La missione a partire dall’altro

Pubblicato in Missione Oggi

Mi trovo in Mozambico, precisamente in visita alle missioni del Niassa, e voglio condividere alcuni pensieri sulla missione che in questa visita mi stanno “frullando” in testa, non sono verità ma solo delle riflessioni per continuare la missione. Il Niassa è un territorio missionario affidato ai Missionari della Consolata a partire dal 1936. La prima missione che ho visitato è quella di Massangulo, la prima storica fondazione e memoria di una presenza. Quello che colpisce sono le sue rovine e la domanda che subito ne segue: quanto sudore per niente! E, purtroppo questo scenario si ritrova in molte altre missioni: tante costruzioni, tante opere, ben fatte ed ora abbandonate e solo rovine che ricordano una missione che non c'è più. Ma, la depressione e la tristezza si trasformano in gioia e speranza perché se pur sono caduti i muri, la Chiesa locale si mantiene viva e missionaria, frutto di un grande lavoro pionieristico di molti missionari che ci hanno preceduto e di tanti catechisti, veri testimoni, di una Chiesa ministeriale e presenza storica del segno del Regno di Dio che continua e cresce nonostante tutto.


Nonostante l'autenticità di questa missione del passato, oggi s'impone un altro stile di essere missionari e di fare la missione. Come stimolo per la riflessione vorrei proporre l'immagine del missionario come straniero. Il missionario di domani sarà colui che saprà “farsi straniero”, straniero nel senso di saper perdere la propria sicurezza e l'orgoglio di conoscere tutto, oppure meglio ancora, missionario come colui che saprà realizzare una missione a partire dall'altro, intendendo per “altro” il prossimo, popolo e cultura, con cui sono chiamato a vivere la missione con il suo bagaglio di storia e di cultura!

 

"Le ostilità che vengono dall'esterno sono solo occasioni perché i cristiani siano più obbedienti al vangelo, occasioni per realizzare a caro prezzo l'insegnamento di Gesù. Ciò che come cristiani dobbiamo temere non viene da eventuali nemici esterni: l'attentato più forte al vangelo può venire invece da noi cristiani, ... Infine è necessario riconoscere che forse dobbiamo cercare anche nuovi modi di essere Chiesa e di fare Chiesa: meno conflittuali all'interno, più sinodali nel discernere i cammini percorsi e quelli da intraprendere, più sapienti e nutriti di buon senso umano ed evangelico nel dirimere le questioni e i problemi." ( Enzo Bianchi )

 

1. “Imparare a farsi stranieri”. È un’espressione evocativa, non è un’espressione chiara, dimostrabile. Questo significa che facciamo fatica a comprenderne il significato in quanto non appartiene al nostro DNA quotidiano. Possiamo dire che farsi straniero è una metafora. La comprendiamo e non la comprendiamo. Si collega ad espressioni simili che fanno parte, spesso, delle nostre riflessioni, ma non della nostra prassi: la missione pellegrina, la missione povera, la missione a partire dall’alterità, ed altre espressioni frutto della riflessione post-conciliare e di molte esperienze missionarie.

Tuttavia queste metafore si collegano anche ad una riflessione missionaria, perché la pratica missionaria e la riflessione teologica sono molto collegate. La riflessione teologica ci aiuta a capire da dove veniamo a dove stiamo andando. In questa riflessione alcune cose si stanno facendo chiare.

Si sta superando l’ecclesiocentrismo (la missione deve portare alla Chiesa? O la Chiesa è veicolo, la barca, attraverso cui… E che devo “portare”?). Si ripensa la missione non tanto a partire dall’elemento ecclesiologico e cristologico (il battesimo, l’inserimento nella comunità dei salvati) ma da una prospettiva più ampia del Regno, della presenza testimoniante. L’espressione farsi straniero sta dentro questa prospettiva più ampia. Nella visione di missione che recupera lo spirito della missione trinitaria alla luce della missione di Cristo, nascono tante altre domande: a quale missione di Cristo facciamo riferimento? Qual è il mandato missionario? Quello di Mt 28: “ Andate dunque ed ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo” oppure quello di Mc 6: “ Allora chiamò a sé i dodici e cominciò a mandarli due a due e diede loro il potere sugli spiriti immondi...” ? Il mandato post-pasquale o quello pre-pasquale? Quale è il ruolo dello Spirito nella missione divina?

