Uomo: Dov'è tuo fratello...pigmeo?

Pubblicato in Missione Oggi
Carissimi tutti, tanti saluti dalla parrocchia di St. Camille a Bayenga, nella Repubblica Democrática del Congo.
Dieci anni son già passati da quando nostra regione prese la decisione di assumere questa parrocchia. Al centro del mirino: i pigmei.
Eretta verso l’anno 1969, questa parrocchia era stata servita dai preti del Sacro Cuore (Dehoniani), finché negli anni ottanta venne a mancare il padre Gaspar, chi aveva tenuto duro fino a morire in questa nostra diocesi, innaffiata a più riprese dal sangue dei missionari e dei cristiani.
La parrocchia, rimasta senza prete, era servita da catechisti laici e dalla visita regolare dei “preti visitatori” con motivo dei sacramenti.
Nel seno di questa parrocchia c’è un numero considerabile di pigmei (attualmente più di 2.100, circa il 10 % della popolazione totale della parrocchia).
Circa 30 anni fa, in diversi punti della diocesi e con diversi stili, i missionari di differenti istituti religiosi, avevano incominciato un avvicinamento ai pigmei chi erano considerati, con le parole del nostro caro p. Piero Manca, “gli ultimi degli ultimi”.
Qualche parrocchia privilegiava le scuole per dargli una formazione che gli rendessi capaci di sbrigarsi con autonomia e dignità; altre, invece, privilegiavano una pastorale di presenza con strutture semplici ...
Negli anni novanta, la diocesi ha puntato sulla pastorale d’insieme per permettere di svolgere un lavoro coordinato nel suo intero territorio. In questa pastorale d’insieme è stato preso come obbiettivo l’inserimento del popolo pigmeo nella società e nella Chiesa e, per così fare, si lavora sopratutto negli ambiti dell’agricoltura (proposta per l’ottenimento della sovranità alimentare), la salute, promozione della donna e, in modo tutto speciale nell’ambito della scuola dove si è fatto e si fa un lavoro improbo per la scolarizzazione dei bambini pigmei assieme ai bantu. Si ha anche ottenuto dallo Stato l’adattamento del calendario scolare per le scuole pigmee secondo il loro calendario di raccolta e di caccia e anche, l'accettazione di una metodologia speciale per i due primi anni scolari. L'ufficio diocesano per la pastorale con i pigmei offre anche una formazione appropriata per gli insegnanti, che viene dispensata ogni anno ...
Come potrete immaginare, seguire tutti questi fronti mentre si accompagna la comunità cristiana parrocchiale (bantu nella sua quasi totalità) è una sfida molto difficile. L’accompagnamento dei cristiani nel centro della parrocchia, la visita nelle cappelle, i gruppi di pastorale, le costruzioni e le opere sociali non lasciano tanto tempo per l’accompagnamento specifico d’un popolo non ancora evangelizzato, semi nomade (e quindi chi deve essere seguito qualche volta nei suoi spostamenti...) e con la tendenza naturale a proteggersi dai conflitti nel interiore della foresta.

La nostra presenza tra i pigmei della zona di Bayenga.

