PARROCCHIE E NUOVA EVANGELIZZAZIONE

Pubblicato in Missione Oggi

L’apporto de movimenti ecclesiali e nuove comunità

Colloquio organizzato dalla Comunità dell’Emmanuele,
in collaborazione con ilo Pontificio Istituto Redemptor Hominis

Prof. Avv. Guzmán M. Carriquiry Lecour
Sotto-Segretario
del Pontificio Consiglio per i Laici

PARROCCHIE, MOVIMENTI ECCLESIALI E NUOVE COMUNITA

Attualità del tema proposto

Nella stagione di revisione critica e allo stesso tempo feconda di esperienze di rinnovamento, suscitata dal Concilio Ecumenico Vaticano II, la parrocchia, non meno di altre realtà - anzi, forse di più, per la sua centralità e capillarità ecclesiale – viene messa in questione. D’una parte, la riforma liturgica, il rinnovamento della catechesi, le nuove esigenze poste alla vita comunitaria, le nuove formi di partecipazione e corresponsabilità dei fedeli laici, la creazione dei Consigli pastorali e la diversificazione e istituzione di ministeri non ordinati, la rinnovata consapevolezza sul ruolo della Chiesa locale, i tentativi di una pastorale organica e integrata, ed altro ancora!, non potevano che incidere profondamente sulla realtà parrocchiali. D’altra parte, gli accelerati e profondi cambiamenti degli assetti territoriali, sociali e culturali nella convivenza, nei più vari contesti, nonché le sfide lanciate da una più pressante consapevolezza e urgenza della missione della Chiesa, hanno offerto ancora nuovi criteri di discernimento e ulteriori spinte al rinnovamento. Tutto ciò sempre inevitabilmente condizionato dalle istanze critiche, turbolente e, allo stesso tempo creative, che seguirono l’evento conciliare. Una sterminata bibliografia rende conto

 

delle riflessioni, esperienze e proposte che si sono accumulate specialmente dagli anni cinquanta del secolo scorso sino all’attualità. Se i riferimenti espliciti alla parrocchia sono stranamente assai scarsi nei documenti del Concilio Vaticano II, sono invece frequenti e numerosi da parte del Magistero pontificio i richiami che mettono in luce l’importanza dell’istituzione parrocchiale e gli elementi guida per il rinnovamento. “La parrocchia, pur bisognosa di costante rinnovamento, continua a conservare ed a esercitare - scrisse Giovanni Paolo II nell’Esortazione apostolica Ecclesia in America - una sua missione indispensabile e di grande attualità in ambito pastorale ed ecclesiale”1.

Inoltre, la vita della Chiesa durante questa fase pos-conciliare è stata caratterizzata dall’inattesa comparsa e della sorprendente diffusione un pò ovunque di numerosi e diversi movimenti ecclesiali e nuove comunità. Il Cardinale Joseph Ratzinger osservava acutamente nel 1985: “Ciò che apre alla speranza a livello della Chiesa universale - e ciò avviene proprio nel cuore della crisi della Chiesa universale – è il sorgere di nuovi movimenti, che nessuno ha progettato, ma che sono scaturiti spontaneamente dalla vitalità interiore della fede stessa ( ... ). Emerge qui una nuova generazione della Chiesa ( ... ). Trovo meraviglioso che lo Spirito sia ancora una volta più forte dei nostri programmi e valorizzi ben altro da ciò che noi ci eravamo immaginati”2. In un tempo di inaudita scristianizzazione – alimentata inizialmente da ideologie di stampo messianico e ora dal diffondersi di una mentalità relativista ed edonista -, nel contesto di una Chiesa percorsa da dibattiti intellettualistici, pesante burocratizzazione e frequenti situazioni di scetticismo critico, “ecco che lo Spirito Santo fa di nuovo risbocciare la fede, senza ‘se’ e senza ‘ma’, “senza sotterfugi né scappatoie, vissuta nella sua integralità come dono, come un regalo prezioso che fa vivere”3 . Tutti sappiamo quanto S.S. Giovanni Paolo II, durante su lungo e grande pontificato, abbia incontrato, valorizzato, incoraggiato, sostenuto e proposto i movimenti e le nuove comunità come doni tempestivi dello Spirito Santo per il bene della Chiesa e come speranza per gli uomini4. Li ha considerati frutti “provvidenziali”

 

di “quella primavera della Chiesa già preannunciata dal Concilio Vaticano II ma purtroppo non di rado ostacolata dal dilagante processo di secolarizzazione”5. Ha riconosciuto la loro “ricchezza carismatica, educativa e missionaria”. E il pontificato di S.S. Benedetto XVI condivide questo stesso giudizio e lo stesso affetto pastorale, che riconosce nei movimenti scuole dove si impara e si comunica la verità, la bellezza e la gioia di essere cristiani6. Il mio venerato predecessore, Giovanni Paolo II – ricordava S.S. Benedetto XVI – ha presentato i movimenti e le nuove comunità come dono provvidenziale dello Spirito Santo alla Chiesa per rispondere in maniera efficace alla sfida del nostro tempo”; e proseguiva affermando: “E voi sapete che questa è anche la mia convinzione”, manifestata “da quando ero ancora professore e poi cardinale”7.

L’accoglienza della sorprendente novità di tanti e diversi movimenti e nuove comunità nella vita della Chiesa, soprattutto delle Chiese locali e delle parrocchie, ha richiesto sforzi prolungati, sacrifici, incomprensioni, il tempo necessario cioè per imparare a lavorare insieme. Giovanni Paolo II era ben consapevole di questa difficoltà, come si evince delle sue parole: si tratta di una “sicura novità, che ancora attende di essere adeguatamente compresa in tutta la sua positiva efficacia per il Regno di Cristo all’opera nell’oggi della storia”8; e in seguito riferendosi sempre ai movimenti e alle nuove comunità, aggiungeva: “La loro nascita e diffusione ha recato nella vita della Chiesa una novità inattesa, e talora persino dirompente. Ciò non ha mancato di suscitare interrogativi, disagi e tensioni; talora ha comportato presunzioni e intemperanze da un lato, e non pochi pregiudizi e riserve dall’altro. È stato un periodo di prova per la loro fedeltà, un’occasione importante per verificare la genuinità dei loro carismi. Oggi dinanzi a voi si apre una tappa nuova: quella della maturità ecclesiale. Ciò non vuol dire che tutti i problemi siano stati risolti. È, piuttosto, una sfida. Una via da percorrere. La Chiesa si aspetta da voi frutti ‘maturi’ di comunione e di impegno”9.

 

In questi anni molta strada si è fatta. Grazie al magistero pontificio, al riconoscimento universale di molti movimenti e nuove comunità da parte della Santa Sede, alla loro presenza in seno a molte Chiese locali, al dialogo e alla collaborazione con i Pastori, c’è oggi maggiore serenità nella comunione, maggiore comprensione e cooperazione. Nulla toglie, però – come avvertiva Benedetto XVI il 3 maggio 2005 – “la difficoltà di imparare come relazionarsi gli uni con gli altri” in vista dell’unico Corpo e nell’unità dell’unico Corpo10, realisticamente consapevoli che, per certo, problemi e tensioni, almeno in alcuni casi, non possono essere risolti una volta per tutte.

Difficoltà di approcci generici

Un approccio inadeguato al problema delle relazioni tra parrocchie e movimenti

espone al rischio di complicare ulteriormente la questione.

Un tipico esempio è la difficoltà provocata da approcci troppo generici che tendono a considerare “la” parrocchia” e “i” movimenti come enti in sé, univoci e indistinti, considerandoli in modo troppo astratto. Una rapida ricapitolazione della storia dell’evoluzione della parrocchie durante i secoli permette di rendersi conto dei tanti e profondi cambiamenti che hanno subito strutture e funzioni. Basta pensare ai diversi criteri di organizzazione delle primitive parrocchie rurali e delle parrocchie cittadine, sorte molto tempo dopo; solo con il Concilio di Trento trovarono una struttura giuridica unitaria, poi recepita dal Codice di Diritto Canonico del 1917. Bisogna anche domandarsi: si può parlare oggi di parrocchia in maniera uniforme e indistinta? La realtà della Chiesa ci presenta tanti e diversi tipi di parrocchia: da quella urbana delle periferie urbane a quella dei centri storici delle grandi città, a quella della campagna, della montagna spopolata, da quella piccola e circoscritta a quella gigantesca come territorio e popolazione, da quella in cui resistono ancora le tracce di antiche cristianità a quella in terre di missione. E ancora abbiamo le

 

parrocchie senza parroci né preti. Per non parlare della differenza tra le parrocchie organizzate su base “territoriale” e quelle su base “personale”. Perciò il CIC in vigore si limita a definire la parrocchia in modo scarno, indicando un minimo comune denominatore, orientato fondamentalmente sulla comunità cristiana (cfr. can. 515), senza perdere, tuttavia, il riferimento alla dimensione territoriale (can. 518). In verità, non manca l’indicazione degli elementi essenziali che definiscono la parrocchia in quanto tale: è “una determinata comunità di fedeli, che viene costituita stabilmente nell’ambito di una Chiesa particolare e la cui cura pastorale è affidata, sotto l’autorità del Vescovo diocesano, a un parroco quale suo proprio pastore”11 . Essa è soprattutto “una comunità eucaristica”. Rimane il fatto, però, che tali elementi si vivono in condizioni e contesti diversissimi.

Parlando anche di movimenti e nuove comunità si rischia di cadere in una grossolana genericità. Papa Giovanni Paolo II indicava alcuni tratti comuni: “Che cosa s’intende, oggi per movimenti?. Il termine viene spesso riferito a realtà diverse fra loro ( ... ). Se da un lato esso non può esaurire né fissare la ricchezza delle forme suscitate dalla creatività vivificante dello Spirito di Cristo, dall’altro sta però ad indicare una concreta realtà ecclesiale a partecipazione in prevalenza laicale, un itinerario di fede e di esperienza cristiana che fonda il proprio metodo pedagogico su un carisma preciso donato alla persona del fondatore in circostanze e modi determinati”12. Questa definizione non risolve tutti gli interrogativi e non abbraccia tutte le realtà. Un fondatore, come Luigi Giussani, arriva a definire la “parrocchia come movimento”13, come del resto ha costatato in varie circostanze e come dovrebbero essere! Inoltre, emerge oggi con sempre maggior chiarezza la grande diversità di carismi, metodi, itinerari, stili e campi di azione dei diversi movimenti e comunità; sarebbe quindi un errore riferirsi ai movimenti come un “blocco” ecclesiale. Alcune di queste realtà trovano la loro collocazione naturale all’interno della vita parrocchiale. Altre invece partecipano alla vita parrocchiale attraverso i loro gruppi o comunità. Altri ancora sono presenti nella vita della parrocchia solo per

 

il contributo dei singoli fedeli, senza per questo chiedere uno spazio dentro le

strutture e la vita parrocchiale.

Si potrebbe continuare..., ma questa semplice premessa serve solo a giustificare l’umiltà e la prudenza delle mie analisi, a ricordare che ogni situazione meriterebbe un discernimento ad hoc e che le regole generali possono trovare smentite e correzioni.

