La missione oggi e le sfide del futuro

Pubblicato in Missione Oggi
Il tentativo di sintetizzare in una breve relazione la situazione attuale della missione e le sfide del futuro, soprattutto per chi sa molto bene di non essere specialista in materia, è già una sfida certo non tanto grande come quella del futuro della missione, ma che partecipa in qualche modo della sua stessa difficoltà. Infatti, chi potrebbe pretendere di identificare quale saranno le sfide che nel futuro dovrà affrontare la Chiesa, in questo come in tanti altri aspetti della sua vita, se vuole essere fedele agli insegnamenti e ai comandi di Cristo? Poiché la situazione de facto e le sfide concrete saranno oggetto di studio nella seconda giornata del convegno, mi incentrerò sui temi teologici di fondo che in questi ultimi anni e ancora in questo momento hanno avuto incidenza sulla sensibilità missionaria nella Chiesa e ne avranno ancora probabilmente nel prossimo futuro.

In concreto il problema della mediazione unica di Cristo e della missione della Chiesa in ordine alla salvezza del mondo. Il legame di questi grandi temi centrali con la situazione attuale della missione ad gentes si scopre subito a partire del fatto che l’enciclica Redemptoris Missio si è occupata a lungo di questi problemi. In realtà la fede in Cristo e il suo annunzio vanno sempre e necessariamente insieme.


La natura missionaria della Chiesa e il dovere dell’evangelizzazione

Che l’evangelizzazione sia un dovere per la Chiesa e per i cristiani si scopre facilmente a partire dal precetto esplicito del Signore: «Andate in tutto il mondo e predicate il vangelo ad ogni creatura» (Mc 16,15) e: «Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro a osservare tutto ciò che vi ho comandato» (Mt 28,19-20; cf. anche At 1,8). Non dovrebbero dunque essere dei dubbi sul dovere di evangelizzare che incombe la Chiesa. Di fronte a queste esplicite parole del Signore la Chiesa e i cristiani devono collocarsi in atteggiamento di ascolto e di obbedienza. Non sarebbe lecito diminuire la portata di queste parole con riflessioni umane tendenti a affievolire il loro significato e l’urgenza del mandato del Risorto. Il Papa Giovanni Paolo II nella sua enciclica Redemptoris Missio del 1990, cioè, 25 anni dopo la promulgazione del decreto conciliare Ad Gentes costatava che «la missione di Cristo redentore, affidata alla Chiesa, è ancora ben lontana dal suo compimento. Al termine del secondo millennio dalla sua venuta uno sguardo d’insieme all’umanità dimostra che tale missione è ancora agli inizi e che dobbiamo impegnarci con tutte le forze al suo servizio» (RM 1). I nostri tempi di facile comunicazione e di globalizzazione, con i vantaggi e i rischi ad essi inerenti ci fanno più consapevoli di questi fatti costatati da Giovanni Paolo II. Il fatto che una grande maggioranza dei nostri contemporanei non conosce Gesù Cristo come quello che egli in verità è, il Figlio di Dio fattosi uomo per noi e per la nostra salvezza, dovrebbe creare in noi cristiani una qualche inquietudine. Segnalava già Giovanni Paolo II nell’enciclica già menzionata che il numero di coloro che ignorano Cristo si era quasi raddoppiato dalla fine del concilio Vaticano II all’anno 19901. Oggi questo numero è ulteriormente aumentato, malgrado gli slanci positivi per l’evangelizzazione sorti dopo il concilio Vaticano II. Ma è lo stesso Giovanni Paolo II a indicare, nell’enciclica menzionata, che, oltre ai frutti positivi del Concilio nell’ambito missionario, «non si può nascondere una tendenza negativa […]: la missione specifica ad gentes sembra in fase di rallentamento non certo in linea con le indicazioni del concilio e del magistero successivo. Difficoltà interne ed esterne hanno indebolito lo slancio missionario della Chiesa verso i non cristiani, ed è un fatto, questo, che deve preoccupare tutti i credenti in Cristo. Nella storia della Chiesa, infatti, la spinta missionaria è sempre stata segno di vitalità, come la sua diminuzione è segno di una crisi di fede» (RM 2). Quest’ultima osservazione merita senz’altro un commento. L’annunzio del Vangelo è parte integrante e essenziale della vita della Chiesa, non è una aggiunta che non abbia a che fare con la sua stessa natura. Non si tratta di una semplice attività che si possa sviluppare o meno a seconda delle circostanze. Lo stesso Vaticano II nel decreto Ad Gentes sull’attività missionaria della Chiesa afferma: «La Chiesa durante il suo pellegrinaggio sulla terra è per sua natura missionaria, in quanto è dalla missione del Figlio e dalla missione dello Spirito Santo che essa, secondo il piano di Dio Padre deriva la propria origine» (AG 2).

