L’ANNO LITURGICO: ITINERARIO PRIVILEGIATO DELLA COMUNITÀ

Pubblicato in Missione Oggi

L’Anno liturgico: itinerario privilegiato della comunità

Saluto e prolusione alla 63a Settimana Liturgica Nazionale

Mazara del Vallo - Villa Favorita (Marsala) - 27 agosto 2012

 

Introduzione

L’autorevole pronunciamento del Vaticano II codificato dal capitolo V della Sacrosanctum Concilium (= SC) sull’anno liturgico1 ha fatto registrare una sorprendente attenzione da parte degli studiosi per un tema così rilevante all’interno della scienza liturgica, suscitando altresì una vivace letteratura di pensiero e un’ampia produzione bibliografica caratterizzata dalla ricerca scientifica storico-teologica. Nondimeno, si è fatta sempre più marcata nel tempo la preoccupazione pastorale esigita da un discorso organico e adeguato su di esso.

 

È opportuno considerare altresì che il pronunciamento conciliare della SC si era reso necessario soprattutto dopo alcune suggestioni emerse dalla Mediator Dei di Pio XII (1947),2 al fine di garantire  anzitutto una solida base di riflessione teoligica e contemporaneamente supportare la riforma del calendario le cui scelte operative dovevano corrispondere alle acquisizioni dottrinali. Ciò in considerazione del fatto che la perdita delle categorie teologiche nell’interpretazione della celebrazione liturgica aveva

condotto, in epoca medievale, a configurare l’anno liturgico come una serie di “esempi” da imitare e di “rappresentazioni” di fatti storici della vita di Cristo da riproporre al popolo cristiano.

 

A partire pertanto dalla discussione conciliare3 e dall’immediato postconcilio,4 si era imposto un discorso teologico serio e organico dovendo l’anno liturgico assolvere il precipuo e nativo compito pastorale che tradizionalmente la prassi liturgica gli ha da sempre affidato, quello di essere luogo e strumento permanente di educazione alla fede nonché struttura celebrativa che consente una esposizione continua e progressiva del piano salvifico di Dio nella storia.

 

 

1. Anno Liturgico: memoria suavitatis

Le acquisizioni storico-teologiche conseguite nell’ambito della ricerca non hanno sortito però sul piano pastorale i frutti desiderati. L’anno liturgico con le sue stagioni non poche volte è stato ridotto da una certa prassi a un insieme di “contenitori cronologici” vuoti5 da  riempire attraverso iniziative di diverso genere e di diversa natura; ciò è frutto, purtroppo, di una mentalità ancora vigente nell’azione pastorale, quella cioè di non lasciarsi penetrare dalla stessa celebrazione liturgica che è spazio vitale e luogo privilegiato del venire di Dio tra i suoi, e con noi camminare nella storia verso la pienezza della gloria.

 

Sotto questo profilo, credo sia nota ai più la lettura dei programmi pastorali parrocchiali là dove l’anno liturgico si presta a una specie di “trimestralizzazione”6 del cosiddetto anno ecclesiastico, in cui i testi liturgici sono considerati come quaderni rituali in attesa di essere riempiti da proposte catechetiche, e le feste ridotte a occasioni di incontro, senza purtroppo interrogare i testi della liturgia, biblici ed eucologici.

 

Non si può non intravedere in questa prassi una sorta di deriva teologica là dove vengono anteposti i nostri programmi e fissate le nostre mete a quelli del Signore, l’unico a dover determinare l’ordine del giorno della nostra peregrinazione, finché il nostro cammino

non sfoci nella gloria del Regno; un cammino progressivo – mai ripetitivo! - che dal fonte battesimale conduce alla Gerusalemme del cielo tutti i rinati dall’acqua e dallo Spirito.

 

E senza soluzione di continuità i figli della Chiesa sono messi a parte del mistero di Cristo e fatti partecipi dei mysteria carnis Christi nella celebrazione dell’unico mistero di salvezza che è Lui stesso, Gesù Cristo morto e risorto, che sovrasta e include in sé stesso tutta la storia, essendo Egli “Alfa e Omega, Principio e Fine” (Ap 21,6).