Non dal dualismo, ma dall’unità!

Quando si imposta la riflessione su parrocchie e movimenti isolandoli dal contesto ecclesiale, considerandoli dapprima separatamente e poi nei lori rapporti reciproci, si accetta come punto di partenza un dualismo da cui non si riuscirà mai a ricomporre l’unità, proprio quella unità che è segno essenziale dell’essere e del disegno Dio Trinitario, dell’avvenimento di Cristo e del mistero di comunione del quale la Chiesa è sacramento per il genere umano. La penosa conseguenza è che, se si parte da quel dualismo, si dovrà procedere a una ricerca improba, affannosa e alla fine infruttuosa di obblighi, regole, esigenze, meccanismi e procedure atti a conciliare il lavoro delle parrocchie e quello dei movimenti. Si rimane cosi chiusi in un confuso pragmatismo, in una mentalità di burocrazia ecclesiastica, in un appiattimento funzionale, fonte di disagi e malessere, finendo per sostituire la novità della vita cristiana con delle regole; una situazione che troppo spesso scadde in rapporti puramente “politici”, di potere, dove tutto viene pensato e programmato secondo misure umane. Trattare isolatamente il rapporto tra parrocchia e movimenti non può che annoiare e confondere. È opportuno segnalare ciò che disse l’allora Cardinale Joseph Ratzinger nel Sinodo straordinario del 1985: “sarebbe un triste spettacolo se alla fine potesse sorgere l’impressione che noi abbiamo parlato principalmente di noi stessi, delle nostre norme, dei nostri poteri. La Chiesa che parla di se stessa, non di se

 

stessa parla, poiché non ha la propria essenza in se stessa, ma trova se stessa

diffondendosi, superandosi, perdendosi nel Signore”14.

Parrocchie e movimenti non sono il fine della vita cristiana, ma soltanto luoghi e strumenti orientati ad un unico scopo: suscitare, sviluppare e fortificare il legame delle persone con Dio, nella famiglia dei discepoli e testimoni di Gesù Cristo, per grazia dello Spirito Santo. L’unica ragione per cui esiste la stessa Chiesa stessa, quindi la parrocchia, quindi i movimenti, quindi le nuove comunità..., è di permettere all’uomo di oggi di incontrare Gesù Cristo, di entrare in rapporto con Lui, di conoscerlo e amarlo, di aggrapparsi a Lui come roccia sicura e possibilità concreta di salvezza. Se tutta la Chiesa è sacramento di comunione con Dio e dell’unità del genere umano, così anche tutte le sue comunità, le sue azioni, le sue parole, i suoi gesti, la sua missione... scaturiscono da questo mistero.

Or bene, questo mistero di comunione precede, illumina e presiede ogni realtà ecclesiale e ne garantisce la verità e la bellezza. Esso non è soggetto alle nostre categorie umane, alle nostre misure, ai nostri progetti, alle nostre dissezioni analitiche e critiche. La Chiesa non è nostra, è di Dio! Essa affonda nel mistero di Dio, nella comunione di amore trinitario, nel disegno salvifico del Padre che si attua per mezzo della missione del Figlio e dello Spirito Santo. È mistero di comunione che ci raccoglie in ecclesia”, “battezzati in un solo Spirito per costituire un solo corpo” (1 Cor. 12, 13), il cui capo à Cristo, e noi “siamo membri gli uni degli altri” (Rm. 12, 5), nel “segno di unità e nel vincolo della carità” celebrato nell’Eucaristia, “fonte e vertice” di comunione15. Perciò è chiaro che non si tratta innanzitutto di costruire la Chiesa, di “fare” la sua unità, ma di riceverla, “cioè di riceverla da dove essa ‘è’ già, da dove essa è realmente presente: dalla comunità sacramentale del suo Corpo che attraversa la storia”16. Parrocchia e movimenti, così come ogni altra realtà ecclesiale, devono essere pensate insieme dentro questo mistero di unità. La responsabilità dei singoli cristiani e di ogni comunità cristiana è aderire ad esso per renderne

 

testimonianza. “Uno è lo Spirito, il quale per l’utilità della Chiesa distribuisce la varietà dei suoi doni con magnificenza proporzionata alla sua ricchezza e alle necessità dei ministeri”, tra cui eccelle il dono degli apostoli che sono i primi testimoni, responsabili e garanti dell’unità nella verità e nella carità 17. Parrocchie, movimenti e nuove comunità, ma anche altre associazioni di fedeli, comunità religiose, santuari, rettorie, cappellanie, centri di apostolato... esprimono la “libertà di forme in cui si realizza l’unica Chiesa”18. In tal modo, il mistero di comunione si realizza come sintesi vivente di unita e di pluriformità: dall’unità scaturisce la pluriformità e la pluriformità trova nell’unità la sua radice, il suo spazio espressivo e la meta. Perciò Giovanni Paolo II poteva scrivere nella Lettera apostolica Novo Millennio Ineunte che “prima di programmare iniziative concrete occorre promuovere una spiritualità della comunione, facendola emergere come principio educativo in tutti i luoghi dove si plasma l’uomo e il cristiano, dove si educano i ministri dell’altare, i consacrati, gli operatori pastorali, dove si costruiscono le famiglie e le comunità” 19.

Tutti protagonisti della missione

Se ci precede la comunione, ci precede anche la missione, che è innanzitutto missione delle Persone Divine, comunicata nel mandato apostolico di andare e ammaestrare “tutte le genti, battezzandole nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo” (Mt. 28, 18). La vocazione cristiana è vocazione all’apostolato. “La comunione e la missione sono congiunte tra loro, si compenetrano e si implicano mutuamente – scrisse Giovanni Paolo II nell’ esortazione apostolica Christifideles laici (n. 32) -, al punto che la comunione rappresenta la sorgente e insieme il frutto della missione: la comunione è missionaria e la missione è per la comunione”20 .

La missione non è certamente un “di più” nell'esperienza cristiana, qualcosa di

straordinario che si aggiunge all’ordinario, ma la comunicazione di questa

 

esperienza, quasi un’osmosi, da persona a persona, attraverso la testimonianza grata e lieta di chi condivide con tutti coloro che incontra un grande dono ricevuto gratuitamente, sperimentato in tutta la sua verità, bontà e bellezza per la propria vita. Non si tratta di un'ideologia né di un programma specifico di pastorale né di una strategia né di una operazione di facciata o di marketing per rendere interessante il prodotto, ma la testimonianza di una novità di vita che sa dare ragione della propria speranza, presentita come splendore di verità e promessa di felicità per coloro che la incontrano. Ciò che gratuitamente è stato ricevuto, gratuitamente è dato, come passio­ne per il destino di ogni persona. L'amore per l'altro muove la speranza che la Misericordia lo salvi21.

Ebbene, parrocchia e movimenti non sono di diritto divino anche se realtà teologicamente fondate; sono realtà nate dalla fantasia dello Spirito nel lungo corso della tradizione della Chiesa per rispondere adeguatamente alla sua missione. La istituzione parrocchiale è nata all’interno di un grande movimento di evangelizzazione delle campagne nel IV e V secolo, per poi impiantarsi nei borghi, nelle città della rinascita del basso medioevo, tra i profondi cambiamenti recati dalla rivoluzione urbana e mercantile, dal diffondersi della cultura illustrata e dalla creazione delle università, dall’emergere della borghesia, una situazione nuova che richiedeva lo slancio di una nuova evangelizzazione. In tutti questi cambiamenti, la parrocchia si è dimostrata una realtà così intima e duratura nella tradizione, capace di additarsi a diverse epoche e contesti, essenziale per la missione della Chiesa.

Che altra cosa sono poi i movimenti - come scrisse l’allora Card. Joseph Ratzinger22 - se non frutti dell’azione dello Spirito Santo concentrati tempestivamente a modo di grappolo, in determinate crocevia della storia, a ogni svolta epocale, quando la tradizione cristiana sembra messa radicalmente in questione? Numerosi e diversi carismi rinnovano la tradizione sgorgando dalla sua stessa sorgente, riproposta con radicalità ed evidenza evangelica dai nuovi movimenti

 

di santificazione delle persone, di riforma della Chiesa nella comunione e di nuova evangelizzazione della cultura emergente. Ecco la novità odierna di questa “nuova stagione di associazionismo dei fedeli laici”23.. “É significativo a questo riguardo – diceva Giovanni Paolo II, il 18 novembre 1984 – come lo Spirito, per proseguire con l’uomo attuale quel dialogo cominciato da Dio in Cristo e continuato lungo la storia cristiana, abbia suscitato nella Chiesa contemporanea molteplici movimenti ecclesiali”24. E in un’altra opportunità, il 29 settembre 1985, Lui stesso ribadiva: “La Chiesa, nata dalla passione e dalla risurrezione di Cristo e dall’effusione dello Spirito, e propagata in tutto il mondo e in tutti i tempi sul fondamento degli apostoli, è stata durante secoli arricchita dalla grazia di sempre nuovi doni. Essi le hanno permesso, nelle diverse epoche, essere presente in forma nuova e adeguata alla sete di bellezza e di giustizia che Cristo è andato suscitando nel cuore degli uomini, e dalla quale Lui stesso è l’unica soddisfacente e compiuta risposta”25.

Questa rinnovata consapevolezza missionaria deve affrontare oggi enormi e drammatiche sfide. Non per caso, Giovanni Paolo II chiamò ripetutamente le forze vive della Chiesa a una “nuova evangelizzazione” («nuova nel suo ardore, nei suoi metodi, nella sua espressione»)26, tanto più urgente in quanto molttudini di uomini vivono “come se Dio non esistesse” e “il numero di coloro che ignorano Cristo e non fanno parte della Chiesa è in continuo aumento, anzi dalla fine del Concilio è quasi raddoppiato”27. L'esortazione apostolica postsinodale Christifideles laici non lascia spazio a facili ottimismi: «Interi paesi e nazioni, dove la religione e la vita religiosa erano un tempo quanto mai fiorenti ( ... ) sono ora messi a dura prova, e talvolta sono persino radicalmente trasformati, dal continuo diffondersi dell'indifferenti smo, del secolarismo e dell'ateismo». Ma anche in altre regioni o nazioni nelle quali «si con­servano tuttora molto vive tradizioni di pietà e di religiosità popolare cristiana», «questo patrimonio morale e spirituale rischia oggi d'essere disperso»28.

 

“Occore un radicale cambiamento di mentalità per diventare missionari – ripetteva

 

con insistenza Giovanni Paolo II -, e questo vale sia per le persone che per le comunità. Il Signore chiama sempre a uscire fuori di sé stessi, a condividere con gli altri i beni che abbiamo, cominciando da quello più prezioso che è la fede. Alla luce di questo imperativo missionario si dovrà misurare la validità degli organismi, movimenti, parrocchie e opere di apostolato della Chiesa. Solo diventando missionaria la comunità cristiana potrà superare divisioni e tensioni interne e ritrovare la sua unità e il suo vigore di fede”29 .