 

2. Per meglio comprendere questa metafora mettiamo l’accento soprattutto sul fatto di conoscere bene il contesto, il territorio, della missione. Prima di fare impariamo a conoscere bene, a saper aspettare, non solo nel primo inserimento. Nello stile di pratica missionaria, non c’è bisogno d’aver fretta, non dobbiamo dimostrare a nessuno perché siamo venuti in un territorio, che cosa stiamo a fare... Avere pazienza, interagire… e altre liste di verbi evocativi che ci aiutano a capire.

 

3. Il modello di missione come itineranza, farsi straniero, accettare l’altro, ha alcuni contenuti, alcune competenze che si presentano ed hanno una certa importanza.

È una missione non violenta. Si potrebbe dire: quando mai è stata violenta la missione? La missione è violenta, ancora oggi, a volte inevitabilmente, perché porta la nostra identità. Ci sono forme di violenza culturale sottili ma reali.

Costruisce relazione. Il farsi straniero esige un’identità aperta, esige discernimento e mediazione, si attua attraverso condivisione, inserimento, stile di collaborazione, chiede al missionario povertà e svuotamento di sé, sopporta la nostra aridità, vive nei luoghi dell’altro che, per quanto risulta, è la cosa più difficile da fare per il missionario.

Fa crescere l’altro come soggetto ecclesiale. Si fonda sul primato assoluto del Dio della vita.

 

4. La missione, precedentemente, si fondava sulla necessità di portare la salvezza intesa come amministrazione del battesimo e incorporazione giuridica nella chiesa.

Ma già alla fine del l’800, nel periodo della colonizzazione africana, si riconobbe che c’era bisogno di un cambiamento: l’azione missionaria, la pratica missionaria, deve premettere il tema del convertire e quindi il confronto con la libertà del destinatario. La missione sperimenta già che “il convertire” rende impotenti. La pratica missionaria che ne deriva sarà centrata non più solo sul “portare” ma sul convincere, motivare, attrarre, proporre... Una serie di verbi che sono intuitivi ma incerti. La missione diventa povera perché si deve affidare a strumenti poveri.

Prima del battesimo occorre convertire, proporre, affascinare, far desiderare. Tale disorientamento ha portato e porta a volte la missione a cercare nuovi appoggi.

Alla fine del XIX secolo li trovò nel cosiddetto congresso o conferenza di Berlino, dove si decise la spartizione dell’Africa e lì si trovò un appoggio militare e economico a sostegno della missione (a volte pensata e chiamata “stazione missionaria”proprio come i luoghi della presenza colonizzatrice).

 

5. Fu Benedetto XV a rivedere gli scopi da dare alla missione a cui affidava il compito di “costruire Chiese” più che “trasferire Chiese”. Di fatto, nonostante la Maximum Illud, si continuò a trasferire Chiese, già dal modo di costruire la cattedrale, i seminari e la vita sacerdotale, la vita religiosa, ecc.

Fra le due guerre si sviluppò una riflessione di pastorale sul come andare a sostenere la costruzione delle chiese locali, ma in realtà non ci si rendeva conto che si andava a trasferire l’azione pastorale europea: il tipo di parrocchia, il tipo di catechismo, di sacramenti, di carità... si trasferivano nelle nuove Chiese.

A ben vedere il punto centrale, il punto di crisi, quello che non funziona più, e che a volte si trova anche dentro noi stessi, è proprio la pratica di missione fondata prevalentemente sul concetto di salvezza, inteso come un oggetto preciso, da portare. La salvezza sta nei sacramenti, sta nell’agire morale, e la missione la porta in contesti che ne sono privi.

