La sobrietà dimenticata

Pubblicato in Missione Oggi
Carissimi, eccomi al mio incontro consueto con voi.
Ogni volta mi interrogo su che cosa sia opportuno dirvi; su che cosa possa essere utile e oggetto di dialogo tra me che sono Vescovo e voi Amministratori locali. Talvolta mi pare che le nostre siano due esperienze diverse e distanti; a tratti, invece, mi sembra persino che possano esservi, pur nella differenza, alcuni punti in comune.

Ma al di là di queste considerazioni, la mia riflessione è legata alla profonda amicizia e simpatia che nutro per voi, per il vostro quotidiano impegno, per quel vostro singolare darvi da fare per la gente, sempre e continuamente sottoposti a un giudizio spesso sradicato dalla realtà e che attribuisce alle vostre azioni intenzioni e scopi che magari non vi sfiorano neppure.

Da un lato, è giusto e bene che i cittadini possano esprimere un giudizio su chi li governa a tutti i livelli, dall’altro non sempre tale giudizio è pronunciato con cognizione di causa e voi amministratori restate in bilico tra questi due aspetti. Questo capita ai molti che si espongono per qualcosa, che operano per il bene pubblico oppure che compiono opere di carità piccole o grandi che siano: gli altri, che stanno a guardare, hanno bisogno di misurare tutto secondo il proprio metro e questo non sempre può piacerci.


Ecco perché non rinuncio a questo mio appuntamento: mi sembra giusto intrattenere con voi un dialogo che vada oltre le apparenze e la superficialità.


Introduzione

L’obolo della vedova

Vorrei partire in questa riflessione da un breve testo molto noto del vangelo di Luca: il racconto dell’obolo della vedova. Lo riascoltiamo.

Alzati gli occhi, vide i ricchi che gettavano le loro offerte nel tesoro del tempio. Vide anche una vedova povera, che vi gettava due monetine, e disse: «In verità vi dico: questa vedova, così povera, ha gettato più di tutti. Tutti costoro, infatti, hanno gettato come offerta parte del loro superfluo. Ella invece, nella sua miseria, ha gettato tutto quello che aveva per vivere»1.

Mi direte: “Ma che cosa ha a che fare questo brano con noi amministratori? La vedova non amministrava neppure il suo patrimonio: era così piccolo! E, oltretutto, lo dona totalmente! Sembra un’autentica irresponsabile: che cosa avrebbe mai fatto il giorno dopo? Come avrebbe mangiato? Avrebbe costretto qualcun altro ad occuparsi di lei? Troppo comodo!

Invece no: per lei viene prima la condivisione; nella sua sobrietà, che è una vera e propria mancanza di beni, la vedova offre tutto quanto possiede per ciò che ritiene importante, fino quasi ad apparire prodiga. Eppure il suo non è uno sperpero, è un dono ad onore di Dio e a favore del prossimo. Non getta via per disprezzo dei beni materiali, ma perché anche quel poco di cui sa privarsi può essere di utilità agli altri; è gesto di vera gratuità, non di esibizione che ricerca l’applauso.

Condivide tutto quello che ha e non trattiene nulla per sé, sebbene nessuno, se si fosse tenuta qualcosa, avrebbe potuto rimproverarla.

Già per questo sarebbe un modello esemplare per ogni uomo e per ogni donna. Addirittura condivide “tutto quello che aveva per vivere”.

Il particolare poi che la vedova, secondo la parola di Gesù, ha gettato nel tesoro del tempio “più di tutti”, viene così commentato da sant’Ambrogio:

Vale di più una monetina presa dal poco che un tesoro attinto da una ricchezza grandissima, poiché si valuta non quanto si dà, ma quanto resta. Nessuno dà più di chi nulla conserva per sé2.

È chiaro come il tema della condivisione fino a dare tutto, è centrale.

Tuttavia, anche a questo proposito, potrebbe sorgere un’obiezione: “Per condividere bisogna pur possedere qualcosa: case, beni, vestiti, cibo, denaro. È necessario guadagnare per noi stessi, per i nostri cari e per poter fare del bene”.

L’obiezione ha una sua ragion d’essere. Ma ora desidero discutere con voi la misura di tutto ciò: fino a che punto condividere? E ancora, quale è lo stile di vita che rispetta la giusta misura?

Per il momento mi limito a dire che la condivisione totale richiesta non è solo quella dei beni materiali, ma anche quella dei beni, per così dire, immateriali, ossia morali e spirituali: il nostro tempo, la nostra intelligenza, la nostra compagnia, le nostre riflessioni, il nostro sapere, la nostra persona. Sì, perché per donare davvero, occorre arrivare a donare se stessi. Siamo interpellati nella nostra libertà e responsabilità fino in fondo, fino alla questione del bene che possiamo compiere, cioè alla questione morale. La donna di cui ci ha parlato il Vangelo è esempio di una libertà che agisce non a proprio vantaggio, ma esclusivamente per il bene di tutti: è esempio di vera moralità.

I.
Per uno stile personale


Sobrietà: uno stile di vita

Intendo parlare dello stile di chi fa politica e desidero farlo secondo la cifra della sobrietà: non una sobrietà fine a se stessa, ma una sobrietà che ci renda uomini e donne liberi e capaci di condividere e, dunque, conduca e culmini nella solidarietà.

La sobrietà deve essere una nota di stile caratteristica e visibile di chi fa politica: sobrietà nelle parole, sobrietà nell’esibizione di sé, sobrietà nell’esercizio del potere, sobrietà nello stile di vita.

Pensiamo allo spreco di parole a cui assistiamo ogni giorno in politica. Spesso si ha l’impressione di trovarci di fronte a “tanto clamore per nulla”: meglio allora misurare le parole e usare solo quelle necessarie o utili e mettersi a discutere sui problemi reali e sulle possibili soluzioni. Non per bloccare il doveroso dibattito, ma per discutere seriamente e serenamente e trovare così la soluzione migliore.

Pensiamo ancora a quanta esibizione la politica e i politici fanno di sé, grazie alla complicità dei tanti mezzi di comunicazione. Bisogna esserci, comparire, dichiarare, in qualsiasi occasione e su qualsiasi argomento! Forse questo è un vizio che affligge i livelli più alti della politica. So che voi di apparire sui media fareste spesso e volentieri a meno, pressati come siete dagli strumenti di informazione locale. E se dobbiamo impegnarci nella comunicazione, facciamolo con la giusta sobrietà!