Com'è difficile, però, superare un certo “tran tran” delle comunità cristiane, a volte troppo prese dal loro attivismo e problematicismo ad intra per assumere realmente un attitudine missionaria! Alla luce di questa consapevolezza e di queste sfide, molti dibattiti ecclesiastici sui rapporti tra parrocchia e movimenti sembrano covati all’ombra del campanile, in un angusto “parrochialismo” che ha ridotto lo slancio della missione alla contemplazione del proprio ombelico, a una aneddotica piccola piccola, disperdendo così le energie destinate al grande compito per il quale ci è stata data la vita.

Oltre le contrapposizioni, le caricature e le malattie infantili

Senza questa consapevolezza dello scopo, cioè della vocazione, comunione e missione nella Chiesa, la questione dei rapporti tra parrocchia e movimento risulta mal impostata.

Aderire a questo mistero di comunione, vivere la Chiesa come “casa e scuola di comunione”30, partecipare alla sua missione, richiede di superare la mentalità dialettica di contrapposizione tra le diverse dimensioni dell’esperienza cristiana e della vita ecclesiale, una tendenza questa assai diffusa in ambiti ecclesiastici nella prima fase del dopo-concilio. Quegli anni hanno prodotto tutta una letteratura divulgativa, a volte con pretese teologiche e pastorali, che sovrabbondante di

 

contrapposizioni tra “chiesa gerarchica e chiesa popolo di Dio”, tra “chiesa istituzione e chiesa comunità”, tra “chiesa istituzionale e chiesa carismatica”, tra sacerdozio ministeriale e laicato, tra ortodossia e ortoprassi, tra sacramentalizzazione ed evangelizzazione, tra secolarità e escatologia, tra vita spirituale e impegno temporale, tra missione e dialogo...Si infliggeva così una ferita al dono dell’unità, alimentando separazioni unilaterali e arbitrarie nella totalità dei fattori che appartengono al mistero di comunione e di missione della Chiesa, alla ricerca di affannose mediazioni, nella disgregazione e nella confusione. È invece evidente che l’accento va posto su ciò che Hans Urs von Balthasar chiamava la “sinfonia cattolica”, quel paradossale “et et”, che non è né può essere il risultato di costruzioni e misure umane, ma che manifesta il miracolo dell’unità, anche tra opposti. In questo senso, è sbagliato utilizzare oggi categorie contrapposte come “istituzione e carisma”, “cristologia e pneumatologia”, “sacerdozio e profezia”, o altre simili, nel tentativo di definire i rapporti tra parrocchie e movimenti31.

Sarebbe dunque inconcludente e fuorviante ricadere ancora nella contrapposizione tra parrocchia e movimenti, spinti dalle contrapposte tifoserie. Per alcuni la parrocchia sarebbe per alcuni istituzione vecchiotta, legata a una cristianità rurale ormai quasi estinta, incapace di essere segno di comunione e generatrice di comunità vive, che a stento sopravive per conservare una fede tradizionale, senza slancio missionario, destinata a sparire. Per altri, i movimenti e le nuove comunità sarebbero non un dono ma un problema, un impiccio, qualcosa di accidentale e non sostanziale nella vita della Chiesa, utili a svolgere una funzione aggregativa solo quando le parrocchie non sono in grado di rispondere a tutti i bisogni dei cristiani, propensi a togliere preziose energie umane e cristiane alle comunità parrocchiali, incapaci di integrarsi nella “pastorale” ordinaria, ecc. ecc. Si tratta, in verità, di caricature che né i Pastori né i movimenti accettano e diffondono, ma che in alcuni ambienti continuano a rimanere alla base di pregiudizi, creando una mentalità di contrapposizione.

 

Dobbiamo però riconoscere che si stanno ormai superando non solo questi eccessi marginali, benché in qualche caso ancora resistano, ma anche ciò che il Presidente del Pontificio Consiglio per i Laici, l’arcivescovo (oggi cardinale) Stanislaw Rylko, definiva “malattie infantile”, proprie di un processo di crescita:: “la assolutizzazione del movimento al quale si appartiene e un senso di superiorità in relazione alle altre forme associative, accompagnata dal desiderio di imporre il proprio gruppo sopra gli altri; l’entusiasmo religioso di neofiti, che a volta genera esuberanze e esagerazioni unilaterali, sia nella prassi sia nella dottrina ( ... ); la chiusura nell’ambito del proprio gruppo che può portare ad allontanarsi dal contesto della vita parrocchiale e diocesana; il rischio di considerare la comunità come una specie di rifugio, eludendo i problemi della vita familiare e sociale”. Lo stesso Prelato continuava ancora affermando “che non si possono neppure ignora gli ostacoli che un’attitudine titubante e persino negativa di pastori hanno posto nella vita dei movimenti. Essi deriverebbero dalla mancanza di conoscenza dei movimenti o da una conoscenza scarsa e unilaterale; da pregiudizi pastorali (nei quali) troppo facilmente, a volte, si generalizzano determinate esperienze negative per squalificare tutto; da una rigida concezione della comunione ecclesiale, che non ammette nessuna diversità ( ... ); da una pur rigida visione della pianificazione e della coordinazione pastorale, nella parrocchia e nella diocesi, che obbliga tutti a fare le stesse cose allo stesso tempo; da una insufficiente comprensione del fatto che ogni carisma, per il suo sviluppo, ha bisogno di un necessario spazio di libertà (...)”32.

Grazie a Dio, queste contrapposizioni, caricature e malattie infantili sembrano oggi cose del passato, sebbene ancora emergono incontrollate in vari atteggiamenti e “teorizzazioni”.

Un necessario e felice scambio

 

Non possono essere dubbi sul ruolo fondamentale e indispensabile della parrocchia nella vita della Chiesa, nel senso che essa costituisce – come ha scritto S.S. Giovanni Paolo II – “in certo senso, la Chiesa stessa che vive in mezzo alle case dei suoi figli e delle sue figlie”, “il nucleo fondamentale nella vita quotidiana della diocesi”33 . La parrocchia è stata perciò sovente descritta quale “casa comune dei fedeli”, “primo luogo di incarnazione del Vangelo”34 . La parrocchia convoca e riunisce, forma, alimenta e sostiene una comunità di fedeli, nella diversità dei suoi componenti, attorno all’ annuncio della Parola di Dio, all’amministrazione dei sacramenti e all’opera della carità, con al centro la celebrazione dell’Eucaristia presieduta dal sacerdote-parroco che rappresenta l’Ordinario diocesano, e costituita in genere in una porzione di territorio come “cellula della diocesi”.

La parrocchia è casa di Dio in mezzo alle case di famiglie, legata al “domus”, al vicinato, ai momenti cruciali dell’esistenza umana. Famiglia e parrocchia sono comunità fondamentali di iniziazione e di crescita nella fede, i primi luoghi che educano all’appartenenza ecclesiale; ad esse si deve riconoscere una priorità pastorale per il loro paziente e perseverante lavoro di iniziazione, educazione e rigenerazione del popolo cristiano. Una Chiesa priva della rete capillare di parrocchie è inimmaginabile e darebbe una impressione di volatilità e astrazione.

Ovviamente, ciò non significa che la parrocchia sia l’unico modo con cui la Chiesa risponde alle esigenze dell’evangelizzazione. “Occorre ben guardarsi dal trasformare questa istituzione in una struttura che pretenda di inglobare in sé ogni forma possibile di vita cristiana, sia individuale, sia di gruppo”35. Papa Giovanni Paolo II, ha infatti osservato che “è certamente immane il compito della Chiesa ai nostri giorni e ad assolverlo non può certo bastare la parrocchia da sola ( ... ). Molti luoghi e forme di presenza e di azione sono necessari per recare la parola e la grazia del Vangelo nelle svariate condizioni di vita degli uomini d’oggi, e molte altre funzioni di irradiazione religiosa e d’apostolato d’ambiente, nel campo culturale,

 

sociale, educativo, professionale, ecc., non possono avere come centro o punto di

partenza la parrocchia”36.

Inoltre, bisogna onestamente riconoscere che oggi la parrocchia incontra molte difficoltà. Non solo si moltiplicano le famiglie disintegrate, si fanno più labili i riferimenti territoriali per la grande mobilità fisica e culturale tipica del nostro tempo, non solo la parrocchia spesso non riesce a comunicare con il vissuto di tanta gente nella scuola, nel lavoro e nel tempo libero. Ormai molti aspetti dell’esistenza, un tempo legati alla vita della parrocchia, si svolgono lontani dalle sue mura. Essa subisce, in diverse forme, la forza d’urto di un processo di scristianizzazione, che va dall’allontanamento di coloro che hanno seppellito battessimo sotto un cumulo di indifferenza e di oblio, al declino della pratica sacramentale, a un senso di appartenenza debole ed episodico, alla scarsità di sacerdoti.

La Nota Pastorale della Conferenza Episcopale Italiana del 30 maggio 2004, Il volto missionario delle parrocchie in un mondo che cambia, auspica un profondo cambiamento di mentalità e di atteggiamenti, una “svolta della santità e della comunione” che sostenga, renda efficace e accompagni “una svolta in senso missionario”37. Precisamente in vista di questa svolta, la esperienza di molti movimenti e nuove comunità va considerata paradigmatica. Infatti, come afferma Papa Giovanni Paolo II, se il sorgere del corpo ecclesiale come istituzione ha la sua radice nel dinamismo della grazia sacramentale, “trova però la sua forma espressiva, la sua modalità operativa, la sua concreta incidenza storica mediante i diversi carismi”, che sono come sorgenti che continuamente ne rigenera l’autenticità esistenziale e storica”38. È necessario dunque promuovere un rinnovato e felice scambio tra parrocchie e movimenti per la comunione e nella missione della Chiesa.

Un rinnovato incontro con Gesù Cristo

 

L’incontro e la sequela di Cristo costituiscono il fondamento di questo scambio per la reciproca edificazione. Il pontificato di Giovanni Paolo II si aprì col pressante invito di “Aprire le porte a Cristo !39 -le porte del cuore dell’uomo e di tutte le dimensioni dell’esistenza e della convivenza- e si concluse con l’invito di “fissare lo sguardo sul volto del Signore”40. Il pontificato di Benedetto XVI inizia riprendendo l’invito ad “aprire le porte a Cristo”, perché Signore non toglie nulla di ciò che rende vera, bella e libera la vita ma dà tutto, apre le porte a tutte le potenzialità della condizione umana41 . Nella sua enciclica Deus caritas est il Papa segnala che “all’inizio dell’essere cristiano non c’è una decisone etica o una grande idea, bensì l’incontro con un avvenimento, con una P. che dà alla vita un nuovo orizzonte e con ciò la direzione decisiva”42. È come se la Chiesa tutta sentisse il bisogno e l’urgenza di ricentrare e concentrare tutta la sua vita e il suo messaggio sul suo Signore, sul suo essere corpo di Cristo in mezzo agli uomini, per rifondare e rivitalizzare l’esperienza cristiana.