 

In lui, tutta la vita della Chiesa trascorre nella continua memoria suavitatis, per usare un’espressione di San Bernardo;7 una memoria che se fa volgere lo sguardo sugli eventi passati, subito fa tendere lo sguardo sul presente, nell’hodie della celebrazione liturgica, momento privilegiato del nostro inserimento nell’unounicosempre identico mistero (O. Casel), la sua pasqua di morte e risurrezione.

 

In tal modo il tempo, riscattato dalla noia della monotonia e dall’angoscia di trovarsi di fronte all’ignoto - il metus temporis – viene vissuto dalla comunità credente pellegrina sulla terra in compagnia del Signore Gesù, che del tempo stesso è il significato e il fine, essendo Egli temporis auctor et creator, come lo chiama Sant’Ambrogio.8 In questa temperie, non sarebbe allora fuori luogo denominare l’anno liturgico il sacramento dei “tempi beati” (beata tempora), dal momento in cui chi lo percorre “passa per la valle del pianto e la cambia in una sorgente” “cresce lungo il cammino il suo vigore, finché compare davanti a Dio in Sion” (cfr. Sal 84,7.8).

 

“In questo tragitto non siamo però sottratti al tempo cronologico, che da ogni parte ci avvolge. Esso non è abrogato o soppresso, ma perdura sia come fattore di crescita terrena, sia come coefficiente di declino, quando nella sua implacabile corsa logora e

debilita il corpo”.9 Ecco perché, l’anno liturgico è un itinerario e un prolungamento di grazia là dove i suoi vari misteri in un intreccio di lex supplicandi e di lex credendi, di accenti imploranti e di confessione della fede, mentre ricordano questa grazia, non cessano di elargirla a una Chiesa intimamente congiunta a Cristo Signore.

 

2. Anno Liturgico: itinerario privilegiato di fede

A questo punto risaltano l’imprescindibile compito e la grave responsabilità di tutti gli operatori pastorali e soprattutto di ogni pastore d’anime, che per primo deve essere persuaso che l’educazione normale e più comune dei fedeli alla mentalità e allo spirito cristiano deve avvenire proprio attraverso il percorso dell’anno liturgico, con i ricorrenti appuntamenti delle domeniche e delle feste. Altresì, dovrà essere esattamente considerato questo il compito della Chiesa, che ha disposto gli avvenimenti della vita storica di Gesù come trama nell’ordito di un anno: “aperire mysteria, come farebbe una mano di madre intenta a rompere il guscio delle noci per farne gustare il gheriglio ai propri figli”.10 D’altronde, se aprire “ai fedeli i tesori della potenza e dei meriti del suo Signore”11 perché ne vengano a contatto con Cristo è il senso dell’anno liturgico, celebrare Cristo nel tempo vorrà dire allora frequentare Colui che è la chiave di lettura dell’intero progetto divino, dalla creazione alla sua ultima manifestazione gloriosa.

 

I Vescovi italiani, negli Orientamenti pastorali per il decennio 2010-

2020, parlando della liturgia, dicono:

 

“La liturgia è scuola permanente attorno al Signore risorto e luogo educativo e rivelativo in cui la fede prende forma e viene trasmessa. Nella celebrazione liturgica il cristiano impara a gestire come è buono il Signore […], passando dal nutrimento del latte al cibo solido […], fino a raggiungere la misura della pienezza di Cristo”.12

 

E aggiungono:

“Tra le numerose azioni svolte dalla parrocchia ‘nessuna è tanto vitale e formativa della comunità quanto la celebrazione domenicale del giorno del Signore e della sua Eucaristia”.13

 

Ovviamente l’educazione/formazione di cui parlano i Vescovi non è da intendersi alla stregua della psico-pedagogia delle scienze umane; la liturgia non è un puro atto di culto concepito come azione umana nei riguardi di Dio, quanto invece presenza divina sotto forma misterica volta a creare nei credenti quel progressivo contatto con il mistero di Cristo in vista della perfetta cristificazione dell’uomo nuovo nato dalla Pasqua. Sicché, nello spazio e nel tempo, l’anno liturgico è destinato a diventare luogo nel quale la Parola e la Liturgia sono come i due fuochi, le coordinate sorgive della vita buona dell’evangelo, affinché “arriviamo tutti all’unità della fede e della conoscenza del Figlio di Dio, fino all’uomo perfetto, fino a raggiungere la misura della pienezza di Cristo” (Ef 4,13).