L’affermazione del decreto Ad Gentes, che riprende e sintetizza l’insegnamento della costituzione dogmatica Lumen Gentium2, è di grande portata teologica: la natura missionaria della Chiesa scaturisce dalle missioni divine del Figlio e dello Spirito al mondo da parte dal Padre, missioni che d’altra parte sono il riflesso delle processioni eterne delle persone del Figlio e dello Spirito Santo; essi che hanno la loro origine nel Padre sorgente senza sorgente e principio unico della divinità3. È a causa della radicazione della Chiesa nelle missioni del Figlio e dello Spirito e dunque nella Trinità, a causa del fatto che Dio ci chiama a partecipare nella sua stessa vita tramite queste missioni, che la Chiesa non può non essere missionaria senza tradire se stessa. Se la Chiesa non si sente e non si sa inviata da Cristo con la forza dello Spirito non può nemmeno riconoscere Gesù l’inviato del Padre (cf. Gv 20,21). La Chiesa è dunque inviata alle genti da Cristo che è stato a sua volta inviato dal Padre è, dopo la sua morte, risurrezione e ascensione al cielo, ha effuso lo Spirito Santo in virtù del quale gli apostoli hanno reso testimonianza di Gesù, da Gerusalemme fino agli estremi confini della terra. Il decreto Ad Gentes indica proprio nel suo inizio che la Chiesa è stata inviata alle genti divinitus per essere sacramento universale di salvezza, e a causa delle esigenze più profonde della sua cattolicità e nell’obbedienza al mandato del suo Fondatore si sforza di annunziare il Vangelo a tutti gli uomini4. Il significato del avverbio divinitus sembra essere stato oggetto di discussione. Mentre spesso si traduce semplicemente come “per mandato divino” o “da Dio”, altri pensano che una tale traduzione non fa giustizia al senso profondo della parola, che significherebbe piuttosto “dall’intimo di Dio”5. Certamente il mandato divino è un elemento esenziale, e senza di esso no si spiega la missione, ma il senso profondo da questo mandato non si scopre se non si tiene conto, come chiaramente indica il testo del decreto Ad Gentes, del fatto che esso scaturisce dalla vita stessa di Dio e che ne è un riflesso nell’economia della salvezza. Infatti gli uomini siamo chiamati per la benevolenza misericordiosa del Padre a partecipare alla sa vita e alla sua gloria. In quanto la Chiesa è realmente “Chiesa della Trinità”6, la missione è un aspetto essenziale della sua stessa natura. Un indebolimento del senso della missione ad gentes deve essere considerato come un sintomo di un indebolimento della stessa vita ecclesiale. La missione, ricordava Giovanni Paolo II, «rinnova la Chiesa, rinvigorisce la fede e l’identità cristiana, dà nuovo entusiasmo e nuove motivazioni. La fede si rafforza donandola!»7.

Cristo, mediatore unico, svela l’uomo a se stesso

Ma la Chiesa non è un fine in se stessa, e la missione non consiste nell’annunzio della Chiesa ma in quello di Cristo rivelatore del Padre, luce delle genti. Il problema eclesiologico diventa così un problema cristologico, o meglio si tratta di due aspetti intimamente legati della stessa questione, poiché Cristo e la sua Chiesa vanno sempre necessariamente uniti. Ma il primato di Cristo va sempre salvato. Infatti segnalava anche Giovanni Paolo II: «Nessun credente in Cristo, nessuna istituzione nella Chiesa può sottrarsi a questo dovere supremo: annunziare Cristo a tutti i popoli»8. Questo è il più grande servizio che la Chiesa può rendere all’umanità e a ciascun uomo, perché non di rado nel nostro mondo si è perso il senso delle realtà ultime e definitive e dell’esistenza. Ma questo senso non si trova fuori di Cristo. Riprendendo alcune affermazioni fondamentali della costituzione pastorale Gaudium et Spes, l’enciclica Redemptoris missio ricorda che soltanto Cristo rivela pienamente l’uomo a se stesso, e che questi deve avvicinarsi a Cristo se vuol comprendere se stesso9. Infatti, come lo stesso Concilio ci ha insegnato, egli è l’uomo perfetto10 e manifesta all’uomo la sua vocazione nella rivelazione del mistero del Padre e del suo amore. Gesù manifesta la verità dell’uomo in quanto gli fa conoscere l’amore di Dio Padre, che vuole che tutti gli uomini diventino suoi figli in Gesù il Figlio unigenito. L’uomo conosce dunque se stesso e la sua vocazione conoscendo Gesù, rivelatore del Padre e del suo amore. In Cristo l’uomo può capire se stesso come amato da Dio. Gesù Cristo, in virtù della sua filiazione divina e della sua perfetta umanità, può allo stesso tempo rivelare Dio e dirci chi siamo noi. Egli non è solo perfettamente uomo, ma l’uomo perfetto, in virtù della sua divinità e non malgrado essa. L’uomo è stato pensato da Dio fin dell’inizio per la sua conformazione con Cristo (cf. Rom 8,29; 1 Cor 15,45-49, fra tanti altri passi). Solo in Cristo appunto l’uomo perfetto, paradigmatico, il modello secondo il quale tutti siamo stati creati, l’uomo può raggiungere la pienezza. La rivelazione cristiana non conosce un’altra possibilità di salvezza per gli uomini e un altro contenuto di essa se non la risurrezione con Cristo e la partecipazione alla sua vita divina nella pienezza dello Spirito Santo. Queste essenziali considerazioni cristologiche e antropologiche devono essere tenute presenti se si vuol riflettere sui presupposti teologici che ci fanno capire le sfide della missione oggi.

Infatti, solo nella fede in Gesù Cristo Dio e uomo, rivelatore del Padre, come unico salvatore di tutti trova origine la missione universale. Soltanto a partire da questa convinzione gli apostoli hanno predicato il nome di Cristo in tutti i confini della terra. Li guidava una convinzione fondamentale: «Questo Gesù è la pietra che scartata da voi, costruttori, è diventata testata d’angolo (Sal 117,22). In nessun altro c’è salvezza; non vi è infatti altro nome dato agli uomini sotto il celo nel quale sia stabilito che possiamo essere salvati» (At 4,11-12). Ed è proprio questo punto centrale che da diversi angoli è diventato oggetto di contestazione. Se questa affermazione centrale della fede è oggetto di discussione cade il senso della missione; ma allo stesso tempo cadono anche con essa tante altre verità centrali della fede cristiana.