Inevitabilmente la pratica missionaria era una pratica missionaria di ripetizione. Per questo in realtà si stava trasportando la pastorale del concilio di Trento, il modo di fare missione in Europa. Questo in realtà non era stile missionario, perché l’azione pastorale di Trento non porta alla fede, suppone la fede. È una pratica di cura pastorale.

Ancora oggi la stragrande maggioranza della missio ad gentes non lo è. È ancora prevalentemente cura pastorale. Qualcuno avrà seminato agli inizi ma poi, dopo la prima generazione missionaria, dopo il primo intervento, immediatamente si torna alla cura pastorale. Perché la chiamiamo “missionaria”? Perché si compie fuori dell’Europa?

L’azione missionaria è suscitare la fede e riguarda il far nascere l’entusiasmo di vivere il vangelo in un luogo.

 

6. Le pratiche missionarie nuove nascono dal fatto che nelle missioni, Roma, Sud America, Africa, Asia, si stanno incontrando sempre più resistenze, anche dopo la fine del contesto coloniale. Nascono dal fatto che, a livello mondiale, i modi di pensare e di rivedere, anche ideologici, hanno messo in crisi il modello che chiamo “paradigma tridentino”, il paradigma che faceva della missione solo la divulgazione di un concetto di salvezza.

Anche sostenute dal concilio, stanno emergendo nuove declinazioni dell’idea di missione.

La missione come volontà salvifica del Padre, ci aiuta a ricomprendere qual è l’oggetto primario della salvezza, della missione. L’oggetto primario è la costruzione della vita dell’umanità.

Le mediazioni dello Spirito. La mediazione dello Spirito viene prima della mediazione di Cristo, per cui la missione trova Dio già operante in un luogo, già trova un processo di salvezza in un luogo, in una cultura, nelle religioni.

 

7. Le nuove pratiche missionarie tendono ad ispirarsi almeno a questi quattro principi:

- Primato dell’evangelizzazione, cioè annunciare in modo libero e liberante il vangelo, la gioia evangelica, l’adesione alla prassi messianica. Da qui nascerà come atto secondo la Chiesa, la comunità dei discepoli e quindi una pratica pastorale.

- Il servizio allo shalom, il regno di Dio, che precede il servizio alla Chiesa, e di cui il servizio della Chiesa è segno e strumento, e che può essere indipendente dall’appartenenza alla Chiesa. Il servizio allo shalom è di tutti, il battesimo è per alcuni. Il battesimo è il sacramento della missione, non della salvezza; la salvezza è la prassi messianica, si realizza nella osservanza del comandamento dell’amore che ciascuno può vivere per la potenza dello Spirito che è effuso sul mondo.

- Il principio della testimonianza, della presenza contemplativa e caritativa che non propone ma lascia che nascano interrogativi sulle motivazione e le ragioni di una vita diversa dalle altre.

- Altre prassi si ispirano al dialogo interreligioso, con lo scopo di costruire nuove forme di religione e di religiosità entro cui il cristianesimo porta l’unicità della fede di Gesù e il suo mistero di vita.

 

In questo cammino di ricerca avvertiamo il dubbio che non tutto sia vero, autentico, che stiamo fraintendendo lo Spirito. Ricordiamoci però che questi tentativi, queste esperienze di tante persone, gruppi, movimenti, associazioni, non nascono dai capricci di qualcuno... Nascono dalla crisi missionaria radicale, sia di numero che di qualità. Non possiamo continuare a desiderare che qualcuno (politica, economia...) ci venga in aiuto per “imporre” nuovamente la visione cristiana dell’esistenza. La proposta della itineranza e prossimità come stile missionario si inserisce nella evoluzione delle pratiche missionarie, che stanno prendendo una strada irreversibile. Perché la crisi della missione non la risolviamo con qualche battuta soprattutto se per crisi intendiamo il rifiuto della qualità del Vangelo nella cultura, e non tanto la diminuzione del numero dei battezzati.