La sobrietà deve entrare, in particolare, nell’esercizio del potere: nel rapporto con i propri superiori e collaboratori, nelle relazioni con i cittadini, nella vita privata. Che dire di chi eccede nell’accumulare cariche, nell’occupare posti? Anche a questo proposito la sobrietà è doverosa: perché il cuore non si attacchi al potere, perché non si corra il rischio di “fare troppo e male”. Dovremmo tutti sapere che il valore dell’amministratore non risiede nel numero degli incarichi accumulati né nel potere che ritiene di avere una volta per sempre.

E infine la sobrietà nella vita di tutti i giorni. L’essenzialità e la naturalezza valgono per tutti, specie per chi occupa posti di responsabilità e si trova pertanto al centro dell’attenzione degli altri. Si tratta sì di una sobrietà personale, ma che si riflette immediatamente sugli altri nell’ambito della comunità affidata agli amministratori. Così, meno preoccupati di noi stessi e dei nostri beni, saremo più liberi di “vedere” la nostra gente, di ascoltarla, di capirla, di operare scelte giuste per il bene di tutti.

Come si vede, la sobrietà non ha a che vedere solo con la quantità di beni materiali che consumiamo o meno, con quanto acquistiamo o non acquistiamo. Non è una questione solo economica, ma tocca una sfera molto più ampia del nostro agire e del nostro stesso essere. In sintesi, la sobrietà è questione di temperanza. In passato si diceva che una persona era sobria solo in riferimento al mangiare e al bere, ma a questi comportamenti faceva riscontro uno stile di vita complessivo ordinato, equilibrato, fuori da ogni tipo di eccesso.

Per capire lo stile sobrio di vita può aiutarci un interessante testo di sant’Ambrogio. Così scrive nella sua famosa opera De officiis:

Nella temperanza si considerano e si ricercano soprattutto la tranquillità dell’animo, l’amore alla mansuetudine, la grazia della moderazione, la cura dell’onestà, la stima per il decoro. Dobbiamo praticare un metodo di vita, che derivi, per così dire, i primi fondamenti dalla modestia, la quale è compagna ed amica della tranquillità dell’animo, evita la protervia, è aliena da ogni mollezza, ama la sobrietà, favorisce l'onestà, cerca il decoro.. Si deve anche cercare in ogni azione che cosa sia conveniente alle persone, alle circostanze e all’età; inoltre che cosa sia adatto all’indole di ciascuno.3

Tranquillità dell’animo, mansuetudine, moderazione, cura dell’onestà e stima per il decoro sono doni preziosi e compiti impegnativi. Solo con una seria educazione morale e spirituale si possono accogliere e vivere. Sono da ricuperare e rilanciare da parte di tutti, a cominciare da quanti hanno responsabilità di animazione e di guida della comunità.

Sobrietà e senso morale in politica

Vorrei riprendere in modo specifico quanto ho brevemente detto circa la sobrietà nell’esercizio del potere, allargandolo alla cosiddetta questione morale in politica, che è tornata di attualità in questi ultimi mesi e di cui non posso esprimere nel merito un giudizio sensato e compiuto non conoscendo le persone coinvolte e sapendo dei fatti solo ciò che dicono i giornali. Mi chiedo però se tale questione non nasca anche dall’uso spregiudicato del potere e dalla mancanza di una reale moralità della politica e anzitutto dei singoli.

Talvolta si pensa che basterebbe cambiare le regole per risolvere la questione, come se le malattie del sistema si curassero solo con delle regole. Le leggi sono necessarie, ma è il cuore dell’uomo che deve essere buono! Possiamo sì costringere la gente ad osservare le leggi e possiamo anche punirla se non lo fa, ma questo non crea automaticamente cittadini onesti, laboriosi, rispettosi della democrazia.

È inoltre indubbiamente vero che servono regole nuove, se quelle esistenti non sono sufficienti, come peraltro è vero che ci sono responsabilità serie nei partiti e nel loro modo di organizzarsi e di definire la classe dirigente.

A volte si sostiene che è meglio un politico intelligente e capace, anche se disonesto, piuttosto che uno non molto intelligente e poco capace, ma onesto, che rischierebbe però di fare guai. Non capisco perché si usi questo argomento paradossale e fuorviante per sfuggire un ragionamento che è lapalissiano: meglio un intelligente capace e onesto. Mi sembra così ovvio!

Emerge allora la necessità di cercare e formare persone intelligenti, preparate, oneste e sobrie, come pure di favorire un giusto ricambio tra chi gestisce la cosa pubblica: se non bisogna perdere competenze ed esperienze di anni, non si può però neppure considerare il proprio ruolo politico e il proprio incarico amministrativo come…eterni!

E, in particolare, a voi amministratori locali, vorrei chiedere una grande attenzione non solo nel selezionare il personale politico con queste qualità, ma anche e soprattutto nell’operare per la formazione e la preparazione, specialmente delle giovani leve. Con questa attenzione la politica e il servizio all’amministrazione torneranno a essere un valore per cui vale la pena spendersi in quanto servizio competente, luogo di rigore morale e di impegno serio per il bene comune, non occasione di tornaconti personali, né ambito in cui muoversi con arroganza e prepotenza o da cui stare alla larga.

Spesso ci si limita alla riflessione sul sistema: cosa giusta e importante, ma non sufficiente. Perché non spingersi oltre e affrontare senza paura una seria e approfondita riflessione morale? Una riflessione cioè sui comportamenti, anzi sul cuore dell’uomo? Perché non ci dedichiamo di più a questa forma di educazione? Dei comportamenti, ma anche di tutta la persona nel suo insieme, del “cuore” dell’uomo. C’è da chiedersi che cosa dobbiamo fare affinché cambi la cultura oggi prevalente in politica e possano crescere politici nuovi nel senso vero e pieno del termine. E ancora: che cosa dobbiamo fare per investire con lungimiranza e coraggio sui giovani?

Particolare interesse al riguardo hanno suscitato nell’opinione pubblica le parole del Papa Benedetto XVI nella sua visita pastorale a Cagliari. Rivolgendosi ai giovani diceva:

“(Maria) vi renda capaci di evangelizzare il mondo del lavoro, dell’economia, della politica, che necessita di una nuova generazione di laici cristiani impegnati, capaci di cercare con competenza e rigore morale soluzioni di sviluppo sostenibile”4.

Perché queste parole possano diventare realtà occorre assolutamente sviluppare, come prioritario e irrinunciabile, l’impegno formativo, a cominciare dalla sua dimensione morale.

Guardarsi dall’avarizia

La sobrietà, tanto spesso dimenticata, ha a che vedere con molti aspetti della nostra vita. Per prima cosa ci consente di guardarci dall’avarizia.