La prima sfida che la missione e in concreto la teologia della missione deve affrontare è in questo momento senza dubbio il problema del pluralismo religioso. Che ci sia nel mondo una pluralità di religioni è senz’altro un fatto evidente. Da questo fatto, che certamente non scappa alla provvidenza universale di Dio, si è voluto però dedurre che questa pluralità risponde a un disegno positivo nel piano salvifico di Dio. Si colloca frequentemente all’inizio di queste posizioni l’insegnamento del teologo protestante tedesco E. Troeltesch, per il quale il cristianesimo dovrebbe rinunciare a rivendicare una sua assolutezza, perché nessuna religione storica potrebbe avanzare una simile pretesa. Il cristianesimo è la religione più adatta allo spirito e la cultura dell’Europa, è la più grande rivelazione della religiosità personalistica, però si colloca accanto alle altre religioni storiche in quanto tutte camminano verso una meta che non può essere conosciuta; là troverebbero tutte le religioni la loro unità ultima11. In linea con queste idee si colloca anche la contestazione dell’idea stessa dell’incarnazione. Questa, lungi dall’essere un evento unico, si sarebbe realizzata in molti modi e gradi in differenti persone, nelle grandi guide spirituali del mondo, in quelli che sono pieni dello Spirito, che possiamo chiamare santi. Così l’incarnazione, in questo senso lato e non specifico, si può ripetere in innumerevoli casi12. Si indica d’altronde che nessuna figura storica sarebbe capace di esprimere tutte le ricchezze e l’infinita perfezione dell’essere divino. Gesù sarebbe in questo senso una delle figure di mediazione apparse nella storia, non gli si potrebbe però attribuire un carattere assoluto. Secondo i rappresentanti di questa linea di pensiero può diventare difficile, a partire dalla esperienza del dialogo interreligioso e dalla conoscenza delle ricchezze spirituali dei diversi popoli e delle diverse religioni, affermare ancora la superiorità del cristianesimo. Piuttosto questi incontri fanno pensare che nelle grandi religioni c’è una mescolanza di bene e di male, tutte avrebbero un simile valore salvifico come risposta al mistero trascendente. Più specificamente, dal punto di vista della teologia cristiana si tenta di giustificare questi insegnamenti a partire dalla cristologia e dalla dottrina su Dio. D’una parte si insiste nella incomprensibilità di Dio, che impedisce che una sola figura di mediazione possa farlo conoscere in pienezza. D’altra parte si parla del teocentrismo di Gesù, che vive in costante riferimento al Padre e nella totale apertura alla sua volontà. Dal fatto dell’incomprensibilità di Dio e del riferimento di Gesù al Padre si deduce che la fede cristiana nell’incarnazione non esclude che il Logos presente in Gesù si trovi anche in altri uomini. Anche in una pluralità di mediazioni ci sarebbe sempre l’unico amore di Dio, l’unico “mediatore”. L’insistenza nell’incomprensibilità di Dio non significa negare la possibilità e la realtà della sua rivelazione, bensì al contrario: Dio si è rivelato in tutta la storia e non soltanto in un frammento di essa, secondo le capacità degli uomini che dovevano accogliere questa rivelazione. Poiché queste capacità sono diverse, la rivelazione è accaduta in differenti forme. Così questa rivelazione è stata all’origine delle diverse esperienze religiose; per poterle spiegare gli uomini hanno adoperato i concetti che hanno avuto a disposizione in ogni momento e in ogni contesto. Tutte queste esperienze e le corrispondenti spiegazioni a cui hanno dato luogo sono valide, perché nella loro radice c’è sempre la rivelazione di sé stesso che Dio ha fatto all’umanità. Perciò l’unico Logos ha potuto dar luogo a molteplici manifestazioni salvifiche. Una di esse sarebbe Gesù Cristo, che è decisivo per i cristiani; ma questo non esclude che altri gruppi religiosi siano destinatari di altre manifestazioni dell’amore di Dio e altre mediazioni di salvezza13. Come facilmente si vede è soprattutto l’unicità e l’irrepetibilità dell‘incarnazione che si trova in discussione, e, anche la stessa divinità di Cristo, poiché la presenza del Logos nelle diverse figure di mediazione sembrerebbe simile a quella che ha avuto luogo nei profeti14.

Altri autori, in un modo molto più sfumato, cercano di render conto del valore salvifico delle diverse religioni e dell’universalità della salvezza facendo ricorso alla distinzione fra l’evento storico particolare di Cristo, necessariamente limitato, e l’azione universale del Logos divino “in quanto tale”, cioè, senza un rapporto diretto all’incarnazione. Quest’ultima è un evento unico e irrepetibile, in Gesù c’è la più grande e più piena manifestazione di Dio, ma la particolarità storica di Gesù Cristo impone certe limitazioni alla portata e ella significazione della venuta al mondo del Figlio di Dio fattosi uomo. Non si può trattare dunque di un evento assoluto, poiché nessun evento storico singolare lo può essere. Dio è l’Assoluto ma non una religione. Se il Logos ha preso la forma umana in un modo irrepetibile nell’incarnazione, bisogna anche affermare che tutta la creazione è piena del Logos divino. Per questa ragione l’economia del Verbo incarnato può essere considerata come il “sacramento” di una economia più ampia, quella del Verbo eterno de Dio, che coinciderebbe con la storia religiosa dell’umanità; il cristianesimo non esclude altri modi di presenza di Dio nella storia, perché altrimenti si confonderebbe la particolarità storica di Gesù con la pienezza del Dio invisibile15. In altre occasioni, in relazione anche con queste ultime posizioni, si pensa ad una economia dello Spirito Santo più vasta di quella di Gesù Cristo. Si pensa infatti che l’umanità del Figlio, anche se glorificata nella risurrezione, sarebbe un limite alla attuazione universale dello Spirito Santo, il cui dono all’umanità non dipenderebbe solo dal mistero pasquale. Ci sarebbe anche un dono dello Spirito da parte del Verbo “in quanto tale”, senza relazione diretta al Gesù risorto16. Ma nel Nuovo Testamento la azione dello Spirito Santo non si può capire senza la sua fondamentale relazione a Cristo: è il protagonista principale della missione che annuncia Cristo (cf. At 1,8; 2,32; 4,31; 10,19, etc.); dà vita e unità al corpo di Cristo nella varietà dei carismi (cf. 1 Cor 12,4-13), ci fa figli di Dio in Cristo (Gcf. Gal 4,6; Rom 8,14-16), ci introduce nella pienezza della verità che è Cristo stesso (cf. Gv 15,25;16,13, etc.). E anche dobbiamo fare breve menzione delle posizioni che vorrebbero sostituire al cristocentrismo un “regnocentrismo”, a sua volta “teocentrico” poiché non tutti conoscono e possono comprendere Cristo, «mentre popoli, culture e religioni diverse si possono ritrovare nell’unica realtà divina, quale che sia il suo nome. Per lo stesso motivo esse privilegiano il mistero della creazione, che si riflette nella diversità di culture e credenze, ma tacciono sul mistero della redenzione. Inoltre, il Regno […] finisce con l’emarginare o sottovalutare la Chiesa […]. Ora, non è questo il Regno di Dio quale conosciamo dalla rivelazione: esso non può essere disgiunto né da Cristo né dalla Chiesa […] Cristo non soltanto ha annunziato il Regno, ma in lui il Regno stesso si è fatto presente e si è compiuto»17.