 

8. La missione come pellegrinaggio.

La metafora “straniero” può essere intesa almeno sotto tre aspetti: lo straniero è in cammino, in pellegrinaggio. Oppure essere e farsi stranieri. Oppure cogliere il valore dell’alterità. Una pratica missionaria quindi che sottolinea non tanto “il già” della missione, quanto il “nuovo”. Camminare, farsi stranieri, leggere l’alterità. Queste intuizioni non sostituiscono, non annullano tutto il lavoro missionario precedente. Cercano di riesprimere, di mettere in un ordine differente, di priorizzare in modo nuovo tutti gli aspetti della missione.

 

A. L’itineranza. Il farsi straniero, modifica i soggetti, i luoghi della pratica, i contenuti, i compiti della missione, lo spirito, le strategie, le finalità.

Ad esempio modifica i soggetti. Chi sono i soggetti della missione? Accanto al missionario tradizionale, ci sono nuove figure, che sono dono dello Spirito. Prima del missionario c’è la missione, come prima del ministero c’è la ministerialità. La Chiesa tutta missionaria vive la sua missionarietà in ministerialità differenti.

Forse occorre andare oltre. Lo Spirito suscita “altri” missionari! La missione della Chiesa ha i ministeri che conosciamo. Ma sono gli unici? La missione di Dio ha altri ministri, ha altri missionari. Il territorio non ha solo i catechisti della parrocchia, perché il territorio ha i suoi agenti salvifici. Sono dettate dalla tradizione culturale e hanno il loro valore.

La missio Dei non è soltanto una questione teologica: è una pratica missionaria. Dio ha i suoi missionari. Poi ci sono i missionari della Chiesa, che dovranno avere un compito ben preciso.

La pratica missionaria si deve riscrivere a partire dalla teologia delle tre missioni della Trinità: la missione del Padre, la missione dello Spirito e la missione del Figlio. Perché, a livello storico e salvifico, la missione del Figlio avviene nella pienezza del tempo, ma erano già migliaia di anni che lo Spirito stava facendo qualche cosa.

 

B. Essere pellegrini. È la condizione di chi non appartiene alla cultura dove lo porta il cammino, non ha gli stessi diritti. Chiede di essere riconosciuto perché non può pretendere di essere riconosciuto, accettato. Il missionario che si fa pellegrino, che si fa straniero, deve essere ospitato, non solo da coloro che deve convertire, ma deve essere ospitato anche dalla comunità che lo accoglie, deve diventare ospite. Certo il missionario avrà casa, un letto e un tetto, ma dove andrà ad abitare? Si tratta, per essere pellegrini, di collaborare con i missionari presenti, non di eliminarli o ignorarli ma di collaborare!

Essere pellegrini, inoltre, richiede chiarezza di orizzonti, d’interpretazione, ma non il possesso già chiaro del contenuto della missione.

Questo non va contro la programmazione missionaria, al contrario, la fonda. La missione non può già avere un programma alla sua partenza perché, ci ricorda un grande teologo M.D. Chenu, la salvezza viene nel tempo, viene in un luogo. La missione porta strumenti per rivelare e comprendere ma non può avere già tutti i contenuti prefabbricati. È una azione da scoprire vivendo.

La missione della Chiesa ripensa scopi e modi a partire dai bisogni di salvezza di un luogo. Spesso questo viene fatto solo come attività della Caritas, non come contenuto, scopo della missione.

 

9. Una missione si fa straniera quando si centra sul riconoscimento dei soggetti. Se deve incontrare i missionari di Dio nel territorio deve sviluppare una vera relazione. Più che sulla predicazione, deve essere centrata sulle relazioni. Se deve farsi accettare, si deve costruire sull’inserimento, sulla condivisione, sull’esplorazione, sull’apprendimento della lingua, della cultura. È una missione povera. Senza nessun appoggio esterno. Vissuta nei luoghi della cultura dell’altro, allo scopo di un arricchimento reciproco delle forme attraverso cui il Regno si fa strada, il vangelo si esprime, la Chiesa si edifica. Non si annulla lo scopo comunitario della missione ecclesiale, viene messo al suo posto. Nel cammino verso il Regno, infatti, lo Spirito sempre suscita ad alcuni il desiderio di essere discepoli. Sempre ci sarà chi annuncia il cammino, ma la cosa importante è il cammino, non è l’istituzione ecclesiale.