Bisogna guardarsi dalla cupidigia dei beni, materiali o meno: l’avaro teme che gli portino via il forziere e quindi si chiude tutto solo a rimirare le sue ricchezze, ma non ne trae gioia, resta solo, isolato dal contesto umano.
Sull’avarizia, come possesso egoistico e insaziabile dei beni materiali, come “auri sacra fames”, non è mai mancata la denuncia forte da parte della Chiesa, a cominciare dai suoi inizi e, in continuità, fino ad oggi. Ancora una volta possiamo riascoltare il vescovo Ambrogio:

E che dovrei dire dell’avarizia, che consiste in un’insaziabile cupidigia delle ricchezze, come in una sfrenatezza per il denaro, che quanto più arraffa tanto più si crede povera? Invidiosa di tutti, spregevole ai propri occhi, miserabile in mezzo alle più grandi ricchezze, con la sua brama vanifica ciò che abbonda di beni. Non c’è limite nella rapina là dove non c’è misura nel desiderio. Tanto infiamma l’animo, tanto lo alimenta del suo fuoco che in questo solo si differenzia dalla lussuria: questa è amante dei corpi, quella dei poderi. Sconvolge gli elementi, solca i mari, fruga la terra, stanca il cielo con le sue richieste, non si accontenta né del tempo sereno né del nuvolo, si lamenta delle sue rendite e critica il raccolto della terra. Ma questa è una malattia, non la sanità dell’anima5.

Certo bisogna guardarsi dall’avarizia dei beni, ma soprattutto bisogna guardarsi dall’avarizia di sé, quella che ci impedisce di guardare ai beni con un occhio libero e limpido e che ci trattiene dal condividere davvero, come invece ha fatto la vedova al tempio.

La sobrietà non può mai essere fine a se stessa, rischia di trasformarsi in avarizia; persino certe forme ostentate di povertà da parte di alcuni cristiani, se non portano ad una condivisione vera, sono pura e semplice avarizia, uno dei peggiori peccati, uno dei vizi capitali!

La sobrietà non è un assoluto, non è qualcosa da perseguire in sé e per sé: essa è per. È per essere liberi dall’assolutizzazione dei beni e del loro consumo; è per guardare con libertà a chi mi sta vicino; è per non possedere l’altro come una cosa; è per condividere con chi non ha; è per non chiudermi nella pretesa della mia intelligenza, del mio sapere, della mia capacità politica.

È per vivere la politica nel senso più nobile: una ricerca, anche avventurosa, del bene comune, per costruire insieme la città degli uomini. La politica per sua natura non è egoistica né chiusa in sé: ha bisogno però di uomini veramente liberi, di una libertà che è assicurata appunto dalla sobrietà. La politica si deve guardare dall’avarizia per non essere snaturata: non sono veri politici quelli che stringono tutto nelle loro avide mani e nel loro cuore assetato di potere.

Questa non è politica, questi non sono politici. Così non si costruisce né una vita civile né una comunità di uomini eguali e liberi.


II.
Consumismo o solidarietà?


La sobrietà via alla solidarietà

Immagino la sobrietà come una via privilegiata che ci conduce alla solidarietà, alla condivisione vera e concreta, alla condivisione del pane. E per “pane” intendo tutto ciò è necessario per vivere, per vivere secondo la dignità umana.

Mi piacerebbe che tornassimo ad usare con libertà e abbondanza la parola solidarietà, senza però logorarla. In passato ne abbiamo forse abusato, oggi essa sembra scomparsa dal nostro vocabolario, è caduta in disuso, dà persino fastidio. E se ne parliamo, lo facciamo per “categorie”, come se la solidarietà avesse valore per alcuni e non per altri.

Ma, in realtà, i poveri sono i poveri: non sono diversi a seconda del colore della pelle! E i bambini sono i bambini: non sono diversi a seconda delle provenienze dei genitori e delle loro condizioni sociali ed economiche. E potremmo continuare con tante altre situazioni umane, per le quali corriamo il rischio di intendere la solidarietà in modo discriminatorio.

La solidarietà “descrive” il fatto e la qualità dei legami che ci sono tra noi. Come altre volte ho ricordato, il fondamento della nostra società è “solidale”: siamo accomunati tutti da un legame che ci unisce, non dobbiamo mai dimenticarlo. La solidarietà, come dice la parola stessa, implica legami solidi, saldi, ben fondati; la parola deriva infatti dall’espressione latina “in solidum”, che allude alla responsabilità di ciascuno per il tutto, per l’intero di cui è parte e di cui è chiamato ad essere partecipe. Legami che possono consolidarsi o divenire più fragili, a seconda delle nostre scelte economiche, sociali e politiche.

In questo senso una comunità civile si costituisce anzitutto sulla coscienza di questo profondo legame che ci chiama alla responsabilità, cioè a rispondere, con tutto il nostro vivere, a quanti possono aver bisogno di noi. Ora non c’è dubbio che, in una società sempre più tentata da individualismo e frammentazione, l’approfondire il legame sociale appare un compito urgente e vitale.

Come ricordava Giovanni Paolo II, vi sono numerosi “punti di contatto” tra la solidarietà e la carità6. E infatti l’espressione compiuta della solidarietà è la fraternità7.

L’impegno di tutti noi è pertanto di costruire una società veramente solidale, anzi fraterna. È il vostro impegno, cari amministratori. E siete chiamati a viverlo quotidianamente con il vostro sguardo sulla gente, con ogni gesto del vostro amministrare, con il vostro personale essere solidali, con la vostra passione sociale e politica.

Consumare di più?

Specialmente nel momento difficile che l’economia mondiale sta attraversando, con la solidarietà non bisogna dimenticare la sobrietà, che costituisce la via maestra alla solidarietà. È infatti l’uso corretto e sapiente dei beni la prima forma che realizza una solidarietà piena e consente il dono a mani libere, senza trattenere nulla se non quanto necessario.

In queste ultime settimane sempre più spesso si è insistito da molte parti e con grande enfasi sulla necessità di sostenere il più possibile i consumi.

Certo le esigenze della moderna economia vanno in questo senso: se non si produce, se non si vende, se non si consuma, l’economia ristagna. Ma anche qui ritorna il tema della giusta misura: non ci sono forse troppi bisogni inutili, indotti da una pubblicità più che ingannevole?

Dovremmo forse cominciare a riflettere sulla giusta dimensione della crescita economica, perché non si può far crescere all’infinito la domanda di cose, e uso appositamente il termine “cose”.