Non c’è bisogno di insistere molto sui problemi che suscitano queste posizioni dal punto di vista della teologia cattolica. La volontà salvifica universale di Dio si trova legata nel Nuovo Testamento all’unica mediazione di Gesù Cristo (cf. 1 Tm 2,5-7), il Verbo incarnato nel seno di Maria Vergine, che preesisteva fin dall’inizio presso il Padre (cf. Gv 1,1-2.14). Soltanto egli ci fa conoscere Dio (cf. Gv 1,18; Mt 11,27; Lc 10,22); nessuno può arrivare al Padre se non è per mezzo di lui (cf. Gv 14,6). Egli è l’unico salvatore, per mezzo del quale il Padre ha riconciliato a sé tutte le cose (cf. Col 1,19-20; 2 Cor 5,18-19), egli toglie il peccato del mondo (cf Gv 1, Il Nuovo Testamento e l’insegnamento costante della Chiesa hanno legato indissolubilmente la dimensione rivelatrice e la dimensione salvifica del mistero di Cristo. Allo stesso tempo che ci fa conoscere Dio, egli porta la salvezza per tutti gli uomini. Il Figlio di Dio si è fatto uomo, condividendo con tutti noi la condizione umana, «provato in ogni cosa, come noi, escluso il peccato» (Eb 4,15), e questo fatto unico e nella storia ha della conseguenze per tutta l’umanità. Non c’è infatti un altro salvatore, è la sua rivelazione non può essere completata da nessun’altra18. La sua azione salvifica abbraccia tutti i popoli e tutti i tempi, nessuno è escluso da essa, a tutti gli uomini sono aperte le porte della salvezza in Cristo una volta che egli ha condiviso la nostra condizione umana ed è morto e risorto per noi19. Pensare ad una azione salvifica del Figlio di Dio portata a termine senza la sua umanità è dimenticare il vero senso dell’incarnazione20. Il Figlio di Dio, da quando ha assunto per noi uomini e per la nostra salvezza la natura umana non esiste senza di essa, in essa e nato ed è morto, in essa è risorto e la ha elevata alla condizione divina; il Figlio morto e risorto nella sua umanità vive adesso nella gloria del Padre seduto alla sua destra. Indica la dichiarazione Dominus Iesus: «Con l’incarnazione, tutte le azioni salvifiche del Verbo di Dio si fanno sempre in unità con la natura umana che egli ha assunto per la salvezza di tutti gli uomini. L’unico soggetto che opera nelle due nature, umana e divina, è l’unica persona del Verbo. Pertanto non è compatibile con la dottrina della Chiesa la teoria che attribuisce un’attività salvifica al Logos come tale nella sua divinità, che si eserciterebbe “oltre” e “al di là” dell’umanità di Cristo, anche dopo l’incarnazione»21. L’insistenza sull’unica mediazione salvifica di Cristo non significa escludere nessuno dalla volontà universale di salvezza di Dio, chiaramente attestata nel Nuovo Testamento. Il concilio Vaticano II, seguendo un’antica tradizione, ci ha ricordato che «con l’incarnazione il Figlio di Dio si è unito in un certo modo con ogni uomo»22. In virtù di questa unione misteriosa ma profondamente reale non si può considerare che l’umanità di Cristo sia un ostacolo perché a tutti arrivi la salvezza, anzi, è l’unica via stabilita da Dio. Il Nuovo Testamento non ne conosce un'altra: «Io sono la via, la verità e la vita» (Gv 14,6). Giovanni Paolo II ha scritto: «Gli uomini […] non possono entrare in comunione con Dio se non per mezzo di Cristo, sotto l’azione dello Spirito. Questa sua mediazione unica e universale, lungi dall’essere di ostacolo al cammino verso Dio, è la via stabilita da Dio stesso, e di ciò Cristo ha piena coscienza. Se non sono escluse mediazioni partecipate di vario tipo e ordine, esse tuttavia attingono significato e valore unicamente da quella di Cristo e non possono essere intese come parallele e complementari»23. L’unicità e l’universalità della mediazione di Cristo non è dunque per niente escludente. Anzi, abbraccia e include tutti gli uomini, e questa inclusione costituisce il presupposto delle affermazioni della Chiesa sulla salvezza e la redenzione, poiché in questo mistero Cristo si è unito a ogni uomo24. L’esclusione di vie alternative o complementari non significa eliminare la possibilità di mediazioni partecipate o subordinate, che non soltanto non intaccano la mediazione unica di Cristo ma sono da essa suscitate25.
Dove il carattere unico e universale della mediazione di Cristo è misconosciuto, se non si accetta che in lui la rivelazione divina è definitivamente compiuta, manca la base essenziale per capire il senso della missione ad gentes. Se le altre religioni sono cammini ugualmente validi per la conoscenza di Dio e per arrivare a lui, che senso ha l’annunzio di Cristo a tutti gli uomini? Se la salvezza può arrivare al di fuori della mediazione di Cristo perché altre “incarnazioni” sono possibili, oppure se il Verbo divino e lo Spirito Santo possono agire “al di là” dell’incarnazione e del mistero pasquale, perché continuare a proclamare e ad annunziare a tutti gli uomini lo scandalo della croce (Gal 5,11; cf. 1 Cor 1,17-25)?

