TEOLOGIA BIBLICA: MARIA

Pubblicato in Missione Oggi

Pedron Lino

 

MARIA NELL’ANTICO TESTAMENTO

La persona e la missione di Maria, madre di Gesù, sono state prefigurate in vari modi nell’AT. Per verificare questa affermazione prenderemo come guida gli autori del NT. Essi, infatti, per primi hanno intravisto la figura della Vergine nelle persone e nelle istituzioni dell’antica alleanza.

Adottando questo criterio di lettura si ottengono molti risultati, e tutti convergono nel considerare Maria come il compimento d’Israele in cammino verso il messia redentore.

In questa breve esposizione metteremo in luce il modo col quale Matteo, Luca e Giovanni hanno riletto in chiave mariana diverse pagine dell’AT.

 

 

I
MARIA EREDE DELLA FEDE DI ISRAELE AL SINAI

1. IL SÌ DELL’ALLEANZA AL SINAI

Il patto tra Dio e il popolo di Israele, sancito al monte Sinai (Es 19-24), è come il vangelo dell’AT. Il Signore, mediante il suo portavoce Mosè, così parlò al popolo radunato alle pendici del Sinai: Voi stessi avete visto ciò che io ho fatto all’Egitto e come ho sollevato voi su ali di aquile e vi ho fatti venire fino a me. Ora, se vorrete ascoltare la mia voce e custodirete la mia alleanza, voi sarete per me la proprietà tra tutti i popoli, perché mia è tutta la terra! Voi sarete per me un regno di sacerdoti e una nazione santa (Es 19,4-6).

Mosè allora spiegò ai suoi fratelli e alle sue sorelle il contenuto del messaggio di Dio. Col suo insegnamento fece loro capire la portata delle esigenze inerenti alla proposta offerta loro dal Signore. Dio, infatti, propone, non impone. La libertà, dono di Dio creatore, è essenziale al dialogo dell’alleanza.

Dopo che Mosè ebbe chiarito i termini della volontà divina, tutto il popolo rispose coralmente: Quanto il Signore ha detto, noi lo faremo (Es 19,8; cfr. 24,3.7). Queste parole furono il col quale Israele accettava di unirsi al suo Dio, come sposa allo sposo. In tal modo erano conclusi gli sponsali dell’alleanza (cfr. Ez 16,8).

Quella confessione di fede incondizionata meritò la compiacenza di Dio, che confidava a Mosè: Ho udito le parole che questo popolo ti ha rivolte; quanto hanno detto va bene. Oh! se avessero un tal cuore da temermi e da osservare i miei comandi, per essere felici loro e i loro figli per sempre! (Dt 5,28-29).

Effettivamente si può dire che ogni generazione del popolo ebraico abbia fatto memoria assidua e gelosa di quella promessa di fedeltà pronunciata al Sinai, nel giorno dell’assemblea (Dt 4,10), quello in cui Israele nasceva come popolo di Dio. Difatti il contenuto di quella frase era ripetuto ogni volta che la comunità israelitica rinnovava gli obblighi dell’alleanza del Sinai.

In simili circostanze ritorna di scena il mediatore, che può essere un profeta, un re, un capo del popolo o un sacerdote. La sua funzione, a somiglianza di Mosè, rimane sempre quella di catechizzare i suoi fratelli, a volte provocando interpellanze e rispondendo a eventuali obiezioni e quesiti. Dopodiché il popolo rispondeva: Noi serviremo il Signore (Gs 24,24); oppure: Faremo come tu dici, ossia come dice il mediatore a nome di Dio (Esd 10,12; Ne 5,12; 1 Mac 13,9).

 

2. IL SÌ DI MARIA ALL’ANNUNCIAZIONE E A CANA

Alla luce di quanto abbiamo esposto, possiamo forse comprendere meglio l’atteggiamento di Maria all’annuncio dell’angelo e alle nozze di Cana.

L’annunciazione

Questa notissima pagina del vangelo di Luca (1,26-38) ha delle analogie con la ratifica della primitiva alleanza stipulata al Sinai (Es 19,3-8). Come per l’alleanza al Sinai vi fu un mediatore che parlava a nome di Dio, così per l’annuncio a Maria vi è un angelo (Gabriele) mandato da Dio (Lc 1,26). In veste di portavoce del suo Signore, Gabriele rivela a Maria qual è il progetto che Dio ha su di lei: Tu hai trovato grazia presso Dio. Ecco concepirai un figlio... (1,30-33).

A questa donna del suo popolo Dio chiede di diventare madre del Figlio suo; il quale, ereditando le promesse fatte al re Davide (2Sam 7), regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe, che è la Chiesa.

Come si comporta Maria dinanzi a questa rivelazione inaudita? Il suo atteggiamento è quello tipico del popolo di cui è figlia. Israele, infatti, è una comunità di fede che Dio aveva educato all’ascolto della sua parola; un ascolto che si trasforma in dialogo sapiente e intelligente.

Fin dal primo momento in cui propose l’alleanza al Sinai, Dio volle che Mosè spiegasse chiaramente all’assemblea le implicanze del suo disegno. E così avvenne a Nazaret. Per mezzo del suo angelo, Dio parla tre volte a Maria: Esulta... (V. 38), Non temere... (Vv. 30-33), Lo Spirito Santo scenderà su di te... (Vv. 35-37). E per tre volte è descritta la reazione di Maria. E dopo che l’angelo la rassicura su come potrà avverarsi l’incredibile (Lo Spirito Santo scenderà su di te...), Maria si consegna a Dio, dicendo: Eccomi; io sono la serva del Signore. Oh sì, avvenga su di me secondo la tua parola! (1,38). Nella risposta di Maria avvertiamo l’eco delle formule che tutto il popolo di Israele pronunciava quando dava il proprio assenso all’alleanza: Quanto il Signore ha detto, noi lo faremo (Es 19,8; 24,3.7), Noi serviremo il Signore (Gs 24,24), Faremo come tu dici (Esd 10,12; Ne 5,12; 1 Mac 13,9).

Nel dialogo di Maria con l’angelo rivive il dinamismo delle interpellanze tra l’assemblea d’Israele e i suoi mediatori. Nell’intenzione dell’evangelista ciò significa che la fede d’Israele trova la sua pienezza e la sua maturazione sulle labbra di Maria. Realmente ella è la Figlia di Sion! E a coronamento della scena Luca scrive: L’angelo del Signore partì da lei (1,38), quasi per recare la risposta a Dio, come fece Mosè al Sinai (cfr. Es 19,8).

Le nozze di Cana

Giovanni introduce questo episodio con le parole il terzo giorno (Gv 2,1). Così facendo egli manifesta il proposito di voler inquadrare il racconto nell’ottica dell’alleanza del Sinai, con le seguenti corrispondenze di base: al Sinai, il terzo giorno, Dio rivelò la sua gloria, dando la legge dell’alleanza a Mosè, affinché il popolo credesse anche a lui (Es 19,10.11.16); a Cana, il terzo giorno, Gesù rivelò la sua gloria dando il vino nuovo, simbolo del suo vangelo, che è la legge della nuova alleanza, e i discepoli credettero in lui (Gv 2,1-11).