Forse gli economisti potrebbero aiutarci a rispondere alla domanda: quanto è giusto crescere? E, ancora, in quali settori è giusto crescere di più? La medicina, la cultura, la ricerca scientifica, l’ecosostenibilità, l’agroalimentare per dare cibo a tutti…

È una domanda che riguarda anche la vita dei Comuni che amministrate. Le opere essenziali in genere non mancano: scuole, strade, fognature, acquedotti, centri sportivi, ecc. Manca a volte la cura quotidiana di tutte queste realtà affinché siano effettivamente e utilmente a disposizione della gente. Mancano, molto spesso, o risultano inadeguati i servizi alle persone, soprattutto ai più bisognosi per motivi non solo economici.

Diventa quindi necessario interrogarci: in quale direzione crescere? Che cosa è davvero necessario? Che cosa è davvero urgente e prioritario e cosa non lo è, rispetto al bene della gente che abita il territorio da noi amministrato? Dove investire le risorse che ci sono, anche se rischiano di essere sempre insufficienti? Tocca a voi cercare e trovare la risposta appropriata. È comunque importante, prioritario tenere viva la domanda.

Più che preoccuparci genericamente della crescita urge chiederci perché e come crescere. È in gioco il nostro modello di sviluppo, la sua dimensione veramente e pienamente umana, il suo orizzonte sociale.

La giusta misura

È giusto crescere, dunque, ma quale è la giusta misura? Forse nessuno ci sta seriamente pensando, perché ci lasciamo travolgere dal meccanismo irrefrenabile del mercato. Un’economia seria non può non porsi la domanda e cercare la risposta; così come una politica seria.

Parlando dell’attuale crisi economica globale, come un “banco di prova” e “quale sfida per il futuro e non solo come un’emergenza a cui dare risposte di corto respiro”, papa Benedetto XVI ha posto e motivato un interrogativo che chiede una riflessione accurata e una disponibilità alla “conversione”:

Siamo disposti a fare insieme una revisione profonda del modello di sviluppo dominante, per correggerlo in modo concertato e lungimirante? Lo esigono, in realtà, più ancora che le difficoltà finanziarie immediate, lo stato di salute ecologica del pianeta e, soprattutto, la crisi culturale e morale, i cui sintomi da tempo sono evidenti in ogni parte del mondo8.

Sempre in rapporto a questa crisi, da leggersi in profondità “come un sintomo grave che richiede di intervenire sulle cause”, il Papa afferma: “Non basta – come direbbe Gesù – porre rattoppi nuovi su un vestito vecchio (cfr. Mc 2,21)” (Angelus, 1° gennaio 2009).

Per esemplificare ci poniamo qualche domanda. Possiamo sostenere uno sviluppo che non si faccia carico delle esigenze del pianeta: dei popoli poveri ed esclusi dalla mensa imbandita dei Paesi ricchi, dell’ambiente, del risparmio delle risorse naturali?

Questo non significa fermare il progresso economico, ma “ri- orientarlo”, significa chiedersi dove stiamo andando e correggere la rotta per raggiungere approdi migliori. Porsi la domanda sul modello di sviluppo e sul tasso di crescita, sulla distribuzione delle risorse ha realmente a che vedere con il progresso e con il benessere di tutti. Non è l’atteggiamento di chi vuol tornare indietro, ma di chi vuole proseguire con assennatezza.

Eppure si tratta di domande che spesso infastidiscono, forse semplicemente perché toccano il cuore della questione. Ancora per esemplificare: perché tacitamente accettiamo che intere aree del pianeta siano tagliate fuori dal progresso, anche minimo?


III.

La dimensione sociale della sobrietà


Sobrietà valore sociale

La sobrietà non è solo un valore personale e individuale; essa è anche un valore sociale, comunitario.

C’è una sobrietà sociale che va rimessa a tema: lo pensavo in questo ultimo Natale, che per molti è stata più festa dell’effimero che celebrazione del mistero dell’Incarnazione. Ancora di più, però, sotto il profilo sociale, la sobrietà è l’uso sapiente dei beni per il mondo, per quello di oggi e per quello di domani, per noi e per i nostri figli, per i nostri nipoti e per le future generazioni.

In un mondo così legato da mille interrelazioni, così interdipendente – oggi diciamo globalizzato – colpito da una crisi prima finanziaria e ormai economica, che tocca solo marginalmente i ricchi ma penalizza gravemente chi è già povero, come non interrogarci sulla necessità di una sempre più ampia e generosa condivisione dei beni del creato? E non a titolo di elemosina, ma di vera e propria giustizia!

E la politica non può non giocare un ruolo importante per costruire la giustizia, per la condivisione dei beni, per uno sviluppo sostenibile, sia a livello planetario che nelle amministrazioni locali.

Conosco le difficoltà di natura economica che attanagliano i vostri Comuni: i trasferimenti statali sono sempre meno e insufficienti, il dibattito sul federalismo fiscale è ancora lontano dal raggiungere tutti i frutti attesi, c’è stata una riduzione del gettito proveniente da alcune imposte locali. E così le politiche sociali e altri investimenti a beneficio della comunità corrono il rischio di essere primi a venire penalizzati.

In questa situazione, prima di tagliare sui capitoli di spesa più urgenti, in virtù della riflessione che andiamo svolgendo su sobrietà e condivisione dobbiamo chiederci: “Ma gli investimenti che ho progettato per il mio Comune, le spese che ho preventivato sono tutte necessarie? Ho elaborato una giusta gerarchia dei bisogni veri della mia comunità? Oppure ho ceduto a qualche insistenza di troppo di chi aveva più influenza o più potere? Ho messo in cima alle mie scelte i più deboli, i più emarginati, le persone più a rischio, le più povere? Oppure ho agito solo spinto dal desiderio di ottenere un facile consenso, senza avere il coraggio di scelte giuste, pronto anche a rischiare l’impopolarità? Che cosa ho fatto per convincere la Giunta, il Consiglio comunale, i miei concittadini?”.

La sobrietà, quindi, non è solo uno stile di vita personale, ma anima la riflessione collettiva e politica, ispira una cultura dello sviluppo, spinge a generosità che tornano a vantaggio di tutti: è un vero e proprio valore sociale.

Comunità civile, condivisione e sobrietà

Solo in una comunità civile vera può esserci la condivisione; solo in una comunità civile vera si comprende a fondo che cosa è sobrietà e da essa – come da un grande valore – ci si lascerà ispirare e guidare nelle decisioni e nelle scelte. Il vostro compito fondamentale di amministratori è di mantenere saldo e di accrescere il legame sociale e comunitario del territorio che vi è affidato. Un legame che nella condivisione originata da scelte di sobrietà può trovare una straordinaria occasione di crescita.

