GLOBALIZZAZIONE E MISSIONE

Pubblicato in Missione Oggi

P. Antonio Rovelli, IMC

 

I CAMBIAMENTI INDOTTI DALLA GLOBALIZZAZIONE

La globalizzazione, che ha invaso tutti i campi privati e pubblici della vita delle persone, certamente sta ridefinendo i parametri della missione "ad gentes". Cambiamenti che Papa Francesco stesso ha sintetizzato egregiamente nel seguente modo: "Nella nostra epoca, la mobilità diffusa e la facilità di comunicazione attraverso i nuovi media hanno mescolato tra loro i popoli, le conoscenze, le esperienze. Per motivi di lavoro intere famiglie si spostano da un continente all'altro; gli scambi professionali e culturali, poi, il turismo e fenomeni analoghi spingono ad un ampio movimento di persone. A volte risulta difficile persino per le comunità parrocchiali conoscere in modo sicuro e approfondito chi è di passaggio o chi vive stabilmente sul territorio.

Inoltre, in aree sempre più ampie delle regioni tradizionalmente cristiane cresce il numero di coloro che sono estranei alla fede, indifferenti alla dimensione religiosa o animati da altre credenze. Non di rado poi, alcuni battezzati fanno scelte di vita che li conducono lontano dalla fede, rendendoli così bisognosi di una 'nuova evangelizzazione'. A tutto ciò si aggiunge il fatto che ancora un'ampia parte dell'umanità non

di una luce sicura che rischiari la sua strada e che solo l'incontro con Cristo può donare. Portiamo a questo mondo, con la nostra testimonianza, con amore, la speranza donata dalla fede!" (Messaggio per la Giornata Missionaria Mondiale, GMM, 2013, n.4).

Quando i confini da geografici diventano sempre più "antropologici" e più che delimitare un luogo lo attraversano intrecciandosi tra loro, la missione si configura come un immettersi negli snodi stessi del crocevia globale, nella condivisione delle tensioni e dei drammi, delle speranze e novità che quotidianamente si vivono.

La distanza non è più l'unico ed assoluto criterio per definire le "gentes", se per distanza si intende spazio e tempo. Preminenti oggi, nei nostri contesti, sono le "distanze sociali", che rappresenta-no luoghi dove l'"ad gentes" deve guardare per ridare speranza alle molte solitudini e diversi volti delle nuove povertà.

Per Papa Francesco c'è un luogo particolare dove le "distanze sociali" si manifestano in modo drammatico, un crocevia di culture e disagi, un confine antropologico di sofferenze e solitudini che la Chiesa deve abitare, e sono le periferie esistenziali.

MISSIONE NELLE PERIFERIE

Numerose sono state le occasioni in cui il Vescovo di Roma ha annunciato "una Chiesa povera e per i poveri" che deve uscire per andare alla ricerca delle "periferie". Non solo una Chiesa che ha a cuore i poveri, che "fa il bene" per loro, ma che si fa povera a immagine del Signore, il quale "da ricco che era si è fatto povero per noi" (cf. 2Cor 8,9), per essere solidale in tutto con gli uomini. "Perché la realtà si capisce meglio non dal centro, ma dalle periferie" (26 maggio 2013). Il Papa ha ripreso  questo tema, che gli sta tanto a cuore, anche quando ha invitato i sacerdoti (Omelia del Giovedì Santo, 28 marzo 2013) ad "uscire a sperimentare la nostra unzione, il suo potere e la sua efficacia redentrice: nelle 'periferie' dove c'è sofferenza, c'è sangue versato, c'è cecità che desidera vedere, ci sono prigionieri di tanti cattivi padroni... Siate pastori con 'l'odore delle pecore', che si senta quello...".

"Andare verso le periferie. Uscire da noi stessi: uscire dalle nostre comunità, per andare lì dove gli uomini e le donne vivono, lavorano e soffrono e annunciare lo-ro la misericordia del Padre che si è fatta conoscere agli uomini in Gesù Cristo di Nazareth" (Discorso ai partecipanti al Convegno Ecclesiale della diocesi di Roma, giugno 2013).

 

SIGNIFICATO DI "NUOVA EVANGELIZZAZIONE"

Papa Francesco ha avuto occasione di parlare anche di "Nuova Evangelizzazione". Nel discorso ai partecipanti alla plenaria del Pontificio Consiglio per la promozione della Nuova Evangelizzazione del 14 ottobre 2013, ha indicato chiaramente che per lui "nuova evangelizzazione significa risvegliare nel cuore e nella mente dei nostri contemporanei la vita della fede. La fede è un dono di Dio, ma è importante che noi cristiani mostriamo di vivere in modo concreto la fede, attraverso l'amore, la concordia, la gioia, la sofferenza, perché questo suscita delle domande, come all'inizio del cammino della Chiesa: perché vivono così? Che cosa li spinge? Sono interrogativi che portano al cuore dell'evangelizzazione che è la testimonianza della fede e della carità. Ciò di cui abbiamo bisogno, specialmente in questi tempi, sono testimoni credibili che con la vita e anche con la parola rendano visibile il Vangelo, risveglino l'attrazione per Gesù Cristo, per la bellezza di Dio.