Nell’ambito di questi richiami vicendevoli tra il Sinai e Cana trova collocazione anche il suggerimento di Maria ai servi: Quanto egli vi dirà, fatelo (V. 5). Esso echeggia la dichiarazione di fede emessa da Israele al Sinai: Quanto il Signore ha detto, noi lo faremo (Es 19,8; cfr. 24,3.7).

È sintomatico che Giovanni ponga sulle labbra della Vergine le parole che il popolo eletto pronunciò al Sinai. Abbiamo qui una identificazione, sia pure indiretta, tra la comunità di Israele e la madre di Gesù. E siccome nel linguaggio biblico il popolo è rappresentato spesso sotto l’immagine di una donna, si può comprendere come Gesù, rivolgendosi a sua madre, usi il termine donna (Gv 2,4), che diversamente sarebbe inconsueto e incomprensibile in un dialogo tra madre e figlio. In termini espliciti: Gesù vede nella madre sua l’incarnazione dell’ideale dell’antico Israele giunto alla pienezza dei tempi.

 

 

II
MARIA ARCA DELLA NUOVA ALLEANZA

1. ALLEANZA E ARCA NELL’ANTICO TESTAMENTO

Le tradizioni dell’AT associano strettamente la nozione di alleanza a quella di arca. Infatti appena fu conclusa l’alleanza fra Dio e il popolo di Israele al monte Sinai, il Signore diede quest’ordine: Essi mi faranno un santuario ed io abiterò in mezzo a loro (Es 25,8). Gli israeliti allora eressero la tenda del convegno e all’interno di essa, per ordine del Signore, collocarono l’arca dell’alleanza. Essa aveva la forma di un cofano rettangolare fatto con legno di acacia; misurava all’incirca cm. 112 di lunghezza e 66 di larghezza e di altezza (Es 25,10).

Dentro quest’arca erano custodite le due tavole dei comandamenti dati da Dio a Mosè sul Sinai come documento-base che avrebbe regolato l’alleanza (Es 25,16,31,18; Dt 10,1-5). In questo modo l’arca divenne il segno sensibile della presenza di Dio in mezzo al suo popolo: Stabilirò la mia dimora presso di voi, sarò il vostro Dio e voi sarete il mio popolo (Lv 26,11).

Per rappresentare questa dimora di Dio in mezzo al suo popolo (la shekinàh), i libri dell’AT impiegano spesso l’immagine della nube. Con l’uso di questo elemento figurativo-simbolico, essi parlano di Dio che scende ad abitare sul monte Sinai (Es 24,16), nella tenda del convegno (Es 40,34-35) e, infine, nel santo dei santi del tempio di Gerusalemme (1Re 8,10-12; 2Cr 5,13). Qui l’arca ebbe sistemazione definitiva, dopo l’insediamento d’Israele in Palestina.

 

2. IL GREMBO DI MARIA, TABERNACOLO DI DIO

Le linee sparse delle tradizioni sull’arca trovano una singolare convergenza in Maria. Soprattutto Luca ci è di guida per questa rilettura mariana del simbolismo connesso all’arca.

L’annunciazione

Lc 1,35, secondo molti esegeti, sembra il ricalco di Es 40,34-35. In quest’ultimo brano leggiamo: La nube coprì la tenda del convegno e la gloria del Signore riempì la dimora... La nube adombrava la tenda del convegno e la gloria del Signore riempiva la dimora.

La nube che avvolgeva la tenda era il segno che all’interno di essa dimorava la presenza del Signore. Analogamente in Lc 1,35 leggiamo: Lo Spirito Santo scenderà su di te, su te stenderà la sua ombra la potenza dell’Altissimo. Colui che nascerà sarà dunque santo e chiamato Figlio di Dio.

La visita di Maria a Elisabetta

Questa pagina è modellata visibilmente su 2 Sam 6, ove si narra il trasferimento dell’arca dell’alleanza da Baala di Giuda a Gerusalemme. Ecco alcune delle rassomiglianze che intercorrono tra i due racconti:

a) Tutti e due gli episodi hanno luogo nella regione di Giuda (2Sam 6,1-2; Lc 1,39).

b) Tutti e due i viaggi sono caratterizzati da manifestazioni di gioia:

- del popolo e di Davide che danza (gr. skirtàn) davanti all’arca;

- di Elisabetta e di Giovanni Battista che sussulta di gioia (gr. skirtàn) nel seno materno.

c) La presenza dell’arca in casa di Obed-Edom e l’ingresso di Maria in casa di Zaccaria sono motivo di benedizione (2Sam 6,11.12; Lc 1,41).

d) Davide esclama: Come potrà venire da me l’arca del Signore? (2Sam 6,9); e Elisabetta: A che debbo che la madre del mio Signore venga a me? (Lc 1,43).

Dal confronto dei testi colpisce il parallelismo l’arca del Signore e la madre del mio Signore. Ormai la nuova arca è Maria.

e) L’arca rimase in casa di Obel-Edom tre mesi (2Sam 6,11); Maria rimase in casa di Elisabetta circa tre mesi (Lc 1,56).

Da quanto detto fin qui si deduce questo messaggio. Col suo sì all’annunciazione, Maria accoglie la proposta della nuova alleanza che Dio le rivela per mezzo dell’angelo Gabriele; di conseguenza, con Gesù in grembo ella appare come l’arca dove abita Dio, fatto uomo. Ricompaiono dunque attualizzati in Maria i concetti di alleanza e di arca, così strettamente collegati nella teologia dell’AT.

 

 

III
MARIA PERSONIFICAZIONE DI GERUSALEMME

La città di Gerusalemme, cuore di Israele, prepara la tipologia di Maria almeno sotto due aspetti: come figlia di Sion e come madre universale.

 

1. FIGLIA DI SION

Origine e senso del titolo

Anche Gerusalemme, città posta sui monti, aveva la sua rocca, chiamata Sion. Su questa sommità il re Salomone (970 ca. - 930 ca.) costruì il tempio e la reggia. All’interno del tempio, precisamente nel santo dei santi, fece trasportare l’arca (1Re 8,1-8). Da allora col nome di Sion si volle indicare soprattutto il monte del tempio (Is 18,7; Ger 26,18; Sal 2,6; 48,2-3). Sion, pertanto, era considerata la zona più sacra di Gerusalemme, perché là dimorava il Signore nella sua casa. Perciò il colle di Sion passò ad indicare tutta Gerusalemme e qualche volta anche l’intero popolo di Israele, in quanto Gerusalemme era il centro religioso e politico della comunità ebraica.

Si deve anche notare che il linguaggio biblico, per designare una nazione o una città e i suoi abitanti, usa l’espressione figlia, seguita dal nome della rispettiva terra o località: figlia di Babilonia (Sal 137,8), figlia di Edom (Lam 4,21), figlia d’Egitto (Ger 46,11)... Così l’espressione figlia di Sion significa la città di Gerusalemme e quanti dimorano tra le sue mura (2Re 19,21; ecc.), oppure il suolo e il popolo di Israele (Sof 3,14, Lam 2,1).