Questo lo condividiamo. Ma la pratica missionaria ancora non è chiara su questo punto. È momentanea, transitoria, non ha modelli per costruire futuro. Infatti la questione è: viene fatto come strumento o come compito? È un periodo introduttivo perché si possa fare la missione o questa è la missione?

 

10. Nuove strade per gli istituti missionari. Questa intuizione, questa visione, questa parabola, questa metafora, modifica non solo la missione ma anche i soggetti della missione, soprattutto la vita degli istituti, delle congregazioni, anche delle nuove forme di vita missionaria, i gruppi di laici...

Lo dico in punta di piedi: mi sembra che il destino delle istituzioni missionarie, tradizionali e nuove, sarà sempre più giocato non tanto sull’opera missionaria, sull’azione missionaria, quanto sull’animazione missionaria, della comunità o del territorio in cui andiamo.

Mi sembra che dentro queste intuizioni ci sia un tema molto difficile: l’istituzione missionaria ha un suo progetto. Ma ancora di più dovrebbe abilitarsi a sostenere i carismi degli individui all’interno di una visione ordinata, di una visione ecclesiale. Mi sembra che questa dimensione carismatica della missione oggi sia troppo bloccata dalle tradizioni delle istituzioni missionarie. Si ha l’impressione che i missionari/e siano pensati come il “personale” delle missioni e siano a servizio delle istituzioni. Non è sempre vero, ma qualche volta è così. Appena nasce un’intuizione, un desiderio, un’attività, una scommessa, sembra che le istituzioni siano più preoccupate di mettere ostacoli che dare suggerimenti e appoggi.

Sogno congregazioni religiose, istituzioni ecclesiali in senso largo, che passino molto del loro tempo a pensare come sostenere i progetti che lo Spirito suscita. Una istituzione dovrebbe mobilitarsi per aiutare a gestire, a sostenere e a verificare.

Potrebbero nascere nuove forme di interazione tra religiosi, religiose, fidei donum, missionari laici. Il gruppo missionario acquisterebbe nuove forme di vita a partire da questa itineranza.

 

11. “Imparare” a farsi stranieri

Imparare a farsi stranieri interessa la persona del missionario.

 

A. Formazione come autoformazione. Sia perché l’unico soggetto della formazione siamo noi stessi. (Sempre, a partire dalla famiglia e negli altri contesti, la formazione avviene nella libertà. Altrimenti è socializzazione, altrimenti è obbligo, altrimenti è costrizione). Sia perché in questo caso specifico il farsi straniero lo può decidere solo la persona coinvolta. In questo senso “farsi straniero” è carismatico e non ci può essere un superiore che dica “fatti straniero”.

Certamente se tutta la missione della Chiesa andasse strutturalmente (le istituzioni, le pratiche, le politiche missionarie) in questa direzione la persona singola sarebbe aiutata. Ma di fatto lo stile del farsi straniero è personale. Per questo occorre parlare di autoformazione.

Dire autoformazione significa affermare almeno due concetti. Ciascuno impara dagli altri, cioè nella continua interazione, non nel chiuso della personale riflessione mentale. Inoltre che l’autoformazione, in realtà, è una integrazione della esperienza di vita. Non è una sostituzione, non è uno stravolgimento, non ci può essere una missione per obbedienza. L’obbedienza ci sarà ma come cammino fatto insieme che ha un tempo necessario per il cambiamento che rimane il compito della persona-individuo.

 

B. Decidere di entrare in autoformazione. Per questo modello di formazione centrale non è l’informazione. Non basta fare una conferenza. È questione di cammino interiore. A cosa devo stare attento, oppure: quali strumenti di autoformazione posso avere?