C'è bisogno di cristiani che rendano visibile agli uomini di oggi la misericordia di Dio, la sua te-nerezza per ogni creatura. Sappiamo tutti che la crisi dell'umanità contemporanea non è superficiale, è profonda. Per questo la nuova evangelizzazione, mentre chiama ad avere il coraggio di andare controcorrente, di convertirsi dagli idoli all'unico vero Dio, non può che usare il linguaggio della misericordia, fatto di gesti e di atteggiamenti prima ancora che di parole".

LA NOVITÀ È CRISTO

L'evangelizzazione è sempre l'annuncio della novità di Gesù Cristo. È questa l'anima profonda di ogni nuova evangelizzazione, che non voglia essere puramente retorica, o subito vecchia.

Quindi parlare di nuova evangelizzazione significa parlare di una novità che non tocca soltanto il metodo, ma il Vangelo stesso.

Tutti siamo d'accordo nel dire che nuova evangelizzazione non significa un "nuovo Vangelo", perché "Gesù Cristo è lo stesso ieri, oggi e sempre" (Eb 13,8).

Infatti, "non c'è vera evangelizzazione se il nome, l'insegnamento, la vita, le promesse, il regno, il mistero di Gesù di Nazareth, Figlio di Dio, non siano proclamati" (Evangelii  Nuntiandi n. 22).

Siccome oggi il Vangelo deve misurarsi con urgenze mai incontrate e rispondere a domande inedite, nuova evangelizzazione è mostrare che il Vangelo sa rispondere ai problemi della post-modernità. Il Vangelo è quello di sempre, ma nuovo deve essere il modo di comprenderlo, non soltanto il modo di ridirlo.

 

LA MISSIONE NASCE DALL'INCONTRO CON CRISTO

La presenza certa dello Spirito è lì a ricordarci costantemente come soltanto lasciandoci conformare a Cristo, fino ad assumere il suo stesso sentire (cf Fil 2,5), potremo predicare Gesù Cristo e non noi stessi. Il Papa ribadisce che l'evangelizza-zione "... esige l'impegno comune per un pro-getto pastorale che richiami l'essenziale e che sia ben centrato sull'essenziale, cioè su Gesù Cristo. Non serve disperdersi in tante cose secondarie o superflue, ma concentrarsi sulla realtà fonda-mentale, che è l'incontro con Cristo, con la sua misericordia, con il suo amore e l'amare i fratelli come Lui ci ha amato" (Discorso ai partecipanti al-la Plenaria del Pontificio Consiglio per la promozione della Nuova Evangelizzazione).

Papa Francesco propone così in modo magistrale una sintesi di cosa è per lui missione: "vivere lo stupore dell’incontro con Cristo e desiderare di condividere questa esperienza con altri”.

LO SPIRITO ANIMA DELLA MISSIONE

Come già Paolo VI, che sottolineò: "L'evangelizzazione non sarà mai possibile senza l'azione del-lo Spirito Santo" (EN 75), anche Papa Francesco non può pensare alla missione senza un'attenzione particolare al ruolo dello Spirito Santo che "... è l'anima della missione. Quanto avvenuto a Gerusalemme quasi duemila anni fa non è un fatto lontano da noi, è un fatto che ci raggiunge, che si fa esperienza viva in ciascuno di noi. La Pentecoste del cenacolo di Gerusalemme è l'ini-zio, un inizio che si prolunga. Lo Spirito Santo è il dono per eccellenza di Cristo risorto ai suoi Apostoli, ma Egli vuole che giunga a tutti. E lo Spirito Paràclito, il 'Consolatore', che dà il coraggio di percorrere le strade del mondo portando il Van-gelo! Lo Spirito Santo ci fa vedere l'orizzonte e ci spinge fino alle periferie esistenziali per annunciare la vita di Gesù Cristo" (Omelia alla S. Messa con i Movimenti ecclesiali, 19 maggio 2013).

QUALI ATTEGGIAMENTI?

Papa Francesco spesso descrive il compito della Chiesa attraverso il ricorso ad atteggiamenti che formano uno stile di evangelizzazione.

Abbiamo raccolto alcune indicazioni che vi pro-poniamo senza alcun commento, per rispettarne il pensiero, l'originalità, l'incisività e la profezia.

MISSIONE: IMPEGNO DI OGNI COMUNITA

"Ogni comunità è 'adulta' quando professa la fede, la celebra con gioia nella liturgia, vive la carità e annuncia senza sosta la Parola di Dio, uscendo dal proprio recinto per portarla anche nelle 'periferie', soprattutto a chi non ha ancora avuto l'opportunità di conoscere Cristo" (GMM 2013, n. 1).

MISSIONE: MAI UN ATTO INDIVIDUALE

"È importante non dimenticare mai un principio fondamentale per ogni evangelizzatore:  non si può annunciare Cristo senza la Chiesa.