Vi sono tre celebri oracoli dei profeti Zaccaria (2,14-15; 9,9-10), Sofonia (3,14-17) e Gioele (2,21-27) in cui la figlia di Sion è invitata a gioire intensamente. Il motivo di tanta letizia è che il suo Dio abita in mezzo ad essa; perciò non deve temere: il Signore, infatti, è il suo re e il suo salvatore. Con queste parole i profeti citati rivelavano ai loro fratelli lo stato di felicità che sarebbe seguito alla desolazione dell’esilio babilonese.

Applicazione mariana

Secondo molti esegeti odierni, nelle parole dell’angelo Gabriele a Maria, vi è l’eco abbastanza distinta del messaggio che i profeti sopra citati rivolgevano alla figlia di Sion. Anche Maria, infatti è invitata a rallegrarsi (Rallegrati, o piena di grazia!) e a non temere perché il Figlio di Dio prenderà dimora in lei facendo del suo grembo il nuovo tempio. Egli sarà re e salvatore della casa di Giacobbe, che è la Chiesa (cfr. Lc 1,28-33; 3,11).

In altre parole: Luca applica a Maria le profezie che Zaccaria, Sofonia e Gioele indirizzavano alla figlia di Sion. Mediante questo procedimento letterario egli intende identificare Maria con la figlia di Sion, cioè con Gerusalemme e tutto il popolo di Israele, erede delle promesse di salvezza.

La vergine di Nazaret, nella sua persona individua, sarebbe quindi la rappresentante del resto di Israele, cioè di questo popolo umile e povero che confida nel Signore (cfr. Sof 2,12-13). L’antico Israele, da secoli in cammino verso il messia redentore, si realizza perfettamente in questa sua figlia. Maria è il fiore di Israele.

 

2. GERUSALEMME, MADRE UNIVERSALE

La dottrina dell’AT

Il tema di Gerusalemme madre di tutte le genti interessa una vasta area dell’AT, in modo particolare la letteratura profetica.

In breve, gli Ebrei, infedeli a Dio e alla sua legge, vengono sradicati dalla loro terra e deportati presso i popoli stranieri diventando così i dispersi figli di Dio. Ma il Signore non abbandona il suo popolo. Egli continua ad inviare i profeti agli esuli. E quando il popolo si converte alla loro predicazione, Dio raduna i suoi figli. Per mezzo del suo Servo, il Servo sofferente (Is 49,5-6), egli li riconduce alla loro terra, li raduna nell’unità (Ger 23,8; Ez 39,26-29...) e ad essi aggrega anche i pagani che si convertono al vero Dio (Is 14,1; Ger 3,17).

Sullo sfondo di questa grandiosa restaurazione acquistano un risalto singolarissimo Gerusalemme e il suo tempio, ricostruiti dalle rovine. Il tempio è il luogo privilegiato della riunificazione (Ez 37,21.26-28; 2Mac 1,27-29; 2,18...). Entro il suo perimetro, sia gli ebrei che i pagani convertiti si fonderanno per adorare lo stesso Dio; d’ora innanzi tutti i popoli sono membri dell’alleanza nuova che Dio estende a tutta l’umanità (Is 14,1; 56,6-7; 66,18-21).

Dice Zc 2,15: Nazioni numerose aderiranno al Signore in quel giorno e diverranno suo popolo ed egli dimorerà in mezzo a te figlia di Sion. Gerusalemme è salutata come madre di questi figli innumerevoli che Dio ha convogliato entro le sue mura (Is 49,21; 60,1-9; Sal 87; Tb 13,11-13...).

Quella cinta muraria si configurava come un grembo che racchiudeva il tempio e tutti coloro che vi si radunavano per adorare il vero Dio.

Rilettura mariana

Gli autori del NT traspongono questi temi a livello cristologico-mariano. Giovanni sembra offrire la sintesi più completa. La riassumiamo così.

Con la sua morte, Gesù è colui che raduna i dispersi figli di Dio (Gv 11,51-52). I dispersi, però, non sono gli ebrei, ma tutti gli uomini, in quanto esposti alle insidie del lupo, ossia del diavolo, che rapisce e disperde (Gv 10,12; 16,32). E Cristo, servo sofferente del Padre, l’Agnello di Dio che toglie il peccato del mondo (Gv 1,29) ricompone l’umanità dispersa in un altro tempio e in un’altra Gerusalemme.

Il vero tempio è la persona stessa di Gesù, morto e risuscitato (Gv 2,19-22). E la vera Gerusalemme è costituita dalla Chiesa, nella quale Gesù attrae e raduna ebrei e pagani (Gv 10,16; 11,51-52; 12,32-33). Di questa nuova Gerusalemme-madre universale Maria è la personificazione e la figura ideale.

Infatti, se il profeta diceva dell’antica Gerusalemme: Ecco i tuoi figli radunati insieme (Is 60,4; cfr. Bar 4,37; 5,5-6), ora Gesù, che muore per radunare insieme i dispersi figli di Dio, dice a sua madre: Donna, ecco il tuo figlio (Gv 19,26). In quell’istante, egli affidava alle sue cure materne il discepolo amato che rappresentava tutti i discepoli di ogni tempo.

I titoli e le immagini della Gerusalemme terrena sono riferiti da Giovanni alla madre di Gesù. La Vergine è la donna-madre universale dei discepoli di Gesù unificati nel mistico tempio della persona di Cristo, che lei ha generato nel suo grembo. Il grembo di Gerusalemme è ora il grembo di Maria.

 

 

IV
DA ISRAELE POPOLO DELLA "MEMORIA" A MARIA CHE "CONSERVA TUTTO NEL CUORE"

E sua madre conservava tutte queste cose nel suo cuore (Lc 2,51): questo celebre ritornello del vangelo di Luca ci rivela quanto Maria avesse fatto propria la spiritualità del popolo di Israele.

 

1. LA "MEMORIA" NELL’AT

Lungo tutto l’AT si fa obbligo al popolo eletto di ricordare e meditare nel proprio cuore quanto Dio ha fatto in suo favore: Guardati e guardati bene dal dimenticare le cose che i tuoi occhi hanno viste; non ti sfuggano dal cuore, per tutto il tempo della tua vita. Le insegnerai anche ai tuoi figli e ai figli dei tuoi figli. Ricordati... interroga i tempi antichi... Guardatevi dal dimenticare l’alleanza del Signore vostro Dio... (Dt 4,9-10.23.32).

Il memoriale cui deve applicarsi ogni pio israelita corrisponde all’intera storia della salvezza dal giorno in cui Dio creò l’uomo sulla terra (Dt 4,32). Nulla di quanto il Signore ha fatto in favore del suo popolo deve essere dimenticato. La tradizione biblica definisce come sapiente la persona che ricorda, che custodisce nel suo cuore gli innumerevoli gesti di salvezza operati dal Signore (cfr. Sir 44,1-50,21; 50,27.28; Gdt 8,26-29).

