Cammini di comunione IMC MC: collaborazione e autonomia

Pubblicato in Missione Oggi
Per continuare e concludere la riflessione sul tema, pubblichiamo i seguenti contributi, in due puntate. La prima prevede Fondatore e carisma e Approfondimenti biblici. Nella seconda pubblicheremo gli Aspetti psicologici e Vita religiosa e missionaria.

1 – FONDATORE E CARISMA : P. Francesco Pavese e Sr Angeles Mantineo
2 – APPROFONDIMENTI BIBLICI: Sr Renata Corti e P. Mario Barbero
3 – ASPETTI PSICOLOGICI: Sr Simona Brambilla e P. Renzo Marcolongo
4 – VITA RELIGIOSA E MISSIONARIA: Sr Teresa Agostino e P. Ramon Cazallas

COLLABORAZIONE – AUTONOMIA IMC-MC NELLO STILE CONSOLATINO DELL’ALLAMANO

P. Francesco Pavese

Premessa

Il Fondatore ha trasmesso il proprio carisma sia ai missionari che alle missionarie, perché, sulla base dell’esperienza dei primi missionari, era convinto della necessità dell’azione apostolica congiunta degli uomini e delle donne. È stato ed è “padre” sia dei missionari che delle missionarie: garantisce l’unità morale, spirituale e apostolica della famiglia consolatina (suore, fratelli, sacerdoti).


I. COMUNIONE – COLLABORAZIONE AL TEMPO DEL FONDATORE

Prima di parlare di collaborazione, bisogna parlare di “comunione”, dalla quale consegue logicamente la collaborazione.

1. Comunione tra IMC-MC il Fondatore l’ha garantita in diversi modi:

a. fondando le suore che avessero lo stesso spirito dei missionari: solo missionari e religiosi con il carisma (spirito, stile di vita e di azione) dell’Allamano (era una ragione per la quale mons. Perlo insisteva presso il Fondatore di avere le “nostre” suore).

b. Dando lo stesso nome: Missionari/e della Consolata: il nome esprime l’identità. Nell’IMC e MC il Fondatore ha immesso una e non due identità.

c. Formando i missionari e le missionarie allo stesso modo, con gli stessi contenuti Gli appunti manoscritti delle conferenze quasi sempre erano gli stessi usati per gli incontri con i missionari e con le missionarie(con qualche adattamento nel parlare, rispettando la diversità delle psicologie).

d. Esortando al rispetto e alla fraternità. Si esaminino le conferenze rispettivamente alle suore e ai missionari, dove il Fondatore parla di famiglia e dice chiaramente che «questo è l’affetto che ci deve essere tra fratelli e sorelle» (Conf. MC, II, 15); «Siamo in famiglia, fratelli e sorelle e dobbiamo amarci» (Conf. IMC, II, 252). In entrambi i casi, per chiarire il modo di comportarsi, aggiunge l’espressione «ciascuno dalla sua parte», intendendo non tanto l’aspetto giuridico, quanto quello del rispetto e della riservatezza che ci devono essere tra uomini e donne.

e. Dando notizie vicendevoli ai due gruppi, durante le conferenze, per tenerli informati e spiritualmente uniti (esempi: Conf. IMC, I, 561; Conf. MC, II, 14; ecc.);

f. Organizzando partenze assieme di missionari e missionarie. Arrivare insieme in missione è segno di unità e di collaborazione nell’apostolato.

2. Collaborazione: va compresa bene. All’inizio alle suore era richiesto anche il servizio di assistenza ai missionari e la cura per l’andamento della missione. Ciò non era inteso come una collaborazione umiliante. Basta notare la nobiltà con cui il Fondatore parla alle suore di questo compito, paragonandole alle “madre di famiglia” (Conf. MC, II, 143; III, 154, 337; 512) e addirittura alle “pie donne”, facendo ben notare quanto diceva (Conf. MC, II, 14-15).

La vera e sostanziale collaborazione, però, era sul piano apostolico. Alle suore: «Dovete dire: io sono una apostola» (Conf. MC, I, 186). Basta pensare come il Fondatore immaginava le sue missionarie: “Sacerdotesse”, “diaconesse”, “madri predicatrici”, le quali, eccetto le funzioni legate all’ordine sacro, potessero collaborare in modo ampio nell’apostolato: «ma il resto più o meno potete farlo tutto» (Conf. MC, II, 696; cf. Conf. MC, III, 357). Si pensi, inoltre, all’impegno delle suore nelle visite ai villaggi (Conf. MC, I, 122, 239: III, 478, 535) e nella catechesi (Conf. MC, I, 186; II, 126, 157, 685; III, 129, 319, 512).

Come il Fondatore immaginava originariamente la collaborazione delle suore con i missionari, risulta bene anche quanto ha detto alle missionarie nella conferenza del 19 marzo 1916. Chiedendo di ricordare il card. Gotti moribondo: «Fu lui che mi incoraggiò a fondare le suore; egli mi disse: È volontà di Dio che ci siano le suore. – Ma, risposi io, suore ce ne sono già tante. – Molte suore, poche missionarie, soggiunse; e poi mi spiegò come le suore che vanno in missione si mettono in una scuola, in un ospedale, in un orfanotrofio, e tutto fatto, ma non sono come voi…» (Conf. MC, I, 330-331). Quindi, nella mente del Fondatore, le Missionarie della Consolata non sono da confondere con le altre suore non missionarie, perché esse sono impiegate a collaborare nell’apostolato.

Su questo punto della collaborazione, dunque, lo spirito originario risulta piuttosto preciso: il Fondatore intendeva missionari e missionarie come un corpo solo dal punto dell’evangelizzazione: «Così i Missionari e le Missionarie che formano un corpo solo, benché divisi in due come il gheriglio della noce» (Conf. MC, I, 28). Uniti spiritualmente ed affettivamente come fratelli e sorelle; ciascuno dalla sua parte, ma in totale collaborazione nell’apostolato. Inoltre, alle suore era chiesto la cura della missione e del personale, come “buone madri di famiglia, non come serve (Conf. IMC, II, 250).

Partendo da queste premesse, ha una logica la norma messa dal Fondatore nell’art. 1° delle Costituzioni delle missionarie del 1913, dove si afferma che esse hanno come scopo secondario [il primario è la santificazione]: «[…] l’evangelizzazione degli infedeli, nelle regioni assegnate dalla S. Congregazione di Propaganda Fide ai Missionari della Consolata». Anche l’Estratto del primo Regolamento afferma all’art. 1°: «È istituito a Torino sotto la protezione della SS.ma Vergine Consolata […] un Istituto di Missionarie destinate a coadiuvare i missionari della Consolata nell’evangelizzazione degli infedeli, primieramente nell’Africa Orientale». Quindi, come principio generale, insieme e non separati.


II. AUTONOMIA AL TEMPO DEL FONDATORE

Su questo punto dell’autonomia, bisogna fare una premessa, ricordando la famosa conferenza dell’11 aprile 1915 agli allievi missionari, nella quale il Fondatore fa una solenne sgridata perché qualcuno aveva trattato grossolanamente le suore. In quell’occasione sono state pronunciare frasi forti, come: «Vedete, le suore non hanno nulla da fare coi missionari ecco!»; «e non crediate che siano obbligate a stare coi Missionari: sono suore Missionarie, e quando i Missionari non le trattassero bene, li salutano, e del luogo ne trovano. Ci sono già altri Missionari di… che me le hanno chiamate» (Conf. IMC, II, 250- 251). Il Fondatore intendeva sgridare per certe grossolane lamentele sul cibo, ed educare i suoi giovani a rispettare le suore e a non ritenerle “serve”. In più, faceva notare che la situazione del voto di povertà era sostanzialmente diversa nei due Istituti, per cui le suore erano più sacrificate e dovevano stare alle loro norme! Non pensava sicuramente di modificare lo scopo delle missionarie espresso dalle loro Costituzioni e non lo ha mai minacciato di fare. Basta vedere come conclude: «[…] non ho mai fatto un discorso simile. Ebbene ho creduto bene di farvelo […]. Ma così basta; ho già detto troppo». […]. E la conclusione di questo sproloquio? Che ci pensiate; occuparsi di noi e non guardare le suore; ma rispettarle e non crederle di tenerle lì tanto così. Non ho mai creduto che cominciassi un’istituzione di serventone» (Conf. IMC, II, 251, 252).

1. Autonomia giuridica. Anzitutto si può ritenere che il Fondatore aveva in mente di stabilire l’autonomia giuridica tra i due Istituti, ma, sconsigliato anche da alcune suore, non lo ha fatto per allora e non lo ha più potuto fare in seguito, pur volendolo. Riporto la testimonianza di sr. Margherita de Maria: «A me personalmente ripetè più volte questo pensiero [della divisione giuridica], con parole ed espressioni risolute […]. A dissuaderlo di realizzare questo suo progetto fummo noi stesse, ed io in modo particolare, nel timore di non potere né sapere affrontare questa posizione, né sostenerla, specialmente in Missione. Essendo noi ancora tanto giovani e con poca esperienza, non avremmo potuto, sole, in lontane Missioni, risolvere in modo buono e soddisfacente il grave problema […]. Il Padre Fondatore cedette per allora a questa difficoltà, ma non depose il pensiero, che però non gli fu possibile realizzare» (Testimonianza di sr. Margherita, 23 novembre 1956, in SR. GIUSEPPINA BASSI, Cenni storici dell’Istituto Suore Missionarie della Consolata – pro manoscritto – Grugliasco 1982, vol. I, p. 30).

Dunque è evidente che l’autonomia giuridica delle missionarie era nella mente del Fondatore. Il fatto di non averla potuta realizzare non ha importanza, se non di una circostanza sfavorevole, che però non muta il progetto. All’inizio questa autonomia di fatto non c’era, ma il Fondatore la voleva e, perciò, doveva essere realizzata.

2. Autonomia organizzativa e di vita. Non c’è dubbio che l’autonomia delle suore riguardo l’organizzazione interna dell’Istituto e la loro vita è sempre stata garantita. Tutta l’impostazione dell’Istituto, con le proprie superiore in Italia e in Africa, lo dimostra.

C’è una direttiva chiara che il Fondatore dà a mons. F. Perlo nella famosa lettera del 21 novembre 1921: «Affinché non si rinnovi poi per le nostre Suore la perdita come di quelle del Cottolengo, bisogna che esse siano trattate meglio che i missionarii, aiutate nel vivere da vere religiose secondo le proprie regole, sempre sotto la dipendenza e le direttive della V[ice] Superiora, conformandosi alle norme che ad essere sono date da loro Superiore di Torino. Il cambiamento da una Stazione all’altra deve essere prima approvato dalla V. Superiora generale in Africa; l’elezione poi alle cariche di Assistenti per le Case dev’essere concordata col Superiore di Torino» (Lett., IX/1, 181).