Precisamente a questo scopo, la Provvidenza di Dio ha tempestivamente elargito alla Chiesa del nostro tempo una pioggia di carismi. Che cos'è, sinteticamente, un carisma se non un dono (gratia gratis data) dello Spirito Santo, dato a una persona in un determinato contesto storico perché dia inizio a un'esperienza di fede che, in qualche modo, possa essere utile alla Chiesa? Lo diceva già l'apostolo Paolo quando segnalava che i carismi provengono dall'unico Spirito (cfr. 1 Cor 12, 4-11) se proclamano Gesù come Signore (cfr. 1 Cor 12, 3), concorrono alla crescita del corpo di Cristo (cir. 1 Cor 12, 7; 12, 22-27) e stimano al di sopra di tutto il dono della carità (cfr. 1 Cor 13; 2 Cor 6, 6; Gal S, 22). I carismi aprono l'intelligenza e muovono la volontà verso nuove strade di incontro e di sequela del Signore. Tramite il carisma, attraverso un incontro umano, la presenza di Cristo raggiunge la persona, tocca nella persona occhi, orecchie, bocca, cuore, intelligenza, libertà, e si dimostra per essa un'evidenza, ossia una presenza piena di realtà, di novità, di capacità di affetto e persuasione, precisamente come Gesù fece con gli apostoli e i primi discepoli

 

duemila anni fa. In questo senso i movimenti sono modalità mediante le quali l'avvenimento di Cristo e il suo mistero nella storia, la Chiesa, si incontrano con la vita delle persone in modo commovente, educativo e convincente. Si constata, allora, nei movimenti, una confessione serena, piena di letizia e di speranza, senza reticenze o problematizzazioni inibitorie, del fatto che Gesù è il Signore. Ritroviamo qui l'es­senzialità, la semplicità, la freschezza dell'annuncio e della proposta cristiana43.

Ebbene, nelle nostre comunità cristiane e nella vita dei battezzati non possiamo dare tutto questo per scontato. Molte volte finiamo col preoccuparci affannosamente delle conseguenze morali, sociali, culturali, politiche della fede, presupponendo che la fede vi sia, una idea sempre meno realistica. Abbiamo riposto una fiducia eccessiva nelle strutture e nei programmi ecclesiastici, nella distribuzione di poteri e funzioni, ma che succede se il sale diventa insipido?

Le difficoltà affrontate dalla vita parrocchiale nel mondo di oggi non si risolvono con la introduzione di iniziative cervellotiche, con pianificazioni escogitate a tavolino e un vortice di attività. La questione va affrontata con la sapienza pastorale, la capacità educativa e la bellezza celebrativa, che scaturiscono da una esperienza personale e comunitaria di un incontro autentico con il Signore e dal conseguente zelo per la salvezza delle anime. Cristo, infatti, viene al nostro incontro, con modalità “sempre necessarie: i sacramenti, l’annuncio della Parola, i segni della nostra carità e del nostro amore”. La parrocchia “ritrova sé stessa” nell’incontro con Cristo, soprattutto nella Sua presenza reale, eucaristica44. “L’Eucaristia è il cuore pulsante della parrocchia, fonte della sua missione e presenza che continuamente la rinnova”45. Solo da un rinnovato incontro con Cristo dei singoli fedeli, delle famiglie, della comunità, e del parroco in prima persona!, scaturisce un vero rinnovamento della vita parrocchiale. Proprio perché i carismi, che sono all’origine dei movimenti, conducono all’incontro con Cristo nella vita sacramentale (la quale si svolge ordinariamente nelle parrocchie), i loro aderenti, sia come singoli sia come comunità,

 

arricchiscono il tenore cristiano della comunità parrocchiale. Infatti, “il primo e più importante apporto che possono dare i movimenti a una comunità parrocchiale è la presenza nel suo ambito territoriale di quelle che Giovanni Paolo II ha definito ‘( ... ) personalità cristiane mature, consapevoli della propria identità battesimale, della propria vocazione e missione nella Chiesa e nel mondo”46 .

Un arduo lavoro educativo

La parrocchia è anche luogo “naturale” di iniziazione cristiana, non solo per l’amministrazione del battesimo, della cresima e dell’eucaristia, ma anche per la catechesi e la formazione cristiana. Una questione fondamentale che si pone oggi a tutta la Chiesa e in particolare alla parrocchia è la necessità di ripensare e riproporre seriamente il cammino dell’iniziazione cristiana, non solo per i bambini ma anche per gli adulti che si avvicinano alla fede, una vera reiniziazione cristiana dei battezzati, in definitiva, il metodo per la formazione dei fedeli alla maturità cristiana. Non dimentichiamo che l’esortazione apostolica post-sinodale, Christifideles laici, sottolinea che “non è esagerato dire che l’intera esistenza del fedele laico ha lo scopo di portarlo a conoscere la radicale novità cristiana che deriva del battessimo, sacramento della fede, perché possa vivere gli impegni secondo la vocazione ricevuta da Dio”47 . Anzi, “l’inserimento in Cristo per mezzo della fede e dei sacramenti dell’iniziazione cristiana è la radice prima che origina la nuova condizione del cristiano nel mistero della Chiesa, che costituisce la sua più profonda ‘fisionomia’, che sta alla base di tutte le vocazioni e del dinamismo della vita cristiana dei fedeli laici”48 .

È ormai evidente che la tradizione cattolica non si trasmette più con facilità di generazione in generazione. Nelle situazioni che viviamo oggi si è assai indebolita , la capacità di trasmettere la fede, la forza di tradere ( di comunicazione, di trasmissione). Il lavoro di educazione dei fedeli diviene dunque molto arduo e

 

faticoso. Tanti sforzi nella catechesi si sono rivelati scarsamente “efficaci”. Troppo spesso la preparazione al sacramento della cresima per molti giovani adulti è il preludio all’abbandono della pratica cristiana. Sorgono molte difficoltà quando si cerca di dare consistenza a una mens cattolica tra i fedeli, perché risultano meticolosamente assimilati a “agende”, immagini e pregiudizi che orientamenti culturali sempre più lontane e persino ostili della tradizione cattolica impongono attraverso i mass media. In questo contesto la confessione cristiana di molti battezzati tende a ridursi a episodi e frammenti residuali, gravemente impoverita dei suoi contenuti vitali e dottrinali. La partecipazione dominicale alla Santa Messa, pur se importantissima, e qualche altra attività devozionale saltuaria, non riescono a imprimere e consolidare una sensibilità e mentalità cattolica. Sono impressionanti i risultati di molti sondaggi fatti tra i fedeli “all’uscita della messa domenicale”: un alto percentuale manifestano ignoranza o disaccordo riguardo ai contenuti fondamentali degli insegnamenti della Chiesa o con la sua disciplina. In queste condizioni la fede non riesce a incidere negli interessi portanti della vita delle persone né a divenire intelligenza di tutta la realtà. Importa sottolineare la frequenza con la quale il Papa Benedetto XVI parla di “un’emergenza educativa”.

La mera “esposizione” del messaggio cristiano spesso non raggiunge il cuore delle persone, non sollecita davvero la loro libertà, non cambia la loro vita; meno ancora la retorica sui “principi” o la proposta di “valori” cristiani. Come fare dunque per comunicare la fede in forme persuasive, convincenti, formate da evidenza esperimentate e sviluppate nella vita delle persone? Ogni comunità cristiana può oggi imparare molto dei metodi o cammini dei movimenti e delle nuove comunità, che costituiscono veri luoghi educativi nella comunione della Chiesa e nella fedeltà al suo magistero, luoghi di riscoperta e di crescita nella fede, capaci di riproporre le ricchezze della tradizione cattolica secondo le esigenze della mentalità di oggi.. Già il Papa Giovanni Paolo II di “quale bisogno vi è oggi di personalità cristiane mature, consapevoli della propria identità battesimale, della propria vocazione e missione

 

nella Chiesa e nel mondo. Quanto bisogno di comunità cristiane vive! E concludeva affermando: “Ed ecco allora i movimenti e le nuove comunità ecclesiali: essi sono la risposta, suscitata dallo Spirito Santo, a questa drammatica sfida di fine millennio. Voi siete questa risposta provvidenziale”49 . Ciò che attrae e affascina sono soprattutto gli incontri con testimoni che siano documentazione concreta e sorprendente della presenza di Cristo, la sola risposta corrispondente e soddisfacente ai desideri di verità – di “senso” della vita e di significato della realtà – e di felicità, di cui è fatto il “cuore” della persona. Grazie ai carismi, in ambiti conformi alla comunione ecclesiale, la radicalità del Vangelo, l’oggettivo contenuto della fede e il flusso vivo della tradizione, si comunicano persuasivamente attraverso l’esperienza personale, come adesione della libertà all’avvenimento di Cristo.

Questa esperienza educativa, di formazione cristiana, sia dal punto di vista dottrinale che esistenziale, può arricchire molto la catechesi che la comunità parrocchiale è chiamata a svolgere per i fedeli.

Rinnovare la vita comunitaria

I movimenti e le nuove comunità sono anche esperienze paradigmatiche per le parrocchie per quanto riguarda la vita comunitaria. L'«affinità spirituale» 50 suscitata dalla sequela di Cristo grazie al carisma com-partecipato, si realizza in intimi vincoli di amicizia, in compagnie vocazionali ed educative, in forme comunitarie intense e sempre nuove. Non è sufficiente, infatti, farsi una idea della Chiesa. Se rimane un semplice articolo di dottrina, un teorico dover essere, una abitudine religiosa, rischia di ridurse a un’aggiunta non essenziale per la vita. É necessario invece partecipare a una concreta comunità, dove si possa esperimentare il segno e il riflesso luminoso del mistero di comunione che è la Chiesa, Corpo di Cristo che prolunga la sua presenza e i cui gesti sacramentali abbracciano e trasformano l’esistenza del popolo di Dio, pellegrino nella storia. Da qui scaturisce lo stupore davanti al tremendum mysterium

 

presente.

Come mantenere viva la fede quale avvenimento vivente nella persona? Come crescere nella "novità di vita" della "creatura nuova", ontologicamente rigenerata dalla grazia battesimale? Come vivere la libertà dei figli di Dio in mezzo al mondo, in quanto segno di contraddizione e di speranza? Come farlo senza un radicamento e un'appartenenza vigorosa a una concreta comunità cristiana, viva, che diventi dimora per la persona, che abbracci tutta la sua vita, che sostenga e alimenti la memoria di Cristo in tutte le dimensioni, in tutti i momenti e i gesti della sua esistenza? Anche da questo punto di vista i movimenti e le nuove comunità si rivelano «risposta provvidenziale»5 1.