La sobrietà – lo ripeto – non si contrappone alla solidarietà, anzi ne è l’anima, la forza, il sostegno, ciò che le consente di durare.

Siamo di fronte a un valore non solo cristiano, ma profondamente umano: l’ostentazione di grandezza e ricchezza crea una distanza, erige una barriera, finisce per dividere; non così la sobrietà, che conduce alla condivisione e apre all’accoglienza.

Scegliamo di essere sobri per condividere di più e per essere pronti all’accoglienza dei bisogni dei cittadini e delle loro attese e – perché no? – dei nuovi venuti.

È necessario proteggere e far crescere il valore della sobrietà. Servono al riguardo testimoni autentici. È questo l’intento ultimo di questa mia riflessione e il compito principale che mi sento di affidarvi. A ciascuno di voi – come richiamo impegnativo e ancor più come ideale esaltante – chiedo: vivete scelte personali di sobrietà e insieme contagiate la comunità con la vostra testimonianza! Costruirete così attorno a voi una cultura della sobrietà e della condivisione.

Conclusione

Sobrietà e ricchezza vera

La sobrietà anima la condivisione, ci apre all’accoglienza, ci rende quindi più ricchi. Ma di quale ricchezza?
Scrive ancora sant’Ambrogio, in una lettera a Simpliciano, a proposito dell’uomo del cuore, di cui già ho avuto modo di parlare:

Veramente ricco è chi può apparire ricco davanti a Dio, davanti al quale la terra è ristretta, lo stesso universo angusto. Ma Dio conosce solo quel ricco che è ricco per l'eternità, che mette da parte i frutti non dei beni materiali ma delle virtù. E chi è ricco davanti a Dio se non «lo spirito mite e tranquillo» che non conosce corruzione? Non ti sembra ricco chi possiede la pace dell'animo, la tranquillità della quiete, così da non bramare nulla, da non essere affatto turbato dalle procelle dei desideri, da non avere in uggia le cose antiche e cercarne di nuove, e per l'insaziabilità dei suoi desideri sentirsi povero pur nella più grande ricchezza? Questa è la pace veramente ricca, che sorpassa ogni intelligenza, la pace ricca, l'equità ricca, la fede ricca – per chi ha fede, infatti, tutto il mondo è suo possesso - la ricca generosità - vi sono, infatti, anche «le ricchezze della semplicità, che nulla disperde, nulla considera gretto, sospetto, ingannevole, ma si effonde con pienezza di sentimento -, la ricca bontà, conservando la quale uno «si pasce nelle ricchezze» dell'eredità celeste […] Poiché, quando gli altri pensano che la loro sia una perdita, allora il mucchio del tuo frumento al momento giusto sarà collocato nei granai del cielo. Ben a ragione “il giusto dà sempre in prestito”, il malvagio versa nel bisogno. Egli dà in prestito gli atti di giustizia […] mentre lo stolto non possiede affatto anche ciò che crede di avere9.

Chi vive la sobrietà è l’uomo veramente ricco: può sempre dare in prestito, può dare senza esserne impoverito. E il suo dare è un “dare atti di giustizia”. Davvero formidabili queste parole di sant’Ambrogio, che qualificano il dare dell’uomo sobrio nei termini della giustizia.

Condividere dunque è fare giustizia. Non c’è solo la giustizia dei tribunali. C’è anzitutto la giustizia più profonda che si esprime e si attua nelle relazioni fra le persone. E frutto della giustizia, prima e fondamentale anima della carità, è la condivisione dei beni, spirituali e materiali. E tutto questo nell’ambito non solo degli individui ma anche delle comunità.

L’uomo descritto da sant’Ambrogio appare il contrario di non pochi uomini di oggi, smaniosamente dediti ai consumi; appare lontano dagli uomini egoisti, disonesti, dimentichi della giusta scala dei valori.

Mi ha colpito, proprio in questi giorni, rileggere una pagina dell’allora arcivescovo di Milano cardinale Giovanni Battista Montini, che si presenta con una attualità sconcertante a quasi cinquant’anni di distanza da quando è stata scritta:

Vi è poi una potente tentazione che viene dai beni temporali e dalle ricchezze economiche. La loro conquista pone la sua candidatura al primato del temporale, e lo ottiene nella concezione materialista della vita, sia proletaria che capitalista. La speranza cristiana è soppiantata dalla speranza economica e sociale. Poi il loro maneggio disintegra il concetto di onestà: nel pagamento dei tributi, nel gioco di borsa, nella speculazione monopolistica, nell’imbroglio commerciale, nella «bustarella» clandestina, ecc.; l'interesse finisce per giustificare ogni scorrettezza possibile senza incorrere nel Codice penale. Poi il loro godimento: il lusso, la vanità, il piacere, il divertimento, la mondanità sono diventati idoli a cui l'uomo moderno si fa dovere di sacrificare; la suggestione mondana si fa collettiva, la febbre dei sensi diventa endemica, la vita gaudente un ideale. Bisognerà che il senso morale sia vigile e forte per mantenere nella vita il «primato dello spirituale», l'onestà della giustizia nel traffico delle cose, la sobrietà che conserva all'uomo la possibilità di godere dei beni di questo mondo senza rimanerne ubriacato e degradato10.

Anche noi, oggi come allora, dobbiamo porci il problema del primato dello spirituale. Sempre il cardinale Montini scriveva, a conclusione della sua lettera pastorale, che l’uomo moderno “alla conquista del mondo esteriore congiunga quella della perfezione interiore”.

Sobrietà è dunque, ancora una volta, saper godere dei beni nel modo giusto, senza esserne posseduti e degradati. E chi amministra non può che essere d’esempio. Egli deve:

sapere ciò che conta davvero;
avere una giusta gerarchia dei bisogni e delle relative risposte;
fare ordine nei beni da realizzare;
trovare un giusto equilibrio tra il comparire e il non esibirsi;
parlare e tacere a momento opportuno,
e, infine, essere uomo o donna dal cuore libero, così che niente e nessuno lo possano comprare.

È il mio augurio oggi e per l’impegno che ancora vi attende: vi sono vicino e prego per voi perché conosco le difficoltà del vostro compito, della vostra missione, specie in questi tempi in cui è diffuso un giudizio negativo o comunque problematico sulla politica.
Dalla vita spirituale, dall’incontro personale con il Gesù Cristo abbiate fiducia e forza, onestà e rettitudine.

Vorrei ora concludere con una preghiera:

Signore,
rendici uomini liberi,
che non accettano doni
per compiere
semplicemente
il proprio dovere.