 

Questo è il dono dell’anno liturgico: permettere di vivere in Cristo. Questa è la misura della pienezza di Cristo: raggiungere il traguardo, oltre il tempo.

 

Collocando l’anno liturgico in questo orizzonte educativo, esso  costitutivamente deve essere considerato come itinerario privilegiato di fede per la comunità; itinerario che non è mai concluso, perché si coestende a tutta la vita con la scoperta e la consapevolezza progressiva della fede. Nondimeno, va sottolineato che questo aspetto, purtroppo non è stato sufficientemente valorizzato se non proprio trascurato, nonostante alcuni pronunciamenti magisteriali in merito, di alto profilo programmatico.

 

Infatti, emerge una realtà che porta a rilevare quanto sia grande il dislivello tra la visione ideale dell’anno liturgico e il vissuto pastorale. I pronunciamenti magisteriali, cui farò riferimento, esigono infatti di mettere in atto quelle strategie che, frutto dell’esperienza secolare, devono essere considerate come imprescindibili punti di riferimento al fine di evitare ogni forma di occasionalità e frammentarietà nella proposta di fede. D’altronde è una convinzione affermata costantemente in tutti i documenti della Chiesa, perché profondamente radicata nell’antichità cristiana, attraverso l’insegnamento dei Padri.

 

3. Riferimenti magisteriali

Infatti, sono i nostri vescovi a proporcelo quando affermano senza mezzi termini che “l’anno liturgico costituisce il grande itinerario di fede del popolo di Dio”. E poi aggiungono: “Il modo più ordinario per seguire un itinerario di fede è condividere il cammino della Chiesa nell’anno liturgico scandendone su di esso le tappe”.14 E, perché fosse ancora più

chiaramente esplicitato, incalzano: “Come ambiente ecclesiale tipico per compiere l’itinerario di fede, non deve essere messo in secondo piano da nessun’altra esigenza o proposta pastorale”.15

 

Da ciò si evince che i valori pedagogico-educativi legati alla ciclicità del tempo dovranno essere dettati dal Lezionario che narra in modo totale la storia della salvezza e dai riti e dalle preghiere in cui è condensata la fedeltà al manifestarsi di Dio nella storia. Sì, perché è dalla particolare strutturazione del tempo liturgico che è scaturita un’altrettanta particolare metodologia nell’annuncio dell’intera vicenda storico-salvifica che trova nel Lezionario la sua calendarizzazione. Né deve essere trascurata la ricchezza della eucologia quale testimonianza di una fede pregata e celebrata; essa è il risultato del contatto vivo e vivificante del mistero di Cristo e sintesi tra la ricerca orante del Dio della salvezza e le situazioni immediate, vissute dai fedeli nel loro perenne esodo.

 

Sempre nell’ambito dei pronunciamenti magisteriali, come non richiamare ancora l’apodittico dettato del Rito dell’iniziazione cristiana degli adulti (= RICA) laddove si asserisce che “l’anno liturgico e la celebrazione del ‘dies dominicus’ formano il perno della catechesi permanente dell’intera comunità: ad essi si devono far convergere tutti gli itinerari catecumenali propri delle diverse età della vita umana”.16

 

Così enunciato, esso non può non diventare che la strada obbligata per rispondere alla sfida pastorale dell’ora presente, quella di condurre i battezzati da una fede di tradizione a una vera adesione a Cristo, con una appropriazione personale della stessa fede, in quanto, molti che si ritengono credenti, forse non hanno mai detto un vero “sì” a Cristo.

 

E se l’anno liturgico segue passo passo le tappe del mistero di Cristo, ripresentandone lo sviluppo progressivo, non lo fa di certo per riprodurre un dramma storico, ma per stimolare i fedeli a compiere lo stesso cammino di Cristo perché, guardando a Lui, e con la forza che scaturisce dai santi segni dell’azione liturgica, l’itinerario storico del Signore Gesù diventi lo stesso loro itinerario, lungo il migrare dei giorni.