Il magistero di Giovanni Paolo II e il cammino sinodale della Chiesa hanno messo in evidenza questa necessità di approfondire l'autocoscienza e l'autorealizzazione dell'ecclesiologia di comunione, secondo l’insegnamento dal Concilio Vaticano II52. Sappiamo della pesante croce portata santamente da Paolo VI, che avvertiva la dram­matica contraddizione tra la profonda e bellissima ecclesiologia del Concilio, enunciata soprattutto dalla fondamentale costituzione dogmatica Lumen Gentium, e la valanga di contestazioni, disaffezioni, crisi e manipolazioni che la Chiesa stessa soffriva nel periodo immediatamente successivo al Concilio. Per questo oggi siamo tutti chiamati a riscoprire la densità, la bellezza e la profondità del mistero di comu­nione che, a partire dalla sua radice trinitaria, costituisce la Chiesa come comunità di peccatori riconciliati e inviati, sempre rinnovata dai doni sacramentali, gerarchici e carismatici che le sono coessenziali53.

Penso che non sia eccessivo affermare che i movimenti e le nuove comunità sono l’inizio di «risposta provvidenziale» a questa esigenza, perchè, grazie alla forte attrattiva delle loro esperienze comunitarie, vivono e propongono il mistero di comunione. Rispondono così ai bisogni dell’uomo di oggi, creato per la comunione,

 

ma trascinato, da un lato, verso una massificazione anonima, dove si trova quasi ridotto a un numero, a una serie di reazioni e funzioni, a ingranaggio della macchina produttiva e della omologazione culturale e, dall'altro, verso un'insopportabile soli­tudine, privato di incontri e amicizie vere, coinvolto nei processi di disintegrazione del tessuto sociale spinti da un radicale individualismo. Viviamo nel villaggio globale della rivoluzione delle comunicazioni, che si rivela paradossalmente sempre più incapace a favorire la comunione tra le persone: non si riesce a superare l'estraneità e l'indifferenza, l'inimicizia e l'esclusione, che ormai assurgono a tratti sociali dominanti. Non registriamo forse una forte crescita delle comunità evangeliche e pentecostali, che sostraggono non pochi battezzati della Chiesa cattolica, là dove il tessuto sociale appare assai disintegrato e dove manca un'adeguata accoglienza della persona in comunità cattoliche vive, attente a tutte le loro necessità?

Credo si possa affermare che, in genere, la fragilità di molte esperienze cristiane è il diretto riflesso di modalità di appartenenza ecclesiale labili, deboli ed episodiche. Bisogna tenerne conto per poter discernere come il mistero di comunione, che è la Chiesa, possa realmente concretizzarsi in tutte le sue variegate forme comunitarie. Famiglia e parrocchia sono comunità fondamentali di iniziazione e di crescita nella fede, che raggiungono molti più battezzati di quanto possano fare i movimenti. Continuano a rivestire un'importanza prioritaria nel sempre paziente e perseverante lavoro pastorale dell'iniziazione, educazione e rigenerazione del popolo cristiano. Ma se vogliamo essere realisti dobbiamo riconoscere che oggi si molteplicano le famiglie disintegrate, mentre in generale la responsabilità educativa dei genitori si riduce sempre più. Solo una minoranza dei battezzati, poi, partecipa regolarmente alla vita parrocchiale, e fra questi molti la concepiscono come un ente che eroga servizi rituali più o meno sporadici. È assai scarso l'influsso reale del cristianesimo nelle situazioni di vita sempre più secolarizzate di tanti fedeli. É un'esperienza concreta di comunione (nella famiglia, nella parrocchia, nell'associazione, nel movimento) - non l'isolamento o la diaspora, non l'episodica partecipazione a servizi religiosi, non i

 

rinnovamenti di tacciata, non l'attivismo funzionale in collettivi impersonali, meno

ancora la semplice etichetta di cattolico - ciò che sostiene la fede e cambia la vita.

Nel suo libro-intervista Il sale della terra, l’allora Cardinale Joseph Ratzinger indicava, di fronte alla prospettiva realistica di una Chiesa minoritaria in una società scristianizzata, che “essa dovrà costituire nuove forme di comunità in cammino, capaci di offrirsi un sostegno reciproco e una forma concreta di vita nella fede. Il solo ambiente sociale oggi non basta più, non esiste più una atmosfera cristiana diffusa. Si vedono già altre forme, ‘movimenti’ di diverso tipo, con cui prendono forma delle vere comunità in cammino”. C’è bisogno –indicava il Cardinale – di un rinnovamento del catecumenato e della costruzione di “cellule vitali, degli spazi in cui siano possibili un sostegno e un cammino comune, rendendo concretamente esperimentabile e praticabile all’interno di una realtà più piccola la grande realtà vitale della Chiesa ( ... ) Chi osserva con cura la realtà della Chiesa –concludeva il porporato – può trovare già oggi un numero sorprendente di forme di vita cristiana, nelle quali appare già presente tra noi la Chiesa del domani”54.

A questo proposito vorrei specificare che, diversamente che nel caso delle associazioni tradizionali di apostolato laicale, parliamo qui di "movimenti ecclcsiali", sia perché accolgono i battezzati nei loro diversi stati di vita, sia perché i carismi che li suscitano e animano sono orientati ad educare alla totalità dell'esperienza cristiana, ecclesiale («il tutto nel frammento», secondo l'espressione di Hans Urs von Balthasar, o «Chiesa in piccolo», come diceva un fondatore). Dunque non esperienze parziali, settoriali, frammentarie, neanche una spiritualità particolare, ma neppure la pretesa di essere “la” Chiesa: singoli riflessi, piuttosto, dell'unica Chiesa. Non una frammentazione della Chiesa, ma modalità originali, sebbene contingenti, di vivere il mistero della Chiesa. Ciò che un movimento porta con sé e comunica è la vita stessa della Chiesa, non una parte soltanto di essa in qualche modo ridotta o "specializzata". Forse è necessario ribadire, qualora ancora sussistano tentazioni a riguardo, che tutto

 

ciò non ha niente a che fare con la riduzione delle forme comunitarie a gruppi narcisistici e presuntuosi, che si autoerigano a vera Chiesa, o a rifugi protettivi lontani dal rumore del mondo, o a oasi di gratificazione intimista nel deserto della seco­larizzazione, o a ordinamenti poco rispettosi della libertà e della crescita delle persone o a un mero volersi bene sentimentale e autocompiaciuto per stare tranquilli in compagnia?55

Ogni rinnovamento della vita comunitaria nella Chiesa implica un “ritorno alle fonti”, al paradigma della comunità primitiva secondo gli Atti degli Apostoli e tradotto secondo le esigenze dei nostri tempi. Ciò che accadeva allora dovrebbe accadere anche oggi; ogni esperienza comunitaria nella Chiesa dovrebbe suscitare l'esclamazione piena di sorpresa e di ammirazione: «Guardate come si amano!» (perché vivono così?), in quanto testimonianza inaudita di unita, di relazioni umane più vere, riconciliate, fraterne, piene di umanità, miracolo suscitato dallo Spirito di Dio per la conversione e la trasformazione del mondo.

Accogliere nella comunità parrocchiale questa esperienza comunitaria delle nuove comunità o dei movimenti, soprattutto quando agiscano a livello parrocchiale, non fa che giovare alla vita comunitaria. Una rete di piccole comunità che fanno veramente della parrocchia una “comunità di comunità”, sicuramente contribuirà al rinnovamento, proprio perché le nuove realtà si offrono come luoghi di formazione di personalità cristiane mature e solide nella fede e scuole di forte appartenenza ecclesiale. Certamente la parrocchia non può essere ridotta a una sorta di contenitore per gruppi, piccole comunità e movimenti; essa è la casa de tutti i singoli fedeli e delle famiglie - e “famiglia delle famiglie”, disse una volta Giovanni Paolo II -, che si avvicinano ad essa e partecipano alla sua vita comunitaria, spesso senza appartenenza ad alcun movimento (e sono la maggioranza!). La presenza di una rete comunitaria in seno alla parrocchia, però, non fa che rafforzare la sua consistenza ed impedire che i rapporti siano riassorbiti dall’anonimato e dalla massificazione che

 

imperversano ovunque. Anzi, l’esortazione apostolica Christifidelis laici chiede alle “autorità locali” di “favorire ( ... ) le piccole comunità ecclesiali di base, dette anche comunità vive, dove i fedeli possano comunicarsi a vicenda la Parola di Dio ed esprimersi nel servizio e nell’ amore”56 .

È anche vero che se la presenza in parrocchia di un movimento o di una nuova comunità è molto forte, questa tenderà per forza a imprimere in tutta gli aspetti della vita pastorale le caratteristiche dei propri carismi, specialmente si se tratta di parrocchie dove la vita cristiana si trascina con difficoltà. In particolare, quando una parrocchia viene affidata a un sacerdote appartenente a un movimento o comunità, nominato parroco dall’Ordinario diocesano, spesso trova l’aiuto del proprio movimento o comunità per animare la vita parrocchiale. In questo caso sarebbe assurdo pretendere che si metta tra parentesi il riferimento al proprio carisma e alla propria pedagogia. Non c’è niente di male in tutto ciò. Tante parrocchie sono state affidate a gesuiti, domenicani, francescani e di molte altre comunità religiose! Ciò che bisogna mostrare in queste circostanze è che il proprio carisma crea “delle affinità, destinate ad essere per ciascuno il sostegno per il suo compito oggettivo nella Chiesa” 57, capace dunque di arricchire la vita sacerdotale del singolo e di animare il presbiterio di preziosi doni spirituali”58 . L’appartenenza a una comunità o movimento non porta a chiudersi in atteggiamenti escludenti; il proprio carisma si configura realmente come frammento capace di abbracciare la totalità dell’esperienza cristiana e di riconoscere e valorizzare l’opera dello stesso Spirito in differenti istanze e forme di partecipazione dei fedeli. Occorre far attenzione che nessun parrocchiano rimanga trascurato o emarginato, quasi fosse un cristiano di seconda classe. Comunque è necessario evitare che ci si arrivi alla situazione estrema di configurare parrocchie “focolarine”, “neocatecumenali”, “carismatiche” o “cielline”: la cosa farebbe pensare allo sconcerto e al dolore dell’apostolo Paolo di fronte alle divisioni della comunità di Corinto, cui rimproverava il fatto che ciascuno di loro rivendicava

 

una diversa appartenenza: “Io sono di Paolo”, “Io invece sono di Apollo”, “e Io di

Cefa”, “e io di Cristo” (1 Cor. 1, 12-13).

La centralità dell’Eucaristia dominicale è una questione molto importante, sottolineata ancora dell’ enciclica di Giovanni Paolo II, Dies Domini, e di recenti dai forti richiami da parte di Benedetto XVI. Nella celebrazione dominicale la parrocchia si riunisce come comunità eminentemente eucaristica, ed “è normale che vi si ritrovino i vari gruppi, movimenti, associazioni, le stesse piccole comunità religiose in essa presenti. Questo consente loro – prosegue il Papa – di fare esperienza di ciò che è ad essi più profondamente comune, al di là delle specifiche vie spirituali che legittimamente le caratterizzano, in obbedienza al discernimento dell’autorità ecclesiastica”59 . Tutti gli aderenti ai movimenti sono invitati in modo pressante a partecipare nella messa domenicale nella propria parrocchia, insieme a tutti gli altri parrocchiani. D’altronde è ciò che succede normalmente. Sebbene sia buono e doveroso rispettare la celebrazione eucaristica in piccole comunità nell’ambito di un cammino di formazione cristiana in seno alla parrocchia, non deve mancare la partecipazione dei membri di queste comunità, al meno periodicamente, alla Messa dominicale con tutti i parrocchiani, come del resto si sta realizzando in obbedienza alla pedagogia materna della Chiesa. Occorre evitare al riguardo ogni eccessiva rigidità.

