenta esattamente questo: di distogliere l’attenzione di Gesù dalla persona del Padre. È uno schermo opaco, che Gesù supera con la fede. Ma Maria, seguendo misticamente l’attenzione di Gesù, si trova improvvisamente davanti a un orrore inaspettato: l’oscuramento del contatto interiore col Padre. E questo per un verso la spaventa nel presentimento della battaglia finale, ma soprattutto per la chiara percezione dell’orrore infernale. È dunque qualcosa di diverso dall’esperienza della perdita di Gesù nel tempio, dove era mancato questo elemento. Ma siccome l’attenzione di Maria è misticamente fusa con quella di Gesù – XVI asse della sua spiritualità –, il superamento dello scoglio avviene già con la risposta: Non tenterai il Signore Dio tuo, dove l’attenzione torna tranquilla pròs tòn theón.

Alle nozze di Cana abbiamo altri elementi chiari. E il primo è la fusione tra carità umana e interesse messianico per l’avvento del Regno. Questo asse (XVII) della spiritualità mariana non sempre è intimamente capito e vissuto, perché non sempre si coglie in Maria la virtù della vigilanza. Secondo la Valtorta, quando Maria allattava Gesù, avvenne che una donna che aveva da poco partorito non potesse allattare, e il suo bimbo stesse morendo. Maria non ci pensò due volte e lo allattò lei. In quel caso vi era un’urgenza, e il Regno lo si predicava più coi fatti che con le parole. Gesù era appena nato, e bisognava accontentarsi. Ma nel momento in cui ha inizio la missione, subito Maria cambia registro. Soprattutto nel Vangelo di Marco questo avverbio ricorre molte volte, e dovrebbe far riflettere sul suo valore ascetico (prontezza e tempestività). C’è un problema e Maria lo vede: manca il vino, forse anche perché i commensali sono più di quelli previsti. E, in simili casi, la soluzione più ovvia e semplice sarebbe stata di chiederne in prestito da qualche vicino. Invece Maria si rivolge a Gesù. Se non avessimo le battute giovannee del dialogo, potremmo pensare che è un modo di dargli onore e responsabilità, come si sarebbe fatto col maestro di banchetto, che poi avrebbe provveduto. Ma Gesù risponde: «Cosa a me e a te o donna?». Il latino e il greco hanno due dativi di vantaggio, come se vi fosse un verbo sottinteso: cosa interessa a me e a te? Dunque Gesù riconosce che vi è un interesse comune, che appunto è quello del Regno; e infatti, a sottolineare quanto ben avesse capito sua Madre, aggiunge: «Non è ancora venuta la mia ora».33 Gli era chiaro che gli stava chiedendo di comportarsi da Dio, di togliersi le frasche di dosso e rivelarsi.

Gesù la scoraggia? Difficile dirlo, perché può essere che nel rispondere le abbia sorriso, e Maria abbia compreso che si trattava solo di una schermaglia, di una provocazione per lasciare a lei l’iniziativa. E a questo punto Maria si rivolge ai diakonoi, e invece di dare un ordine dice loro: ciò che vi dirà fatelo.34 L’imperativo c’è, e pure in greco. Ma la costruzione della frase ha il senso di un invito, perché Gesù avrebbe anche potuto non dire nulla. Quindi Maria invece di dare un comando in senso proprio, orienta i diakonoi nella loro missione: essere al servizio del messia, in attesa della sua parola, pronti a darle compimento. Torna l’asse pedagogico-transitivo che già si è visto, ma precisato in senso ecclesiale. Maria orienta i diakonoi del banchetto, ma Giovanni riporta l’episodio perché siano i diaconi della Chiesa a imparare, come lui imparò da Maria. D’altra parte l’episodio conferma la grande intimità spirituale e sintonia tra Maria e Gesù. Quell’intimità e sintonia che va molto oltre la conoscenza dei prodigi divini, e che si era sviluppata in un crescendo continuo, dalle estasi nel Tempio prima, alla vita di Nazareth poi. Ma ad essa già si è accennato.