La memoria di cui si parla nella Bibbia ha sempre un senso dinamico. Non è accademica, libresca, nozionistica. Essa guarda al passato per comprendere meglio il presente. Dio si è rivelato negli eventi trascorsi della storia di Israele. Per cui ritornare con la mente a quei fatti significa conoscere sempre meglio chi è il Signore e qual è la sua volontà per il tempo presente. Tutto scaturisce da questa convinzione: ciò che il Signore ha operato in passato è garanzia che egli farà altrettanto nel presente e nel futuro, perché il suo amore è immutabile. La fede nell’avvenire proviene da quanto si verificò nei tempi passati (Filone, Vita di Mosè II, 288).

La memoria privilegiata è sempre quella dell’esodo dall’Egitto. Come Dio liberò il suo popolo dalla mano del faraone, così lo libererà da ogni altra angustia (Dt 7,17-19) perché il suo amore è eterno (Sal 136).

I padri e i protagonisti della storia di Israele ebbero tante tribolazioni, ma il Signore li soccorse e li liberò. Dice il Sal 22,5-6 (il salmo che Gesù recitò in croce): In te hanno sperato i nostri padri, hanno sperato e tu li hai liberati; a te gridarono e furono salvati, sperando in te non rimasero delusi. Ricordando le numerose liberazioni che Dio aveva compiuto per i padri, Israele consolidava la speranza che Dio avrebbe visitato e redento il suo popolo mediante il Messia (cfr. Lc 1,67-79).

 

2. ATTUALIZZAZIONE MARIANA

La riflessione sapienziale di Israele diviene eredità di Maria. Per comprendere chi è Gesù, ella ripete in sé l’itinerario spirituale del suo popolo. Ella conserva nel suo cuore i fatti e le parole di Gesù, ma non in maniera statica: cerca di approfondirne il senso ponendoli a confronto (Lc 2,19).

Ecco, dunque, lo sviluppo dinamico della fede di Maria: ricordare per approfondire, per attualizzare, per interpretare. In particolare Maria conserva nel cuore le parole di Gesù che non ha capito sul momento. Per es., quando ritrova Gesù nel tempio: Essi (Maria e Giuseppe) non compresero le sue parole. E l’evangelista aggiunse subito: Sua madre serbava queste cose nel suo cuore (Lc 2,51).

 

 

V
MARIA "PROFETICAMENTE ADOMBRATA" NELL’ANTICO TESTAMENTO

1. Is 7,14: CONTESTO ORIGINALE

La giovane donna (ebr. ‘almah) cui accenna il profeta è Abi moglie di Acaz, re di Giuda. Il figlio che darà alla luce è Ezechia, chiamato col nome augurale Emmanuele, cioè Dio con noi: un titolo che suonava come promessa nelle circostanze critiche del momento. E Dio dimostrerà realmente di essere con il suo popolo (Is 8,10): grazie a Ezechia la casa di Davide non si estinguerà.

 

2. INTERPRETAZIONE DI MATTEO

Matteo rilegge in senso pieno l’oracolo di Is 7,14. Gesù, discendente della casa di Davide mediante la paternità legale di Giuseppe, figlio di Davide (Mt 1,20), è il vero Emmanuele-Dio con noi (Mt 1,23; cfr. 28,20). La Chiesa fondata da Cristo (Mt 16,18) è la nuova casa di Davide (cfr. Lc 1,32-33). Essa gode stabilità perpetua, nonostante le forze del male che la insidiano (Mt 16,18). Gesù infatti ha promesso: Io sono con voi (Emmanuele-Dio con noi) tutti i giorni fino alla fine del mondo (Mt 28,20).

Pertanto, come l’Emmanuele-Ezechia garantì la sopravvivenza della dinastia davidica, gravemente minacciata da Rezin re di Damasco e da Pekach re d’Israele negli anni 734-733 a.C. (Is 7,1; 2Re 16,1-17; 2Cr 28,5-25), così l’Emmanuele-Cristo assicura che la sua Chiesa, la quale subentra all’antica casa di Davide, non soccomberà di fronte al maligno. Cristo, infatti, è sempre con lei.

Maria invece è la vergine (gr. parthénos), madre dell’Emmanuele-Cristo che regna in eterno sul trono di Davide (Mt 16; 28,20; cfr. Lc 1,32-33). Se nel caso di Abi il termine ‘almah (tradotto dai LXX con parthénos) significava semplicemente giovane donna, che concepisce secondo le normali leggi di natura, nella situazione di Maria si verifica un mutamento del tutto imprevisto: ella è vergine in senso stretto, perché concepisce per sola potenza dello Spirito Santo (Mt 1,18-25). Si vede, quindi, come il NT stia in linea di continuità con l’AT, ma al tempo stesso lo superi (Mt 5,17).

 

3. Mi 5,2: CONTESTO ORIGINALE

Dopo la tribolazione dell’esilio babilonese, paragonata agli spasimi di una donna partoriente, il Signore riscatterà Gerusalemme figlia di Sion dall’oppressione dei suoi nemici (Mi 4,9-10). L’antica sovranità sarà stabilita sull’Ofel, il quartiere regale della città (Mi 4,8). Così Dio torna a regnare sul monte Sion per sempre (Mi 4,7).

Questa rinnovata regalità di Dio su Israele si attua mediante un condottiero nato a Betlemme di Efrata, la meno appariscente tra le numerose città di Giuda. Le origini di questo condottiero sono dall’antichità, dai giorni più remoti (Mi 5,1) perché risalgono all’antica casa di Davide (Mi 4,8; 2 Sam 5,4-10; 7,1-17;...). La nascita di questo liberatore è prevista per la fine dell’esilio. Il profeta dice che la situazione dell’esilio durerà fino a quando colei che deve partorire partorirà (Mi 5,2). Questo futuro re di Giuda porrà fine allo scisma, riunendo il resto dei suoi fratelli a tutti i figli di Israele; la sua presenza e la sua opera saranno sinonimo di pace (Mi 5,4). Ai tempi di Gesù l’oracolo di Mi 5,1-2 era sicuramente riferito al re messia, sia dai sacerdoti e dagli scribi (Mt 2,5-6) che da parte della gente comune (Gv 7,40-42).

 

4. RILETTURA MARIANA

La profezia riguardante la madre del messia (colei che deve partorire, Mi 5,2) sembra che sia echeggiata da Luca 2,6-7. Molti esegeti pongono in confronto Mi 5,1-4 con Lc 2,4-14. Come già per i testi della figlia di Sion e per 2 Sam 6 anche in questo caso Luca trascrive l’AT quasi in filigrana. Non lo cita espressamente, ma vi allude in trasparenza.