La porte della parrocchia sono sempre aperte, è infatti come un microcosmo della vita ecclesiale, raccogliendo persone molto diverse in età, istruzione, ceto sociale, temperamento e sensibilità, e anche per senso di appartenenza alla stessa Chiesa. Il suo è un apostolato “universale”, popolare, “luminoso esempio di apostolato comunitario, fondendo insieme tutte le differenze che vi si trovano e inserendole nell’universalità della Chiesa60. Rappresenta la varietà di situazioni umane e cristiane in seno al popolo di Dio. È perciò auspicabile che gli aderenti alle nuove realtà, singoli o comunità, evitino il rischio di diventare una elite auto-referenziale, ma se

 

inseriscano con consapevole realismo nella composita realtà del popolo di Dio, a modo di fermento, riconoscendo proprio in questo innesto il senso della propria vocazione.

Una nuova fase missionaria

Orbene, i movimenti e le nuove comunità sono compagnie missionarie proiettate ad gentes. Quanti riscoprono grazie ad essi il Battesimo! Quante conversioni di persone lontane da qualsiasi contatto ecclesiale! Quanta disponibile generosità di sacerdoti, di laici che vivono nuove forme di consacrazione, di catechisti itineranti, di famiglie, di lavoratori e cooperatori che partono per i più diversi angoli della terra per dare con passione quello che hanno ricevuto! Si può affermare con certezza che il radicamento nell'identità cristiana, cattolica, non si realizza, dunque, in un rinchiudersi a scopo protettivo, in un ghetto di restaurazione, ma è condizione e impeto rinnovato per farsi presenti in modo esplicito, visibile, senza timori né calcoli, in tutti gli ambienti e le situazioni della vita come comunicatori dello straordinario dono dell'incontro con Cristo. Per questo stesso motivo una carica di positività moltiplica e approfondisce tutti gli incontri. I movimenti sono così soggetti di evangelizzazione, promotori di ecumenismo nelle più variegate esperienze di amicizia, preghiera e collaborazione con cristiani di altre confessioni e comunità, capaci di valorizzare il senso religioso nell'incontro con credenti delle grandi tradizioni monoteistiche o di altre tradizioni religiose, impegnati in dialoghi culturali aperti a tutto campo. Non c'è in questo un eclettismo confuso, sebbene sia necessario stare attenti di fronte al possibile rischio che irenismi un po' sentimentali si affermino nel clima culturale odierno in cui le religioni sono ridotte al livello di opinioni tra loro equivalenti. Prevale, grazie a Dio, uno sguardo cristiano che valorizza ogni traccia di bene e di verità, ogni senso del Mistero, ogni nostalgia e desiderio di Dio, dentro il disegno divino che si attua in Gesù Cristo, unico Rivelatore, unico Mediatore, unico Signore, unico Salvatore61.

 

Lo slancio missionario dei movimenti e delle nuove comunità incoraggiano la parrocchia farsi essa stessa missionaria, e non solo con attività straordinaria ed episodica ma con l’attitudine permanente della “pastorale ordinaria”, non sottomessa però ai ritmi di una routine abitudinaria, perché continuamente risvegliata dalla presenza di Cristo e dalla passione per la vita e il destino di ogni uomo. Certo, non si può chiedere alle parrocchie di essere soggetti missionari negli “areopaghi” della politica, della ricerca scientifica, della cultura universitaria, dei mass media, ecc.; tali ambienti richiedono innanzitutto la presenza consapevole, cristiana ed ecclesiale, dei fedeli che vi operano stabilmente. Da una parte, però, la parrocchia deve essere consapevole che questi areopaghi sono sempre più trasversali, più “funzionali” che “territoriali”, e che l’annuncio della Parola di Dio, la catechesi e la formazione cristiana non possono ignorarli, dato che in essi si dispiega il vissuto delle persone, si definiscono i loro interessi. D’altra parte, questi areopaghi costituiscono per la parrocchia un richiamo a uscire di ogni ripiegamento all’ombra del campanile, a diventare segno pubblico e operante di missione in mezzo alla porzione di gente e di territorio affidate, a vivere nel quartiere tra la gente, ad andare incontro ai loro bisogni, ad accogliere con amore preferenziale ai poveri e a quelli che soffrono, a prendersi cura pastorale anche delle scuole, degli ospedali, dei luoghi di lavoro e di diversione che sono nel suo territorio. “La parrocchia deve cercare se stessa fuori di se stessa” diceva Giovanni Paolo II62 , e Benedetto XVI parla di “auto­trascendenza”63 della parrocchia, antidoto per evitare ogni chiusura dentro le mura del tempio e della sagrestia. La tensione missionaria fa spaziare lo sguardo oltre la cerchia dei praticanti per promuovere nuove forme di presenza in favore dei lontani, quelli che ancora mancano, quelli che non credono, quelli che cercano ... una autentica missione ad gentes! Proprio in questo ambito si può realizzare un’ottima collaborazione tra parrocchia, movimenti e nuove comunità.

Tra Chiesa locale e Chiesa universale

 

Un recente documento della Conferenza Episcopale Italiana ha rmarcato che la parrocchia è “la forma storica privilegiata della localizzazione della Chiesa particolare”64 . “È essenzialmente la parrocchia che fa esistere concretamente la Chiesa, in modo tale ad assicurare che essa sia aperta a tutti ( ... )”, disse il Papa Giovanni Paolo II. “L’istituzione parrocchiale è destinata ad assicurare le grandi funzioni della Chiesa: la preghiera comune, la lettura della Parola di Dio, le celebrazioni e soprattutto quella dell’Eucaristia, la catechesi”. Si spiega così “la natura stessa della Chiesa e di ogni parrocchia nella Chiesa perchè ogni parrocchia fa Chiesa, Chiesa di Roma ma anche Chiesa universale. Nello stesso tempo la Chiesa fa ogni parrocchia, si può dire che il mistero della Chiesa, il mistero profondo della Chiesa, il mistero redentore risplende in ogni comunità parrocchiale”65. La localizzazione della Chiesa garantisce che il suo carattere universale non la trasformi in un’entità evanescente, che è ovunque e da nessuna parte, scongiura il pericolo che l’annuncio e la predicazione si riducano a una metafora senza luogo e senza tempo. “La comunione ecclesiale – scrive la Christifideles laici -, pur avendo sempre una dimensione universale, trova la sua espressione più immediata e visibile nella parrocchia: essa è l’ultima localizzazione della Chiesa”. Il vero volto della parrocchia, quindi, si può scoprire solo alla luce della fede, perché “in essa è presente e operante il mistero stesso della Chiesa”66.

La parrrocchia, però, non esaurisce le possibilità teoriche – e tanto meno le esigenze pratiche – del dispiegarsi della Chiesa. Il decreto conciliare Apostolicam Actuositatem si rivolge ai fedeli laici esortandoli a coltivare costantemente “il senso della diocesi, di cui la parrocchia è come una cellula, sempre pronti, all’invito del loro pastore, a unire anche le proprie forze alle iniziative diocesane”67. L’attuale Codice di Diritto Canonico lascia intendere che ciò che maggiormente preme al legislatore universale è favorire l’azione comune tra le parrocchie, più che stabilire le possibili forme di raggruppamento. A questo deve provvedere le Chiese particolari

 

con il loro diritto proprio attraverso la progettazione pastorale. L’auto-trascendersi delle parrocchia fa riferimento innanzitutto alla Chiesa particolare della quale essa fa parte. Infatti, “nella Chiesa particolare ( ... ) è veramente presente e opera la Chiesa di Cristo, una, santa, cattolica e apostolica”. La Chiesa locale ha un’identità propria legata a una lingua, a una cultura, a una determinata storia, ma questa specificità è una realizzazione della Chiesa universale, nella stessa “pienezza della grazia e della verità che è stata affidata alla Chiesa cattolica”68.

Lo stesso decreto conciliare esorta anche i fedeli laici perché non limitino “la propria cooperazione entro i confini della parrocchia o della diocesi, ma procurino allargarla all’ambito interparrocchiale,interdiocesano, nazionale e internazionale, tanto più che il crescente spostamento delle popolazione, lo sviluppo delle mutue relazioni e la facilità delle comunicazioni non consentono più ad alcuna parte della società di rimanere chiusa in se stessa. Così abbiano a cuore le necessità del Popolo di Dio sparso su tutta la terra”69. Nel incontro d S.S. Benedetto XVI con i sacerdoti della diocesi di Albano, il Papa parlò dell’ “allegria di essere una grande famiglia: la piccola grande famiglia della parrocchia, la grande famiglia della diocesi, la grande famiglia della Chiesa universale. Essa è l’allegria della cattolicità”70.

Il vincolo dei movimenti ecclesiali e le nuove comunità con il ministero petrino si chiarisce ulteriormente alla luce del rapporto di “mutua interiorità” tra Chiesa universale e Chiese particolari. Infatti “la Chiesa di Cristo, che nel simbolo confessiamo una, santa, cattolica e apostolica, è la Chiesa universale, vale a dire l’universale comunità dei discepoli del Signore, che si fa presente e operante nella particolarità e diversità di persone, gruppi, tempi e luoghi”71. La Chiesa universale non può essere concepita “come la somma delle chiese particolari né come una federazione di chiese particolari”72. La Chiesa universale precede ontologicamente e storicamente le chiese particolari. Da essa hanno preso origine le diverse chiese locali, come “realizzazioni particolari dell’una e unica chiesa di Gesù Cristo”,

 

porzioni del popolo di Dio affidate alle cura pastorali del vescovo coadiuvato dal suo presbiterio”73. Ebbene, a partire dal giorno del Cenacolo si dispiega una ministerialità apostolica universale che sarà poi seguita dalla plantatio delle diverse chiese locali e del loro ministero pastorale. Questo ministero apostolico universale è proprio del collegio apostolico, ma in esso il suo capo, Pietro e i suoi successori, hanno una responsabilità primordiale.

Il Card. Ratzinger ha spiegato in varie circostanze quale deve essere la collocazione ecclesiale di servizi e missioni che non abbiano carattere semplicemente locale ma che siano funzionali rispetto a questa ministerialità apostolica universale e, in particolar modo, al ministero petrino, nel suo compito apostolico di propagare il Vangelo e battezzare tutte le nazioni sino a tutti i confini della terra (cfr. Mt. 28,18)74. Lo Spirito Santo elargisce sempre nuovi doni per cooperare in questa missione universale. “Il Papato non ha creato i movimenti – scrisse il Card. Ratzinger – ma è stato il loro sostengo essenziale nella struttura della Chiesa, il loro pilastro ecclesiale. In ciò diventa forse più visibile che mai il senso più profondo e la vera essenza del ministero petrino: mantenere vivo il dinamismo della missione ad extra e ad intra75. Queste parole permettono di comprendere meglio l’esortazione di Papa Benedetto XVI ai movimenti ecclesiale e alle nuove comunità, nell’incontro mondiale del 3 giugno 2006, di essere, “ancora di più, molto di più, collaboratori nel ministero universale del Papa, aprendo le porte a Cristo”76. Allo stesso tempo, quasi reciprocamente, si sono espressi i movimenti ecclesiale nella lettera inviata al Papa alla fine del loro Congresso mondiale (2.VI.2006): “sentiamo il vincolo diretto con Vostra Santità come il fondamento della libertà di approfondire il carisma che fa che Cristo sia contemporaneo alla nostra vita e, allo stesso tempo, come una possibilità di essere sollecitati con autorità a usarlo per l’edificazione del Corpo di Cristo”77.