La quindicesima spada arriva a Nazareth. Luca è molto fine, perché dopo aver parlato delle tentazioni, annota sobriamente: «la sua fama si sparse» ed egli insegnava «glorificato da tutti».35 Gesù è dunque un uomo di successo, ma questo lo si liquida in due righe: non è qui il Vangelo. Esso comincia invece nell’insuccesso, ossia con la predicazione a Nazareth. E qui, sicuramente alla presenza anche di Maria, Gesù dice: nessuno è profeta in patria.36 Questa la spada, anch’essa complessa, che la ferisce con raffinatezza, e che proprio attraverso Luca possiamo ricostruire almeno in parte. Si è detto che Gesù a Nazareth non era ben visto dai notabili, ma questo prima dell’inizio della sua missione. In verità, quando ritorna, la fama dei prodigi compiuti altrove lo aveva preceduto, tanto che sarà motivo di rimprovero.37 Si poteva dunque almeno sperare che le mutate circostanze avrebbero indotto un diverso atteggiamento dei suoi compaesani. In cuor suo questo Maria orante chiedeva al Padre: ma tale grazia non fu accordata, e ciò la ferì certo in molti modi. Dobbiamo infatti pensare che la preghiera di Maria fosse ordinariamente accolta, e che dunque ella si sia fatta scrupolo di non aver chiesto nel modo giusto, o la cosa giusta.38 Il rifiuto è sempre un trauma, e per Maria il no del Padre lo era in modo per noi difficile anche da immaginare, perché il nostro amor di Dio è purtroppo ben lontano dal suo.

In più, la fama di Gesù è occasione di un maggior indurimento dei nazareni, tanto che pensano di ucciderlo. Maria sente tutto questo in sé, e comprende che tale durezza la separa da Gesù, al di là di ciò che entrambi avrebbero desiderato: toglie lei a lui e lui a lei. Comunque egli avrebbe lasciato Nazareth, ma forse il giorno seguente o anche dopo. Invece è costretto a partire senza neppure il viatico della mamma. E qui è tentata di rispondere all’indurimento con durezza, ma capisce che avrebbe solo danneggiato il Signore, e si trattiene. Continua ad amare e servire i compaesani nel sangue di tale ferita. Tuttavia, come detto, la spada trafiggente è nelle parole di Gesù, che in effetti sono per lei, sono risposta alla sua domanda sulla preghiera inesaudita. L’intenzione del Figlio è di rassicurarla: non è colpa tua. Ma al tempo stesso le dischiudono scenari inaspettati. Nessuno è profeta in patria... la prima cosa che Maria intuisce è la tragedia, è la spada di Simeone che si arroventa nel suo cuore. E qui può essere utile una riflessione.

La «patria» connota sempre una socialità «locale», limitata. È un noi contrapposto a un loro. E che nessuno possa essere profeta in patria, deriva dal fatto che la profezia è sempre un invito a uscire dalla località verso l’uni-versale. Maria comprende il messaggio di Gesù, e vi aderisce aprendo il proprio cuore alla cattolicità. Ma questo asse (XVIII) della sua spiritualità ha come contrappunto il rifiuto della grettezza locale, che è rifiuto di un figlio (Gesù nazareno), di un amico (Gesù uomo), del messia (Gesù figlio di Davide), di Dio (Gesù Verbo). Maria capisce che Nazareth è solo l’emblema di mille e mille chiusure che nella Storia si opporranno a Gesù. E con tale spada nel cuore va oltre, secondo l’invito del Figlio. È in questo andare oltre assoluto che Maria anticipa la presenza in terra della Gerusalemme celeste. La spada ha tagliato il cordone ombelicale di un’appartenenza (al popolo eletto) che ancora coesisteva all’appartenere a Dio, e fin qui ne era stato il mezzo. Ma adesso Dio le chiede di più, e Maria sanguinante aderisce.

Marco, con molto garbo, ci dà traccia anche di un altro episodio che certo ferì a fondo la Vergine. Gesù guarisce un lebbroso toccandolo, poi lo invita a presentarsi al sacerdote, tacendo però ad altri l’episodio. Viceversa questi strepitò la notizia a tutti, e Marco annota che così facendo costrinse Gesù a rimanere in luoghi deserti, senza entrare nei villaggi. Luca ricordando l’episodio sottolinea che Gesù nel deserto pregava; ma l’intenzione narrativa di Marco è ben diversa: egli allude al fatto che toccare un lebbroso rendeva impuri, per cui, saputolo, i notabili scansavano Gesù e gli impedivano di entrare in città, mentre il popolo accorreva comunque a lui. La notizia arrivò presto anche a Maria, perché il fatto secondo Marco e Matteo avvenne in Galilea. E Maria sentì in sé, rinnovata in Gesù, la ferita del proprio allontanamento dal Tempio. Prima giudicata impura la madre, adesso il Verbo di Dio. Cosa avrà pensato nel suo cuore? Gesù poteva guarire il lebbroso anche senza toccarlo, ma guarirlo non gli basta: sente affetto per questo intoccabile, e lo tocca in un atto di solidarietà umanissimo e divino. Il contatto: questo sacramento così importante dell’affetto, che in Gesù è sacramento dello Spirito Santo. Il Signore sapeva bene che così facendo trasgrediva la legge, ma lo slancio prevale sul calcolo della ragione.