 

Non possiamo altresì dimenticare quando circa quarant’anni fa, i Vescovi italiani, licenziando il documento Evangelizzazione e sacramenti, costituivano l’anno liturgico come sede primaria di un processo di educazione alla fede e di conversione “con cui l’uomo, mosso dall’annuncio della buona novella, viene gradualmente introdotto nel

mistero di Cristo e della Chiesa”.17

 

Richiamando poi la struttura dell’antica istituzione del catecumenato, dove la quaresima costituiva il tempo forte e la Pasqua il culmine, aggiungono nello stesso documento: “Non si tratta di rievocare metodi di altri tempi, né proporre ricette o introdurre rigide strutture: bensì di suscitare uno spirito, una mentalità, che possa tradursi in forme diverse di applicazione, ma che animi tutto l’impegno della catechesi, cui è particolarmente chiamata la Chiesa oggi in Italia”.18

 

Questa chiaroveggenza di sapore profetico sembra essere rimasta sulla carta, “come del resto altre intuizioni e piste di quel documento. Non se ne sono misurate adeguatamente sia la portata sia - soprattutto - le concrete implicazioni pastorali”: a sostenerlo è il nostro P. Luca Brandolini.19

 

Il metodo patristico che d’altronde soggiace al magistero episcopale ha un collegamento con l’anno liturgico, un punto essenziale di non ritorno.Per cui, il periodo quaresima-pasqua porta in sé la nativa impronta catecumenale-battesimale. E tale deve rimanere. Perciò, se dovessimo prendere in considerazione la lettera e lo spirito di Evangelizzazione e Sacramenti, dovremmo dire senza esitazione che i sacramenti dell’iniziazione cristiana (B - C - E) non possono essere collocati a caso nel calendario, in funzione del disbrigo degli impegni. Essi vanno inseriti nel ritmo vivo dell’anno liturgico, quale punto di riferimento per un itinerario differenziato di fede, la dove è richiesta l’attenzione alle situazioni di quelli che intendono riscoprire il mistero di Cristo. E ciò, ovviamente, chiama

in causa la fantasia pastorale, attenta alle persone e alle loro situazioni.

 

Pertanto, la grande festa pasquale che dura cinquanta giorni è un periodo che per sua natura dovrebbe esaltare la centralità dell’Eucaristia. Per la qualcosa, la Prima Comunione, collocata in genere in questo periodo, dovrà essere colta come punto culminante di tutta l’iniziazione cristiana, non come appannaggio dei bambini

che vi si accostano, ma come celebrazione di tutta la comunità.

 

La quaresima invece offre un quadro ideale per le celebrazioni comunitarie della penitenza che è come un secondo battesimo e per il primo accostamento dei ragazzi al sacramento della riconciliazione.

 

Sotto il profilo rituale, la consegna della candela accesa del battesimo, in tal senso, potrebbe visualizzare il collegamento dei due sacramenti.

 

Il sacramento della cresima - pur collocato in altra data per serie ragioni pastorali - trova la sua cornice più connaturale nell’ultima parte della cinquantina pasquale, tutta polarizzata alla Pentecoste. E se è vero che non esistono regole rigide, è pur vero che quella “conversione pastorale” 20 tanto invocata esige un vivo senso della liturgia, armonizzato con l’inventiva pastorale che dovrà condurre a soluzioni migliori.21

 

Io dico a questo punto, mi si dirà: nelle nostre parrocchie non mancano iniziative particolari, come durante la quaresima e l’avvento. Certo. Esse però non sempre appaiono inserite in una pedagogia catechetica e sacramentale continuativa sì da far emergere la globalità e l’unitarietà dell’anno liturgico e del mistero di Cristo. In genere, dette iniziative sono diventate abitudinarie, perché in diretta preparazione alla festa e ai sacramenti, rischiando di restare delle parentesi esortative, fuori da un progetto unitario e globale, così

necessario per un autentico cammino di fede.

 

 

Altrettanto dicasi della pietà popolare, la quale, o è stata bandita e ripudiata oppure ha continuato a prevalere sull’anno liturgico, ingenerando una pericolosa rinascita del devozionalismo disordinato, indipendente dall’anno liturgico e dal mistero di Cristo

in esso celebrato

.