I carismi che hanno dato origine ai movimenti ecclesiali o alle nuove comunità

non rimangono definiti dalla Chiesa locale né circoscritti al suo interno. L’esperienza

cristiana che generano si espande in svariate localizzazioni territoriali, sociali e culturali, impiantandosi in diverse chiese particolari. La loro autenticità e la loro fecondità sono verificate dalla capacità che hanno di aiutare a incontrare e vivere l’avvenimento cristiano a gente molto diversa, di diverse biografie, età, temperamenti, contesti sociali e culturali, appartenenze etniche e nazionali. In ciò si manifesta il loro originale impeto di universalità, di totalità. Infatti, in questo processo di dilatazione, estensione e proposta universali, un movimento ecclesiale non risulta disperso, disgregato, ma rimane sempre caratterizzato dalla sua unità originaria.

Perciò è ben comprensibile il vivo desiderio che muove i movimenti ecclesiali e le nuove comunità a chiedere il riconoscimento dalla Santa Sede, secondo la disciplina canonica, nell’esercizio della potestà suprema e universale del Vicario di Cristo e Pastore di tutta la Chiesa, in quanto associazioni internazionali di fedeli. Essi sanno bene che il giudizio sull’autenticità dei carismi e del suo esercizio ragionevole “appartiene a coloro che hanno l’autorità nella Chiesa”78 (cfr. 1Gn. 4, 6; 1 Ts., 5, 19ss.; 1. Cor. 4, 1), e che l’erezione o il riconoscimento da parte della Santa Sede, rispettati i “criteri di ecclesialità”79 , è come il culmine di questo discernimento, per cui il carisma viene riconosciuto come parte viva della grande tradizione cattolica e proposto come un bene per tutta la Chiesa universale. In tale modo, i movimento rimangono confermati come “scuole di comunione, compagnie in cammino nelle quali si impara a vivere nella verità e nell’amore che Cristo ci rivelò e comunicò per mezzo della testimonianza degli apostoli, dentro la grande famiglia dei suoi discepoli”80 . Questo riconoscimento comporta che le Chiese particolari non possono chiudere pregiudizialmente le loro frontiere a un carisma riconosciuto, perché il magistero e la potestà di governo pastorale del Sommo Pontefice sono di portata universale e, per tanto, “immanenti” ad ogni Chiesa particolare. Certamente i Pastori non perdono il loro dovere di discernimento e di governo sulle situazioni locali, diocesane e parrocchiale, nelle quale le singole realtà appartenente a un movimento o

nuova comunità sono impiantate e operano. La cattolicità che è propria delle Chiese particolari, e delle parrocchie in seno ad esse, si manifesta nell’accoglienza dei doni e delle funzioni che cooperano alla missione universale.

Accoglienza e inserimento nelle chiese particolari

È ovvio che sarebbe assurdo contrapporre questo speciale vincolo dei movimenti ecclesiali con i successori di Pietro all’obbedienza dovuta nella comunione con i Vescovi di tutte le Chiese particolari, in particolar modo di quelle in cui i movimenti sono presenti. Non può mancare “questa fiduciosa obbedienza ai Vescovi, successori degli apostoli, in comunione con il successore di Pietro”, ha detto S.S. Giovanni Paolo II il 30 maggio 1998 , chiedendo ai movimenti che la loro esperienza e ricchezza carismatica, educativa e missionaria si ponga, con “generosità e umiltà, alla disposizione e servizio delle Chiese locali, delle comunità parrocchiali, in “comunione con i Pastori e attento alle loro indicazioni”81. Nell’enciclica Redemptoris missio, lo stesso Papa aveva chiesto questo “umile inserimento” da parte dei movimenti e delle nuove comunità, mentre esortava ai Vescovi ad accoglierli e accompagnarli con la magnanimità e la cordialità che sono proprie del cuore del buon Pastore, rispettando i loro carismi e usufruendone sapientemente in vista dell’ “utilità comune”82. “Vi chiedo di andare incontro ai movimenti con molto amore”: così ha detto il Papa Benedetto VI a un gruppo di vescovi tedeschi in visita ad limina83 .

Lo Spirito Santo vuole vostra multiformità – spiegava Benedetto XVI ai movimenti e alle nuove comunità, il 3 giugno 2006 -, “e vi vuole per l’unico corpo, in unione con gli ordini durevoli – le giunture – della Chiesa, con i successori degli apostoli e il successore di Pietro. Non ci toglie la fatica di imparare il modo di rapportarci vicendevolmente, ma ci dimostra anche che Egli opera in vista dell’unico corpo e nell’unità dell’unico corpo. È solo proprio così che l’unità ottiene la sua forza e la sua bellezza”. E proseguiva ancora con questa esortazione: “Prendete parte

 

all’edificazione dell’unico corpo! I Pastori staranno attenti a non spegnere lo Spirito (cfr. 1 Ts. 5, 19) e voi non cesserete di portare i vostri doni alla comunità intera. Ancora una volta: lo Spirito Santo soffia dove vuole. Ma la sua volontà è l’unità. Egli ci conduce verso Cristo; nel suo Corpo”84 .

I movimenti e le nuove comunità non sono un “problema” ma un dono per “l’utilità comune” delle Chiese particolari e delle parrocchie. Essi condividono con le Chiese locali i doni e le esperienze maturati nella Chiesa universale, aiutandole così a non rimanere chiuse sotto cieli culturali e politici stretti, mettono in rilievo quella sollecitudine pastorale universale che è dimensione ineludibile di coloro che formano parte del Collegio apostolico con il Papa a capo, richiamano alla cattolicità le diocesi e le parrocchie. Vescovi e parroci – “tessitori” di comunione - non possono che rallegrarsi per questi doni e nuove energie e servizi cristiani, rispettosi dei carismi che li hanno originati, accompagnandoli e guidandoli nell’inserimento diocesano e parrocchiale, valorizzando il loro specifico contributo nel quadro di una “pastorale integrata” e portando tutto e tutti, senza forzature ma con delicata determinazione, all’unità della comunione e della missione. Come abbiamo detto, sanno anche lasciarsi interpellare e arricchire del radicalismo cristiano, dell’esperienza educativa, del senso di appartenenza comunitario e dello slancio missionario dei movimenti e nuove comunità. D’altra parte, questa ricchezza carismatica, educativa e missionaria dei movimenti e delle nuove comunità si metta sempre a disposizione nelle più svariate circostanze, nei più diversi contesti sociali, culturali, politici e religiose, si compenetri con la tradizione della Chiesa particolare, rinnovi la propria fedeltà nella comunione con il Vescovo -”principio e fondamento visibile dell’unità nella Chiesa particolare”85 -, e anche con il parroco, viva una certa “inculturazione” e innesto nel tessuto della situazione locale, abbia ben presente le priorità e direttive diocesane, offra con generosità i propri doni, esperienze e servizi alla diocesi e alle parrocchie e collabori con spirito aperto e cordiale con tutte le loro forze vive e istanze pastorali.

 

Nello stimarsi a vicenda

Ciò che Giovanni Paolo II disse riguardo ai rapporti tra le diverse aggregazioni dei fedeli vale anche per i rapporti tra parrocchie, movimenti e nuove comunità: “Per la solidale edificazione della casa comune è necessario, inoltre, che sia deposto ogni spirito di antagonismo e di contesa, e che si gareggi piuttosto nello stimarsi a vicenda (cf. Rom. 12, 10), nel prevenirsi reciprocamente nell’affetto e nella volontà di collaborazione, con la pazienza, la lungimiranza, la disponibilità al sacrificio che ciò potrà talvolta comportare”86 . Prevalga sempre ciò che è richiesto nell’inno alla carità (1 Cor. 13, 1-13).

Vorrei terminare con uno stupendo testo di San Bernardo di Chiaravalle, che mi sembra particolarmente appropriato: “Io li ammiro tutti. Appartengono ad uno di essi con l’osservanza, ma a tutti nella carità. Abbiamo bisogni tutti gli uni degli altri ( ... ). In questo esilio, la Chiesa è ancora in cammino e, se posso dire così, plurale: è una pluralità unica e una unità plurale. E tutte le nostre diversità, che manifestano la ricchezza dei doni di Dio, sussisteranno nell’unica casa del Padre, che comporta tante dimore, Adesso c’è divisione di grazie; allora ci sarà distinzione di glorie. L’unità, sia qui che là, consiste in una medesima carità ”87

NOTE

(1)   Giovanni Paolo II, Esortazione apostolica post-sinodale Ecclesia in America, Vaticano, 1999, n. 15.

(2)Joseph Ratzinger, Rapporto sulla fede, ed. Paoline, Milano, 1985, pp. 41 y ss.

(3)   Joseph Ratzinger, I movimenti ecclesiali e le loro collocazioni teologiche, in Pontificio Consiglio per i Laici, I movimenti nella Chiesa, Vaticano, 2000, p. 24.

 

(4)   Vedere l’allocuzione di Giovanni Paolo II del 30 maggio 1998 nell’incontro a Piazza S. Pietro con gli aderenti a più di 50 movimenti e nuove comunità, che è come la ricapitolazione più sistematico del suo abbondante e ricco magistero in questa materia, in “L’Osservatore Romano”, 1-2.6.1998.

(5)   Giovanni Paolo II, messaggio al I Congresso Mondiale di Movimenti Ecclesiali, in “L’Osservatore Romano”, 28.V.98.

(6)   Benedetto XVI, omelia nell’incontro con gli aderenti di più di 100 movimenti e nuovi comunità, in: “L’Osservatore Romano”, 4.06.2005.

(7)   Benedetto XVI, Allocuzione ai Vescovi amici della Comunità di Sant’Egidio e dell’Opera di Maria, in “L’Osservatore Romano”, 8-2-2007.

(8)   Giovanni Paolo II, Allocuzione al movimento “Comunione e Liberazione”, in “L’Osservatore Romano”, 30.9.1984.

(9)   Giovanni Paolo II, allocuzione citata del 30.5.98.

(10)  Benedetto XVI; omelia del 3.06.2006.

(11)  Giovanni Paolo II, Catechismo della Chiesa Cattolica, Vaticano, 1992, n. 2179.

(12)  Giovanni Paolo II, messaggio al I Congresso Mondiale di Movimenti Ecclesiali, 27.V.95.