Maria vede dunque in Gesù la propria stessa trasgressività, e riflette che tanta libertà derivava anche dal modo in cui da bambino lo aveva educato. Mai gli aveva creato sensi di colpa dandogli l’impressione di ritenerlo impuro per qualche motivo. Se era impolverato lo lavava, e dunque proprio la polvere della strada era occasione del contatto affettuoso. Lo stesso il contatto di Gesù col lebbroso. L’idea di Maria era che la purezza fosse una questione interiore, come le avevano confermato gli angeli in molte visioni. E quest’idea aveva trasmesso a Gesù bambino. Adesso si accorge che vi sono due mondi destinati a scontrarsi, due modi di intendere la religiosità ebraica del tutto diversi. E in questo scontro Gesù è formalmente dalla parte del torto. Nella sua chiaroveggenza Maria comprende molto bene il punto: la purezza è negli occhi di chi guarda e mai così adamantina come negli occhi di Dio. Ma l’idea corrente è diversa. Così Maria è costretta ad accettare il conflitto apostolico nella sua radicalità e strutturalità. Non cercherà mai lo scontro, ma aderisce al giudizio di Gesù: «non sono venuto a portare la pace, ma la spada».39 E accettare il conflitto è accettare la lacerazione permanente del cuore, asse intimo della sua spiritualità.40

Altra ferita non da poco sarà sapere Gesù deriso, e persino accusato di essere un demonio .41 Qualsiasi madre si sentirebbe trafitta, ma Maria era ben conapevole madre del Verbo: siamo a un altro livello. Non sente solo irrispettosità, o l’anticarità che diffama: sente l’empietà che chiama demonio Dio, il satanismo che disconosce in Dio l’Amore. Sente cioè la presenza del nemico dell’uomo che sta conducendo la sua battaglia contro Dio, e che non smetterà nel suo dannato intento. Non si prenderà pause di sorta, ma in ogni modo studierà di penetrare nei cuori fino alla guerra conclusiva. Questa ferita è un rinnovarsi attualizzato della quattordicesima spada: la perfidia; ed è alla luce di questa ferita che occorrerà considerare a fondo la maternità spirituale di Maria.

 

1 Cfr CT 2,14. Dal punto di vista della via Mariae Nazareth è importante per alcuni tratti che emergono da Luca, e anche per qualche altro del tutto plausibile derivabile da qualche mistica, ecc.

21 Tess 5, 17.

3 «Invano vi alzate di buon mattino,/ tardi andate a riposare/ e mangiate pane di sudore:/ il Signore ne darà ai suoi amici nel sonno» [T 127, 2]; «anche di notte il mio cuore mi istruisce» [T 16,7]. Alla lettera sarebbe durante le notti i miei reni mi hanno corretto: ciò che si può intendere anche in senso metaforico. Infatti i reni purificano, e le purificazioni spirituali avvengono nelle notti interiori, dove si operano le separazioni dalle scorie degli affetti e dei giudizi disordinati.

4 È ancora il primo: quello della douleia sacra, che ora si precisa nel modo.

5 Ciò dipende infatti molto dalla cultura. Il Dizionario Enciclopedico di Spiritualità (E. ANCILLI ed.), omette la voce ossequio, ritenendo dunque il concetto marginale. Negli scritti di Loyola il senso dell’ossequio è molto forte, così anche l’invito a una preghiera intima e affettiva. Tuttavia il riferimento a un archetipo mariano non è evidente. Inversamente in una spiritualità fortemente mariana, come quella della Lubich, ricorre il tema della volontà di Dio, ma non l’ossequio come asse ascetico.

6 Secondo la Valtorta, Hillel riconobbe in Gesù il messia. È dunque plausibile che si fosse realizzata da poco la profezia della soppressione del regno di Giuda. Dato che essa avvenne nel 6 d.C., fu probabilmente poco dopo quell’evento che Gesù si rivelò ai dottori del Tempio, e comunque prima della morte di Hillel (10 d.C.).

7 Lc 17, 10.

8 Secondo Hillel, si poteva essere ripudiate per molto meno, anche solo per aver cu¬cinato male... Cfr R. PENNA, L’ambiente storico-culturale delle origini cristiane, Bolo¬gna 1991, p. 42.