Anche dalla corrispondenza con la Vice Superiora in Kenya, sr. Margherita De Maria, emerge che le Suore avevano una loro autonomia organizzativa e di vita. Per esempio, nella lettera del 24 marzo 1920, rispondendo ad alcune domande fatte da sr. Margherita De Maria, tra il resto il Fondatore chiarifica: «Per i singoli uffici bisogna avere di mira non l’anzianità, la l’idoneità»; poi suggerisce di cambiare sovente di posto anche le Capo Stazioni e conclude: «È tale il tuo dovere, che comunicherai a Monsignore, spettando a te la disposizione delle Suore dietro gli ordini del Sup[eriore] Gen[enerale]»; sappiamo che il Superiore Generale era lui stesso (Lett., VIII, 610).

C’è anche una lettera del Camisassa a sr. Margherita De Maria del 30 maggio 1920, che più o meno ripete gli stessi criteri: «Padre ci tiene che nel metter a capo in ogni singola stazione tu non badi all’anzianità, ma che designi invece la più idonea, prudente, equilibrata, ubbidiente e di buon spirito e di più osservanza. Come pure vorrebbe che si cambiassero tali cape, e non lasciarle troppo tempo in una stazione, ma passarle anche ad altre stazioni senza più farle Cape. Nell’intenzione di Padre è che voi Consolatine siate una Comunità distinta da quella dei missionari ed indipendente dai medesimi. Questo il principio generale.

Perciò Monsignore, come Vicario, non ha diritto di decidere da solo nella destinazione delle suore ai varii impieghi, […]. Monsignore ha però anche, oltre all’esser Vostro Ordinario, la qualità di Delegato di Padre per la vostra direzione, e come tale tu hai un dovere speciale di ricorrere per quanto domanderesti a Padre p. direzione Suore, salva però la tua libertà di scrivere sempre per lettera a Padre in quelle cose per le quali a questo crederai di rivolgerti. […]».

Da queste semplici osservazioni risulta evidente che la sostanziale autonomia di vita e di organizzazione interna delle Suore è sempre stata garantita nei confronti sia dei Missionari che dell’Ordinario. Il rapporto di dipendenza delle missionarie era con le Superiore interne e, al massimo livello, con il Fondatore, che ha gelosamente mantenuto la “superiorità” delle Suore fino alla fine: «La superiorità delle suore è sempre mia, finora non l’ho ceduta a nessuno» (Conf. MC, III, 278, conferenza del 26 agosto 1921).

II. CON LA VISITA APOSTOLICA

Con il decreto del 15 maggio 1930, che dichiara di “diritto pontificio” l’Istituto delle missionarie, e la quasi simultanea approvazione delle loro nuove Costituzioni, viene sanzionata la separazione giuridica, e ovviamente anche quella economica, dei due Istituti. Si noti che l’art. 1° delle nuove Costituzioni, frutto della Visita Apostolica, (forse anche per giustificare la presenza in Somalia delle sole suore, mentre i missionari erano stati sostituiti dai Cappuccini per volontà di Propaganda), allarga il primitivo scopo apostolico dell’Istituto, quello messo dal Fondatore nelle Costituzioni del 1913 riguardo i territori, aggiungendo: «[…] e in quelle [regioni] a cui venissero chiamate dalla S. Congregazione di Propaganda Fide».
Da questo momento l’autonomia giuridica dei due Istituti è sanzionata e nessuno la metterà più in dubbio. Non risulta che questa autonomia sia mai stata interpretata come “separazione”, tanto meno come rinnegamento delle ragioni che hanno portato l’Allamano alla fondazione delle Missionarie.

III. IL CAMMINO SUCCESSIVO NELL’IMC

Dalle premesse della Visita Apostolica si spiega il cammino successivo dei due Istituti. Qui cerco di seguire quello dei missionari. Da parte dell’IMC, dopo la Visita, il problema del rapporto con le Missionarie della Consolata non è mai stato dimenticato. Si nota un progressivo sforzo di “ricuperare” i valori e gli atteggiamenti originali della comunione e della collaborazione. Risulta da come ne hanno trattato i vari Capitoli Generali, come pure da come è stato inserito nella normativa delle Costituzioni e dei Direttori o Regolamenti.

1. Nei Capitoli Generali

L’IMC ha celebrato 11 Capitoli. Ovviamente quello del 1922, presieduto dal Fondatore, che non ha toccato l’argomento. Non ce n’era bisogno. Così pure quello successivo del 1939 non ne ha parlato, forse per riguardo alle decisioni della recente Visita Apostolica. In tutti gli altri successivi, ultimo compreso, il tema è stato toccato in modo più o meno ampio. Dalle espressioni degli Atti capitolari emerge il clima che l’IMC viveva al riguardo.

Le principali espressioni usate dai Capitoli hanno come un crescendo e riguardano i motivi dell’unione e della collaborazione. Si faccia attenzione come le indicazioni capitolari propongano traguardi sempre maggiori.

- Capitolo del 1949: “unità di spirito e di lavoro”; “spirito di collaborazione nell’indipendenza”, “parallelismo di opere e di espansione”.

- Capitolo del 1959: “fissare alcuni principi base della collaborazione per lo sviluppo e per il lavoro missionario” [per fare delle convenzioni tra i due Istituti]; “I due Istituti, fondati dallo stesso Padre […] confermano la loro adesione alle finalità della loro fondazione: l’apostolato missionario e la fraterna collaborazione per lo sviluppo dei due Istituti e per l’apostolato”; “Gli accordi di collaborazione in nuove regioni verranno presi dalle due Direzioni Generali”.

- Capitolo del 1969: “L’identità di origine, di vocazione, di spirito, il principio della complementarietà, voluta positivamente dal Fondatore, sono ragioni oggettive e permanenti di unione e cordiale collaborazione tra i due Istituti”; “Il Capitolo […] auspica l’avvio di consultazioni stabili tra i due Istituti, a differenti livelli […]”; “La comune origine, nel rispetto della propria autonomia, sia di incitamento per attuare il fine missionario e per realizzare il principio di complementarietà voluto dal Fondatore”.

- Capitolo del 1975: dopo avere riconfermato le dichiarazioni del Capitolo precedente, “Frequenti e periodici incontri fra le Direzioni dei due Istituti ai diversi livelli daranno un carattere di maggiore organicità ed efficacia alla vicendevole collaborazione”.

- Capitolo del 1981: “La Direzione Generale promuova studi e ricerche sul Fondatore […] in collaborazione con le Suore Missionarie della Consolata”; A motivo della medesima origine, vocazione e voluta del Fondatore, l’Istituto conserva un vincolo particolare di unione e di collaborazione con le Suore Missionarie della Consolata”; “Nell’attività missionaria diamo la preferenza alla collaborazione con le Suore Missionarie della Consolata”; dopo avere detto di promuovere incontri tra le Direzioni: “Soprattutto nella scelta di campi di prima evangelizzazione è opportuno una consultazione previa tra le Direzioni dei due Istituti, in vista di una fruttuosa collaborazione” [La sostanza di queste dichiarazioni passa nelle Costituzioni].

- Capitolo del 1987: “Nell’ottica di rafforzare la comunione e la collaborazione, particolare attenzione è riservata alle Suore Missionarie della Consolata, a motivo dei vincoli privilegiati di comunione e collaborazione voluti dal Fondatore e menzionati nelle Costituzioni (nn. 9 e 74.3) ”.

- Capitolo del 1993: ripete l’espressione programmatica dell’art. 9 delle Costituzioni: “A motivo della medesima origine […]”, poi aggiunge suggerimenti pratici: “Le due Direzioni Generali concorderanno una periodicità di contatti, possibilmente annuali” per scambio di “possibili cammini comuni”; Analogamente faranno le Direzioni di Circoscrizione”; “Nel sessennio si ipotizza un incontro tra formatori e formatrici a livello continentale o universale”; “Se coinciderà la celebrazione del prossimo Capitolo si consideri la possibilità di un periodo di riflessione assieme su identificati problemi […] in relazione alla Missione”.
- Capitolo del 1999: dopo avere riaffermato il principio generale ormai assodato della stessa origine, della complementarietà, ecc., “La distinzione in due entità giuridiche distinte garantisce ad entrambe le parti autonomia e dignità. Va rispettosamente sostenuta. È possibile però perseguire una unità superiore fatta di accoglienza, condivisione e collaborazione”; “Ambedue gli Istituti hanno portato avanti una propria lettura del carisma, ulteriormente da approfondire e confrontare assieme” (Atti, p. 21); “Per quanto dipende da essa [Direzione Generale], favorisca incontri tra le Direzioni Generali e di Circoscrizione dei Missionari e delle Missionarie della Consolata su temi riguardanti il carisma e la nostra spiritualità, per uno scambio di informazione ed esperienze e l’elaborazione di alcune iniziative comuni” (Atti, p. 24).

- Capitolo del 2005: viene confermato il solito principio base della medesima origine e affermato che “la comunione con esse [Missionarie] è parte della nostra stessa identità (cf. XCG 21)”; poi si dice che “La collaborazione attiva e rispettosa tra i due Istituti: […] si realizza nelle aperture congiunte in nuovi campi missionari e nelle diverse attività di formazione, AMV, GPIC, pastorale” (Atti, p. 14-15). In questo Capitolo è fondamentale la “Dichiarazione comune di intenti”, molto ricca di contenuti. In essa si propone: “Desideriamo confermare il nostro impegno a lavorare assieme con tale spirito e intraprendere anche comuni progetti missionari” (Atti, p. 53). Poi ci sono diverse “Proposte operative” molto articolate, nelle quali, pur riconoscendo alcune difficoltà e resistenze, emerge la volontà di lavorare di più insieme nei diversi campi: culturale, carismatico, della formazione e delle varie attività della pastorale missionaria (Atti, pp. 54- 55). Per quan6to riguarda le “nuove aperture” in Europa, in Asia e in Africa, viene riaffermato il criterio di realizzarle in dialogo con le Missionarie (Att, p. 65).

Conclusione: dagli Atti di tutti i Capitoli, risulta evidente che, dopo la divisione decisa dalla Visita, nonostante le difficoltà più o meno accentuate secondo i tempi, i luoghi e le persone, si è fatto un duplice cammino: 1°. Acquisizione serena e inequivocabile della distinzione e dell’autonomia dei due Istituti. 2°. Sforzo progressivo, sempre più ampio, per ricuperare lo spirito delle origini, collegato alle ragioni per cui il Fondatore ha dato vita all’Istituto MC, sul piano della comunione, della complementarietà e della collaborazione operativa, fino a giungere alla provvidenziale “Dichiarazione di intenti”. Questo è lo stato attuale da consolidare.

