IV Convegno Ecclesiale Missionario 2ª parte

Pubblicato in Missione Oggi
{mosimage}5. IL GRIDO DEI POVERI

La prima conseguenza di una visione globale a partire dal locale è la presa di coscienza della crescente povertà nel mondo, con 3 miliardi di poveri su 6 miliardi di abitanti del pianeta e con 1 miliardo e 200 milioni di "poveri assoluti" o schiavi della sopravvivenza (ultimi dati ONU). La vicinanza ai poveri è una necessità per la Chiesa, perché solo a partire da essi si ha la percezione autentica del Vangelo: "Ai poveri è annunciata la Buona Novella" (Mt 11,5). Una Chiesa che non ha coscienza della povertà nel mondo e che non sta concretamente dalla parte dei poveri, non è più la Chiesa delle Beatitudini, la Chiesa che segue le orme di Gesù Cristo, così come recita il noto n. 8 della Lumen gentium: «... come Cristo ha compiuto l'opera della redenzione in povertà e nella persecuzione, così la Chiesa è chiamata ad incamminarsi per la stessa via per comunicare agli uomini i frutti della salvezza.
Cristo Gesù "pur essendo di natura divina... spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo" (Fil 2,6-7) e per noi "da ricco che era si è fatto povero" (2 Cor 8,9) così la Chiesa, quantunque abbia bisogno di mezzi umani per compiere la sua missione, non è fatta per cercare la gloria terrena, bensì per far conoscere anche con il suo esempio l'umiltà e l'abnegazione».

Il rischio per la Chiesa italiana è duplice: che lasci i poveri del suo territorio "fuori dalla porta", perché composta in prevalenza da una classe media volenterosa, ma più che mai pervasa di consumismo e preoccupata del suo fragile benessere; e che dimentichi del tutto - salvo periodiche collette - i tre miliardi di poveri nel mondo. Al grido di tanti bisognosi sul territorio nazionale e nel Sud del mondo si risponde con gesti di una generosità che acquieta le coscienze, ma con poca attenzione al dovere di giustizia. Pare che negli ultimi documenti dell'episcopato italiano la parola "giustizia" risuoni con minore forza.

Missione e nuova evangelizzazione passano, anche per la Chiesa italiana, attraverso la scelta preferenziale dei poveri, chiamati nelle scelte pastorali a essere soggetti attivi nella società e, se cristiani, nella Chiesa.

6. MISSIONARI DI RITORNO

La maggior parte dei membri degli Istituti missionari che si trovano attualmente in Italia è "reduce" dalle missioni. Il loro rientro è spesso traumatico. Partiti per "portare la fede della loro terra" ad altre terre, trovano che nel Paese "cristiano" da cui sono partiti c'è meno fede, meno speranza e meno amore che nei Paesi da cui rientrano. Si trovano immersi in una cultura del consumismo che troppo contrasta con le visioni di miseria e di sofferenza che hanno negli occhi. Meno profonda è l'intensità delle relazioni umane, diversi i ritmi del tempo, poco praticata l'ospitalità; superficiali, rapide e prevalentemente emotive le reazioni ai fatti anche più gravi... Diventa allora difficile per loro riprendere i contatti con "questa" realtà.

Pensano di farsi voce delle giovani Chiese nella loro "antica Chiesa", ma qui incontrano forse la più forte delusione. Perché di quelle esperienze di grazia sentono che si fa poco conto. Parlano di celebrazioni lunghe e festose, di piccole comunità cristiane o comunità di base, di una ricca manifestazione di carismi, di tanti ministeri esercitati con fervore e responsabilità, di impegno a fianco dei poveri, di lotte per la giustizia e i diritti umani, di fatica e bellezza dell'inculturazione, di severi catecumenati, di sofferenze e martiri di cristiani coerenti... e non trovano eco, come se quella non fosse vita di Chiesa e patrimonio di tutta la famiglia dei credenti. «Qui è tutto diverso - si sentono dire -. Tutto questo non serve».

7. UN NUOVO MODELLO DI CHIESA

I "missionari di ritorno" raccontano un nuovo modello di Chiesa, che certo non può essere trasportato di peso nel nostro mondo - dove una Chiesa dalle antiche radici ha il suo ricco patrimonio di tradizione, di teologia, di pratica pastorale e tuttavia può offrire molti stimoli al rinnovamento in senso missionario della pastorale. Proviamo a enumerarne alcuni.