Ma la fede della Chiesa continua proclamare inequivocamente la pienezza della rivelazione salvifica in Gesù Cristo, anzi, espressamente si ricollega a questa rivelazione la missionarietà della Chiesa: «In questa Parola definitiva della sua rivelazione, Dio si è fatto conoscere nel modo più pieno: egli ha detto all’umanità chi è. E questa autorivelazione definitiva di Dio è il motivo fondamentale per cui la Chiesa è per sua natura missionaria»26. In Cristo è Dio stesso che ci parla e viene all’incontro dell’uomo. «Tocchiamo qui il punto essenziale per cui il cristianesimo si differenzia dalle altre religioni, nelle quali s’è espressa sin dall’inizio la ricerca di Dio da parte dell’uomo. Nel cristianesimo l’avvio è dato dall’incarnazione del Verbo. Qui non è soltanto l’uomo a cercare Dio, ma è Dio che viene in persona a parlare di sé all’uomo»27. La venuta nel mondo del Figlio fatto uomo, morto e risorto, presente alla sua Chiesa e al mondo intero nella forza dello Spirito è la novità radicale del cristianesimo, il che non significa misconoscere gli elementi di verità e di grazia presenti nelle altre religioni. Anzi, secondo il concilio Vaticano II, questa ricerca di Dio nelle religioni si colloca all’interno del disegno universale di salvezza28. Ma la Chiesa non può ritenere per sé stessa la verità dell’amore di Dio manifestato in Gesù Cristo; non può non far conoscere a tutti gli uomini la Buona Novella della salvezza perché questa è destinata a tutti gli uomini senza distinzione di razza, di cultura e neanche di religione. I presupposti della missione sono dunque radicati nel mistero di Cristo; e trovano il loro ultimo fondamento nel mistero del Dio uno e trino che l’economia salvifica ci rivela29.

La Chiesa e la salvezza

Ma, evidentemente, anche accettati questi presupposti cristologici, possono sorgere altri problemi teologici. Diverse volte abbiamo menzionato la portata universale della volontà salvifica di Dio e della mediazione di Cristo. Esse possono raggiungere ogni uomo, anche al di fuori dei confini visibili della Chiesa. Questo fatto è chiaramente riconosciuto dal recente magistero della Chiesa: «Cristo è morto per tutti e la vocazione ultima dell’uomo è effettivamente una sola, quella divina; perciò dobbiamo ritenere che lo Spirito Santo dia a tutti la possibilità di venire associato, nel modo che Dio conosce, al mistero pasquale»30. Siamo ormai lontani da una interpretazione restrittiva dell’assioma extra Ecclesiam nulla salus.31 Può sorgere allora la domanda sul senso che possa avere ancora oggi la missione ad gentes. Lo stesso Giovanni Paolo II si faceva eco di questa difficoltà che sorge in alcuni: «È ancora attuale la missione tra in non cristiani? Non è forse sostituita dal dialogo inter-religioso? Non è un suo obiettivo sufficiente la promozione umana? Il rispetto della coscienza e della libertà non esclude ogni proposta di conversione? Non ci si può salvare in qualsiasi religione? Perché quindi la missione?» (RM 4).

In realtà l’impulso missionario non può essere il frutto del calcolo, ma nasce dall’azione dello Spirito, sorge solo dal desiderio di comunicare agli altri le ricchezze di cui siamo beneficiari. È l’impulso della carità che porta a condividere non soltanto i beni materiali ma anche quelli spirituali. L’annunzio di Cristo diventa una necessità per chi vive in profondità la fede. L’impulso missionario e la vita di fede della Chiesa vanno di pari passo. Soltanto nella comunicazione si rinforza la fede. Perciò il papa Giovanni Paolo II poteva dire che la sua enciclica Redemptoris missio aveva anche una finalità “interna”, il rinnovamento della fede e della vita cristiana32. Chi conosce Gesù non può non comunicarlo, nella risposta a una esigenza interiore che non si lascia afferrare in termini di puro razionalismo. È la dinamica dell’amore di Dio manifestato in Cristo che porta a la donazione totale di sé, senza riserve, da parte di chi si sente chiamato a rispondere all’amore di Cristo fino alla fine, espressione e rivelazione dell’amore del Padre cha ha dato il suo Figlio per la salvezza del mondo. È di questa esigenza interna della fede che si sentiva mosso san Paolo quando diceva: «Non è infatti per me un vanto predicare il vangelo; è per me un dovere: guai a me se non predicassi il vangelo» (1 Cor 1,16). Come Cristo ha annunziato il Regno di Dio legato alla sua persona, la Chiesa deve annunziare Gesù Cristo morto e risorto per la salvezza di tutti. La Chiesa esiste per evangelizzare33. Allo stesso tempo che la Chiesa rinvigorisce la sua fede nel rendere testimonianza si arricchisce con il contributo che danno alla sua vita le giovani Chiese e i popoli che hanno conosciuto il vangelo soltanto di recente34. Si allarga così l’orizzonte universale proprio del messaggio di Gesù e se ne possono scoprire aspetti e dimensioni forse non sempre esplicitati. L’evangelizzazione e la missione non sono soltanto un bene per coloro ai quali il vangelo è annunziato –subito entreremo in questo argomento – ma sono anche un dovere e un grande bene per tutta la Chiesa, poiché essa è il soggetto primo della missione, e per i singoli cristiani. Rimane attuale la domanda che si faceva già Paolo VI nella sua esortazione Evangelii Nuntiandi: anche se noi non evangelizziamo coloro che non conoscono Cristo,essi possono essere salvati da Dio per altre vie. Ma possiamo salvarci noi, se ci vergogniamo del Vangelo (cf. Rom 1,16) e tralasciamo questo dovere di annunziarlo?35. Questo dovere è d’altra parte una grazia (cf. Ef 3,8) alla quale dobbiamo corrispondere e che non possiamo lasciar perdere.