 

5. Gen 3,15: CONTESTO ORIGINALE

Nel racconto di Gen 2,18-3,21 la donna è Eva. Il seme del serpente designa coloro che si lasciano adescare dal seduttore, divenendo così suoi figli, suoi gregari, perché seguono le sue istigazioni al male (cfr. Sap 2,24; Gv 8,44). Il seme della donna sarà costituito da coloro che si mantengono fedeli alle vie di Dio. A questa discendenza della donna Dio promette la vittoria definitiva sui seguaci del serpente, sulle forze del maligno.

 

6. RILETTURA NEOTESTAMENTARIA IN Ap 12

Ap trascrive la profezia di Gen 3,15 in versione cristologico-ecclesiale. Infatti il drago è qualificato come il serpente antico, colui che chiamiamo il diavolo e satana, e che seduce tutta la terra (Ap 12,9). Inoltre si parla della donna e della sua discendenza.

a) Chi è la donna vestita di sole?

È la donna-sposa che raffigura il popolo di Dio in ambedue i testamenti. È la Chiesa dell’antica alleanza, formata dalle dodici tribù di Israele (Ap 12,1: le dodici stelle) ed è anche la Chiesa della nuova alleanza che, a prolungamento delle dodici tribù di Israele (Ap 12,12) è fondata sui dodici apostoli (Ap 12,14) e comprende tutti gli altri discepoli di Cristo (Ap 12,17).

Il travaglio della partoriente e il rapimento del suo neonato verso il trono di Dio non descrivono la nascita di Gesù a Betlemme, ma il mistero della pasqua: la passione, la risurrezione e l’ascensione di Cristo. Questa lettura simbolica del grande segno di Ap 12,5 è confortata anzitutto da Gv 16,21-22: un brano nel quale Gesù stesso parla della pena e della gioia che prova una donna quando dà alla luce una creatura, e applica questa allegoria all’afflizione che stava per invadere i discepoli a causa della sua morte, e alla gioia che avrebbero provato nel rivederlo risorto.

Anche negli Atti degli Apostoli si parla della risurrezione di Cristo in termini di generazione. Infatti il Sal 2,7 (Mio figlio sei tu, oggi io ti ho generato) è riferito da Paolo all’azione del Padre che ha risuscitato il Figlio dai morti (At 13,32-34).

Quel parto sarebbe quindi un modo figurato per rappresentare l’angoscia profonda della comunità dei discepoli di Gesù quando il Maestro fu loro tolto dalla violenza del potere delle tenebre. Il rapimento del bambino presso il trono di Dio è un’immagine da riferirsi alla potenza del Padre che, liberando il Figlio dalla morte (At 2,24) lo fa rinascere alla condizione gloriosa di risorto e gli conferisce la regalità universale.

Un’altra interpretazione alternativa e complementare è questa. La donna è ogni chiesa cristiana che vive nel tempo. Le doglie del parto esprimono efficacemente la tensione e la fatica che ogni comunità ecclesiale sperimenta nel dare alla luce il Cristo dal proprio seno. In altri termini, ogni gruppo dei discepoli del Signore è chiamato a testimoniare il vangelo, a generare Cristo.

Ma questa vocazione è ardua, tribolata, e si scontra quotidianamente con le forze del maligno (il drago). Eppure, nonostante le molte avversità, la Chiesa giunge a partorire il suo Cristo, a realizzare il suo impegno di vita evangelica.

Ap 12 trascrive in codice il mistero pasquale di Cristo, attualizzato nella Chiesa. Si avvera il detto del Signore: Se hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi... Voi avrete tribolazioni nel mondo, ma abbiate fiducia; io ho vinto il mondo (Gv 15,20; 16,33).

b) La donna di Ap 12 può indicare anche Maria?

La maggioranza degli esegeti ritiene che la donna di Ap 12 simboleggia direttamente la Chiesa formata dal popolo di Dio di ambedue i Testamenti; indirettamente può esservi significata e inclusa anche la Vergine.

Stabilito che Ap 12 è figura simbolica del popolo di Dio, dal quale nasce il messia, dobbiamo ricordare che Israele genera dal suo grembo il messia attraverso la maternità fisica di Maria figlia di Sion. Inoltre la donna vestita di sole rimanda alla Vergine, salutata dall’angelo come kecharitoméne, piena di grazia (Lc 1,28).

Ella è avvolta dalla compiacenza e dal favore misericordioso di Dio, suo Salvatore (Lc 1,47-49). Infine se il parto della donna rievoca simbolicamente la passione, la morte e la risurrezione di Cristo, non possiamo dimenticare Gv 19,25-27. In quell’ora Gesù rivela a sua madre che ella ha un compito materno anche verso il discepolo, che rappresenta tutti i discepoli di Cristo.

 

 

VI
CONCLUSIONE

Quello che abbiamo detto fino a questo punto sulla persona e la missione di Maria ci ha fatto capire che l’AT prepara il Nuovo, e il Nuovo non abroga l’Antico, ma lo porta a compimento (cfr. Mt 5,17).

Il rischio che possiamo correre nel leggere il NT non è quello di illuminarlo eccessivamente con l’Antico, ma di trascurare e lasciare in ombra lo sfondo veterotestamentario.

 

 

MARIA NEL NUOVO TESTAMENTO

 

 

I
INTRODUZIONE

La teologia biblica deve aprire gli orizzonti della storia della salvezza e mostrare il posto che vi occupa Maria, la figlia di Sion, nell’insieme del cammino del popolo di Dio. La mariologia prende il suo vero senso dalla cristologia, ma deve essere integrata nell’ecclesiologia come ha voluto il Concilio Vaticano II (LG c. VIII).

Per l’equilibrio e la fecondità della mariologia, sarà sempre necessario proporla con questo triplice sforzo di integrazione teologica: nell’AT, nel mistero di Cristo, nel mistero della Chiesa.

 

 

II
PREPARAZIONE ALL’INCARNAZIONE

Due versetti del racconto dell’annunciazione mostrano che Maria era stata preparata da Dio alla missione unica che avrebbe dovuto svolgere nell’incarnazione.

 

1. "PIENA DI GRAZIA" (Lc 1,28)

Dopo un invito alla figlia di Sion ad entrare nella gioia (rallegrati, cfr. Sof 3,14; Gl 2,21.23; Zc 9,9), l’Angelo si rivolge alla Vergine col titolo piena di grazia (kecharitomène: participio perfetto passivo di charitòo).

I verbi in òo hanno valore causativo, quindi charitòo significa che la grazia trasforma una persona rendendola graziosa, amabile, degna d’amore. Il titolo dato a Maria descrive il cambiamento già operato in lei dalla grazia di Dio. Secondo l’interpretazione tradizionale, piena di grazia descrive la santità di Maria realizzata in lei dalla grazia, in preparazione all’evento dell’incarnazione. Maria era già trasformata dalla grazia di Dio, non solo per diventare la madre del Messia, ma per esserlo rimanendo vergine.

Dal contesto si vede che la grazia era anzitutto quella della verginità. Solo così si spiega la reazione di Maria, quando riceve l’annuncio della sua maternità imminente.