(13)  Luigi Giussani, La parrocchia come movimenti, in: Pontificio Consiglio per i Laici, Riscoprire il vero volto della parrocchia, Vaticano, 2005, p. 189 y ss.

(14)     Joseph Ratzinger, intervento nella II Assemblea straordinaria del Sinodo dei Vescovi, in: revista italiana “30 Giorni”, anno III, n. 10, p. 10.

(15)  Concilio Vaticano II, Costituzione dogmatica sulla Chiesa, Lumen Gentium,, n. 11.

(16)  Joseph Ratzinger, L’ecclesiologia del Concilio Vaticano II, in: “L’Osservatore Romano”, 27.XII, 85.

(17)  Concilio Vaticano II, Costituzione dogmatica sulla Chiesa, Lumen Gentium,, nn.11, 26 ; Presbiterorum Ordinis, n. 5; Ad Gentes, nn. 5, 36.

(18)  Giovanni Paolo II, Allocuzione al movimento “Comunione e Liberazione”, in: “L’Osservatore Romano 30.9.84.

 

(19)    Giovanni Paolo II, Lettera apostolica Novo Millennio Ineunte, Vaticano, 2001, n. 43.

(20)    Giovanni Paolo II, Esortazione apostolica post-sinodale Christifidelis laici, Vaticano, 1988, n. 32.

(21)    Cfr. Guzmàn Carriquiry, Desafíos de la nueva ebvangelización, a la luz del magisterio de Juan Pablo II, in: Revista de Teología y Catequesis, Madrid, 1990, nn. 33-34.

(22)       Joseph Ratzinger, I movimenti ecclesiali e le loro collocazioni teologiche, op. cit., pp. 25 e ss.

(23)    Giovanni Paolo II, Esortazione apostolica post-sinodale, Christifidelis laici, n. 29.

(24)    Giovanni Paolo II, Allocuzione al movimento di Comunione e Liberazione, già citata.

(25)    Giovanni Paolo II, Alocuzione ai sacerdoti di Comunione e Liberazione, in: “L’Osservatore Romano”, 13.9.85.

(26)    Giovanni Paolo II, allocuzione all’Assemblea ordinaria del CELAM, Port-au-Prince, in: “L’Osservatore Romano”, 9.3.1983.                   L’espressione “nuova
evangelizzazione” fu utilizzata per la prima volta da Giovanni Paolo II in America Latina. In seguito l’uso di questo termine nel lessico ecclesiastico è divenuto molto frequente. L’esortazione apostolica Christifidelis laici osserva: “L’ora è venuta per intraprendere4 una nuova evangelizzazione” (n. 34).

(27)    Giovanni Paolo II, enciclica Redemptoris Missio, Vaticano, n. 3.

(28)    Giovanni Paolo II, Esortazione apostolica post-sinodale Christifidelis laici, n. 34.

(29)    Giovanni Paolo II, Lettera apostolica Novo Millennio Ineunte, nn. 31, 43.

(30)    Ibid, n. 31.

(3 1) Joseph Ratzinger, I movimenti ecclesiali e le loco collocazione teologica, op. cit.

pp. 25 e ss.

 

(32)     Cfr. Stanislaw Rylko, L’avvenimento del 30 maggio 1984 e le sue conseguenze ecclesiologiche e pastorali per la vita della Chiesa, in Pontificio Consiglio per i Laici, I movimenti ecclesiali nella sollecitudine pastorale dei Vescovi, Vaticano, 2000, pp. 38-39.

(33)     Giovanni Paolo II, Esortazione apostolica post-sinodale Christifidelis laici, n. 26.

(34)     Arturo Cattaneo, La parrocchia come una comunità delle comunità, in Pontificio Consiglio per i Laici, Riscoprire il vero volto della parrocchia, Vaticano, 2005, p. 136.

(35)       Renato Corti, Relazione alla LII Assemblea generale della Conferenza Episcopale Italiana (Assisi, 7-20.11.2003), in: “Il Regno-documenti”, 2003, n. 21, pp. 667-668 (citato da A. Cattaneo, op. cit.).

(36)     Esortazione apostolica post-sinodale Christifidelis laici, n. 26.

(37)     Conferenza Episcopale Italiana, Il volto missionario delle parrocchie in un mondo che cambia, in: “Notiziario CEI”, Roma, 2004, pp. 129-162.

(38)     Giovanni Paolo II, Allocuzione ai sacerdoti di Comunione e Liberazione, già citata.

(39)       Giovanni Paolo II, Omelia durante la concelebrazione eucaristica per l’assunzione del ministero petrino del suo pontificato, in: “L’Osservatore Romano”, 22.10.78.

(40)     Giovanni Paolo II, Lettera apostolica Novo Millennio Ineunte, nn. 16 e ss.

(41)     Benedetto XVI, Omelia durante la concelebrazione eucaristica per l’assunzione del ministero petrino, in: “L?Osservatore Romano”, 21.4.2005.

(42)     Benedetto XVI, Lettera enciclica Deus caritas est, Vaticano, 2005, n. 1.

(43)     Guzman Carriquiry, I movimenti ecclesiali nel contesto culturale e religioso di oggi, in Pontificio Consiglio per i Laici, I movimenti ecclesiali nella sollecitudine pastorale dei Vescovi, op. cit., pp. 54-55.

(44)       Benedetto XVI, Incontro con i sacerdoti della diocesi di Albano, in: “L’Osservatore Romano”, 2.IX.06.

 

(45)  Benedetto XVI, Discorso ai partecipanti all’Assemblea plenaria del Pontificio Consiglio per i Laici, in “L’Osservatore Romano”, 25.IX.06. Di qui la definizione che Giovanni Paolo II dà della parrocchia, nella Lettera enciclica Ecclesia de Eucaristia (Vaticano, n. 32), come “comunità di batezzatiche esprimono e affermano la loro identità soprattutto attraverso la celebrazione del Sacrificio eucaristico”.

(46)  Giorgio Feliciani, Comunità parrocchiali e movimenti ecclesiali, in “Periodica” , 2004, p. 618, citato da A. Cattaneo, op. cit.

(47)  Giovanni Paolo II, Esortazione apostolica post-sinodale Christifidelis laici, n. 10.

(48)  Ibid., n. 9

(49)  Giovanni Paolo II, Discurso del 30.5.98, già citato.

(50)  Ibid.

(5 1) Ibid.

(52)Concilio Vaticano II, Constituzione Dogmatica sulla Chiesa, Lumen Gentium; cfr. Congregazione per la Doctrina della Fede, Alcuni aspetti della Chiesa intesa come comunione, Vaticano, 28.V.1992.

(53)Concilio Vaticano II, Costituzione dogmatica sulla Chiesa, Lumen Gentium, nn. 11.12; Giovanni Paolo II, Discorso del 30.5.1998, già citato, Benedetto XVI, Allocuzione ai Vescovi amici della Comunità di Sant’Egidio e dell’Opera di Maria, già citata.

(54)Joseph Ratzinger, Il sale della terra, San Paolo, Milano, 1997, p. 299.

(55)Guzmán Carriquiry, I movimenti ecclesiali nel contesto culturale e religioso oggi, op. cit., p.61.

(56)Esortazione apostolica post-sinodale Christifidelis laici, n. 26.

(57)Giovanni Paolo II, Discorso del 2.8.85.

(58)Giovanni Paolo II, Esortazione apostolica pos-sinodale Pastore Dabo Vobis, Vaticano, 1992, n. 31.

(59)Giovanni Paolo II, Lettera apostolica Dies Domini, Vaticano, 1998, n. 36.

(60)Concilio Vaticano II, Decreto Apostolicam Actuositatem, n. 10.

 

(61)  Guzmán Carriquiry, I movimenti ecclesiali nel contesto culturale religioso oggi, op. cit. p. 66; cfr. Congregazione per la Dottrina della Fede, Decreto Dominus Iesus, 6.8.2000.,

(62)  Giovanni Paolo II, Lettera apostolica NovoMillennio Ineunte, nn. 31, 49.

(63)  Benedetto XVI, Incontro i sacerdoti della diocesi di Albano, già citato.

(64)     Conferenza Episcopale Italiana, Nota Pastorale, Il volto missionario della parrocchia in un mondo che cambia, op. cit., n. 3.

(65)  Giovanni Paolo II, Visita pastorale nella parrocchia di Santa Gemma Galgani, Roma, 1994, citato da Stanislaw Rylko (prefazione), in: Pontificio Consiglio per i Laici, Riscoprire il vero volto della parrocchia, op. cit., p. 7.

(66)  Esortazione apostolica post-sinodale Christifdelis laici, n. 26.

(67)  Concilio Vaticano II, Decreto Apostolicam Actuositatem, n. 10.

(68)     Concilio Vaticano II, Decreto Christus Dominis, n. 11; Decreto Unitatis redintegratio, n. 3.

(69)  Concilio Vaticano II, Decreto Apostolicam Actuositatem, n. 10.

(70)  Benedetto XVI, Incontro con i sacerdoti della diocesi di Albano, già citato.

(71)  Congregazione per la Dottrina della Fede, Lettera Comunionis Notio, su alcuni aspetti della Chiesa intesa come comunione, op. cit.

(72)  Ibid.

(73)  Concilio Vaticano II, Costituzione Dogmatica sulla Chiesa, Lumen Gentium, n. 23.

(74)  Joseph Ratzinger, La natura dei movimenti e la loro collocazione teologica, op. cit., pp. 32 e ss.

(75)  Benedetto XVI, omelia del 3.06.2006, già citata.

(76)  Ibid.

(77)  Pontificio Consiglio per i Laici, La bellezza di essere cristiani, Vaticano, 2006, pp. 9-10.

(78)  Concilio Vaticano II, Costituzione dogmatica sulla Chiesa, Lumen Gentium, n. 12; cfr. Giovanni Paolo II, discorso del 30.5.9, già citato.

 

(79)  Giovanni Paolo II, Esortazione apostolica post-sinodale Christifidelis laici, n. 30.

(80)  Benedetto XVI, Omelia del 3.06.2006, già citata.

(8 1) Giovanni Paolo II, Discorso del 30.5.1998, già citato.

(82)  Giovanni Paolo II, Lettera enciclica Redemptoris Missio, n. 72.

(83)  Benedetto XVI, discorso a un gruppo di vescovi tedeschi in visita ad limina, in: “L’Osservatore Romano”, 18.11.2006.

(84)  Benedetto XVI, Omelia del 3.06.2006, già citata.

(85)  Concilio Vaticano II, Costituzione dogmatica sobre la Iglesia, Lumen Gentium, n. 23.

(86)  Giovanni Paolo II, Discorso al Convegno della Chiesa italiana a Loreto, in “L’Osservatore Romano”, 10.4.85.

(87)     S. Bernardo de Chiaravalle, Apologia a Guglielmo di Saint Thierry, citato in: Giovanni Paolo II, Esortazione apostolica post-sinodale Vita Consacrata, Vaticano, n. 52.

 

 

 

Ultima modifica il Giovedì, 05 Febbraio 2015 16:35

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