Il dovere dell’annuncio non si riferisce soltanto all’obbligo della Chiesa di essere fedele al mandato di Gesù Cristo, ma anche alla situazione di tutti coloro che non conoscono Cristo e non hanno ricevuto la definitiva rivelazione di Dio, anche se lo cercano «come a tentoni» (At 17,27). Quanto abbiamo detto sulla definitività della rivelazione di Cristo e l’universalità della sua mediazione trova anche qui applicazione. Pur nel riconoscimento dei valori positivi che si trovano nelle diverse religioni, il Concilio Vaticano II indicò anche il bisogno di purificazione e di elevazione di quanto si trova di buono nel cuore degli uomini: «Procura poi [la Chiesa] che quanto di buono si trova seminato nel cuore e nella mente degli uomini o nei riti e culture proprie dei popoli, non solo non vada perduto, ma sia purificato (sanetur), elevato (elevetur) e perfezionato (consummetur) a gloria di Dio, confusione del demonio e felicità dell’uomo»36. È esattamente la terminologia che adopera anche il decreto Ad Gentes: «[L’attività missionaria] purifica dalle scorie del male ogni elemento di verità e di grazia presente e riscontrabile in mezzo ai pagani per una segreta presenza di Dio e lo restituisce al suo autore, cioè a Cristo, che distrugge il regno del demonio e arresa la multiforme malizia del peccato. Perciò ogni elemento di bene presente e riscontrabile nel cuore e nell’anima umana o negli usi o civiltà particolari dei popoli, non solo non va perduto, ma viene sanato, elevato e perfezionato (sanatur,elevatur et consummatur) per la gloria di Dio, la confusione del demonio e la felicità dell’uomo» (AG 9). Nel riconoscimento esplicito dei valori che si trovano nelle culture e religioni37, il Concilio segnala anche il bisogno di purificazione e di perfezione che soltanto il vangelo può portare a chi non conosce Cristo. L’attività missionaria è chiamata proprio a portare la luce definitiva a quei popoli e agli addetti delle religioni nelle quali si trovano dei riflessi della luce che illumina ogni uomo, ma non conoscono ancora in pienezza questa luce che è Cristo. In modo simile ha proposto le stesse questioni il magistero postconciliare, che ha continuato a parlare, seguendo già ciò che si trova indicato nel Concilio, della preparazione evangelica e nei semi del Verbo che si possono trovare nelle religioni, che non possono offrire la comunione con Dio che si può raggiungere grazie alla Chiesa38. Su queste ricchezze spirituali che non possono mai essere disgiunte da Cristo39 ha insistito in particolar modo Giovanni Paolo II nell’enciclica Redemptoris Missio: «La presenza e l’attività dello Spirito non toccano solo gli individui, ma la società e la storia, i popoli, le culture, le religioni. Lo Spirito, infatti, sta a l’origine dei nobili ideali e delle iniziative di bene dell’umanità in cammino […]. È ancora lo Spirito che sparge i “semi del Verbo”, presenti nei riti e nelle culture, e li prepara a maturare in Cristo» (RM 29)40. Ma allo stesso tempo si indica che c’è una azione peculiare dello Spirito nella Chiesa41, anche se non separata dalla sua azione universale42, e anche che Dio si fa presente ai popoli «mediante le loro ricchezze spirituali, di cui le religioni sono precipua ed essenziale espressione, pur contenendo “lacune, insufficienze ed errori”»43. Il riconoscimento di questi valori e di questi elementi che, in quanto opera di Cristo e del suo Spirito, possono essere un aiuto valido per i membri di queste religioni, non può portare a considerarle vie di salvezza alternative alla Chiesa. Questa ha una relazione singolare e unica con il Regno di Dio, che è in sostanza il Regno di Cristo presente fra gli uomini, e dunque «sarebbe contrario alla fede cattolica considerare la Chiesa come una via di salvezza accanto a quelle costituite dalle altre religioni, le quali sarebbero complementari alla Chiesa, anzi, sostanzialmente equivalenti ad essa, pur se convergenti con questa verso il Regno di Dio escatologico»44.

No si possono dunque equiparare le religioni, come se tutte avessero lo stesso valore in ordine alla salvezza dei rispettivi addetti. Anche se il recente magistero ha parlato della presenza dei semi del Verbo nelle diverse culture e religioni, è chiaro che soltanto conoscendo Cristo si arriva alla conoscenza del Logos nella sua totalità. Questa è riservata ai cristiani. Giustino martire ha combinato armonicamente il suo insegnamento sulla presenza universale dei semi del Verbo d’una parte e dell’identificazione del Logos totale è soltanto Cristo: «Noi abbiamo ricevuto l’insegnamento che Cristo è il primogénito di Dio, e abbiamo indicato anteriormente che egli è il Verbo, del quale tutto il genere umano ha partecipato»45. E in un altro testo l’identificazione del Verbo con Cristo si fa ancora più esplicita: «Non c’è da meravigliarsi se [i demoni] smascherati cercano con più impegno di rendere odiosi coloro che vivono non più secondo una parte del Verbo seminale, ma secondo la conoscenza e la contemplazione del Verbo totale che è Cristo»46. C’è grande differenza fra la presenza parziale del Verbo e la sua presenza totale in Cristo, col quale personalmente si identifica. La pienezza dei mezzi salvifici presenti nella Chiesa cattolica non si può trovare altrove. Non si può dunque pensare ad una equivalenza delle religioni in ordine alla salvezza. Se questa è possibile per gli uomini che si trovano nelle diverse religioni, non possiamo affermare che le religioni siano come tali cammini di salvezza. Malgrado le loro insufficienze e imperfezioni, le religioni, a causa dei semi del Verbo e dei raggi della verità in esse presenti, possono aiutare gli uomini nel loro cammino verso Dio, ma non si può pensare che esercitino una funzione equiparabile a quella della Chiesa per la salvezza dei cristiani e anche di tutti gli uomini. La salvezza è legata all’apparizione storica di Gesù, e dunque per nessuno può essere indifferente l’adesione personale a Cristo nella fede. Soltanto nella Chiesa, che si trova in continuità storica con Gesù, si può vivere in pienezza il suo mistero. Da qui scaturisce la necessita dell’annunzio di Cristo da parte dalla Chiesa47. «Dio “vuole che tutti gli uomini siano salvati e arrivino alla conoscenza della verità” (1 Tim 2,4): vuole la salvezza di tutti attraverso la conoscenza della verità. Coloro che obbediscono alla mozione dello Spirito di verità sono già sul cammino della salvezza; ma la Chiesa, alla quale questa verità è stata affidata, deve andare incontro al loro desiderio offrendola loro. Proprio perché crede al disegno universale di salvezza, la Chiesa deve essere missionaria»48. La volontà salvifica universale di Dio e il dovere dell’evangelizzazione non sono due verità opposte bensì complementari.