4. Pellegrini nel tempo

Sintesi felice che ha collegato la pedagogia biblica con il cammino sacramentale, l’anno liturgico dovrebbe, invece, costituire la struttura portante e conglobante tale da assicurare a tutte le iniziative la necessaria unità attorno al mistero di Cristo che dà alla vita cristiana

una tensione in avanti verso la piena maturità di Cristo. E non è forse questo il tema della 63a Settimana Liturgica Nazionale: L’Anno Liturgico: pellegrini nel tempo. Itinerario educativo alla sequela di Cristo?

 

All’uomo pellegrino nel tempo, la Chiesa ha un pegno di speranza e un viatico da offrire: è ciò che il suo Sposo “ha lasciato ai suoi in quel sacramento della fede […] come banchetto di comunione fraterna e pregustazione del convito del cielo” (GS 38).

 

Inserito in Cristo, anche il credente diventa, così, signore del tempo e della storia dominandoli con la sua attività e predisponendo continuamente l’avvento del Regno con il culto della vita (cfr. Rm 12,1). E se il termine ultimo di questo cammino cronologicamente ci sfugge, ontologicamente è già nelle nostre mani, nell’oggi dell’evento liturgico in cui memoria e profezia, bisogno e attesa, promessa e  speranza si concentrano per suscitare in ogni credente il desiderio struggente dell’esiliato, quale desiderio della patria beata.

 

Ecco perché la Chiesa, nel dies dominicus ci fa cantare: “ogni giorno del nostro peregrinare sulla terra è un dono sempre nuovo” di Cristo per noi,22 cui potrebbe fare eco l’invito di Agostino, oggi rivolto a noi: “Cantate amatoria patriae vestrae”. Sì, a Cristo Signore, “ponte tra tempo ed eternità”23 cantate in questo pellegrinaggio terreno i canti d’amore della patria, lieti di essere oggi viatores, domani beati comprehensoresnella dimora del cielo.

 

Con questo invito agostiniano dichiaro aperta la 63a Settimana Liturgica Nazionale nella diocesi di Mazara del Vallo, mentre porgo il mio fervido, fraterno saluto a S. E. Mons. Domenico Mogavero, vescovo diocesano, agli ecc.mi confratelli, a tutte le onorevoli autorità civili e militari, agli illustri relatori e a tutti i settimanalisti giunti da tutta l’Italia.

Auguri a tutti di buona settimana.

 

† Felice di Molfetta

Vescovo di Cerignola-Ascoli Satriano

Presidente del CAL

 

1 “La santa madre chiesa considera suo dovere celebrare con sacra memoria, in

determinati giorni nel corso dell’anno, l’opera di salvezza del suo Sposo divino (opus

salutiferum… sacra recordatione celebrare). Ogni settimana, nel giorno che ha chiamato

‘domenica’ fa memoria della risurrezione del Signore, che ripete pure una volta all’anno,

insieme alla sua beata passione, nella massima solennità di pasqua. Distribuisce poi l’intero

mistero di Cristo nel corso dell’anno, dall’incarnazione e dalla natività fino all’ascensione, al

giorno di pentecoste e all’attesa della beata speranza e del ritorno del Signore. Ricordando

in questo modo i misteri della redenzione, essa apre ai fedeli i tesori della potenza e dei

meriti del suo Signore, in modo da renderli come presenti a tutti i tempi, affinché essi

possano venirne a contatto ed essere pieni della grazia di salvezza”: CONCILIO ECUMENICO

VATICANO II, Costituzione sulla Sacra Liturgia Sacrosanctum Concilium, 4 dicembre 1963, in

EV/1, n. 102/183.

2 “Perciò, l’anno liturgico, che la pietà della Chiesa alimenta e accompagna, non è una

fredda e inerte rappresentazione di fatti che appartengono al passato, o una semplice e

nuda rievocazione di realtà d’altri tempi. Esso è, piuttosto, Cristo stesso, che vive sempre nella sua Chiesa e che prosegue il cammino di immensa misericordia da Lui iniziato con

pietoso consiglio in questa vita mortale, […] misteri che sono perennemente presenti ed

operanti, […] perché, […] sono esempi illustri di perfezione cristiana, e fonte di grazia

divina per i meriti e l’intercessione del Redentore, e perché perdurano in noi col loro

effetto, essendo ognuno di essi, nel modo consentaneo alla propria indole, la causa della

nostra salvezza”: PIO XII, Mediator Dei, 20 novembre 1947, in AAS, XXXIX (1947) 14, p.