Già il p. Flavio Pante, agli inizi degli anni ’80 (allora parroco della parrocchia di Bafwabaka), aveva colto la sfida dell’accompagnamento al popolo pigmeo e, dopo di aver incominciato a visitare gli accampamenti pigmei all’interno della foresta, scrisse una lettera al allora vescovo della diocesi di Wamba, Mgr. Olombe, chiedendogli di formare un’équipe di religiosi, intercongregazionale, che accompagnasse i pigmei in modo itinerante, liberi di qualsiasi altro impegno.
A l’invito di Mgr. Olombe risposero tra altri i Missionari d’Africa e le Dame di Maria. Così, lungo più di una decina di anni, diversi religiosi e laici si succedettero nell’accampamento pigmeo d’Imbau, che divenne poi la missione cattolica d’Imbau (questa missione comprendeva quasi tutti gli accampamenti pigmei che si trovano nell’attuale parrocchia di Bayenga e quelli che vanno, seguendo la strada verso Bafwabaka, fino al fiume Nepoko).
P. Pedro Burgos e Sr. Doecita Van der Ven furono l’anima di questa missione e quelli che diedero continuità ad un accompagnamento caratterizzato dalla presenza e da un impegno per ridare la loro dignità ai pigmei, che erano considerati come animali ed erano oggetto di abusi da parte della popolazione bantu che gli stava attorno.
La missione Cattolica d’Imbau, arrivato il momento, partecipò come le altre parrocchie della diocesi nella condivisione delle differenti esperienze pastorali attorno ai pigmei e con i pigmei nella diocesi di Wamba, così come nel dibattito su come orientare la pastorale d’insieme con i pigmei.
Per diversi motivi, l’equipe missionaria che resideva a Imbau dovette lasciare questa missione; il lavoro d’accompagnamento dei pigmei nell’area della parrocchia di Bayenga continuò in mano degli animatori della pastorale pigmea formati da P. Pedro e Sr. Doecita, accompagnati in qualche modo dai catechisti responsabili della parrocchia e seguendo le proposte dell'Ufficio Diocesano di Pastorale con i Pigmei.
Con l’animo di non lasciar cadere un lavoro svolto da anni nella zona, e di sostenere in questa parrocchia la pastorale diocesana in favore dei pigmei, i missionari della Consolata decisero in Conferenza Regionale di assumere la cura pastorale della parrocchia di St. Camille a Bayenga, diocesi di Wamba.
Indubbiamente, le ripetute inviti dei nostri Capitoli Generali a considerare l’accompagnamento e l’evangelizzazione delle minoranze etniche come una delle frontiere del nostro “ad gentes” influenzarono la scelta e ci spingono ancora oggi a percorrere il cammino dell’itineranza, la provvisorietà, l’ascolto, lo studio delle culture, lingue, ecc. È il cammino della scoperta quotidiana delle tracce dell’opera dello Spirito Santo sul popolo pigmeo, sulla sua cultura e il suo modo di comprendere Dio e di relazionarsi con Lui, con gli uomini, con la naturalezza a partire della sua propria cosmo visione.... il tutto come parte della storia della salvezza che il nostro Signore sta percorrendo da sempre con questo popolo in concreto, come con qualunque popolo.
Dio salva attraverso le culture e non malgrado queste.

Sfide incontrate (difficoltà) e risposte date:

La parrocchia fu assunta dai missionari della Consolata verso la fine del anno 1999. La guerra prima e poi, la cura ordinaria della parrocchia, la costruzione del tempio parrocchiale, della scuola secondaria, l’assistenza alle cappelle, le difficoltà per gli spostamenti, la rotazione frequente del personale,... rendevano difficile un lavoro specifico con il popolo pigmeo.
Certo, la rete d'animatori lasciataci da P. Pedro e Sr. Doecita, continuava operante e, grazie a loro, abbiamo potuto continuare il lavoro, sopratutto seguendo le direttrici della pastorale d’insieme della diocesi. P. Clément Balufuti, prima e P. Honoré Tsideteta, poi, han saputo dare la continuità necessaria, hanno garantito la formazione agli animatori, hanno cercato d’impulsare l’agricoltura tra i pigmei attraverso la distribuzione di semi e d’istrumenti di lavoro tra di loro.
Si è fatto anche un lavoro di sensibilizzazione dei bantu sulla dignità ed i diritti dei pigmei e si è cercato di denunciare gli abusi che perdurano ancora contro di loro.
L’ufficio diocesano per la pastorale con i pigmei, avendo puntato forte sull’educazione, pensò bene di aprire un ciclo pedagogico corto nella scuola secondaria di Bayenga, dove i ragazzi pigmei potessero avere il titolo in meno tempo per incominciare ad insegnare loro stessi nelle scuole pigmee, che lo stesso ufficio ha aperto in tutta la diocesi.
Allo stesso tempo, l’ufficio diocesano pensò ad aprire, sempre a Bayenga, un internato per i ragazzi e le ragazze pigmee che volessero continuare gli studi secondari lontano dai loro accampamenti, visto che la vicinanza alla famiglia era un richiamo continuo ad addentrarsi nella foresta, lasciando i libri.
La salute è uno dei campi dove i pigmei sono più vulnerabili. Fuori dalla foresta diventa difficile per il pigmeo trovare le medicine che adoperavano tradizionalmente; si vedono anche confrontati con delle nuove malattie e finiscono per ricorre alla medicina moderna occidentale; ma visti i prezzi delle consultazioni, dei farmaci e dei piccoli interventi chirurgici che si realizzano nei dispensari della zona di salute alla quale appartiene nostra parrocchia, il pigmeo preferisce venire da noi, alla missione per farsi curare e trovare delle medicine in scambio a qualche piccolo servizio.
È qui che il P. Fiore, pian piano, a stabilito un folto numero di relazioni con i pigmei. È difficile arrivare a casa nostra e non trovare uno o più pigmei aspettandoci ed ora non solo per i farmaci, ma anche per offrirci della carne di antilope, funghi, miele, lumache, termiti, uova, ... tutto da comperare per un modico prezzo; vengono anche per ottenere degli uniformi scolari oppure dei pantaloncini a cambio di mazzi di foglie per il tetto delle case, o della corda ...
Anche P. Enrico Casali, gira per Bayenga circondato da bambini e ragazzi pigmei che, pur di fare un giretto sulla sua macchina (chiamata “Dio è amore”) sono pronti ad aiutarli nel suo piccolo orticello.