La missione e il dialogo interreligioso

Proprio per questo la missione ad gentes non può semplicemente essere sostituita dal dialogo interreligioso, che è senza dubbio anch’esso una necessità e una esigenza dei nostri tempi. Secondo Giovanni Paolo II esso fa parte della missione evangelizzatrice della Chiesa, ha dei legami speciali con la missione ad gentes e costituisce un’espressione di essa in quando è mezzo che tende a una conoscenza e arricchimento reciproco49. Il dialogo nasce dal rispetto e dal riconoscimento per quanto ha operato lo Spirito che soffia dove vuole (cf. Gv 3,8). Con il dialogo «la Chiesa intende scoprire i “germi del Verbo”, i “raggi della verità che illumina tutti gli uomini”, germi e raggi che si trovano nelle persone en nelle tradizioni religiose dell’umanità. Il dialogo si fonda sulla speranza e la carità e porterà frutti nello Spirito. Le altre religioni costituiscono una sfida positiva per la Chiesa: la stimolano, infatti, sia a scoprire e a riconoscere i segni della presenza del Cristo e dell’azione dello Spirito, sia ad approfondire la propria identità e a testimoniare l’integrità della rivelazione, di cui è depositaria per il bene di tutti»50. Il dialogo dunque non si sostituisce alla missione né all’annunzio e nemmeno dispensa dall’evangelizzazione; anzi si orienta verso l’annunzio nel quale il processo dinamico della missione evangelizzatrice della Chiesa raggiunge il suo culmine e la sua pienezza51. Il dialogo sincero, l’ascolto dell’altro, la scoperta dei segni della presenza di Dio in quelli che non condividono la nostra fede, possono aiutare i cristiani a vivere più profondamente il cristianesimo. Il dialogo può essere anche un esercizio di pazienza, in circostanze nelle quali, per diverse ragioni, l’annunzio più esplicito di Cristo non sia possibile. Il vero dialogo non può essere la rinuncia alle proprie convinzioni né alla propria fede, nasce dalla disposizione ad imparare dagli altri e accoglie la sfida positiva che sono le altri religioni per il cristianesimo; esse ci possono obbligare infatti a una più grande conseguenza e alla fedeltà ai propri principi, così che i modi di vita dei cristiani siano sempre più coerenti con la fede professata. Dialogo e annunzio si trovano così in una feconda tensione che sarà proficua per la vita della Chiesa e può essere molto positiva per l’armonia e la pace fra le diverse culture e popoli della terra. Il dialogo presuppone certamente il rispetto e la stima per gli altri e le tradizioni religiose che rappresentano52. Altrimenti manca un presupposto indispensabile per di dialogo stesso. Si deve riconoscere all’altro anche la pari dignità personale, ma questo non significa misconoscere l’esigenza della verità e l’incomparabile dignità della persona di Cristo e l’irrepetibilità del suo unico ruolo salvifico. La Commissione Teologica Internazionale si esprimeva in questi termini: «La verità della fede non è a nostra disposizione. Di fronte a una strategia di dialogo che chieda una riduzione del dogma cristologico per escludere questa pretesa di superiorità del cristianesimo, la nostra opzione […] è per una applicazione radicale della fede cristologica alla forma di annunzi che le è propria. Ogni forma di evangelizzazione che non corrisponda al messaggio, alla vita, alla morte e alla risurrezione di Gesù Cristo, compromette questo messaggio e, in definitiva, Gesù Cristo stesso. La verità come verità è sempre “superiore”; ma la verità di Gesù Cristo, la chiarezza della sua esigenza, è sempre servizio all’uomo; è la verità di chi dà la vita per gli uomini per farli entrare definitivamente nell’amore di Dio»53. Il rispetto per l’interlocutore chiede che la fede non sia messa fra parentesi nel dialogo. Soltanto così questo può entrare nella missione evangelizzatrice della Chiesa54.

Questi presupposti teologici fondamentali costituiscono a mio avviso le basi per un adeguata comprensione della missione ad gentes: la sua radicazione trinitaria e cristologica, la pienezza della rivelazione di Cristo, il Figlio di Dio incarnato, e l’universalità della sua mediazione di Cristo, il legame intrinseco fra la missione e la vita della Chiesa, la relazione fra l’annuncio e il dialogo interreligioso, anch’esso parte integrante della missione evangelizzatrice della Chiesa, ma che non costituisce un’alternativa all’annuncio di Cristo unico salvatore. È la fedeltà a Cristo stesso che impone il dovere di farlo conoscere a tutti i popoli. Tutti cercano la sua buona novella, anche senza saperlo, perché non c’è altra vocazione dell’uomo se non la partecipazione alla vita divina che l’incarnazione ha fatto possibile.

Alcuni aspetti particolari

Molte sono evidentemente le sfide dell’evangelizzazione nel mondo presente : segnalerei l’importanza e l’urgenza di alcuni aspetti: l’evangelizzazione della cultura, insinuata già in AG 22, e della quale ha parlato più esplicitamente il papa Paolo VI nella sua esortazione apostolica Evangelii Nuntiandi: quando ha parlato del bisogno si evangelizzare le culture (una felice formulazione) dall’interno e non dall’esterno, in modo che siano penetrate dal Vangelo dalla loro radice. Il rottura fra la cultura e il vangelo è una delle peggiori disgrazie del nostro tempo55. Giovani Paolo II ha insistito anche frequentemente su questo stesso argomento; parlando dell’inculturazione segnala che «significa l’intima trasformazione degli autentici valori culturali mediante l’integrazione nel cristianesimo e il radicamento del cristianesimo nelle varie culture». E aggiunge «Per l’inculturazione la Chiesa incarna il vangelo nelle diverse culture, e, nello stesso tempo, introduce i popoli con le loro culture nella sua stessa comunità: trasmette a esse i propri valori, assumendo ciò che di buono c’è in esse e rinnovandole dall’interno» (RM 52). Alcuni anni prima aveva già indicato che «la sintesi fra la cultura e la fede non è soltanto un’esigenza della cultura, ma anche della fede […]. Una fede che non si fa cultura è una fede non pienamente accolta, non totalmente pensata, non fedelmente vissuta»56. Ma del problema dell’inculturazione si tratta in un altro momento nel presente convegno.