  1. La centralità del primo annuncio. Nelle giovani Chiese si ha coscienza che Cristo, crocifisso e risorto, deve essere proclamato "agli altri" come principio di speranza. Si vive la gioia di quanti lo incontrano per la prima volta e trovano in lui la conoscenza del Padre e la possibilità di una vita nuova.
  2. La ricchezza dei carismi e dei ministeri, che rende sacerdoti, religiosi e laici corresponsabili della vita e della missione della Chiesa. Si pensi ai catechisti, agli animatori delle piccole comunità cristiane, alle guide della preghiera. Le Chiese dell'estremo Oriente asiatico enumerano, per esempio, nei loro documenti ben 70 ministeri riconosciuti!
  3. La bellezza e vitalità delle "comunità ecclesiali di base" (America Latina) o "piccole comunità cristiane" (Africa e Asia), dove il Vangelo si coniuga con la vita e si fa esperienza di Chiesa come fraternità, condivisione, collaborazione, corresponsabilità... Sempre fragili, piccole e disperse, queste comunità rendono più solida la fede di quanti ne fanno parte e proclamano concretamente la risurrezione del Signore.
  4. Il distacco dal potere e dalle sicurezze mondane. Non ci sono privilegi da difendere, non c'è ricchezza da mantenere, non c'è (e per fortuna spesso non è possibile!) nessun compromesso antievangelico con i potenti. Chiese deboli e povere, qualche volta anche perseguitate, ripongono la loro unica fiducia nella forza della Parola e dello Spirito. La Chiesa istituzione evita intrusioni nel dibattito politico e lascia le scelte concrete al libero confronto delle opinioni e delle valutazioni dei cittadini,conservando così la sua libertà profetica, che diventa quando è necessa¬rio e spesso è purtroppo necessario ferma denuncia della corruzione,degli sfruttamenti, delle ingiustizie commesse dai pochi potenti contro i tanti deboli. Proprio per questo acquista autorevolezza fra la gente e viene allora chiamata, ma in "seconda istanza", a opera di pacificazione e/odi mediazione politica.
  5. La "prossimità" con i poveri e i sofferenti, che sono spesso, come avveniva nella prima Chiesa, la maggioranza dei credenti. La Chiesa sta di più "tra la gente" e ne condivide spesso la povertà, i disagi, le debolezze.
  6. Lo sforzo dell'inculturazione, che obbliga a ripensare l'immutabile messaggio per incarnarlo nella vita e nella cultura propria di un popolo odi un gruppo umano. Cultura che spesso va purificata, ma che pure rappresenta una ricchezza per la fede.
  7. La lunga pratica del catecumenato, che prepara gli adulti ad assumere consapevolmente il battesimo e la vita nuova che da esso scaturisce.
  8. Il dialogo ecumenico e quello con le altre religioni, che diventa spesso una necessità, in quanto si vive e si opera nello stesso ambito territoriale,ma che proprio per questo è anche uno stimolo a definire la propria identità sulla base originaria della Parola di Dio e non di tradizioni umane.
Affrontando oggi la Chiesa di Dio che è in Italia, il passaggio dalla pastorale di conservazione alla pastorale di missione dovrebbe confrontarsi con queste "dinamiche" delle giovani Chiese. Non significa che esse siano modelli da imitare, né che non abbiano in sé debolezze e umane miserie (di cui sono anche loro "ricchissime": ecclesia semper reformanda). Significa solo che in esse si sperimenta meglio la freschezza del Vangelo, novità di vita e orizzonte di speranza per tutti.

CONCLUSIONE

Gli Istituti missionari presenti in Italia e parte della Chiesa italiana vivono con questa tutte la difficoltà del momento presente:

  • a) le difficoltà del popolo italiano in un'ora di grande "crisi" (sociale, politica, istituzionale), che è passaggio (pasquale!) ad un nuovo modo di vivere la sua appartenenza all'Europa e al mondo, ad una società non più monolitica, ma multietnica, multiculturale, multireligiosa, nel quadro diuna globalizzazione che resta inquinata da presupposti ideologici di indi¬vidualismo, agnosticismo, relativismo e liberismo;
  • b) le difficoltà della Chiesa, che deve conservare la ricchezza della tradizione religiosa del popolo italiano in un quadro completamente mutato."Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia" è per questa Chiesa un compito inedito. La missione in Italia (ed anche in Europa e in tutto il mondo post-cristiano) è tutta da inventare.

"Esperti di missione fra i popoli non cristiani" i missionari non sono né modelli, né maestri. Possono solo mettere a disposizione la radicalità del loro impegno per il Vangelo e quello che apprendono sulle strade del mondo. Lo fanno come umili figli di quella Chiesa di Dio che è chiamata a essere testimone del Cristo Risorto in Italia, in Europa e fino ai confini della Terra.
Ultima modifica il Giovedì, 05 Febbraio 2015 16:55
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