Signore,
rendici uomini liberi
dal desiderio
di possedere cose:
esse non ci renderanno migliori.

Signore,
rendici uomini liberi
dal desiderio
di possedere
persone:
il loro bene venga
prima di tutto
e sopra ogni altra cosa.

Signore,
rendici uomini liberi
dal desiderio
di possedere
potere:
esso non ci farà più forti.

Signore,
rendici uomini liberi
dal desiderio
di possedere
denari:
essi non ci porteranno ricchezza,
ma ci bruceranno
il cuore,
la mente,
le mani.

Signore,
rendici uomini liberi
nelle profondità
del nostro cuore,
nell’acutezza
della nostra mente,
nelle azioni che,
ogni giorno,
compiamo.

Signore, rendici capaci di
sobrietà,
condivisione,
accoglienza.
E aiutaci
a fare ordine
nelle nostre passioni.

Fa’ che ci riconoscano
dallo spezzare del pane,
dalla condivisione del sapere,
dall’ardore del nostro cuore,
dalla nostra ricerca della giustizia,
dal nostro dare tutto,
come la vedova al tempio,
tutto, senza calcoli,
con gioia,
con dedizione intensa e totale.

Signore,
ti preghiamo,
perché la politica sia migliore,
perché si preoccupi del bene comune,
perché sappia indicare le strade
per un mondo più giusto,
perché i suoi uomini e le sue donne
sappiano dimenticarsi di sé
e dedicarsi senza rimpianti e ritorni
a costruire una comunità
autenticamente fraterna e solidale,
dove ciascuno si senta amato.

APPENDICE

I. INTERVENTI DI PAPA BENEDETTO XVI

1. Una crisi che chiede a tutti più sobrietà e solidarietà

In questi nostri tempi, segnati da incertezza e preoccupazione per l’avvenire, è necessario sperimentare la viva presenza di Cristo...

La società ha bisogno di cittadini che non si preoccupino solo dei propri interessi perché, come ho ricordato il giorno di Natale, "il mondo va in rovina se ciascuno pensa solo a sé".

Cari fratelli e sorelle, quest’anno si chiude con la consapevolezza di una crescente crisi sociale ed economica, che ormai interessa il mondo intero; una crisi che chiede a tutti più sobrietà e solidarietà per venire in aiuto specialmente delle persone e delle famiglie in più serie difficoltà. La comunità cristiana si sta già impegnando e so che la Caritas diocesana e le altre organizzazioni benefiche fanno il possibile, ma è necessaria la collaborazione di tutti, perché nessuno può pensare di costruire da solo la propria felicità. Anche se all’orizzonte vanno disegnandosi non poche ombre sul nostro futuro, non dobbiamo avere paura. La nostra grande speranza di credenti è la vita eterna nella comunione di Cristo e di tutta la famiglia di Dio. Questa grande speranza ci dà la forza di affrontare e di superare le difficoltà della vita in questo mondo…

(Omelia alla Celebrazione dei Vespri e Te Deum di ringraziamento per l’anno trascorso, 31 dicembre 2008).

2. Combattere la povertà con la solidarietà

C’è una povertà, un’indigenza, che Dio non vuole e che va "combattuta" – come dice il tema dell’odierna Giornata Mondiale della Pace; una povertà che impedisce alle persone e alle famiglie di vivere secondo la loro dignità; una povertà che offende la giustizia e l’uguaglianza e che, come tale, minaccia la convivenza pacifica. In questa accezione negativa rientrano anche le forme di povertà non materiale che si riscontrano pure nelle società ricche e progredite: emarginazione, miseria relazionale, morale e spirituale (cfr Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 2008, 2)...

Inoltre, la globalizzazione elimina certe barriere, ma può costruirne di nuove (Messaggio cit., 8), perciò bisogna che la comunità internazionale e i singoli Stati siano sempre vigilanti; bisogna che non abbassino mai la guardia rispetto ai pericoli di conflitto, anzi, si impegnino a mantenere alto il livello della solidarietà. L’attuale crisi economica globale va vista in tal senso anche come un banco di prova: siamo pronti a leggerla, nella sua complessità, quale sfida per il futuro e non solo come un’emergenza a cui dare risposte di corto respiro? Siamo disposti a fare insieme una revisione profonda del modello di sviluppo dominante, per correggerlo in modo concertato e lungimirante? Lo esigono, in realtà, più ancora che le difficoltà finanziarie immediate, lo stato di salute ecologica del pianeta e, soprattutto, la crisi culturale e morale, i cui sintomi da tempo sono evidenti in ogni parte del mondo.

Occorre allora cercare di stabilire un "circolo virtuoso" tra la povertà "da scegliere" e la povertà "da combattere". Si apre qui una via feconda di frutti per il presente e per il futuro dell’umanità, che si potrebbe riassumere così: per combattere la povertà iniqua, che opprime tanti uomini e donne e minaccia la pace di tutti, occorre riscoprire la sobrietà e la solidarietà, quali valori evangelici e al tempo stesso universali.

Più in concreto, non si può combattere efficacemente la miseria, se non si fa quello che scrive san Paolo ai Corinzi, cioè se non si cerca di "fare uguaglianza", riducendo il dislivello tra chi spreca il superfluo e chi manca persino del necessario. Ciò comporta scelte di giustizia e di sobrietà, scelte peraltro obbligate dall’esigenza di amministrare saggiamente le limitate risorse della terra.

Quando afferma che Gesù Cristo ci ha arricchiti "con la sua povertà", san Paolo offre un’indicazione importante non solo sotto il profilo teologico, ma anche sul piano sociologico. Non nel senso che la povertà sia un valore in sé, ma perché essa è condizione per realizzare la solidarietà.

Quando Francesco d’Assisi si spoglia dei suoi beni, fa una scelta di testimonianza ispiratagli direttamente da Dio, ma nello stesso tempo mostra a tutti la via della fiducia nella Provvidenza. Così, nella Chiesa, il voto di povertà è l’impegno di alcuni, ma ricorda a tutti l’esigenza del distacco dai beni materiali e il primato delle ricchezze dello spirito.

Ecco dunque il messaggio da raccogliere oggi: la povertà della nascita di Cristo a Betlemme, oltre che oggetto di adorazione per i cristiani, è anche scuola di vita per ogni uomo. Essa ci insegna che per combattere la miseria, tanto materiale quanto spirituale, la via da percorrere è quella della solidarietà, che ha spinto Gesù a condividere la nostra condizione umana...

(Omelia, Santa Messa nella Solennità di Maria SS.ma Madre di Dio e nella 42ª Giornata Mondiale della Pace, 1° gennaio 2009).