Un altro problema attuale della missione riguarda il rapporto fra l’evangelizzazione e la promozione umana. Anche qui ci accontentiamo di alcune brevi indicazioni. Infatti, la Chiesa ha il dovere di annunciare la liberazione umana di milioni di uomini, indicava già Paolo VI nella Evangelii Nuntiandi, molti dei quali sono suoi figli; e ugualmente obbligata a aiutare perché questa liberazione incominci, dare testimonianza e fare sì che sia totale. Tutto questo non è estraneo al vangelo57. Evidentemente non si può identificare l’evangelizzazione con la promozione umana. M allo stesso tempo si indica che ci sono dei legami stretti fra le due realtà: legami di indole antropologica, perché l’uomo che deve essere evangelizzato non è un essere astratto ma vive in concrete condizioni economiche e sociali; di indole teologica, perché il disegno della creazione non si può separare da quello della redenzione che vuole superare le condizioni concrete di ingiustizia; di indole, finalmente, evangelica e di carità, poiché il mandato nuovo dell’amore non si può proclamare indipendentemente della promozione della giustizia e della pace e la vera promozione dell’uomo58. Non si possono ignorare le gravi questioni della giustizia della liberazione senza ignorare la dottrina evangelica circa il prossimo che soffre e si trova in necessità, ma la finalità dell’evangelizzazione è propriamente religiosa, e perderebbe la sua significazione se si allontanasse dalla base religiosa su cui si fonda59. E non di modo molto diverso si è espresso in diverse occasioni Giovanni Paolo II. Basteranno di nuovo alcuni pochi accenni: «La Chiesa, che è animata dalla fede escatologica, considera questa sollecitudine per l’uomo, per la sua umanità, per il futuro degli uomini sulla terra e, quindi, anche per l’orientamento di tutto lo sviluppo ed il progresso come un elemento essenziale della sua missione, indissolubilmente congiunto con essa» (RH 15). L’impegno sociale è parte della missione evangelizzatrice della Chiesa, è parte essenziale del messaggio cristiano60. La promozione umana e una conseguenza logica dell’evangelizzazione, e opporla al progetto di Dio sull’umanità significa una grave distorsione61. Evidentemente si tratta di un’altra sfida importante alla missione evangelizzatrice della Chiesa in un mondo dove non si può prevedere che i conflitti originati da situazioni di ingiustizia avranno un termine a breve scadenza.

Non si può finalmente dimenticare che la missione ad gentes, non si potrà separare dal processo di nuova evangelizzazione, che riguarda soprattutto le regioni e i paesi di vecchia tradizione cristiana nei quali la fede non si vive con l’intensità di un tempo62. Nuova evangelizzazione e missione ad gentes dovranno andare di pari passo nella missione globale di evangelizzazione della Chiesa in questo inizio del terzo millennio. La riflessioni sui nuovi metodi, l’impulso di un nuovo ardore evangelizzatore, la ricerca di nuove espressioni sempre più adatte63 dovranno essere preoccupazioni che abbraccino i due diversi aspetti che in tante occasioni saranno distinguibili più che separabili.

Conclusione

Gesù è venuto per fare di tutti un solo corpo, abbattendo il muro di separazione che c’era fra giudei e gentili per fare da essi un solo popolo (cf. Ef 2,13-16). Egli è morto per riunire i figli di Dio che erano dispersi (cf. Gv 11,52). Il concilio Vaticano ha ribadito in diverse occasioni questa unità degli uomini, fondata nella creazione a immagine e somiglianza di Dio e nella comunione di destino in Cristo: «Tutti i popoli costituiscono una sola comunità. Essi hanno una sola origine, poiché Dio ha fatto abitare l’intero genere umano su tutta la faccia della terra; hanno anche un solo fine ultimo, Dio, la cui provvidenza, le cui testimonianze di bontà e il disegno di salvezza si estendono a tutti» (NA 1)64. Questa unità è chiamata a raggiungere il suo culmine nella ricapitolazione universale in Cristo: «Il Verbo di Dio, per mezzo del quale tutto è stato creato, si è fatto egli stesso carne, pero operare lui, l’uomo perfetto, la salvezza di tutti e la ricapitolazione universale […]. Vivificati e radunati nel suo Spirito, come pellegrini andiamo incontro alla finale perfezione della storia umana, che corrisponde in pieno al disegno del suo amore: “Ricapitolare tutte le cose in Cristo, quelle del cielo come quelle della terra” (Ef 1,10) » (GS 45). Questa è l’unica meta della storia umana, alla quale si può arrivare solo tramite colui che unisce tutti nel suo corpo. Se una è la meta di tutti, una è soltanto in definitiva la via che ad essa ci porta. Nessuno va al Padre se non per mezzo di Gesù Cristo (cf. Gv 14,6). La missione si colloca all’interno di questo disegno di Dio di radunare tutta la famiglia umana e ricapitolare tutto in Cristo. Il decreto Ad Gentes infatti indica che la Chiesa sente in maniera più urgente la propria vocazione «perché tutte le creature siano salvate e rinnovate, affinché tutto sia restaurato in Cristo e gli uomini costituiscano in lui una sola famiglia ed un solo popolo di Dio» (AG 1). Alla fine dei tempi Cristo «consegnerà il regno a Dio Padre, dopo aver ridotto al nulla ogni principato e ogni potestà e potenza… E quando tutto gli sarà stato sottomesso, anche lui, il Figlio, sarà sottomesso a Colui che gli ha sottomesso ogni cosa, perché Dio sia tutto in tutti» (1 Cor 15,24.28). Gesú e il suo Spirito ci portano verso il Padre che li ha inviati. Tutta la storia umana troverà così la sua pienezza nella vita di Dio uno e trino.

Luis F. Ladaria, S.I.
Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli - Pontificia Università Urbaniana

Convegno Internazionale
40° anniversario del Decreto Conciliare Ad Gentes
Ultima modifica il Giovedì, 05 Febbraio 2015 16:56

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