2. Nelle Costituzioni

- Costituzioni fino al 1960. Se ho visto bene, le Costituzioni IMC, fino a quelle del 1960 non trattano del rapporto tra i due Istituti. Trovo una logica: le Costituzioni prima del rinnovamento conciliare trattano di un Istituti completo in sé ed autonomo, con lo scopo di definirne lo scopo, l’identità, l’organizzazione e la vita. Di conseguenza, non trattano del rapporto con l’Istituto delle Suore, né con altre istituzioni.

- Costituzione 1982. Sono Costituzioni rinnovate sulla base del Concilio e hanno un’altra impostazione rispetto a quelle precedenti. Perciò incominciano a trattare anche del rapporto con l’Istituto delle Suore con due dichiarazioni mutuate dai Capitoli. Il fatto che le Costituzioni le inseriscano significa che intendono dare ad esse un valore di normativa costituzionale. È la prima volta.

- art. 9: “A motivo della medesima origine, vocazione e volontà del Fondatore, l’Istituto conserva un vincolo particolare di unione e collaborazione con le Suore Missionarie della Consolata”. (Questo articolo ha una rispondenza nell’art. 7 delle Costituzioni del 1982 delle Missionarie)

- art. 74: “[…] Nell’attività missionaria diamo la preferenza alle Suore Missionarie della Consolata”. (Questo articolo ha una corrispondenza con l’art. 72 delle Costituzioni del 1982 delle Missionarie).
- Costituzioni 1988 e 2006. Questi due articoli rimangono tali quali nelle Costituzioni del 1988 e 2006.

3. Nei Regolamenti e Direttori

I Regolamenti o Direttori, invece, iniziano molto prima a trattare del rapporto tra i due Istituti, specialmente nei luoghi di missione.

- Direttorio per le Missioni del 1924. Il Direttorio, redatto probabilmente del 1924, vivente il Fondatore, nella Parte II, che contiene le “Regole per i luoghi di Missione”, ha il Capo II intitolato “Relazione con le Suore”, composto da 12 articoli. Sono norme soprattutto di ordine disciplinare. Meritano attenzione tre articoli:

- art. 25: “I Missionari trattino le Suore con riguardo, con rispetto e con carità, ricordando che sono religiose Missionarie, aventi anch’esse per fine la propria santificazione e la salvezza delle anime. […]”.

- art. 26: “Per la disciplina religiosa le Suore dipendono dalla Superiora, assistita dal proprio seriore Delegato”.

- art. 35: “In ciò che concerne le opere di missione, le suore dipendono direttamente dal Superiore di Stazione […]”.

- Direttorio generale del 1933. Ha lo scopo di “spiegare e completare le Costituzioni”. Non tratta del rapporto con le suore nei 41 articoli del Direttorio. Solo nella lettera del Superiore Generale, posta alla fine, tra le altre norme delle quali si raccomanda l’osservanza, c’è la norma V: “Nessuno si riferisca alle Suore addette alle Case o Stazioni per impartir loro ordini o disposizioni, se non si è rivestiti delle debite facoltà, nei casi non contemplati dai regolamenti locali, ma si rivolgano ordinariamente alla Superiora o Assistente.

Nei rapporti con le Suore si useranno sempre modi religiosi, trattando con esse con rispetto e carità cristiana”.

- Direttorio per le Missioni del 1935. Ha il Capo III intitolato “Relazioni con le Suore”, composto da 10 articoli. Si tratta di norme soprattutto disciplinari. Merita sottolineare questi articoli:

- art. 95: identico al 25 del Direttorio del 1924.

- art. 96: “Per la disciplina religiosa le Suore dipendono dalla loro Superiora assistita dall’Ordinario o suo Vicario moniale”; è modificato rispetto l’art. 26 del Direttorio del 1924: non c’è più il Superiore Delegato che assiste la Superiora, ma l’Ordinario.

- art. 101: identico al 35 precedente.

- Regolamento Generale del 1950. Circa le relazioni sociali, inizia a trattare delle relazioni con le Suore, in 8 articoli. In essi ci sono diverse norme di tipo disciplinare. Merita sottolineare:

- art. 145: “Le suore missionarie, partecipi per vocazione divina all’opera di evangelizzazione, siano riguardate dai missionari come collaboratrici nel lavoro di apostolato. Le tratteranno con modi religiosi, carità e rispetto”.

- art. 146: “Per la disciplina religiosa le suore dipendono unicamente dalle loro Superiore assistite dall’Ordinario […]. Sotto la sorveglianza della Superiora locale, le suore dipendono dal Direttore della Casa o Superiore di Stazione nelle mansioni loro affidate”.

- Direttorio Generale del 1982 (integrato con il testo delle Costituzioni rinnovate). Ci sono tre articoli:
- art. 2,2: “Ciò [promuovere studi e pubblicazioni sul Fondatore] sia fatto in collaborazione con le Suore Missionarie della Consolata”.

- 11.2: “La solennità della Consolata […] sia celebrata con devozione filiale, in comunione fraterna con i missionari e le missionarie della Consolata del luogo […]”.

- art. 74.3: “Si promuovano incontri con le Suore Missionarie della Consolata, nell’ambito delle Direzioni come delle comunità locali, intesi a studiare e revisionare insieme le relazioni vicendevoli e la collaborazione nei settori di comune interesse […]. Soprattutto nella scelta di campi di prima evangelizzazione è opportuna una consultazione previa tra le Direzioni dei due Istituti, in vista di una fruttuosa collaborazione”.

- Direttorio Generale del 1988 e 2006. Sono ripetute le stesse norme, senza modifiche.


III. L’IDEALE E IL SOGNO

Credo utile riportare i punti salienti di una conversazione fatta con i nostri studenti di teologia (Bravetta) e le juniores MC riuniti per un ritiro a Nepi, nel …... C’è qualche ripetizione, ma penso che esprima bene quanto io sono stato in grado di comprendere su questo argomento.

Il fatto che l’Allamano abbia fondato due Istituti, uno maschile e uno femminile, è un dato storico, incontrovertibile. Che lui dicesse di non avere la vocazione di fondare le suore, non significa che non credesse all’importanza della loro collaborazione. Basta pensare all’opera delle Suore Vincenzine in Kenya. Attraverso le vicende che conosciamo, nel 1910, ha fondato le Missionarie della Consolata. Lui stesso le ha formate, come ha formato i missionari. Non solo, ma ha proposto gli stessi contenuti, usando gli stessi schemi di conferenze, per entrambe le comunità. Trattava abitualmente gli stessi temi, lo stesso giorno. Possiamo dire che i nostri “primi” e “prime” sono stati formati come avviene per i figli di una stessa famiglia, anche se vivevano distinti, in case separate. Ovviamente, il Fondatore, in certe situazioni, ha usato linguaggi differenti per gli allievi missionari e per le aspiranti missionarie, come è logico che sia trattandosi dei due sessi con psicologie proprie. Tuttavia, la sostanza delle proposte educative era la stessa, per cui, anche oggi, possiamo usare indifferentemente, per entrambi gli Istituti, ciò che ha detto ai missionari e ciò che ha detto alle suore. Il Fondatore era il vero punto di congiunzione. Lui ha garantito l’unità. Questa sua funzione è valida anche oggi.

Fatta questa premessa, espongo un “decalogo” di principi validi allora e, credo, validi anche oggi, riguardo la collaborazione tra i due Istituti.

- Primo: non tenere conto dei momenti storici di incomprensione, sofferenza o di “crisi”, limitati e mai generalizzati, riguardo l’accordo tra i due Istituti spiegabili per precise circostanze, ormai trascorse. Anche certi richiami piuttosto severi del Fondatore, che prospettavano, forse per “scuotere”, addirittura possibili future separazioni nel lavoro apostolico, sono da inquadrarsi in momenti particolari, essendo stati pronunciati per correggere difetti di comportamento ben circostanziati .

- Secondo: nella mente dell’Allamano le Missionarie della Consolata avevano un significato diverso, rispetto a quelle del Cottolengo, per quanto riguarda la collaborazione con i missionari. Ciò non perché le Missionarie della Consolata fossero migliori, ma perché venivano preparate da lui stesso, secondo i suoi criteri e il suo spirito, che erano identici a quelli usati per i missionari. In questo senso il problema era piuttosto di identità. Ciò risulta da un complesso di fattori .

- Terzo: il Padre è stato unico ed è anche adesso “unico”. Egli ci deve poter riconoscere come suoi figli e figlie. L’Allamano non appartiene di più ai missionari, né di più alle missionarie. Non è neppure diviso tra i due Istituti, un po’ degli uni e un po’ delle altre. È tutto di tutti e di tutte. Tutti, sia i missionari che le missionarie, sono idonei a studiarlo ed a parlare di lui con competenza. Tutto ciò sembra un gioco di parole, ma è una realtà consolante e un forte legame tra noi.

- Quarto: tenere vive le ragioni della fondazione. Indipendentemente dal rapporto giuridico attuale tra i nostri due Istituti, c’è una linea di fondo, iniziale e tradizionale, che ne giustifica l’origine e l’esistenza ed è la cosiddetta “unità di spirito e di azione”. L’unità di spirito risulta sia dalla necessità di avere missionari e missionarie con le stesse identità, che, nei loro reciproci rapporti, oggi vivono quel clima che il Fondatore così esprimeva: «siamo in famiglia, fratelli e sorelle e dobbiamo amarci». L’unità di azione, che è conseguenza dell’unità di spirito, è giuridicamente garantita dalle norme stabilite dall’Allamano nel fondare un Istituto di Missionarie destinate a «coadiuvare i missionari della Consolata nell’evangelizzazione degli infedeli, primieramente nell’Africa Occidentale» . Teniamo presente che questa disposizione, che poi ha subito ritocchi suggeriti dalle situazioni e dagli interventi della Santa Sede, fino alle formulazioni delle attuali Costituzioni dei due Istituti , rimane valida non come legge, ma come indirizzo ideale.

- Quinto: è importante seguire la sana tradizione dei due Istituti. Trovo la sana tradizione in tutti quei missionari e missionarie che si sono stimati e rispettati, si sono voluti bene, come fratelli e sorelle, e hanno collaborato in pieno accordo. Di questi il Fondatore sicuramente è stato orgoglioso, sia che li abbia accompagnati quando era ancora vivo su questa terra, sia che li abbia protetti dal cielo. Di questi padri, fratelli e suore io ne ho conosciuti tanti e, per me, sono tra i ricordi più belli. Non è un “sentimentalismo”, ma un “ideale” che conserviamo gelosamente.