Le sfide:

Il contatto con i pigmei della nostra parrocchia è un fatto: lavoriamo per la scolarizzazione dei bambini, invitiamo i genitori a lavorare la terra,...
Ma forse la sfida va un po’ più in là:
Dovuto allo sfruttamento e alla emarginazione che hanno subito per generazioni, i pigmei hanno poca coscienza di popolo:
Non sono strutturati o coordinati tra di loro. La loro autostima è molto bassa perche considerati durante generazioni come degli animali per i bantu.
Servendosi del rispetto del pigmeo per le alleanze tradizionali, i bantu profittano del loro lavoro a cambio di un po’ di sale, o di qualche bottiglia di vino di palma, o di un pezzo di tessuto...
Ogni famiglia di un capo bantu si erige come “proprietaria” di uno, due o tre accampamenti pigmei; cioè: 40, 80 oppure 120 persone ai quali chiamano “i miei pigmei” (“wambuti wangu”).
Si creano così continui conflitti nelle relazioni tra queste due etnie a causa delle occupazioni delle terre, dei territori di caccia, dovuti alle relazioni squilibrate che esistono.
Questi conflitti originano a loro volta una serie di furti e piccole vendette, che alimentano il fuoco del conflitto... Il tutto, sotto l'apparenza di una buona convivenza.

Tutto il lavoro realizzato da più di trent’anni lascia vedere dei risultati. I pigmei sono molto più svegli che 20 anni fa e le relazioni con i bantu cambiano pian piano. Ma c’è ancora una lunga strada da percorrere e ci sono delle minacce concrete che potrebbero mettere il popolo pigmeo allo scacco:


  - La assimilazione culturale.
In confronto con culture più sviluppate, il popolo pigmeo non é ancora arrivato a fare una sintesi tra la sua e quella altrui; continua ad essere abbagliato dall` “altro” dimenticando la sua propria identità. L’incontro tra queste culture è così squilibrato, che il pigmeo ha la tendenza a considerare quasi tutto quello che procede dall’altra cultura come migliore e, quindi, s’apprezza una mancanza d’autostima e pérdita della propria identità.

  - La perdita della sua sovranità alimentaria:

Ai tempi di Mobutu ci fu un appello a tutti i cittadini congolesi per far si che uscissero dalla foresta e s’istallassero lungo le strade.
Mobutu liberalizzò lo sfruttamento delle miniere che, nel nostro area divenne l’inizio d’una processione di giovani e non così giovani alla ricerca di una ricchezza “facile”. Questo significò un cambiamento d’abitudini nella popolazione bantu dei dintorni (diffidenza, interesse e disprezzo nelle relazioni interpersonali, perdita di rispetto per gli anziani e le tradizioni, forte salita dei prezzi dei prodotti al mercato, assenteismo scolare, abbandono dei villaggi,...)  ed in modo molto più accentuato nel popolo pigmeo.
La multinazionale “Rio Tinto”, ha già identificato una buona parte de la foresta dove abitano e cacciano i pigmei, come obbiettivo delle sue prossime miniere. Questo significherà un maggiore flusso di popolazione, minore accesso dei pigmei alle loro terre e, quindi, maggiore perdita della sovranità alimentaria per un popolo che è cacciatore e raccoglitore … Ci sarà così, un'accelerazione del processo d'assimilazione culturale che minaccia il popolo mbuti.
Anche la Riserva forestale dell’Okapi, condiziona i movimenti dei pigmei in un area tradizionalmente loro.