Innanzitutto scoprire l’importanza della dinamica intersoggettiva. Io sono l’insieme delle multiformi esperienze che faccio e della qualità delle esperienze che decido di avere. La mia identità deve contemplare la presenza dell’altro, la costruzione dell’identità e dell’interazione sociale. Nell’auto-formazione, la relazione è uno scopo, non è solo uno strumento. E la pedagogia della relazione si basa a partire dall’altro, dal riconoscimento dell’altro. Sono adulti che si incontrano e si riconoscono come adulti. Sono le presenze di Dio nel territorio che aiutato a decidere la pastorale missionaria da fare. Noi veniamo da una spiritualità in verità invece molto ‘monastica’, molto individuale, molto personale, ecc. La pratica formativa sottolinea invece la qualità della pratica sociale come costruzione dinamica intersoggettiva.

 

C. Fare attenzione alle motivazioni. In ogni momento della vita il motore della costruzione della identità sono le risposte alle motivazioni che ci diamo. Nella missione occorre un giusto equilibrio tra il bisogno di auto-realizzarci e il bisogno di svuotarci.

In una visione di identità chiusa, si centrerà l’attenzione sul ruolo e questo non mi porta a comprendere la diversità sempre presente della vita, ma a difendere le scelte già compiute. Da qui nasce la pastorale fotocopia e la missione fotocopia! In un continuo cammino si deve continuamente modificare, pur mantenendo anche se stessi, essendo contenti di se stessi. Ci si deve svuotare ma anche riempire.

Questo equilibrio è complesso e si radica nella continua e serena analisi delle motivazioni: perché sto facendo questo? Non sempre le prime risposte sono quelle autentiche. Le maschere, gli schemi mentali, i meccanismi di difesa, il più delle volte non permettono di fare neanche la domanda. Se cresce la paura di fare questa domanda, allora occorre avere grande fiducia nello Spirito. Diamo allo Spirito il silenzio e il tempo necessario nella preghiera perché queste domande possano emergere.

 

D. Consapevoli e guariti. Una pedagogia del soggetto missionario in autoformazione sviluppa una spiritualità dell’auto-consapevolezza e della guarigione dei propri sentimenti. L’alterità chiede di sviluppare l’atteggiamento della presa di distanza continua dalla propria identità. Dalla grande tradizione orientale ci viene un aiuto. Per l’Oriente la spiritualità è quasi solo processo di comprensione di sé. Si parte sempre dall’abituarsi a dare ascolto alle proprie sensazioni. A non fuggire quando ci sentiamo non bene in un luogo, in un’attività, in una decisione. Suggerisce di sostituire la fuga con il tentativo di capire, ascoltare il nostro corpo, i propri sentimenti. Suggerisce di reinterpretarli pian piano, nella logica del Vangelo, senza facili accomodamenti e senza meccanismi di difesa.

 

E. Abitare il luogo dell’ospite. In italiano la parola ospite indica sia chi è ospite sia chi è ospitato. Abitare il luogo dell’ospite è complesso, è difficile. L’idea della missione come “stazione missionaria” non sempre permette di vivere in punta di piedi (ospiti) di una cultura. Un po’ è necessario perché tutti abbiamo bisogno di tornare di quanto in quanto nella propria cultura. Anche questo atteggiamento di spoliazione è una pratica di martirio.

Abitare il luogo dell’ospite è complicato, è complesso, lo si può fare fino ad un certo punto.

 

F. Ipotesi per una pedagogia del soggetto missionario. Quanto più ci addentriamo in questo paradigma del farsi stranieri (alterità, itineranza), quanto più deve avere spazio dentro il missionario il godere, la gioia per quello che si compie. Il paradigma tridentino si sosteneva sulla spiritualità della obbedienza. Ma, accanto a questo, abbiamo bisogno di sviluppare un aspetto della nostra cultura: il godere di me. Sarà necessario uno spazio di equilibrio globale tra organizzazione e donazione, tra sentirsi capaci di amare, di interagire profondamente. Trovare gioia nel veder crescere l’altro, avere come preoccupazione principale lodare Dio nella presenza del suo Spirito.

Inoltre in questo paradigma, che ancora è in costruzione, il tornare a casa, il prevedere la partenza, avrà un valore nuovo. Questo tipo di missione esige la capacità spirituale di organizzare il servizio missionario a partire dalla… ri-partenza. “Sono arrivato e vi ho trovato, io andrò via e voi starete ancora qui. Io ho solo collaborato al vostro cammino”. Saper riconoscere quando l’altro ha preso possesso della propria capacità.