- Sesto: continuiamo la medesima formazione, se vogliamo essere come il Fondatore ci ha voluti. La formazione è il punto di partenza per garantire un medesimo spirito e uno stile di vita e di azione comuni, per cui diventiamo riconoscibili, anche dal di fuori, come “della Consolata”. Osserviamo bene i sei volumi delle conferenze, tre a voi e tre a noi. Gli schemi erano ciò che il Padre intendeva dirci. Le conferenze raccolte contengono ciò che di fatto ci ha detto. Dove sono le “diversità”? I suoi schemi manoscritti sono gli stessi, con poche eccezioni trascurabili. Le diversità nelle conferenze raccolte dai nostri seminaristi e dalle vostre sorelle sono solo nello stile alcune volte più paterno con voi, ed in circostanze contingenti che riguardavano una o l’altra comunità. Ma la “sostanza” è assolutamente uguale! Questo ci consola. Anche oggi, la sostanza deve essere la stessa, altrimenti facciamo due sorta o qualità di Missionari/e della Consolata.

- Settimo: condividere campi di apostolato. Tenendo realisticamente conto che la Chiesa ci può chiedere impegni missionari ovunque, anche separatamente, una certa priorità non possiamo trascurarla, come dicono le nostre Costituzioni. Che cosa direbbe un padre se i figli preferissero lavorare con estranei e non con i propri fratelli e sorelle? I principi costituzionali delle reciproche autonomie, ricordati in antecedenza, sono sacrosanti, ma lo spirito interviene nella loro attuazione.

- Ottavo: c’è un progresso da operare sulla natura e stile della cooperazione apostolica. Oggi, la presenza delle donne nell’apostolato della Chiesa è sostanzialmente mutato rispetto al tempo in cui è vissuto il Fondatore. Ammettiamo che si è ancora lontani dall’aver capito tutto bene, proprio a livello di Chiesa, ma l’esigenza si sente e un certo progresso c’è. Applicando a noi, il rapporto apostolico deve essere impostato secondo i criteri attuali. Direi che l’essere “della Consolata” ci aiuta. La Madonna come ha collaborato con Gesù e con la comunità primitiva?

- Nono: salvare la giusta autonomia dei due Istituti. Quella giuridica è già salvaguardata, come pure quella organizzativa nella vita ordinaria, nell’economia, nel lavoro, ecc. Ci sono esigenze di riservatezza che scaturiscono dal fatto di essere uomini e donne, ma anche esigenze di tipo spirituale, che sgorgano dal fatto che certi servizi apostolici sono affidati ai sacerdoti, mentre altri sono svolti meglio da donne consacrate, non come aiuto agli uomini, ma autonomamente.

- Decimo: la mia famiglia non sarà la più ricca, né la più istruita, né la meglio sistemata, ecc., ma è la “mia”. Fin tanto che siamo “della Consolata” e il “nostro Padre” si chiama Giuseppe Allamano, siamo “fratelli e sorelle”. È mai possibile dimenticarci? Ci rassomigliamo troppo! Magari altri fratelli o sorelle sarebbero migliori, più capaci, meglio organizzati, ecc., ma non sono i“nostri” e le “nostre”.

NOTE:

1 Mi riferisco alla famosa conferenza del 15 aprile 1915: Conf. IMC, II, 250-252, dove il punto di partenza è: «[…]qualche volta è capitato da qualcuno, più in passato che adesso, è avvenuto che si trattano male le suore, quasi fossero serventone; si trattano le suore con un po’ di disprezzo [per avere cibo dalla cucina; si era durante la guerra…]» (250). La conclusione è: «Basta, non ho mai fatto un discorso simile. Ebbene ho creduto bene di farvelo (251) […]. Ma così basta; ho già detto troppo» (252).
2 Cf. TUBALDO I., Missionari e Missionarie della Consolata - Collaborazione qualificata, Torino 1998. Si tratta di uno studio promanoscritto, non divulgato, molto interessante, con abbondante documentazione. Alle pp. 7 – 10 viene svolto questo tema sotto il titolo: «Il problema è quantitativo, ma soprattutto qualitativo». Lo trovo indicato anche in questo semplice e curioso segno: la famosa scena del missionario e della missionaria assieme ad un gruppo di africani, con nello sfondo una strada tra due file di capanne, che conduce ad una cappella e, con in lontananza il monte Kenya e in alto la Consolata. Quando non esistevano ancora le Missionarie della Consolata, la scena comprendeva solo il missionario. Le Suore Vincenzine sono raffigurate, invece, nella scena missionaria dipinta sul soffitto del Santuario.
3 Conf. IMC, II, 252.
4 Primo ‘Estratto di Regolamento’, art. 1°. Nel secondo ‘Estratto del Regolamento’ del 1912, ci sono due articoli; nel 1° si leggono le stesse parole, ma non è più indicato il luogo; nel 2° il luogo è così espresso: «Le Missionarie non possono essere destinate ad altre Missioni fuorché a quelle assegnate dalla Sacra Propaganda all’Istituto stesso»; nelle costituzioni del 1913, il secondo fine viene così espresso: «l’evangelizzazione degli infedeli nelle regioni assegnate dalla S. Congregazione di Propaganda Fide ai Missionari della Consolata».
5 Cf. Costituzioni IMC, artt. 9, 74.3; Costituzioni MC, artt. 7, 72.



Collaborazione tra i Missionari e le Missionarie della Consolata secondo il pensiero e il cuore dell’Allamano

Sr. Angeles Mantineo

Premessa:
La seguente non è una relazione storica di tutte le vicende e i problemi della collaborazione tra i due Istituti, ma è soltanto un tentativo di cogliere l’intuizione e il sentire del Fondatore e Padre delle due Famiglie da lui fondate, senza esulare dall’elemento storico.

Alle nostre origini...

Rivisitando le nostre “origini”mi sembra di percepire e di cogliere la presenza di “un Padre”, “una Famiglia”, “uno spirito”. L’Allamano più che come Fondatore è ricordato come Padre: è infatti l’appellativo più caro sia per i Missionari, sia per le Suore e anche per il Camisassa quando scrive e parla di lui.

“Egli era per noi e voleva essere un padre, una guida, un aiuto. Tutto premura per il nostro benessere specialmente spirituale; ci seguiva in tutto minutamente, comprensivo della nostra piccolezza; essendo ancora agli inizi della vita religiosa non temeva di scendere a particolari, a ripetere, ad incoraggiarci”. (Sr. Margherita Demaria)

“Per noi era veramente un padre: non solo non faceva pesare la sua autorità, ma aveva tutte le attenzioni e delicatezze di un cuore paterno...”. (Sr. Emerenziana Tealdi)

“La paterna bontà di Padre giunse con me a questa finezza: durante la [epidemia] spagnola essendo particolarmente debole di salute mi mandò alcune volte un pentolino con pollo e brodo dalla Suora che si recava all'Ufficio della Consolata.”. (Sr. Chiara Strapazzon)

“Nell’Istituto mi trovai come in una famiglia, con a capo un vero Padre sollecito del nostro bene spirituale e materiale”. (P. V. Sandrone)

P. Alfredo Ponti racconta:

“Una sera a Tosamaganga (Iìnga), mentre sulla missione si scatenava un terribile temporale, mi rifugia nella stanza di P. Nazareno... Quasi spontaneamente I discorso cadde sugli anni felici della nostra giovinezza... Rivivemmo per qualche istante i nostri primi anni di vita di Istituto... Il discorso cadde naturalmente su colui che di quella famiglia era il vincolo, sostegno, guida, padre. Ricordammo tutto di lui: la bontà verso di noi, la grande comprensione e la felicità nostra di poter convivere con lui. Il ricordo palpitante dell’amato padre ci aveva commossi entrambi. Congedandoci P. Nazareno esclamò: Era veramente un padre: nostro padre. Come lui non ne ebbimo più un altro”. (G. Allamano dalla Consolata al Mondo, pp. 16-17)

Questo appellativo dice subito non solo la relazione tra padre e figli, ma anche la relazione dei figli tra di loro. Il padre poi, si situa dentro una ‘famiglia’, dove i membri non soffrono di superiorità o inferiorità vicendevole, ma nella loro singolarità ed autonomia godono di un rapporto di interdipendenza e comunione:

“Siamo in famiglia, fratelli e sorelle dobbiamo amarci; questo è l’affetto che deve essere tra fratelli e sorelle: ciascuno la sua parte, ma affetto di cuore”. (Conf. S., II, pp. 251, 15)

Lo stile di vita di una famiglia, il timbro particolare è determinato dallo ‘spirito’ dei genitori che anima la famiglia.

“Il Signore lo da a me lo spirito da dare a voi..., il mio spirito lo do a quelli che stanno uniti a me...”. (Sr. Chiara Strapazon)

All’origine dei due Istituti

Per la fondazione dei Missionari il cardinal Richelmi aveva dato all’Allamano non solo una parola sicura, ma un comando: “Devi fatto tu l’Istituto e nessun altro... E così lo dovetti fare”, dice l’Allamano. Per le missionarie Pio X risolve la sua grande titubanza, di fondare le Suore, con la sua parola di Papa: “Questa fondazione bisogna farla... Ed ecco le Suore”, afferma l’Allamano. (Cfr. p. B. Bernardi, Il Servo di Dio G. Allamano e la fondazione dell’Istituto Suore Missionarie della Consolata, p. 12).

Questo comune aspetto evidenzia la stessa identità della prima ispirazione, -fondazione del Missionari della Consolata -, rafforzata dalla scelta della stessa data di fondazione, 29 gennaio, e dello stesso santo protettore, S. Francesco di Sales.

È, quindi importante rileggere la fondazione dell’Istituto delle Suore Missionarie della Consolata non solo alla luce della “necessità” e del “bisogno” delle missioni del Kenya, e della “complementarietà” del servizio apostolico, - elementi questi tanto importanti - ma soprattutto alla luce della ricerca attenta ed adesione coraggiosa alla volontà di Dio da parte del Fondatore.

I due Istituti non sono nati né da carne né da sangue, ma da Volontà divina:

“Nelle opere di Dio, dice l’Allamano, bisogna procedere così: pregare per conoscere la volontà dì Dio, consultare, consigliarsi e soprattutto, l’ubbidienza, la disposizione dei superiori”. (Conf. M. I, p. 334).

Questo era il criterio seguito fedelmente dal nostro Fondatore.