3. Mettere i poveri al primo posto

Con la grazia del Signore – e solo con essa – possiamo sempre nuovamente sperare che il futuro sia migliore del passato. Non si tratta, infatti, di confidare in una sorte più favorevole, o nei moderni intrecci del mercato e della finanza, ma di sforzarsi di essere noi stessi un poco più buoni e responsabili, per poter contare sulla benevolenza del Signore. E questo è sempre possibile, perché "Dio ha parlato a noi per mezzo del Figlio" (Eb 1,2) e continuamente ci parla, mediante la predicazione del Vangelo e mediante la voce della nostra coscienza. In Gesù Cristo è stata mostrata a tutti gli uomini la via della salvezza, che è prima di tutto una redenzione spirituale, ma che coinvolge interamente l’umano, comprendendo anche la dimensione sociale e storica...


All’inizio di un nuovo anno, il mio primo obiettivo è proprio quello di invitare tutti, governanti e semplici cittadini, a non scoraggiarsi di fronte alle difficoltà e ai fallimenti, ma di rinnovare il loro impegno. La seconda parte del 2008 ha fatto emergere una crisi economica di vaste proporzioni. Tale crisi va letta in profondità, come un sintomo grave che richiede di intervenire sulle cause. Non basta – come direbbe Gesù – porre rattoppi nuovi su un vestito vecchio (cfr Mc 2,21). Mettere i poveri al primo posto significa passare decisamente a quella solidarietà globale che già Giovanni Paolo II aveva indicato come necessaria, concertando le potenzialità del mercato con quelle della società civile (cfr Messaggio, 12), nel costante rispetto della legalità e tendendo sempre al bene comune. Gesù Cristo non ha organizzato campagne contro la povertà, ma ha annunciato ai poveri il Vangelo, per un riscatto integrale dalla miseria morale e materiale. Lo stesso fa la Chiesa, con la sua opera incessante di evangelizzazione e promozione umana...
(Angelus del 1° gennaio 2009).

II. Interventi del Card. Dionigi Tettamanzi

1. Per una vita di sobrietà evangelica

In occasione della Solennità di San Carlo ho voluto affrontare la questione della povertà dei presbiteri, sottolineando come la chiamata alla povertà evangelica accomuna di per sé tutta quanta la Chiesa, pur nella diversità delle vocazioni, dei carismi e ministeri, delle responsabilità ecclesiali, civili e professionali di ciascuno.

La povertà è uno stile di vita che testimonia - a partire dalle scelte basilari e concrete del vissuto quotidiano - il primato del Regno di Dio e della sua giustizia.

E va ben oltre la vita del prete e la sua testimonianza, perché riguarda ogni credente, come pure, in generale, ogni persona di buona volontà.

Pensiamo – in concreto – all’appello silenzioso ad una maggiore condivisione dei beni che ci rivolgono i tanti poveri delle nostre città e del mondo intero, all’uso – a volte scriteriato ed egoistico - delle limitate e vitali risorse del pianeta. Questi e altri motivi esigono da parte di tutti, grazie anche all’azione educativa della Caritas, rinnovate scelte di sobrietà da diffondere e condividere a raggio sempre più ampio. Mi aspetto quindi che l’attività di animazione sviluppata dalla Caritas Ambrosiana si esprima anche nella direzione di favorire modelli e stili di vita insieme profetici e praticabili, annuncio e profezia di un modello di sviluppo più equo e sostenibile.

Anche nelle nostre parrocchie, sempre più persone si trovano a fare i conti con la povertà: leggo nel “VII rapporto Caritas sulle povertà nella Diocesi di Milano” che «un numero sempre maggiore di famiglie si collocano in una cosiddetta “zona di transizione”: non così povere da essere raggiunte dagli interventi delle istituzioni pubbliche, ma al tempo stesso vulnerabili».

Una povertà subita, non scelta, e che di evangelico ha ben poco. Una condizione che si affaccia per le mutate condizioni personali (perdita o riduzione del lavoro, sopravvenute difficoltà quali malattia, rottura del legame coniugale) o – non di rado – per la non sapiente gestione delle risorse economiche.

Tante persone contraggono debiti per beni secondari, compromettendo così la possibilità di corrispondere adeguatamente alle esigenze basilari. Quanto è urgente che si torni ad educare con forza alla sobrietà, ad impegnare i soldi per ciò che è davvero importante, distinguendo saggiamente gli investimenti per i beni fondamentali (cibo, casa, spese per la salute, istruzione) da ciò che è voluttuario.

In questa stagione, che si preannuncia difficile dal punto di vista economico e finanziario, dobbiamo investire su questa azione educativa, anche a rischio di risultare impopolari: altrimenti sempre più persone verranno coinvolte nel dramma della povertà. Tanta povertà si può prevenire, risparmiando molta sofferenza!

Alla Caritas raccomando – assieme alle altre – anche questa attenzione.

(Dal Messaggio per la Giornata Diocesana Caritas, La famiglia … il mondo, 9 novembre 2008).

2. Il Natale cristiano: dalla solidarietà di Dio alla solidarietà degli uomini tra loro. Per una nuova primavera sociale

Il Natale ci chiama ad uno slancio rinnovato, ad un supplemento speciale di fraternità e solidarietà. I tempi che viviamo sono segnati da una crisi finanziaria ed economica che – secondo gli esperti – non ha ancora manifestato pienamente i suoi effetti destabilizzanti, soprattutto le preoccupanti ricadute sulla società e sulle famiglie. Questo scenario che si va sviluppando impone a tutti noi una riflessione seria e responsabile.

Non possiamo non domandarci il “perché” di questa crisi, che ha una portata mondiale e che sarà – a quanto sembra – caratterizzata da una particolare gravità e durata nel tempo. Spetta certamente ai politici, agli economisti, ai tecnici porsi le domande sulle cause della presente situazione. Appare già con sufficiente chiarezza come l’origine dei mali stia a monte dell’economia, perché la produzione, la distribuzione e l’uso delle risorse implicano sempre un insopprimibile aspetto etico. Può dirsi etica un’economia che non mette al centro l’uomo ma il profitto da perseguire ad ogni costo? Quanta responsabilità – delle fatiche del momento presente – ha quella finanza divenuta virtuale, che ha perso di vista l’economia reale centrata sul benessere delle comunità e dei singoli? Non ho dubbi: l’etica – e il primo valore etico è il rispetto della persona in tutte le sue dimensioni – non è un’aggiunta all’economia, ma ne è il fondamento. Sempre quando si calpesta l’etica sulla breve o lunga distanza a pagarne le gravissime conseguenze sono l’uomo, la società, la natura e l’economia stessa!