 

 

2. "NON CONOSCO UOMO" (Lc 1,34)

Secondo l’esegesi tradizionale (san Gregorio di Nissa, sant’Agostino, ecc.), Maria, con le parole non conosco uomo, esprime il suo proposito di rimanere vergine. Questa interpretazione, condivisa ancora da molti, non soddisfa del tutto: non conosco esprime normalmente un fatto, non un’intenzione; e non si capisce allora il matrimonio di Maria con Giuseppe. In racconti simili a questo, la persona interpellata oppone una vera difficoltà all’annuncio divino (cfr. Gdc 6,13): è anche il caso descritto qui, poiché l’angelo risponde alla difficoltà di Maria: Niente è impossibile a Dio (Lc 1,37).

Dall’esame completo della frase non conosco uomo nell’At risulta che essa esprime lo stato di verginità della donna: cfr. per es. il caso della figlia di Iefte che ottenne, prima di morire, di andare per i monti a piangere la sua verginità, perché non aveva conosciuto uomo (Gdc 11,38 ss; 21,12).

In Lc 1,34 il senso della parola di Maria è: sono vergine. Negli altri passi della Bibbia si tratta di fanciulle non sposate, ma Maria è già unita in matrimonio con Giuseppe; eppure non parla di lui come suo marito (cfr. nel caso parallelo di Mt 1,20: la tua sposa), ma esclude di conoscere uomo.

 

 

III
MADRE DI GESÙ E VERGINE

Dal punto di vista di Maria, l’incarnazione del Figlio di Dio implica due aspetti, espressi nella professione di fede tradizionale: Natus est de Spiritu Sancto ex Maria virgine (DS 10); Maria è in senso pieno la madre di Gesù Cristo; tuttavia è vergine. Questo è l’insegnamento inequivocabile dei vangeli.

 

1. L’ANNUNCIO A MARIA (Lc 1,26-38)

Il testo presenta un doppio messaggio dell’angelo.

a) Maternità messianica e divina

Concepirai e darai alla luce un figlio... Dio gli darà il trono di Davide, suo padre; Maria diventerà la madre del Messia. Ma suo figlio sarà chiamato Figlio dell’Altissimo (V. 32), sarà chiamato Figlio di Dio (V. 35); la madre di Gesù sarà la madre del Figlio di Dio.

b) Maternità verginale

L’angelo spiega a Maria che il concepimento sarà verginale, perché dovuto all’azione dello Spirito Santo; la potenza dell’Altissimo la coprirà con la sua ombra (V. 35): è un’allusione alla nube (simbolo del divino) che copriva la tenda del convegno (Es 40,35) e indicava l’arca dell’alleanza come il luogo della presenza di Dio.

Maria sarà la nuova arca dell’alleanza: porterà in grembo il Figlio di Dio. Ma c’è di più: l’angelo annuncia a Maria anche un parto verginale. Questo si trova in Lc 1,35, se viene interpretato correttamente, come nella tradizione antica. Oggi i due modi più diffusi di tradurre il versetto sono: Colui che nascerà sarà santo e chiamato Figlio di Dio (Lezionario), e Quello che nascerà sarà chiamato santo, Figlio di Dio (Utet). La prima traduzione però inserisce indebitamente il verbo sarà che non c’è nel testo; la seconda lascia il titolo Figlio di Dio sospeso. Ma nella lettura tradizionale (cfr. la Volgata) si leggeva: Ciò che nascerà santo (santamente) sarà chiamato Figlio di Dio.

San Cirillo di Gerusalemme spiegava così: La sua nascita fu pura e incontaminata. Ove infatti spira lo Spirito, ivi viene tolta ogni macchia. Incontaminata dunque fu la nascita dell’Unigenito dalla Vergine (Catech. 12,32, PG 33,765A). Per gli altri uomini, il parto verginale di Gesù diventerà il segno del suo essere Figlio di Dio: Perciò... sarà chiamato Figlio di Dio.

 

2. L’ANNUNCIO A GIUSEPPE (Mt 1,18-25)

Nel vangelo di Luca l’incarnazione veniva annunciata a Maria; nel vangelo di Matteo troviamo il punto di vista complementare, quello di Giuseppe. Fin dall’inizio Mt voleva far comprendere che Gesù era figlio di Davide, figlio di Abramo (1,1) cioè il messia atteso da Israele. A questo scopo viene inserita qui la lista genealogica (1,2-17). La discendenza davidica giungeva fino a Giuseppe figlio di Davide (1,20).

Ma come mai quella discendenza poteva raggiungere anche Gesù, se non era figlio di Giuseppe? Questo fatto, ossia che Giuseppe non era il vero padre di Gesù, viene chiaramente asserito da Mt: dopo la ripetizione monotona dei 39 generò (Vv. 2-16a), la catena viene bruscamente spezzata al V. 16b; qui non si dice che Giuseppe generò Gesù; l’attenzione si sposta su Maria: Giacobbe generò Giuseppe, lo sposo di Maria, dalla quale fu partorito Gesù, chiamato Cristo. Il brano seguente spiega come, in questo caso, Gesù poteva essere figlio di Davide: Ecco come avvenne la nascita di Gesù Cristo (V. 18).

Tra le diverse spiegazioni del dubbio di Giuseppe, la migliore è quella di dire che egli sapeva come era avvenuta la gravidanza di Maria: non essendo il vero padre del nascituro, egli pensava di doversi separare da lei. Ora l’annuncio ha come scopo precisamente di fargli comprendere che deve assumere la paternità legale verso il bambino e così assicurargli la discendenza di Davide e il carattere messianico: per questo Giuseppe viene interpellato come figlio di Davide (V. 20).

Secondo una lunga tradizione (san Basilio, san Bernardo, san Tommaso...) Giuseppe provava, in questa circostanza, un timore reverenziale, come il senso di indegnità di Elisabetta (Lc 1,43), del centurione (Mt 8,8), di Pietro (Lc 5,8).

Per Mt il concepimento verginale di Maria è quindi un fatto indiscusso e presupposto a tutto l’episodio. L’evangelista torna ancora due volte sull’argomento: prima con la citazione di Is 7,14 (Ecco la vergine concepirà...); poi nella conclusione che mette in luce l’importanza decisiva della funzione legale di Giuseppe per l’inserimento di Gesù nella discendenza messianica: egli diede il nome di Gesù al bambino partorito da Maria.

 

 

IV
LA MADRE DEL MESSIA

Gli altri tre brani mariani di Lc 1-2 presentano aspetti della manifestazione di Gesù-messia.

 

1. LA VISITAZIONE: MARIA ARCA DELL’ALLEANZA (Lc 1,39-56)

Dopo il parallelismo tra l’annuncio della nascita di Giovanni Battista e quello della nascita di Gesù, il racconto della visitazione presenta l’incontro delle due madri.