Suore per la Missione

All’inizio della missione in Kenya, i Missionari della Consolata avvertono la necessità della presenza delle Suore per rendere l’apostolato più efficiente ed efficace. Mons. F. Perlo così si esprime:
“Il metodo d”evangelizzazione in massa, scelto fin da principio dai nostri missionari... richiede che l”esposizione graduale e minuta della verità della fede sia fatta e ripetuta contemporaneamente in molti luoghi, ogni giorno. Ora come potrebbero a ciò bastare i missionari, relativamente scarsi di numero... e far si che la promulgazione della dottrina di Gesù Cristo possa procedere con ordine assiduo e feconda tranquillità? (F. Perlo, L”Apostolato della Suora in Africa, Torino 1923, p. 9).

La voce di Dio nell’animo dell’Allamano si fece strada sommessamente. Cresce la persuasione che per portare avanti questo enorme progetto di evangelizzazione dei suoi missionari in Kenya, è necessario dar vita ad una congregazione di suore: “nella quale l’identità di origine, di vocazione, di fine, di spirito e di indirizzo costituisse la premessa e la garanzia di una collaborazione armoniosa e piena”. (C. Bona, Alle Origini dell’Istituto Suore Missionarie della Consolata, Grugliasco1969, p. 13).


Il 29 gennaio 1910 il seme della fondazione è gettato nel terreno della Chiesa Torinese. Il Fondatore parlando alle Suore in una conferenza del 20 maggio 1921 dice:

“Io sono sicuro che voi siete dì vera fondazione. Ci sono poche comunità che abbiano avuto una fondazione così chiara, così netta” (Conf. S. III, p. 265).

Dalle prime Costituzioni del 1913, che esprimono il fine specifico dell’Istituto delle Suore, esclusivamente missionario, emerge il principio della complementarietà apostolica in modo chiaro. (Cfr. C. Bona, Alle Orìgini..., p. 16).

A questo punto è bene domandarsi come fu intesa questa complementarietà dal Fondatore?; quali le possibilità di uno sviluppo futuro?

Guardando al Regolamento del 1910, troviamo esplicitato questo concetto di complementarietà:

“È istituito in Torino sotto la protezione della SS. Vergine Consolata, con l”approvazione dell’eminentissimo Cardinale Arcivescovo, un Istituto di Missionarie destinate a coadiuvare i Missionari della Consolata nell’evangelizzazione degli infedeli, primariamente nell’Africa Equatoriale”.

Questo concetto viene ripreso e ribadito da Mons. F. Perlo nella sua relazione dell’Istituto per il triennio 1925 -1927. Il modo con cui viene riproposto da Monsignor Perlo è rigido ed assoluto, dice infatti che le Suore furono fondate:

“con lo scopo preciso ed esclusivo di cooperare con il Missionari della Consolata all’evangelizzazione degli infedeli nelle regioni assegnate dalla Sacra Congregazione di Propaganda ai medesimi Missionari della Consolata”. (C. Bona, Alle Orìgini, p. 20).

Solo dopo la Visita Apostolica (1929 - 1933) si fa luce su questo concetto di “Collaborazione”. Le Costituzioni del 1930 fissano alcuni limiti che rispecchiano la mente aperta del Fondatore. Queste Costituzioni evidenziano che l”Istituto ha come secondo scopo:

“L”evangelizzazione degli infedeli nelle regioni assegnati ai Missionari detta Consolata e in quelle in cui venissero chiamate dalla S. Congregazione di “Propaganda Fide” (Art. 1).

Alcuni scritti molto significativi rivelano l’ intento del Fondatore di voler portare le Suore ad una graduale autonomia nei confronti dei Missionari. Una lettera del Camisassa a Mons. F. Perlo del 20 febbraio 1918 rivela la volontà del Fondatore di rendere entità autonome i due Istituti:

“Se non era questa guerra interminabile il Sig. Rettore avrebbe già iniziato l”attuazione di un progetto su cui da molto tempo si studia, si consulta e prega la separazione dei due Istituti, è cosa che bisogna ritenere inevitabile, e per non aspettare che ce la impongono come ai Salesiani, conviene farla noi, massime che ora si farebbe con spirito amichevole e con preponderanza vostra nelle disposizioni, mentre se fosse imposta io non so quanto l”Istituto principale sarebbe ancora ammesso nella direzione del secondario. I Salesiani ottennero questa specie di sovranità sulle loro Suore grazie alla volontà espressa da queste medesime di sottomettersi; ma per le nostre parlando solo di quelle che sono costì, qual sarebbe il risultato di un tal plebiscito? Se qualcuno non cambia metodo nel trattarle, anche con certi epiteti tollerabili neppure dalle verduriere, tal metodo finirebbe per sapersi anche qui, e il malumore fa presto a dilagare. Certo che non dovete più pensare di avere Suore come le Vincenzine forse troppo ad mentem per cui ne vennero le rotture col P(adre);... Ma lasciamo queste cose e veniamo al punto: al da farsi cioè, tenuto presente che la divisione dovrà farsi presto o tardi, anzi il Sig. Rettore vorrebbe ancora farla lui stesso.

Poi anche nel patrimonio che c”è già costì dovrai studiare qual divisione si possa o convenga fare poiché queste sono figlie dello stesso Padre ed egli non intende diseredarle:... Devi studiare per poterci presentare un progetto. Così anche per le relazioni di vita di missione e anche per la vita interna delle singole case di Suore, ci esporrai i tuoi apprezzamenti e vedute; poiché si dovrà modificare le loro Costituzioni e definir bene le cose per prevenire il più possibile inconvenienti futuri.... (Minuta in AIMC, E 1:10 - riportata da C. Bona Alle Orìgini, p. 22).

Un altro documento molto importante è la lettera del Camisassa a Sr. Margherita de Maria, Superiora delle Suore del Kenya a commento di una lettera del Fondatore. Il Confondatore in questa lettera del 30 maggio 1920 afferma:

“Nell’intenzione di Padre è che voi Consolatine siate uno comunità distinta da quella dei Missionari e indipendente dai medesimi. Perciò Monsignore, come Vicario, non ha diritto di decidere da solo nella destinazione delle Suore ai vari impieghi e località...”. (Originale conservata nell’Archivio delle Suore Missionarie della Consolata).

In una Conferenza ai Missionari del 11 aprile 1915, l”Allamano parla anche di un possibile ritiro delle Suore e del fatto che altri missionari gliele hanno richieste:

“Non crediate che le Suore siano obbligate a stare con i missionari: sono Suore Missionarie e quando i missionari non le trattassero bene, vi salutano e del luogo ne trovano. Ci son già stati i Missionari di... che me le hanno chiamate”. (Conf. M. Il, p. 251).

Nella stessa conferenza il Fondatore da esempi concreti di Congregazioni maschili e femminili distinti e autonomi con lo stesso Padre Fondatore (Salesiani - Figlie della Carità...).

Tra le cause più probabili per cui il Fondatore non ha realizzato lui stesso la revisione delle Costituzioni, soprattutto il n° 1 e il n° 51, e la divisione dei due Istituti, sono la morte del Confondatore G. Camisassa, sul quale faceva grande affidamento, le pressioni di Mons. F. Perlo venuto in Italia nel 1921, e la questiona faticosa e delicata del Santuario della Consolata rivendicato dagli Oblati di Maria Vergine.

La situazione delle Suore Missionarie della Consolata, sotto l”aspetto giuridico diventava sempre più incerto e la morte del Fondatore non annuncia nessun cambiamento.

La Visita Apostolica, portata avanti da Mons. Ermenegildo Pasetto, cogliendo gli aspetti più deboli e fragili dell’organizzazione dell’Istituto delle Suore Missionarie della Consolata li espone nella sua relazione a Propaganda:

“Le Suore sprovviste di vita autonoma, senza regime proprio, senza amministrazione propria, senza facoltà di eleggersi la Madre Generale, senza una sola casa a loro uso esclusivo, alle dipendenze in tutto e per tutto da Mons. F. Perlo” (Cfr. C. Bona, Alle Origini, p. 25).

Dopo questi momenti difficili, di luci e di ombre, il 15 maggio 1930 la Sacra Congregazione di Propaganda Fide emetteva il decreto con cui l’Istituto delle Missionarie della Consolata era riconosciuto di diritto Pontificio. Il giorno seguente, il 16 maggio, la stessa Congregazione approvava le Costituzioni dell’Istituto nella nuova redazione. (Cfr. P. P. Bernardi, // Servo di Dio G. Alternano e la Fondazione dell’Istituto delle Suore Missionarie della Consolata, p. 26).

Dalla Visita Apostolica ad oggi: cammini di collaborazione
riflessi nei documenti dei due Istituti, IMC e MC

Dal 1930 doveva prender vita un nuovo modo di intendere la collaborazione tra i due Istituti salvaguardando l’unione morale e il principio di complementarietà voluta dal Fondatore e dall’identità di origine, di vocazione, di spirito. Il cammino non fu certamente facile e le relazioni non furono sempre improntate a un dialogo costruttivo e fraterno.

I grandi cambiamenti avvenuti nella società e nella Chiesa richiedono una nuova mentalità nel modo di comprendere la donna e il suo ruolo nei diversi ambiti e competenze.

Rileggendo gli Atti Capitolari del 1949 -1959 - 1969 -1975 -1981 -1987 - 1993 -1999 – 2005 si può notare come questo argomento ritorna con sfumature e intensità diverse. Questo “ritornare” a prendere in considerazione l’argomento è indice dell’importanza data alla “collaborazione” e del bisogno profondo di ridurre le distanze, di concentrare l”attenzione su ciò che unisce instaurando un clima di dialogo fraterno con consultazioni stabili, a differenti livelli per l’approfondimento comune dello spirito del Fondatore; con l’informazione reciproca e la pianificazione insieme delle opere di apostolato in cui collaboriamo.

DICHIARAZIONE COMUNE DI INTENTI2

“Come testimoni dell'unico padre, noi Missionarie e Missionari della Consolata Capitolari, a nome dei nostri rispettivi Istituti, desideriamo rinnovare il nostro impegno di rispondere con determinazione al desiderio espresso ripetutamente dal nostro Padre Fondatore perché fossimo "Famiglia" e perché lavorassimo nella Missione in unità di intenti. Consapevoli della comune eredità Carismatica che ci unisce nella nostra consacrazione a Dio per la Missione, sentiamo il bisogno di "purificare la memoria", nel contesto dei nostri Capitoli Generali, qualora nei nostri Istituti ci siano stati lentezze e poco impegno nel perseguire questa espressa volontà lasciataci dal Beato Giuseppe Allamano.