(Omelia, Messa nella Notte della Solennità del Natale del Signore, 25 dicembre 2008).


3. Cosa posso fare? Cosa possiamo fare?

In questo Natale, già segnato dalle prime ondate di una grave crisi economica, un interrogativo mi tormenta: io, come Arcivescovo di Milano, cosa posso fare? Noi, come Chiesa ambrosiana, cosa possiamo fare?

Prima di porre un segno, quasi a dare il “la” ad un concerto che mi piacerebbe potesse coinvolgere coralmente tutta la nostra Chiesa e anche tutti gli uomini di buona volontà, vorrei che ciascuno conservasse nel cuore questa domanda e da questa si lasciasse inquietare e convertire: io cosa posso fare?

Il pensiero che alcune famiglie in parrocchia, un vicino di casa, si possano trovare a vivere queste feste con il timore di perdere il proprio posto di lavoro non può non interrogare ciascuno di noi. C’è uno stile di vita costruito sul consumismo che tutti siamo invitati a cambiare per tornare a una santa sobrietà, segno di giustizia prima ancora che di virtù. C’è una solidarietà umana da ritrovare nei nostri paesi e nelle nostre città per uscire dall’anonimato e dall’isolamento, perché chi vive momenti di difficoltà non si senta abbandonato. C’è una nuova primavera sociale fatta di volontariato, mutuo soccorso, cooperazione da far fiorire perché insieme – ne sono certo -, solo insieme è possibile affrontare e superare le difficoltà che sperimentiamo e che si prospettano.

Non possiamo stare a guardare! Occorre agire. E l’azione ora deve privilegiare chi nei prossimi mesi perderà il lavoro e non sarà più in grado di mantenere dignitosamente sé e la propria famiglia. Certo, la nostra Chiesa ambrosiana – nelle sue istituzioni, parrocchie, associazioni – è da sempre accanto alle persone che soffrono forme di antica e nuova povertà. Ma sento il bisogno di rinnovare l’appello alla responsabilità di tutti e di ciascuno affinché il miracolo della solidarietà, possibile dove si vive con autenticità il Vangelo, si ripeta anche in questo momento difficile. Realizziamo, insieme, dei gesti concreti di “solidarietà”. I nuovi e più profondi legami che nascono dall’Eucaristia – celebrata questa notte e quotidianamente – siano le motivazioni più evangeliche e convincenti per sostenere umanamente e spiritualmente chi è o sarà in difficoltà per la perdita del lavoro.

La solidarietà invoca anche sostegni materiali e risorse da destinare a chi è nel bisogno. E l’atteggiamento che rende viva e autentica la solidarietà è la “sobrietà”. Tutti dobbiamo essere sobri: perché il cuore sia libero dalle ricchezze, per educarci a investire e a spendere per ciò che è necessario e importante e per condividere la nostra umanità e i nostri beni con chi è povero.

(Omelia, Messa nella Notte della Solennità del Natale del Signore, 25 dicembre 2008).


4. Il Fondo famiglia-lavoro

Perché questo discorso non resti generico, in questa Notte Santa, come Arcivescovo di Milano mi appello alla responsabilità dei singoli e delle comunità cristiane della diocesi e personalmente costituisco il “Fondo famiglia- lavoro” per venire incontro a chi sta perdendo l’occupazione. Come avvio di questo fondo, attingendo dall’otto per mille destinato per opere di carità, dalle offerte pervenute in questi giorni “per la carità dell’Arcivescovo”, da scelte di sobrietà della diocesi e mie personali metto a disposizione la cifra iniziale di un milione di euro.

Chiedo a tutte le comunità cristiane della diocesi di riflettere sulle conseguenze della crisi economica, di prestare particolare attenzione alle famiglie in difficoltà a causa del lavoro, di aderire con generosità a questo fondo.

Sarà compito insieme dei sacerdoti e dei laici – attraverso i consigli pastorali, i consigli per gli affari economici e gli altri organismi competenti – operare un serio discernimento e decidere come parteciparvi (rimandare spese non urgenti o secondarie, destinare una percentuale del bilancio parrocchiale, intraprendere coraggiose scelte di sobrietà…).

La Caritas Ambrosiana e le ACLI stanno già studiando le forme più adatte, a partire dalla loro esperienza, per la gestione e l’utilizzo di questo fondo secondo modalità che verranno poi rese note. Anticipo già da ora che la distribuzione dei fondi non avverrà immediatamente ma nei prossimi mesi e non sarà “a pioggia” ma “a destinazione mirata”.

Chiedo in particolare ai decanati di rendersi protagonisti sul territorio di una lettura sapiente dei bisogni e di elaborare progetti intelligenti di aiuto. Queste risorse non devono essere una forma di assistenzialismo, ma un aiuto affinché chi perde il lavoro non perda anche la propria dignità!

Nei confronti delle probabili dimensioni della crisi, questa iniziativa è poco più di una “goccia” rispetto al “mare” delle necessità. Vuol essere però un segno con cui la Chiesa ambrosiana manifesta il suo impegno di sobrietà e di solidarietà e, soprattutto, vive e testimonia la sua fede nel Signore che si è fatto uomo tra gli uomini, servo tra i poveri e per i poveri. Un dono che vogliamo portare alla grotta di Betlemme, contemplando nel Bambino Gesù, tutti i poveri e sofferenti del mondo.

(Omelia, Messa nella Notte della Solennità del Natale del Signore, 25 dicembre 2008).

1 Luca 21, 1-4.
2 De viduis, 27
3 De officiis, I, 210, 211 e 213.
4 BENEDETTO XVI, Omelia, Celebrazione Eucaristica sul sagrato del Santuario di Nostra Signora di Bonaria, 7 settembre 2008.
5 Caino e Abele, I, 5, 21
6 GIOVANNI PAOLO II, Enciclica Sollicitudo rei socialis, n. 40.
7 Vedi in particolare il Discorso alla Città per la Vigilia di S. Ambrogio, Il volto amico e solidale della Città, 6 dicembre 2004.
8 BENEDETTO XVI, Omelia, Santa Messa nella Solennità di Maria SS.ma Madre di Dio e nella 42ª Giornata Mondiale della Pace, 1° gennaio 2009
9 Lettere, II, 10, 3-6.
10 Lettera pastorale Sul senso morale, Milano 1961, n. 57.



Tratto dall'intervento dell'Arcivescovo di Milano in occasione dell'incontro con gli amministratori locali
Ultima modifica il Giovedì, 05 Febbraio 2015 16:56
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