La fretta di Maria di recarsi da Elisabetta è l’espressione della sua gioia. Al saluto di Maria, Elisabetta sente nel suo grembo l’esultanza di Giovanni Battista: comprende che egli pieno di Spirito Santo (1,15), è il profeta dell’Altissimo che prepara le vie del Signore (1,76): egli infatti rivela a sua madre la presenza misteriosa del Signore nel grembo di Maria. Elisabetta, piena di Spirito Santo, rivolge a Maria una doppia benedizione (Vv. 42-45) che richiama molto da vicino la celebrazione d’Israele davanti all’arca dell’alleanza (1Sam 6,2-11) come già aveva accennato Lc 1,35.

Scrive sant’Ambrogio: Che cos’è l’arca se non santa Maria? (Sermo 42,6; PL 17,689). Il messaggio essenziale del brano però sta nella doppia proclamazione profetica di Elisabetta: È venuta da me la madre del mio Signore e beata colei che ha creduto: Maria non sarebbe diventata la madre del Signore se non fosse stata colei che ha creduto.

Il cantico della Vergine è l’inno in cui Maria loda Dio per l’opera compiuta in lei e in tutto il popolo di Dio. L’inno è composto in gran parte da citazioni bibliche; si notano soprattutto i contatti con il cantico di Anna (1Sam 2,1-10). La situazione di Maria non era solo simile a quella di Elisabetta, ma anche a quella di Anna madre di Samuele.

Il cantico della Vergine comprende due parti: la prima (Vv. 46-50) concerne la situazione personale di Maria; la seconda (Vv. 51-55) indica il senso dell’evento per Israele: in questa seconda parte Maria parla come la figlia di Sion escatologica, che vede realizzarsi adesso tutto ciò che Dio aveva promesso nel passato per il suo popolo.

 

2. MARIA NEL TEMPIO (Lc 2,22-52)

Dopo la nascita e la circoncisione di Gesù (2,1-21), i due ultimi brani del vangelo dell’infanzia di Gesù si svolgono nel tempio. Il loro tema centrale è la manifestazione del mistero di Gesù, l’adempimento di Ml 3,1: Viene nel suo tempio il Signore che voi cercate; nel tempio Gesù sarà riconosciuto come messia. Nel racconto della presentazione di Gesù al tempio, Maria appare nel suo atteggiamento di vera credente: porta il suo Figlio al tempio per consacrarlo al Signore. Qui Simeone e Anna celebrano la venuta della gloria di Israele (V. 32), della liberazione di Gerusalemme (V. 38). Ma Simeone predice anche che il Salvatore sarà un segno di contraddizione (Vv. 34 ss).

In questo annuncio viene inserita una profezia analoga riguardante Maria. Il testo di Ez 14,17 sulla spada che dividerà Israele, viene applicato a lei, la figlia di Sion: Anche a te una spada trafiggerà l’anima (V. 35). Non si tratta qui delle sofferenze di Maria presso la croce o del dolore provocato in Maria dalla divisione di Israele di fronte a Gesù; il testo implica una certa partecipazione di Maria stessa all’esperienza del suo popolo (cfr. anche a te): la spada è una metafora per la divisione provata da Maria: è divisa tra la fede (V. 1,45), lo stupore (2,33.47), l’incomprensione (2,49-50), davanti alle prime rivelazioni pubbliche del mistero del suo Figlio.

Però, mentre in Israele l’incomprensione sarebbe diventata incredulità e avrebbe provocato la rovina di molti, in Maria rimaneva legata alla sua fede profonda: Conservava queste cose e le meditava nel suo cuore (2,19).

Questa dialettica (rivelazione - incomprensione) si prolunga in 2,41-52 quando Gesù stesso, il Figlio dodicenne di Maria, si manifesta nel tempio. Tutto il brano è centrato sulla sua parola: Non sapete che io devo essere nella casa di mio Padre? (V. 49). Quando parla di Dio come del suo Padre, Gesù si rivela come il Figlio di Dio. La traduzione classica nella casa di mio Padre è stata da molti cambiata, in epoca moderna, in nelle cose di mio Padre, ma l’esegesi contemporanea ha mostrato l’esattezza e la profondità teologica della versione tradizionale.

La presenza necessaria di Gesù nella casa di suo Padre è già un’anticipazione, un simbolo del suo destino futuro e del suo ingresso nella gloria (24,26); è un indizio che dopo il triduo della sua passione trionfale, doveva risuscitare e presentarsi alla nostra fede nella sua sede celeste e nell’amore divino (s. Ambrogio). Maria e Giuseppe non sapevano tutto questo, non comprendevano le allusioni alla sua passione e alla sua glorificazione. Ma anche qui Maria si comporta da vera credente: Conserva tutte queste cose in cuor suo (2,51), aspettando con fede di poter comprendere meglio tutto ciò che veniva progressivamente rivelato sul suo Figlio.

 

 

V
SPOSA DELLE NOZZE MESSIANICHE A CANA (Gv 2,1-12)

Questo brano è anzitutto cristologico, ma è anche uno dei grandi temi mariologici. Il tema cristologico fondamentale è la manifestazione messianica della gloria di Gesù (2,11): il vino buono conservato fino adesso rappresenta la manifestazione messianica, la grazia della verità presente in Gesù (1,17), il suo vangelo (s. Agostino, In Ioh., 9,2; PL 35,1459); per mezzo del simbolismo delle nozze, egli si manifesta come lo sposo della nuova comunità messianica (cfr. anche 3,28-29).

È l’esegesi più antica, recepita anche dalla liturgia della Chiesa: Oggi la Chiesa si è unita allo sposo celeste.

Come il tema cristologico, così anche quello mariologico va interpretato a livello simbolico. La parola di Gesù: Che c’è tra me e te, o donna? indica che ormai è superato il tempo delle loro relazioni puramente familiari; Gesù invita sua madre a situarsi con lui nella prospettiva della sua missione messianica. Il titolo donna non è un’allusione alla donna del Protovangelo (Gen 1,15.20), ma un riferimento alla figlia di Sion, quella figura femminile che nella tradizione biblico-giudaica simboleggia Israele (cfr. Os 1-3; Is 62,11; Zc 9,9).

Maria viene interpellata come la figura della sinagoga (s. Tommaso), la madre-Sion della nuova alleanza.

Questo spiega che la sua parola ai servitori (Fate quello che vi dirà) sembra riecheggiare la formula usata dal popolo di Israele per sancire l’alleanza sinaitica (cfr. Es 19,8; 24,3.7; Dt 5,27) (Paolo VI, Marialis cultus, 57).

Cana è un simbolo della nuova alleanza. Questo simbolismo delle nozze messianiche non vale solo per Gesù, ma anche per Maria:

Nei loro gesti e nel loro dialogo, la Vergine e il Cristo, superando largamente i festeggiamenti locali, soppiantavano i giovani sposi di Cana per diventare lo sposo e la sposa spirituali del banchetto messianico (J. P. Charlier).

 

 

VI
MARIA E LA CHIESA

Gli ultimi due brani che consideriamo sono mariologici ed ecclesiologici insieme.