Coscienti che non ci dovranno essere di ostacolo le ovvie differenze tra i nostri due Istituti internazionali e il loro rispettivo carattere femminile e maschile, siamo ferma mente convinti che le diversità e i reciproci valori possono e devono essere accolti e tesoreggiati da tutti, Missionarie e Missionari, per rendere il nostro servizio ad gentes più ricco e completo.

Vogliamo pertanto impegnarci oggi e in futuro a camminare in un clima di mutuo rispetto, fiducia vicendevole e accoglienza, nella convinzione che soltanto coltivando rapporti basati sulla reciprocità, comunione e collaborazione, possiamo dirci veri figli e figlie dell'Allamano.

Desideriamo confermare il nostro impegno a lavorare assieme con tale spirito e intraprendere anche comuni iniziative. Crediamo così che la nostra stessa vita, come tutti gli ambiti del nostro lavoro ne beneficeranno grandemente”.

Gli ambiti della collaborazione si possono valutare di volta in volta nei diversi Capitoli a motivo del rapido cambiamento della società e chiese locali, mentre per i presupposti fondamentali è necessario definirli affinché ciò che è deciso diventi realtà.

Le prime Missionarie della Consolata avevano ben capito dal Fondatore la necessità di coltivare e vivere la collaborazione, sopratutto in chiave di reciproca carità, improntata a delicatezza fraterna e rispetto. Era la vera testimonianza evangelica, in Casa Madre e in Missione.
Un valore, certamente non tramontato!

“Durante questo triste periodo [prima guerra mondiale 1915-18], quando Padre riceveva lettere dal fronte nelle quali i nostri fratelli missionari esprimevano parole di gratitudine per il riordinamento dei loro zaini e indumenti durante i loro brevissimi rimpatri ovvero del ritorno a casa, ce ne rendeva partecipi. A Padre piaceva questa nostra delicatezza fraterna ma senza moine o individualismi, cioè non era la singola sorella interessata ma tutta la comunità che partecipava al loro benessere. E soggiungeva: «È così che vi voglio, sollecite per i loro bisogni, proprio come fanno le nostre mamme». E questo modo di trattare era reciproco. Anche i chierici erano molto rispettosi verso le suore. […]. Il sistema di convivenza tra le due comunità, familiare ma riservato come voleva Padre, l’abbiamo mantenuto anche in Abissinia. Nel 1932, dopo otto anni dal nostro arrivo in Etiopia, lo prova con testimonianza sr. Teofana Berbenni un anno dopo il suo arrivo in missione. Un giorno mi disse: «Ho capito qui, durante questo mio primo periodo in missione come Padre voleva che vivessimo con i nostri RR. PP.». Si viveva veramente in serena cooperazione e zelante vita apostolica”. ( Sr. Vittoria Lazzaro)


NOTE:

1 Costituzioni 1913, art. 1: “L’Istituto ha per scopo: primo, la santificazione delle Missionarie mediante l’osservanza dei voti religiosi, e Costituzioni; secondo, l’evangelizzazione degli infedeli, nelle regioni assegnate dalla S. Congregazione di Propaganda Fide ai Missionari della Consolata.
Art. 5: “Le Missionarie non possono essere destinate ad altre Missioni all’infuori di quelle assegnate dalla S. Propaganda all’Istituto dei Missionari della Consolata, ed ivi saranno rette da Vice-Superiore Generali e da Assistenti locali, sotto la dipendenza degli Ordinari Apostolici. L’elezione delle suddette sarà fatta dal Superiore e Superiora Generali di Casa Madre”.

2 Atti dei IX Capitolo Generale MC e XI Capitolo Generale IMC, São Paulo, 2005.




COMUNIONE E AUTONOMIA

Sr. Renata Corti

Scheda biblica: LA DONNA NEL NT: DIACONIA E COMUNIONE

Obiettivo:
Riflettere sul servizio missionario della Donna consacrata come elemento integrante nella pastorale di comunione della Chiesa.

Non ci proponiamo di approfondire la tematica ma semplicemente di delineare alcuni tratti nella prospettiva dei quattro Vangeli.



Riflessione:

Un tema assai evidenziato nella letteratura recente è il rapporto tra Gesù e le donne. Sotto questo profilo l'atteggiamento di Gesù è abbastanza libero rispetto allo standard del suo tempo.
La donna, tra gli ebrei, godeva di ben poca stima e di ancor meno libertà: relegata nelle case, esclusa da ogni tipo di attività decisionale, politica o religiosa, non poteva certo seguire un profeta! Essa poteva uscire di casa solo con un doppio velo che le copriva i capelli e una fascia che le copriva la fronte e il mento. Trasgredire a questa regola poteva comportare il ripudio. Per le donne c'era nel tempio e nella sinagoga un luogo appartato per pregare, e non potevano accedere a nessun tipo d'incarico politico o pubblico, neppure in un processo era accolta la loro testimonianza.

Eppure i quattro Vangeli ci danno notizia di una presenza femminile consistente e costante al seguito di Gesù. Parlando delle donne che stavano a osservare la morte di Gesù in croce Marco traccia addirittura una distinzione tra le donne che avevano seguito Gesù sin dalla Galilea da quelle che lo avevano solo seguito nella sua salita a Gerusalemme:

C'erano anche alcune donne, che stavano a osservare da lontano, tra le quali Maria di Màgdala, Maria madre di Giacomo il minore e di Ioses, e Salome, che lo seguivano e servivano quando era ancora in Galilea, e molte altre che erano salite con lui a Gerusalemme (Mc. 15,40-41).

È importante porre qui attenzione ai due verbi “seguire” e “servire”: queste donne non solo si prodigavano per la comunità di Gesù, ma condividevano le caratteristiche tipiche della sequela come dono di fedeltà (Mc. 8,34-38) e della diaconia (Mc. 9,33-37) orientata alla comunione e condivisione dello stesso progetto di vita. In confronto però con questo passo marciano, dobbiamo affermare che in Luca abbiamo una prospettiva più ridotta:

C'erano con lui i Dodici e alcune donne che erano state guarite da spiriti cattivi e da infermità: Maria di Magdala, dalla quale erano usciti sette demoni, Giovanna, moglie di Cusa, amministratore di Erode, Susanna e molte altre, che li assistevano con i loro beni (Lc.8,2-3).

Benché si mostri una presenza significativa delle donne al seguito di Gesù, tuttavia non abbiamo la medesima intensità di Marco: la partecipazione delle donne è infatti qui limitata al servizio di sostentamento alla missione di Gesù e dei suoi discepoli.

Ciò che però appare evidente è che Gesù nella sua vita ha avuto frequenti e usuali contatti con donne che, una volta incontrato il Maestro, mettevano a disposizione la propria vita per il Regno.

Gesù non appare un solitario ma un uomo che vive dei rapporti di amicizia equilibrati e profondi. Nella sua relazione con le donne si può cogliere gratitudine e profondo rispetto. È come se Gesù volesse mostrare, in una società fortemente maschilista, più con i fatti ordinari della vita che con posizioni particolari, quanto traspare dell'agire di Dio attraverso la vita e l'essere della donna, dice K. Berger nella sua recentissima opera su Gesù: “…dobbiamo chiederci la ragione e la relazione che ha questo agire attribuito in particolar modo alle donne, con il regno di Dio, perché Gesù presti a loro particolare attenzione” (K. Berger, Gesù, 225).

In Giovanni (4,1-42) la diaconia della donna acquista uno spessore particolarmente profondo e determinante perché si veste di un contenuto squisitamente comunionale… .

La Samaritana diventa mediatrice di una diaconia universale perché “spinge” il Maestro a uscire dai limiti della sua cultura, dalle frontiere delle sua tradizione e lo stimola ad offrire la Salvezza a tutti nel dono dell’Acqua Viva e della Vita nello Spirito (Gv.4,10). I discepoli scoprono che tra Gesù e questa donna si è istaurato un mistero di comunicazione e di comunione che li sorprende. E’ significativo che Giovanni termina questa stupenda pericope attribuendo una forte valenza alla testimonianza e all’annuncio di Gesù fatto della Samaritana! (Gv. 4,42).

Nell’episodio di Marta e Maria (Gv. 11,1-43) si sottolinea unicamente la loro relazione con Gesù. Con Maria la relazione con il Maestro è più personale e comunionale, con Marta, invece, la relazione è più teologica (se tu fossi stato qui mio fratello non sarebbe morto…) seguita da una professione di fede (Gv. 11,27): “Si Signore io credo che tu sei il Cristo il Figlio di Dio”, paragonabile a quella di Pietro (Mt. 16,16), “Tu sei il Cristo…”. Le stesse parole saranno riprese nella formula usata per la prima conclusione del Vangelo di Giovanni (Gv. 20,30-31).

Maria di Betania intuisce e prepara “l’ora” di Gesù. La donna che versa sui piedi del Maestro un vaso di nardo puro lo fa senza calcoli, portata da un amore che supera la soglia dell’umano e introduce così il Maestro al mistero della Pasqua (Gv. 13). Fissando la memoria di questo gesto (Mc.14,9), Gesù vuole insegnare ai suoi discepoli come ci si deve amare nella comunità che Egli ha formato. Maria anticipa la più vera relazione ecclesiale: il gesto della sollecitudine come frutto della comunione nella Chiesa.

Ai piedi della croce la Madre, Giovanni e le Donne ricevono insieme l’acqua, il Sangue e lo Spirito. La diaconia di Maria, Madre, è quella di generare la Chiesa, tutta la Chiesa di discepoli e discepole che nella morte del Cristo Crocifisso Risorto sono il segno della Vittoria della comunione sulla divisione e il peccato.

Le donne della Pasqua: La mattina di Pasqua il gruppo di donne che aveva seguito Gesù nel suo ministero (Lc. 8,2) e aveva assistito alla sua sepoltura frettolosa, a causa della festa imminente (Lc. 23,55), si reca al sepolcro per completare l'inumazione del cadavere. Trovano il sepolcro aperto e vuoto e senza il suo corpo. Gli eventi del mattino di Pasqua, secondo il Vangelo di Luca, ci vengono dati attraverso lo sguardo interrogativo di queste discepole che venute per ungere un cadavere si sentono rivolgere la domanda: “Perché cercate tra i morti colui che è vivo? ” (Lc. 24,5). Sono prima di tutto loro, le donne della Pasqua, le discepole fedeli a conoscere e sperimentare la risurrezione di Gesù. È certamente sorprendete il fatto che il messaggio della risurrezione sia affidato alle donne. Si tratta infatti di un particolare di cui i Vangeli avrebbero fatto tranquillamente a meno in quanto la testimonianza di una donna... non era considerata valida.