Un giro nel nostro “ad gentes”

Di fronte a queste minacce, riteniamo importante riqualificare la nostra presenza tra i pigmei della nostra parrocchia.
Dentro un processo di coscientizzazione, vorremmo aiutare il popolo pigmeo a riappropriarsi della sua storia, della sua cultura, della sua dignità, per far sí che possa dialogare con gli altri popoli e culture con la capacità di decidere quali valori vuole  prendere e lasciare della sua propria cultura e di quella dei popoli circostanti.
Consci che nostro Signore salva ai popoli passando in mezzo alla loro cultura e non annullandola, affermando la pace per la giustizia e la riconciliazione, respingendo i soprusi contro “gli ultimi degli ultimi”, vorremmo dare speciale rilevanza, conforme alla nostro carisma,  alla conoscenza delle loro lingue, della loro cultura e storia, vorremmo conoscere il loro territorio (dove durante secoli hanno vissuto e condiviso con tante creature spazi e cammino di vita, dove hanno accolto stranieri che ora sono padroni loro e delle loro terre) e cercare di ricuperare la dignità ed i diritti perduti.
Sappiamo che per questo è necessario essere in mezzo a loro, diventare anche un po’ itineranti con loro, ascoltare, conoscergli per amargli e scoprire in loro la presenza dello Spirito Santo, primo missionario, alla cui scuola vorremmo imparare ad accompagnare processi con pazienza e speranza, come passo necessario dell’evangelizzazione che, a quanto pare dal esempio lasciatoci dal Maestro di Nazareth, intende l’efficacia in modo diverso a quello della cultura occidentale.
Vorremmo conoscergli per aiutargli a riconoscersi e farsi conoscere dagli altri dentro e fuori del loro territorio.

Integrità del creato, giustizia e pace...

Ci viene quasi “imposto” dalla presenza in questa Galilea dei gentili (“ad gentes”), la preoccupazione per l’integrità della foresta dove hanno abitato da anni i pigmei ed ora minacciata dagli interessi di certe multinazionali e Stati.
È anche evidente la necessità di abbordare questo “ad gentes” con la dinamica della risoluzione dei conflitti, perché conflitto c’è e tanto, da secoli, tra i popoli pigmeo e bantu (nella nostra zona, wabudu, walika, waberu...); c’è anche conflitto con le autorità, malpagate dallo Stato e, anche per questo, corrotte; conflitto generazionale; conflitto con quelli che vogliono mettere le mani sulle ricchezze della foresta in cui abitano i pigmei; conflitto tra culture e le loro forme di sussistenza (collettori, cacciatori, agricoltori, cercatori d’oro, commercianti,...).
Quindi questo “ad gentes” ha due vertenti al meno:

  ° accompagnamento del popolo pigmeo e
  ° sensibilizzazione-formazione dei bantu (molti dei quali conoscono già il Vangelo di Gesù Cristo)

...E forse si dovrebbe anche (perché non?) informare, sensibilizzare, formare l’opinione pubblica occidentale, in modo che insieme possiamo impegnarci come autentici protagonisti in questo cammino che “tocca a tutti” (ricordiamoci, tra l'altro, che la foresta del Congo è il secondo polmone del pianeta).

Immagino che la nostra spiritualità, la nostra vita comunitaria, la lettura della realtà, la programmazione pastorale prenderanno un po’ alla volta cammini che lo Spirito, lui stesso, ci mostrerà, se sappiamo ascoltargli.
Anche la formazione permanente dovrebbe sommergerci nel mondo del dialogo, dell’antropologia culturale, del diritto e di tutto quello che ci possa aiutare nel nostro cammino.

Sarebbe bello poter integrare nella nostra equipe nascente, dei laici missionari della Consolata che lavorino mano nella mano con noi e con i laici congolesi che da anni camminano su questa strada.  Un inizio c’è già: in Spagna i nostri laici della Consolata insieme a diverse associazioni  ed istituzioni cominciano a rifletterci (in febbraio ci visiteranno  un Laico Missionario della Consolata  e un membro dell'Università di Málaga). Quanto sarebbe bello poter lavorare “in rete”, …

Beh! Per adesso continuiamo così. Un anno nuovo, pieno di aspettative e di speranza. Verso dove ci porterà lo Spirito? Ciò che conta adesso è stare attenti à Lui, saper discernere e camminare insieme, con la grazia di Dio che si manifesta anche in ognuno di voi, Famiglia Consolata: benefattori, amici, laici missionari della Consolata, suore, fratelli e sacerdoti.
Ultima modifica il Giovedì, 05 Febbraio 2015 16:56

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