9 Lc 2, 48.

10 Cfr Atti 9, 30; 11, 25.

11 Cfr Ebr 5, 8s.

12 La vergogna è il muro di separazione più tremendo. Gesù in croce vive una ver¬gogna cosmica. Il Padre che non lo riconosce e che ratifica il giudizio dei sacerdoti, è un «padre» che ripudia il figlio. E Gesù-ripudiato è un Gesù ricoperto della vergogna del ripudio. Ne segue che nel grido di abbandono Gesù manifesta la propria vergogna. Vergogna di figlio ripudiato; vergogna di uomo disonorato; vergogna di israelita scomunicato; vergogna di messia fallito; vergogna di Dio dedivinizzato. Non c’è vergogna umana che possa paragonarsi alla sua. Persino il santo che improvvisamente si ritrova peccatore, perché misteriosamente Dio gli sottrae la sua Grazia, e che dall’abisso della vergogna continua a lodare e a benedire Dio, non prova che in modo infinitamente pallido la vergogna

13 Lc 2, 52.

14 Lc 2, 51 a.

15 Lc 2, 51b.

16 Cfr Mt 5, 45.

17 Cfr Mt 13, 43.

18 Non abbiamo fonti che parlano della vita nascosta di Gesù a Nazareth. Al massimo si trova qualcosa nelle visioni di qualche mistica (belle alcune pagine della Valtorta). La parte che segue è dunque particolarmente una ricostruzione senza pretese storiche.

19 Cfr Lc 16, 22.

20 Maria incassa, restando soave ai figli. La sua maternità non è solo soavità, ma anche franchezza che ammonisce, incoraggiamento, consolazione, ecc. Ma dal punto di vista ascetico l’elemento primo è l’accoglienza eroica dello sgradevole, che farà di lei la madre dei peccatori.

21 Con rare eccezioni: Nicodemo, Giuseppe d’Arimatea e forse Gamaliele, che però non si mise di traverso, come farà invece dopo la Risurrezione, e con peso (cfr Atti 5, 34ss). Egli cioè non fu contro, ma neppure a favore.

22 Invece il nostro cuore vorrebbe il lieto fine, e talvolta una giustizia che non è tutta sbagliata, ma che ha il fiato corto della scarsa magnanimità, quando non l’asma della grettezza.

23 Cfr 2Tess 2, 10 e per opposizione 1 Gv 4, 16.

24 Attualizzando dobbiamo riconoscere che mai abbiamo avuto tanti martiri cri¬stiani come nel sec. XX (si pensi al genocidio armeno, che ne fu solo una parte). Eppure il loro sangue non ha ottenuto ciò che ottenne il sangue antico. Perché? Certo non è lo stes¬so essere in grazia, ed essere fonte di grazia. I primi martiri erano sale della terra, ossia fonte di grazia. Ma qui si aprirebbero questioni di teologia pastorale troppo complesse per poter essere anche solo accennate.

25 Cfr T 126, 5s; Gv 4, 36ss.

26 Cfr Gv 14, 2s.

27 Nei mistici si trovano cose di questo genere. Per es. sono noti fenomeni di bilocazione, o anche di conoscenza interiore dei pensieri altrui. Se questi doni si ritrovano in alcuni santi, pensare che Maria non ne abbia partecipato è arduo.

28 Cfr Lc 4, 1-13.

29 È ciò che in un certo senso capitò a Mosè, quando uccise l’egiziano: aveva colto il senso generale della propria chiamata, ma non ancora l’ordine delle cose, che si chiarirà nell’esperienza mistica.

30 Lc 4, 13.

31 Non ebbe paura quando vide Giuseppe rabbuiarsi? Timore senz’altro, ma paura forse no. In Maria solo il diabolico produce propriamente paura. E in quel caso esso restò probabilmente schermato dalla lotta di Giuseppe, che ella ben vide, e a causa della quale egli si meritò l’epiteto di giusto.

32 L’arte contemplativa sale sempre a Dio. Dare attenzione a Gesù era per Maria essere in una fortezza protetta, inattaccabile. Ma nel momento in cui l’attenzione di Gesù deve confrontarsi con Satana, Maria, dando attenzione all’attenzione di Gesù si trova davanti l’avversario. Ecco il punto.

33 Gv 2, 4.

34 Gv 2, 5.

35 Lc 4, 14s.

36 Lc 4, 24.

37 Lo si deduce da Lc 4, 23: Gesù esplicita il rimprovero che legge nei cuori degli

astanti.

38 «Non avete, perché non chiedete. Chiedete e non ricevete, perché chiedete male» [Gc 4, 3s]. Indubbiamente spesso la preghiera fallisce per le ragioni addotte dall’Apostolo; ed è certo che il Padre desideri farci toccare la sua vicinanza, esaudendo i nostri desideri. Ma talvolta proprio lo Spirito spinge a chiedere ciò che non può essere concesso, almeno a breve termine. E Dio si compiace massimamente di una tale preghiera, che è assolutamente perfetta, perché pura espressione di giustizia ubbidiente. È qui che si condivide con Dio la tragedia del peccato, del no umano a Dio.

 

fonte www.yumpu.com

 

 

 

 

 

 

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