Nel Vangelo di Matteo, il Risorto invia le donne ai discepoli, esse dovranno dire loro dove Gesù li vuole incontrare: “Andate ad annunziare ai miei fratelli che vadano in Galilea e là mi vedranno” (Mt 28,9-10). Giovanni rileva la dimensione ardita e apostolica della Donna in comunione e in cammino, con gli Apostoli, verso il Signore.

La diaconia dell’annuncio della Risurrezione e del sostegno degli apostoli è un elemento richiamato con una certa costanza nei vangeli per manifestare, senza equivoci, l’apporto generoso e fedele delle discepole del Signore incominciando da Maria la madre di Gesù.

Il Vangelo della relazione è ora aperto a tutti. Ancora una volta Gesù appare come colui che «non è solo»; le sue parole dicono infatti della presenza della Trinità nella storia, un Dio che è relazione nella comunione seppur nella diversità. A questo siamo chiamati come Famiglia Missionaria che vive la comunione nell’unità di intenti e nell’impegno costate di fedeltà al desiderio del Fondatore: essere una “pasta sola” nel rispetto reciproco e nell’aiuto vicendevole per la missione.


SUGGERIMENTI E PISTE METODOLOFICHE
PER LA RIFLESSIONE

L’incontro può iniziare con la lettura di uno o più testi biblici proposti nella riflessione evidenziando lo sviluppo a spirale dei medesimi. La diaconia comunionale della donna propostaci nei Vangeli ha inizio nel servizio e culmina nell’annuncio agli Apostoli della Risurrezione.


Domande per la riflessione
In comunità.

1. Gesù non solo ha creduto alle possibilità della Donna come Discepola ma l’ha coinvolta nel suo stesso cammino apostolico. Sto dando spazio all’elemento femminile e laicale nel mio Ministero?

2. Percepisco il dono della mia Vita alla Missione come una diaconia in vista della comunione nel reciproco rispetto dei ruoli?

3. Accolgo la collaborazione tra IMC/MC, nella giusta autonomia, come un cammino necessario nel nostro servizio apostolico?

4. Sento che il Beato Giuseppe Allamano ha voluto la nostra Famiglia Missionaria in comunione per la missione per assicurare un servizio più qualificato alla chiesa Missionaria e ai popoli dove siamo invitati/e?


PREGHIERA


Contempliamo Maria e il progetto di Dio su di Lei con il canto del MAGNIFICAT.




COMUNIONE E AUTONOMIA:

Sr. Renata Corti

Scheda biblica AT: Gen. 2,18-25

UNA RELAZIONE CHE DA PIENEZZA DI VITA

Obiettivo

Riflettere sulle differenze di genere che qualificano l'identità umana e sul rapporto di reciprocità a cui uomo e donna sono chiamati. Una diversità da vivere nella comunione, collaborazione e unità di intenti come voleva il Beato Giuseppe Allamano.

Riflessione:

Il racconto della creazione, vuole rispondere a un presupposto fondamentale: perché l'essere umano esiste come uomo e donna?

Il volere di Dio di un'esistenza vissuta nella relazione e nel dialogo, qual è esposto nel v. 18: “Non è bene che l'uomo sia solo”, trova concreta attuazione non nella creazione degli animali (vv. 19-20), ma nell'incontro dell'uomo e della donna (vv. 21-25). È la donna che è per l'uomo «un aiuto che sta di fronte a lui» (come recita letteralmente il v. 18b); l'uomo e la donna sono pensati e creati come due “tu”, segnati da una stessa uguale dignità, collocati da Dio fronte a fronte e destinati alla vita in comunione, nel dialogo e nel confronto. Viene così palesato un rapporto di reciprocità che fondamenta ogni relazione tra uguali.

Il racconto non insiste tanto su una complementarietà desunta dalle caratteristiche maschili e femminili quanto sul valore della relazione nella differenza. Nelle parole del canto di lode dell'uomo: (trad. lett.) “Questa, questa volta, osso dalle mie ossa, carne dalla mia carne! Questa sarà chiamata donna [in ebraico ('ishah) perché dall'uomo ('ish) è stata tratta, questa!” (v. 23), è racchiusa la struttura del rapporto umano e l'indicazione di una dinamica fondamentale: l'incontro con l’altro/a permette di riconoscere e definire non solo l'identità dell'altro/a, ma anche la propria stessa identità.

In questo testo, dunque, si radica il fondamento di ogni relazione umana che porta alla comunione e, per noi, realizza ciò che il Fondatore desiderava dai suoi figli e figlie: comunione, collaborazione e unità di intenti per la missione.

SUGGERIMENTI E PISTE METODOLOGICHE
PER LA RIFLESSIONE

• L'incontro può iniziare con la lettura del testo biblico, il testo riportato è una traduzione più vicina all'ebraico; si può procedere commentando prima di tutto le sfumature e i giochi di parole del testo che le traduzioni correnti non permettono di cogliere e apprezzare e passare in seguito alle domande suggerite nella scheda per la riflessione in comunità, evidenziando le dinamiche di rapporto autentico fondato sulla comunione e sul carisma.

• SCHEDA PER LA RIFLESSIONE E LA PREGHIERA

II testo biblico: Genesi 2,18-25

“18 Poi il Signore Dio disse: «Non è bene che l'uomo sia solo: gli voglio fare un aiuto che gli sia simile (lett. che gli stia di fronte). 19 Allora il Signore Dio plasmò dal suolo ogni sorta di bestie selvatiche e tutti gli uccelli del cielo e li condusse all'uomo, per vedere come li avrebbe chiamati: in qualunque modo l'uomo avesse chiamato ognuno degli esseri viventi, quello doveva essere il suo nome…ma l'uomo non trovò un aiuto che gli fosse simile. 2I Allora il Signore Dio fece scendere un torpore sull'uomo, che si addormentò: gli tolse una delle costale e rinchiuse la carne al suo posto. 22 II Signore Dio plasmò con la costola, che aveva tolta all'uomo, una donna e la condusse all'uomo. 23 Allora l'uomo disse: «Questa volta essa è carne dalla mia carne e osso dalle mie ossa. La si chiamerà donna ('ishah) perché dall'uomo ('ish) è stata tolta.”

Domande per la riflessione
in comunità

Il racconto della genesi ci mostra che la comunione e l’uguaglianza costituiscono la prima, originaria, irriducibile identità all'interno del genere umano.

1. Siamo consapevoli che Dio ci chiama a vivere, a costruire e a promuovere la comunione?

2. Come possiamo favorire una cultura che rispetti e promuova le diversità di genere e una comunione effettiva e rispettosa tra di noi?

3. Che cosa possiamo offrire alla Chiesa noi come Istituti voluti dal Beato Allamano chiamati a vivere la comunione nel reciproco rispetto?

4. Quale idea del rapporto uomo-donna viene proposta in questo brano della Genesi?

5. Come abbiamo vissuto e viviamo l’esperienza di collaborazione e l’unità di intenti anche se nell’autonomia nel concreto della Missione a noi affidata?

6. Quali sono le aspettative e i pregiudizi che abbiamo nei confronti delle Consorelle e/o confratelli?

Per la preghiera

Salmo 127: «Beato l'uomo che teme il Signore e cammina nelle sue vie...».




Cammini di comunione: collaborazione e autonomia tra i due Istituti della Consolata.

P. Mario Barbero

COLLABORAZIONE E AUTONOMIA

Un’immagine biblica su questo tema e’ quella del corpo umano che e’ uno ma composto da varie parti. In esso sono ben visibili le due realtà: la collaborazione e l’autonomia, la quale però non può mai essere assoluta.

Questa immagine e’ illustrata con ricchezza di dettagli da san Paolo nella prima lettera ai Corinti (1 Co 12,12-30):

“Dio ha dato a ciascuna parte del corpo il proprio posto secondo la sua volontà. Se tutto l’insieme fosse una parte sola, dove sarebbe il corpo? Invece le parti sono molte, ma il corpo e’ uno solo (vv 18-20). Così non ci sono divisioni nel corpo: tutte le parti si preoccupano le une delle altre” (v. 25).

Perché getti la sua luce nella nostra situazione, questa immagine va esplorata e approfondita. Ogni parte del corpo ha la sua identità, funzione e responsabilità che non può essere rimpiazzata da un’altra ed e’ un qualcosa di miracoloso: si pensi alla meravigliosa complessità dell’occhio, dell’orecchio, della mano, ecc. Ognuna ha il suo ambito di attività unica ed insostituibile (l’occhio non può sostituire l’orecchio), eppure ciascuna parte, nella sua stupenda identità e funzione, può funzionare solo in relazione alle altre parti. L’autonomia di ciascuno, che e’ una realtà, non può esercitarsi positivamente senza la coordinazione con tutto il resto.

Vite e tralci (Giov 15). Un’altra immagine significativa può essere presa dal Vangelo di Giovanni: “Io sono la vite. Voi siete i tralci. Se uno rimane unito a me e io a lui, egli produce molto frutto, senza di me non potete far nulla” (15,5). Ogni tralcio ha la sua individualità ma si sviluppa e fruttifica solo se unito alla vite e collegato agli altri tralci.

L’ESPERIENZA MISSIONARIA DI PAOLO

a) UNO SGUARDO ALLA CHIESA PRIMITIVA

Nella lettera ai Galati Paolo rivendica l’autenticità’ del suo vangelo rivelatogli direttamente da Gesù’ Cristo (1,12). Perciò, dopo aver ricevuto la rivelazione del Figlio “non chiesi consiglio a nessuno, non mi recai nemmeno a Gerusalemme da coloro che erano stati apostoli prima di me. Solo tre anni dopo andai a Gerusalemme a conoscere Pietro” (1, 17-18). Quattordici anni più tardi Paolo ritorna a Gerusalemme, con Barnaba e Tito, per confrontarsi con “le persone più autorevoli della comunità” perché il suo lavoro tra i pagani non risultasse inutile (2, 1-3). Paolo e’ cosciente della sua responsabilità personale ma lo e’ anche della necessità di confrontarsi con la comunità e di lavorare in comunione e collaborazione cogli altri..
La fondazione della Chiesa di Antiochia (Atti 11,19-26) illustra ancora i rapporti tra questa nuova comunità e la comunità madre di Gerusalemme. La comunità di Antiochia nasce dall’intraprendenza dei credenti ciprioti e di Cirene ivi rifugiatisi dopo la persecuzione seguita alla morte di Stefano. Essi annunciano Gesù’ ai pagani i quali in gran numero credono e si convertono al Signore. Avuta notizia di questo, la comunità di Gerusalemme invia Barnaba ad Antiochia, segno di comunione nella fede. Barnaba si rallegra di quanto vede e incoraggia tutti a essere fedeli al Signore. In seguito, con un’intuizione dalle conseguenze imprevedibili, va a Tarso a chiamare Paulo che viene ad Antiochia a lavorare con Barnaba nell’evangelizzazione. Barnaba, e’ proprio “l’uomo dell’incoraggiamento” (4,36), che fa da ponte tra Gerusalemme e Antiochia e ora tra Antiochia e Tarso, immettendo Paolo in questa prima comunità cristiana sorta tra i pagani e dove Paolo inizia il suo ministero di “apostolo delle genti”. Antiochia, il luogo ove i discepoli per la prima volta furono chiamati cristiani, e’ quindi il frutto della creatività dei laici cristiani, della comunione e collaborazione con la Chiesa di Gerusalemme e della testimonianza missionaria di Barnaba e Paolo. Essa diventerà la chiesa missionaria che da cui parte e a cui ritorna Paolo nei suoi viaggi missionari.

