UNA PAROLA SUI MISSIONARI GIOVANI

Pubblicato in Missione Oggi

 

Vari missionari, anche non anziani, manifestano difficoltà nel capire e gestire i tempi, i modi, lo stile dei giovani confratelli...Che sia difficile essere missionari non è una novità: ogni epoca, dice la storia, ha avuto le sue fatiche. Che per i più giovani sia impegnativo entrare in una struttura consolidata, talvolta anchilosata, e comunque "esigente", è di tutte le generazioni, con contingenze che possono facilitare più o meno. Oggi per esempio è molto forte la soggettività, è viva l'esigenza di "sentirsi bene", il bisogno di spazi per sé. Con la tendenza a risolvere le relazioni in gruppi ristretti e appaganti, su misura dei propri gusti e interessi, o comunque a gestire agende molto autoreferenziali. E' buona cosa dar voce, in modo provocatorio, alle preoccupazioni di qualche confratello più anziano che vede nei più giovani aspetti che lo inquietano. Si tratta della caduta delle «forme» della preghiera e della «regola» di vita, di un abbigliamento trasandato, un modo faticoso di vivere il rapporto con l'istituzione ecclesiale percorrendo forme di vita e di lavoro del tutto soggettive, una diffusa fatica a reggere il lavoro pastorale che arriva talvolta a forme di logoramento psico-fisico, una difficoltà grande ad accettare e mettersi sulla scia della nostra missione. Desta preoccupazione soprattutto l'esigenza, a fronte della fatica e dell'aridità del servizio alla missione, di dare spazio al proprio bene-essere, al bisogno di libertà, di autonomia, di riscontri affettivi. Certi casi di abbandono, poi, sono diventati ulteriore causa di sconcerto e di inquietudine. Può essere vero anche che il missionario giovane soffra a volte di protagonismo, diventando incapace di lavorare assieme. Vero , che alcuni giovani si fanno prendere da un pensiero che esula dalla tradizione (vedi certe forme di New Age, e il leggere il tutto troppo in un'ottica psicologica), vera è pure la “diversità” culturale che comunque anche se è certamente una ricchezza crea qualche difficoltà di accoglienza e di comprensione nelle nostre comunità. Tuttavia, dobbiamo ammettere che spesso la nostra è una preoccupazione appartenente ad un “ classico moralismo”. Messi in discussione dai fratelli maggiori, i più giovani si domandano: «Noi missionari giovani siamo un problema o una risorsa?». Nel loro modo di essere, certamente c'è qualche aspetto che richiede di essere verificato; tuttavia, la loro realtà è più complessa e ricca di quanto possa sembrare a prima vista. Nel dialogare con loro, è pertanto necessario cogliere la globalità di ciò che sono, soprattutto accogliere con rispetto la novità di cui sono portatori. Con questo atteggiamento di fondo, vorrei tentare di abbozzare un'istantanea dei missionari giovani che ne colga con immediatezza, pur senza alcuna pretesa di completezza, le difficoltà, le tentazioni e le risorse e indicare qualche attenzione pedagogica richiesta nei primi anni del loro servizio alla missione.

 

Difficoltà incontrate

 

1. Anche se oggi la dinamica formativa permette ai giovani in formazione di rendersi conto più di una volta delle concrete condizioni della missione, resta pur vero che quando un missionario giovane arriva sul terreno del suo primo incarico, si trova ad avere delle sorprese non piccole. La fatica di comprendere le situazioni delle persone e delle comunità, la molteplicità delle funzioni da svolgere, le attese della gente, l'infittirsi degli appuntamenti in agenda mandano presto all'aria la sua regola di vita. Non si tratta di cattiveria, ma del desiderio di riuscire, di fare del proprio meglio, misto a un po' d'inesperienza. Una volta questo fatto capitava più difficilmente, perché la vita religiosa era blindata, le attività correvano su binari sicuri e collaudati, il missionario giovane che arrivava dal seminario occupava un posto che gli veniva ritagliato su misura. Oggi non è più così: egli deve proporre percorsi inediti, aprire strade nuove, investire molto a livello di relazioni. E facile che nel nuovo contesto di missione saltino quei tempi di silenzio, di preghiera e di gratuità che in seminario sembravano definitivamente acquisiti. Succede che il tempo dello star svegli eroda quello del riposo, il tempo delle attività quello della preghiera, il tempo dei compiti obbligati quello delle occupazioni gratuite (studio, amicizie, sport).