 

1. LA MADRE DEI DISCEPOLI: MARIA CHIESA NASCENTE (Gv 19,25-27)

Questa scena è il momento della nascita della Chiesa e l’inizio della maternità spirituale della madre di Gesù. La madre di Gesù (V. 25) viene presentata come la madre (V. 26) che diventa la madre del discepolo (V. 27); ed egli sarà suo figlio.

La maternità corporale di Maria verso il Figlio di Dio fatto carne fonda una maternità spirituale che ne è l’adempimento (Grelot). Non si tratta solo di relazioni personali; nessuna delle due persone presenti viene designata con il nome: è la loro funzione che conta, perché personificano due gruppi. Il discepolo amato rappresenta tutti i credenti. La madre di Gesù, chiamata donna (cfr. 2,4) è l’immagine della figlia di Sion.

Le parole di Gesù: Ecco tuo figlio, sembrano riecheggiare l’annuncio profetico alla madre-Sion, che vede tornare dall’esilio i suoi figli: Vedi radunati insieme i tuoi figli; ecco: tutti i tuoi figli vengono da lontano (Is 60,4 LXX; cfr. Bar 4,37; 5,5). In Maria si realizza quindi la comunità messianica; la madre di Gesù, nella sua funzione materna, diventa così anche la Chiesa nascente.

Questo progressivo allargamento della prospettiva verso la Chiesa mostra che è fuori posto pensare qui soltanto alle cure personali ed esterne del discepolo verso la madre di Gesù; egli deve accogliere spiritualmente colei che è diventata sua madre. Quindi dobbiamo leggere così Gv 19,27: Da quell’ora il discepolo l’accolse nel suo intimo e non la prese nella sua casa (Lezionario) o la prese con sé. La portata inesauribile di questo simbolismo lega intimamente il mistero della Chiesa e il mistero di Maria (Grelot).

Da quell’ora, un’accoglienza come quella del discepolo è chiesta a tutte le generazioni dei discepoli e di quanti confessano e amano Cristo (Giovanni Paolo II, Redemptor hominis, 22). Ma se Maria è qui immagine e inizio della Chiesa (LG 68), è allo stesso tempo madre della Chiesa, cioè di tutto il popolo di Dio (Paolo VI), la madre delle membra di Cristo, che siamo noi (s. Agostino).

Così la donna che era stata la madre di Gesù, diventa la madre spirituale dei fratelli di Gesù. Scrive Origene: Non c’è alcun figlio di Maria, se non Gesù... "Ecco il tuo figlio" equivale a dire: "Questo è Gesù che tu hai partorito". Infatti chiunque è perfetto "non vive più", ma in lui "vive Cristo"; e poiché in lui vive Cristo, vien detto a Maria: "Ecco il tuo figlio", cioè Cristo (In Ev. Ioh. I,23, PG 14,32).

 

2. LA DONNA DELL’APOCALISSE (12,1-18), IMMAGINE DELLA CHIESA

La donna è il simbolo del popolo di Dio. La figura femminile del C. 12 è in contrapposizione alla prostituta dei Cc. 17-19, e diverrà nei Cc. 19 e 21 la sposa dell’Agnello, la Gerusalemme celeste.

Il figlio maschio, destinato a governare tutte le nazioni con verga di ferro (V. 5: cit. del Sal 2,9), è senza dubbio il messia.

La donna che lo partorisce è presentata come una figura cosmica e celeste: ammantata di sole, con la luna sotto i piedi e sulla testa una corona di dodici stelle. Il testo probabilmente si ispira a Is 60, dove viene descritta la figlia di Sion messianica, tutta splendente della gloria di Dio (Is 60,1.19-20) e a Ct 6,10: Bella come la luna, brillante come il sole.

Le dodici stelle raffigurano le dodici tribù dei figli di Israele (12,12). La donna quindi è soprattutto la Chiesa. Le doglie del parto sono una metafora classica per descrivere la maternità escatologica di Sion (Mi 4,10; Is 26,17-18; 66,7-9; Gv 16,21). Non alludono qui alla nascita temporale del messia; sono un simbolo della Chiesa che deve partorire la totalità dei figli di Dio nelle sofferenze, durante tutto il tempo escatologico.

Il dragone, il serpente antico (V. 9) rimanda a Gen 3: è il nemico della donna e del suo seme; rappresenta le forze diaboliche avverse al popolo di Dio. Il figlio della donna è rapito al cielo (indica la glorificazione di Cristo), ma ella trova riparo nel deserto, dove ha un luogo preparato da Dio: è la Chiesa che è protetta e nutrita da Dio durante tutta la sua esistenza sulla terra.

Ci si può chiedere allora se c’è ancora posto per un’interpretazione mariologica di Ap 12. Questo secondo tipo di lettura non è solo possibile, ma necessario. Si noti anzitutto il simbolo della donna; sia in Lc (1,28) sia in Gv (2,4; 19,26) Maria era già considerta la figlia di Sion e proprio per questo viene chiamata da Gesù donna (a Cana e presso la croce). Maria era già l’immagine del popolo di Dio messianico, era già l’immagine della Chiesa. La donna partoriente dell’Apocalisse è la comunità messianica, che nel vangelo di Giovanni era rappresentata dalla madre di Gesù (T. Vetrali).

Come abbiamo visto sopra, il discepolo amato in Gv 19,25-27 era il simbolo di tutti i discepoli di Cristo, che diventano figli della madre di Gesù. In un modo simile la donna di Ap 12 non è solo la madre del messia, ma anche di tutti i rimanenti della sua discendenza, quelli che osservano i comandamenti di Dio e posseggono la testimonianza di Gesù (Ap 12,17).

Questi altri figli della donna sono proprio quelli che erano stati affidati da Gesù a sua madre (Gv 19,25-27). Il figlio maschio dell’Apocalisse si prolunga dunque negli altri discendenti della donna; così anche il simbolo della donna del libro dell’Apocalisse è l’allargamento, in senso collettivo ed ecclesiale, di ciò che era già la donna del vangelo, la madre di Gesù, la figlia di Sion, come figura della Chiesa.

Questa prospettiva ecclesiale del mistero mariano è stata espressa bene nel prefazio della festa dell’Immacolata: In lei (Maria) hai segnato l’inizio della Chiesa, sposa di Cristo senza macchia e senza ruga, splendente di bellezza.

 

 

VII
CONCLUSIONE

Da tutto quanto abbiamo detto appare chiaramente il legame strettissimo tra Maria e la Chiesa. La madre di Gesù viene presentata nella Scrittura come l’immagine della Chiesa. Questo implica che tutta la Chiesa è mariana (card. Journet) e ci invita sempre più a scoprire il volto mariano della Chiesa (H. Urs Von Balthasar).

La teologia della figlia di Sion esprime il mistero dell’alleanza tra Dio e il suo popolo. L’alleanza è al centro della Scrittura. Ora Maria rappresenta precisamente il popolo di Dio che dice al suo Dio e che diventa il modello permanente per tutta la Chiesa.

Ultima modifica il Giovedì, 05 Febbraio 2015 16:35
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