In conclusione

Imparare a farsi stranieri è un tema affascinante. Lo dobbiamo ancora capire, lo dobbiamo inserire nelle pratiche missionarie secondo le possibilità e i diversi contesti. Certamente la missione come pellegrinaggio sposta l’accento da un oggetto che sembra definito (il mistero pasquale, il battesimo, i dieci comandamenti, la Chiesa, la Caritas), che io devo solo seguire, devo solo portare avanti... a un continuo andare e cercare. Soprattutto chiede un’interazione nuova: sono missionario ma ci sono altri missionari, ci sono altre presenze. Imparare tutto questo, è una questione di auto-formazione progressiva dentro di noi.

 

A tutti e ad ognuno buon cammino,

grazie, coraggio e avanti in Domino!

 

Niassa 02.08.2010

Ultima modifica il Giovedì, 05 Febbraio 2015 16:56
Altro in questa categoria: RENOVAR-SE NO PRÓPRIO MINISTÉRIO »

Gli ultimi articoli

Missionari laici della Consolata in Venezuela

16-07-2024 Missione Oggi

Missionari laici della Consolata in Venezuela

Prima di tutto vogliamo essere grati a Dio, alla Chiesa e ai Missionari della Consolata; la gratitudine è la nostra...

Mozambico. Non è mediatica, ma è una guerra

16-07-2024 Notizie

Mozambico. Non è mediatica, ma è una guerra

Una regione del Paese africano alla mercé della guerriglia islamista C’era ottimismo a Maputo, la capitale mozambicana. La guerriglia a Cabo...

Giustizia Riparativa e la “pedagogia allamana”

15-07-2024 Missione Oggi

Giustizia Riparativa e la “pedagogia allamana”

La Corte di Giustizia dello Stato del Paraná (Brasile) ha tenuto dal 3 al 5 luglio l'incontro sulla Giustizia Riparativa...

Perù: prima assemblea dei popoli nativi

14-07-2024 Missione Oggi

Perù: prima assemblea dei popoli nativi

I rappresentanti dei popoli nativi dell'Amazzonia peruviana, insieme ai missionari, si sono riuniti nella Prima Assemblea dei Popoli Nativi, che...

Padre James Lengarin festeggia 25 anni di sacerdozio

13-07-2024 Notizie

Padre James Lengarin festeggia 25 anni di sacerdozio

La comunità di Casa Generalizia a Roma festeggerà, il 18 luglio 2024, il 25° anniversario di ordinazione sacerdotale di padre...

Nei panni di Padre Giuseppe Allamano

13-07-2024 Allamano sarà Santo

Nei panni di Padre Giuseppe Allamano

L'11 maggio 1925 padre Giuseppe Allamano scrisse una lettera ai suoi missionari che erano sparsi in diverse missioni. A quel...

Un pellegrinaggio nel cuore del Beato Giuseppe Allamano

11-07-2024 Allamano sarà Santo

Un pellegrinaggio nel cuore del Beato Giuseppe Allamano

In una edizione speciale interamente dedicata alla figura di Giuseppe Allamano, la rivista “Dimensión Misionera” curata della Regione Colombia, esplora...

XV Domenica del TO / B - “Gesù chiamò a sé i Dodici e prese a mandarli a due a due"

10-07-2024 Domenica Missionaria

XV Domenica del TO / B - “Gesù chiamò a sé i Dodici e prese a mandarli a due a due"

Am 7, 12-15; Sal 84; Ef 1, 3-14; Mc 6, 7-13 La prima Lettura e il Vangelo sottolineano che la chiamata...

"Camminatori di consolazione e di speranza"

10-07-2024 I missionari dicono

"Camminatori di consolazione e di speranza"

I missionari della Consolata che operano in Venezuela si sono radunati per la loro IX Conferenza con il motto "Camminatori...

onlus

onlus