580. S. Marsili in tal senso coglieva nell’enciclica Mediator Dei una interpretazione dottrinale

dell’A. e da lui definita “morale edificatoria”. Cfr. Teologia Liturgica: III Anno liturgico,

Pontificio Ateneo Sant’Anselmo (pro manuscripto), Roma 1972.

3 Cfr. Acta Synodalia Sacrosancti Concilii Oecumenici Vaticani II, Vol. I, Periodus primo, Pars

II, Typis Polyglottis Vaticani 1970, pp. 475-487, 588-674, 679-769.

4 S. MARSILI, Teologia Liturgica: cit., pp. 104-108; P. JOUNEL, Commento al cap. V della SC,

in La Maison-Dieu 77 (1964), pp. 177-179.

5 L. DALLA TORRE, Problematiche pastorali sull’Anno Liturgico in rapporto al calendario e ai

ritmi odierni della vita, in L’Anno Liturgico. Atti dell’XI Settimana di Studio dell’A.P.L., Brescia

23-27 agosto 1982, Marietti, Casale 1983, p. 32.

6 Ibid.

S. BERNARDO, Sermo in Nativitate Mariae, 11.

8 AMBROGIO, De fide in 9,58.

9 T. BIFFI, Per l’inizio dell’anno liturgico. La corona che plasma il tempo, in OR, 24

novembre 2010, p. 4; IDEM, Il tempo liturgico e le sue stagioni, in OR, 26 novembre 2011, p. 4.

10 S. BERNARDO, Sermo in cena Domini, da Ibid.

11 CONCILIO ECUMENICO VATICANO II, Costituzione sulla Sacra Liturgia Sacrosanctum

Concilium, cit., in EV/1, n. 102/183.

12 CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA, Educare alla vita buona del Vangelo (Roma, 4

ottobre 2010), n. 39.

13 Ibid.

14 CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA, Eucaristia. Comunione e Comunità. Itinerari di

fede, 22 maggio 1983, n. 89, in E/CEI 3, n. 88/1333, in particolare n. 89/1334.

15 CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA, Orientamenti per il risveglio della fede e il

completamento dell’iniziazione cristiana in età adulta. Nota pastorale del Consiglio Episcopale

Permanente, 8 giugno 2003, n. 36, in E/CEI 7, n. 36/1026.

16 RITUALE ROMANO RIFORMATO A NORMA DEI DECRETI DEL CONCILIO ECUMENICO

VATICANO II E PROMULGATO DA PAPA PAOLO VI, Rito dell’iniziazione cristiana degli adulti, 30

gennaio 1978, Roma, Conferenza Episcopale Italiana-Libreria Editrice Vaticana, 1978,

Premesse CEI, p. 12, n. 2. Cfr. anche CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA, Evangelizzazione e

sacramenti. Documento pastorale dell’episcopato italiano, 12 luglio 1973, in E/CEI 2, n.

85/476: “L’anno liturgico ha mantenuto, nel suo ritmo sacramentale, la struttura dell’antica

istituzione del catecumenato: la quaresima ne costituisce il tempo forte e la pasqua il

culmine. È questo l’itinerario catecumenale proprio dell’intera comunità, e adatto a tutte le

età della vita umana”.

17 CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA, Evangelizzazione e sacramenti. Documento

pastorale dell’Episcopato Italiano, 12 luglio 1973, in E/CEI 2, n. 84/475.

18 Ivi, n. 86/477.

19 L. BRANDOLINI, A Mazara per ri-educarci a vivere l’anno liturgico, in Liturgia 243 (2012), p.

35.

20 Cfr. CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA, Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia.

Orientamenti pastorali dell’Episcopato Italiano per il primo decennio del 2000, 29 giugno

2001, in E/CEI 7, n. 46/209.

21 Cfr. M. MAGRASSI, Per voi sono vescovo. Con voi sono cristiano. Nel XX di episcopato,

Ecumenica Editrice, Bari 1997, p. 42.

22 Messale Romano, VD, VI delle domeniche per annum.

23 J. RATZINGER, Teologia della liturgia, Opera Omnia, XI, p. 95.

 

 

Ultima modifica il Giovedì, 05 Febbraio 2015 16:39

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