La colletta (2 Co 8-9): Cosciente del debito di riconoscenza che le chiese di origine pagana devono alla chiesa madre di Gerusalemme, Paolo organizzerà una grandiosa raccolta di fondi tra le chiese greche per sovvenire alle necessità della chiesa di Gerusalemme. Questa non sarà solo un’operazione finanziaria (che pure Paolo organizza nei dettagli) ma un atto di comunione, di autentico scambio. “Questa colletta infatti non ha lo scopo di ridurre voi in miseria perché altri stiano bene: la si fa per raggiungere una certa uguaglianza. In questo momento voi siete nell’abbondanza e perciò potete recare aiuto a loro che sono nella necessità. In un altro momento saranno loro, nella loro abbondanza, ad aiutare voi nelle vostre difficoltà. Così ci sarà sempre uguaglianza, come dice la Bibbia: ‘chi aveva raccolto molto non ebbe di più, chi aveva raccolto poco non ebbe di meno “ (2 Cor 8,13-15). “L’organizzazione di questo soccorso fraterno non serve soltanto ad aiutare i credenti di Gerusalemme che sono poveri, ma anche a fare in modo che molti ringrazino Dio. Il vostro aiuto sarà per loro una prova concreta che voi sapete obbedire e accogliere l’annuncio di Cristo” (2 Cor 9, 12-13). Questi due capitoli della 2 Corinti possono forse offrire molti spunti anche sulla collaborazione economica nelle nostre comunità.

b) PAOLO E I SUOI COLLABORATORI

Paolo e’ riconosciuto come un missionario dinamico. La sua attivita’ missionaria ha marcato per sempre la diffusione della fede cristiana in tutto il mondo. Egli pero’ non e’ un eroe solitario. Occorre ricordare che una delle caratteristiche della strategia missionaria di Paolo fu il circondarsi di collaboratori. Leggendo attentamente gli Atti e le lettere paoline, ci si rende conto che l’apostolo delle genti non era solo a svolgere questo compito. Egli aveva il dono di attirare altre persone nella sua orbita, lavorando in collaborazione con uomini e donne.

L’esame di due termini greci del NT può essere illuminante: sunergos e allelon

SUN-ERGOS (collaboratore)

Nell’uso profano e religioso del mondo Greco questo termine indica qualcuno (un dio o un uomo) che presta aiuto a un altro o collabora con altri in vista di un determinato fine. Riferita a un uomo, la parola indica il comportamento di un aiutante (cf. CEI, Sulle orme di Aquila e Priscilla, San Paolo 1998, p. 123).

Nel NT, synergos ricorre 13 volte, 12 in Paolo (1 Ts 3,2; 1 Cor 3,9; Fil 2,25; 4,3; Flm 1, 24; 2 Cor 1,24; 8,23; Rm 16,3.9.21; Col 4,11) e una in 3 Giov 8, sempre riferito a persone. Si tratta quindi di un termine tipicamente paolino che l’Apostolo usa esclusivamente in riferimento alla sua azione missionaria e in un senso differente da quello che la parola aveva prima di lui. In Paolo esso diventa un appellativo per indicare le persone impegnate con lui nel lavoro missionario come veri “con-lavoratori”.

Secondo Francesco Lambiasi (Ibid., p. 124-126) vi sono cinque elementi che definiscono la figura dei collaboratori di Paolo.

- il synergos e’ un incaricato di Dio. Non e’ quindi un “ingaggiato” da Paolo, ma un autentico collaboratore che compie un’opera affidatogli da Dio. Tutti i sunergoi, Paolo incluso, sono nella stessa condizione di dipendenza da Dio che li ha assunti come suoi collaboratori “Siamo infatti collaboratori di Dio” (1 Cor 3,9);

- il synergos collabora nella stessa opera comune. Egli svolge la medesima attività di Paolo, anche se con compiti e funzioni differenti (cf. 1 Cor 3,4-8). Sunergos non indica ne’ una sottomissione funzionale a Paolo (quale sarebbe un “coadiutore”) ne’ una relazione puramente amichevole come quella tra “compagni” di lavoro e missione. Si vuole piuttosto indicare una corresponsabilità nel portare avanti un’opera comune.

- il synergos viene usato per indicare le persone che lavorano insieme nell’opera della missione. Egli e’ pertanto un missionario collaboratore dell’Apostolo in quanto, come lui, fu chiamato a servizio dell’annuncio missionario (cfr 1 Cor 3, 5-9). Nel pensiero e nella prassi di Paolo il termine sunergos e’ un termine tecnico con cui l’Apostolo indica le persone intimamente legate con lui come collaboratori responsabili, incaricati da Dio, nella comune opera dell’annuncio missionario.

- Fondamentale per determinare ulteriormente lo specifico della collaborazione e’ il testo di 1 Cor 3, 5-15. In esso vengono precisati i tratti della fisionomia dei “collaboratori”. Innanzitutto si ribadisce la “ministerialita’” o diaconia dei collaboratori: questi sono solo strumenti che possono piantare o irrigare, ma e’ Dio cha fa crescere. Si precisa poi la base della collaborazione, che e’ il Vangelo di Gesù’ Cristo. Paolo da bravo architetto ha posto le fondamenta; gli altri poi hanno costruito sopra, ma “nessuno può porre un fondamento diverso da quello che e’ stato posto, che e’ Gesù’ Cristo (v. 11). Questo Vangelo e’ la norma per tutti i collaboratori, anche per Paolo stesso. Infine con il riferimento al giudizio di Dio, Paolo mette in rilievo che ciascun collaboratore deve rendere conto a Dio del proprio lavoro e che il giudizio sui collaboratori e’ riservato a Dio, a lui solo (cfr. Vv.12-15).

- Nonostante che Paolo fosse cosciente e geloso della sua autorità apostolica nell’opera missionaria, tuttavia egli riconosce la maturità dei suoi collaboratori e le loro capacità di autonomia. Per questo egli non si colloca mai al di sopra di essi, ma sempre accanto a loro. Egli non cercava mai di legarli a sé o di degradarli a docili esecutori nelle sue imprese apostoliche. In breve: non sono stati i parametri personali di Paolo che si imponevano e regolavano l’attivita’ missionaria dei suoi collaboratori, ma unicamente il Vangelo predicato.

Priscilla e Aquila, una coppia di coniugi collaboratori di Paolo

Il termine synergos e’ usato una sola volta con riferimento a una coppia missionaria: Aquila e Priscilla “miei collaboratori nel servizio di Gesù’ Cristo” (Rm 16,3). Aquila e’ un giudeo del Ponto, sua moglie Prisca o Priscilla e’ probabilmente anche giudea ma con un nome romano. Paolo li incontra a Corinto dove si erano stabiliti dopo essere stati scacciati da Roma (At 18, 2-3). Essendo “fabbricanti di tende” come Paolo, gli offrirono ospitalità e lavoro nella loro casa e laboratorio a Corinto e con lui collaborarono per un anno e mezzo alla nascita e sviluppo di quella Chiesa (At 18,11.18). L’amicizia della coppia e’ stato il primo servizio che Paolo ha ricevuto da Aquila e Priscilla, un servizio prezioso, di cui sarà perennemente grato. Un altro servizio che Aquila e sua moglie prestano all’evangelizzazione e’ l’ospitalità alla comunità cristiana “vi salutano molto, nel Signore, Aquila e Priscilla e tutta la comunità che si riunisce a casa loro” (1 Cor 16,19, cf Ro 16,5). Durante il terzo viaggio di Paolo, per oltre due anni (At 19,8) si trovavano a Efeso e continuarono l’evangelizzazione in quella chiesa. Uno dei risultati più felici della loro opera fu la trasformazione di Apollo in apostolo accuratamente istruito nella “via di Dio” (At 18, 24- 28). E’ bello pensare che tra i più stretti collaboratori di Paolo ci sia stata una coppia di coniugi che ha vissuto la propria autonomia di famiglia e di commercio e la comunione missionaria con Paolo nel fondare e sostenere le chiese di Corinto ed Efeso e nell’animazione della comunità di Roma.

LA RECIPROCITA’ (allelon)

Il concetto di collaborazione richiama alla reciprocità.

Nel NT la reciprocità e’ espressa dal pronome greco allelon = l’un l’altro, a vicenda, reciprocamente. In Giovanni e Paolo esso indica come devono comportarsi tra loro i cristiani nella comunità, con accentuazione della reciprocità, culminante nel comandamento di Gesù’, il comandamento dell’amore “amatevi gli uni gli altri, vicendevolmente come io vi ho amati” (Giov 15,12).

Una serie di raccomandazioni paoline esemplifica alcuni percorsi di questa reciprocità amorosa nella comunità: “gareggiare nello stimarsi a vicenda” (Rm 12,10); “avere i medesimi sentimenti gli uni verso gli altri” (Rm 12,16); “correggersi l’un l’altro” (Rm 15,14); “aspettarsi gli uni gli altri” (1 Cor 11,33); Perché non ci siano divisioni nel corpo: “tutte le parti si preoccupano le une delle altre” (1 Cor 12,25); “farsi servi gli uni degli altri” (Gal 5,13); “portare gli uni i pesi degli altri” (Gal 6,2); “Cercare quello che contribuisce alla pace e all’aiuto reciproco” (Rm 14,19), “accogliersi l’un l’altro come Cristo ha accolto noi” (Rm 15,7) “consigliarsi gli uni gli altri” (Rm 15,14).

Questa serie di raccomandazioni di Paolo può costituire una ricca sorgente di ispirazione per ogni gruppo che voglia costruire la collaborazione e rinforzare la responsabilità e l’autonomia personale.

Ultima modifica il Giovedì, 05 Febbraio 2015 16:56

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