Evangelizzare non è mai un atto isolato, individuale, privato, ma sempre ecclesiale" (GMG 2013, n.3).

MISSIONE È MISERICORDIA E TENEREZZA

"Oggi c'è bisogno di un'evangelizzazione che non batta sentieri aridi, ma sappia recuperare il senso umano, umanissimo della vita di fede, la quale non è riducile ad una pastorale frenetica, ma esige la gratuità di chi sa fermarsi per pensare e leggere, per godere della presenza dell'altro, costruire relazioni fraterne e sappia così ricomporre il tessuto sociale per tanti versi disgregato" (Discorso ai partecipanti alla plenaria del Pontificio Consiglio per la promozione della Nuova Evangelizzazione).

MISSIONE È ACCOGLIENZA

"Per tutta la Chiesa è importante che l'accoglienza del povero e la promozione della giustizia non vengano affidate solo a degli 'specialisti', ma siano un'attenzione di tutta la pastorale, della formazione dei futuri sacerdoti e religiosi, dell'impegno normale di tutte le parrocchie, i movimenti e le aggregazioni ecclesiali.

In particolare (...) il Signore chiama a vivere con più coraggio e generosità l'accoglienza nelle comunità, nelle case, nei conventi vuoti. Certo non è qualcosa di semplice, ci vogliono criterio, responsabilità, ma ci vuole anche coraggio. Facciamo tanto, forse siamo chiamati a fare di più, ac-cogliendo e condividendo con decisione ciò che la Provvidenza ci ha donato per servire" (Discorso al Centro Astalli, 10 settembre 2013).

Vorrei sostare ancora su un elemento di peculiarità dello stile di Papa Francesco: la sua capacità di unire gesti e parole, semplici e di immediata comprensione. Questo è il più grande in-segnamento di Papa Francesco: il suo stile è missionario, i suoi discorsi, omelie diventano realtà e testimonianza concreta nei suoi gesti e scelte spesso contro corrente, inusitati e imprevisti. Il Papa stesso con quello che fa e soprat-tutto che è, ci mostra il "nuovo" che dovrebbe caratterizzare la missione della Chiesa in questi tempi.

Papa Francesco - per indole, sensibilità e prassi pastorale proprie - riesce a vivere l'incontro con le folle dei fedeli come se il protagonista dell'e-vento non fosse il Papa, ma proprio il popolo dei fedeli stretto attorno al suo pastore. E in questo abbraccio non solo ideale ma anche fisico, mescola sapientemente piccoli gesti quotidiani - una carezza, un sorriso, un chinarsi sui piccoli e i sofferenti - a parole di presa immediata: frasi lapidarie del Vangelo, certo, ma anche battute di spi-rito, ricordi della nonna, proverbi ed esempi tratti dalla vita di tutti i giorni, così simili alle parabole di Gesù...

Ci sembra di poter dire che lo stile pastorale di Papa Francesco ha tutti gli elementi per poter es-sere ripreso e applicato nelle realtà ecclesiali più semplici e normali e divenire così il modo ordina-rio di testimonianza della fede. Quale vescovo, infatti, non può a sua volta fermarsi a incontrare e scambiare due parole con i suoi fedeli, entrare nelle case dei più poveri della sua diocesi e prendere un caffè con loro, o visitare le carceri della sua città o abbracciare gli stranieri per far loro sentire che l'amore per l'umanità tutta vissuto da Cristo non conosce frontiere? E quale parroco o prete non può dal canto suo proporsi di incontrare e salutare ad una ad una le persone affidate alla sua cura pastorale, conoscerne le gioie e le sofferenze, seguirne il faticoso cammino quoti-diano di ricerca di senso?

Francesco ha una visione di una Chiesa in esodo, di una Chiesa in movimento e che ha l'audacia di uscire, di uscire da se stessa. Per essere fedele al-la sua missione e alla sua identità la chiesa deve uscire, perché - sono parole da lui pronunciate in un'intervista del 2007 - "il restare, il rimanere fedeli implica un'uscita. Proprio se si rimane nel Signore si esce da se stessi".

"La novità ci fa sempre un po' di paura, perché ci sentiamo più sicuri se abbiamo tutto sotto controllo, se siamo noi a costruire, a programmare, a progettare la nostra vita secondo i nostri schemi, le nostre sicurezze, i nostri gusti. E questo avviene anche con Dio. Spesso lo seguiamo, lo accogliamo, ma fino ad un certo punto; ci è difficile abbandonarci a Lui con piena fiducia, lasciando che sia lo Spirito Santo l'anima, la guida della nostra vita, in tutte le scelte; abbiamo paura che Dio ci faccia percorrere strade nuove, ci faccia uscire dal nostro orizzonte spesso limitato, chiuso, egoista, per aprirci ai suoi orizzonti" (Omelia di Pentecoste 2013).

Apriamoci dunque alla novità di Dio cercando di dare una risposta alle domande pertinenti che Papa Francesco ci pone, con la nostra vita personale e comunitaria.

 

 

 

Ultima modifica il Giovedì, 05 Febbraio 2015 16:35

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