 

2. In secondo luogo, quando un missionario giovane inizia il suo servizio scopre che gli è richiesto di partecipare a un'infinità di riunioni e a fare mille cose e tutte considerate importanti, talvolta ripetitive e non ben coordinate. Nei confronti di queste dimensioni, per lo più imprevista, non raramente egli si dimostra indisponibile. A volte manifesta il suo disinteresse mancando sistematicamente agli incontri, altre volte snobbando gli orientamenti presi insieme, altre volte lasciandosi andare ad una critica facile, gratuita. Sempre su questo versante, c'è il capitolo della collaborazione con i laici, a parole accettata, nei fatti vissuta con difficoltà. Si va da chi rifiuta ogni effettiva collaborazione a chi abbandona nelle mani dei fedeli interi settori della vita di missione.

 

3. Un'altra difficoltà riguarda la gestione delle tensioni. La vita missionaria è un campo di forze di grande intensità e complessità. I missionari giovani ne fanno talvolta brutalmente la scoperta; non di rado la sensibilità di qualcuno è messa rudemente alla prova. Essi, figli del loro tempo, presentano generalmente una personalità non allenata ai conflitti; questi, quando si presentano, rischiamo di farli cadere da cavallo. Ci sono conflitti dentro la comunità religiosa, cristiana e conflitti nel rapporto con la società civile. Tutti possono trasformarsi in opportunità, se gestiti con maturità.

 

4. Vorrei infine segnalare la difficoltà della solitudine. È la solitudine della verginità per il Regno, resa ardua in una società particolarmente erotizzata come l'attuale. È la solitudine delle relazioni significative in un contesto relazionale «a fior di pelle», superficiale e virtuale. È la solitudine della «differenza» cristiana che fa sentire il missionario giovane marginale rispetto alla cultura corrente e quasi un fallito nel confronto con i coetanei.

 

5. Senza dimenticare la coabitazione plurale. La vita insieme come membri di diverse culture non sempre è armonica, l'esperienza dice che è fatta anche di scontri e di conflitti, malgrado che la fede, la vocazione ed il carisma siano comuni. L'armonia tra diversi è dell'ordine ideale, si è in cammino per realizzarla. Questa “nuova situazione” richiede apertura mentale, capacità di convivere con l'incertezza, sospendere il giudizio, tollerare almeno un po' che le spiegazioni siano aperte a nuovi contributi, ad altri punti di vista che non sempre abbiamo e mostriamo.

 

Tentazioni presenti

 

Di fronte alla complessità del campo di lavoro e alle difficoltà dell'inserimento, il missionario giovane è esposto ad alcune tentazioni che gli promettono sicurezza, riuscita nel ministero e un senso di pienezza.

 

5. Una prima tentazione si potrebbe chiamare dell'autoreferenzialità. Visto che l'inserimento nei diversi organismi è faticoso, la collaborazione ai vari livelli difficile e i frutti di così grande lavoro scarsi, meglio fare piazza pulita di tanti orpelli e cominciare in modo totalmente nuovo, fresco, entusiasmante. Poco importa che i progetti siano improvvisati e carenti di metodo: ciò che conta è partire ex-novo. Al missionario che cade in questa tentazione non interessa più quello che c'era prima e neppure ciò che verrà dopo. Egli al presente è l'ago della bilancia, il referente unico per tutti, il guru di turno che ispira e dirige. Se sa cantare diventa cantautore, se ha fiuto psicologico s'improvvisa terapeuta, se ha sensibilità per gli ultimi fonda comunità di accoglienza. Quello che non ruota attorno a lui lo ignora, sia che si tratti del progetto comunitario che delle indicazioni diocesane. La creatività e l'intraprendenza, il prendersi cura delle situazioni difficili, il diventare riferimento per tante persone sono certamente aspetti positivi che vanno incoraggiati e sostenuti, ma devono essere posti all'interno di una rete di corresponsabilità, dentro un progetto e una dinamica profondamente comunitari. Altrimenti si rischia di creare steccati all'interno della stessa comunità e di sprecare inutilmente preziose risorse.

 

6. Un'altra tentazione è quella del gruppo gratificante, della cerchia di fedelissimi che offre sostegno, comprensione, amicizie calde e confortevoli. Il piccolo gruppo in sé non è un male; al contrario, può essere un'opportunità purché non si trasformi in un ghetto che isola e allontana da tutto il resto. La tentazione del piccolo gruppo si iscrive in quella più ampia di mettere il proprio star bene come criterio fondamentale della vita, sganciato dalle esigenze della vocazione che si è abbracciata. Al contrario, lo star bene deve scaturire dal fatto che ci si dedica agli altri.

 

7. Un'ultima tentazione che mi sembra rilevante è quella della vita comoda. È difficile anche per un missionario andare contro corrente in un sistema consumista come l'attuale. D'altra parte, si è abituato ad avere tutto garantito fin dagli anni della formazione iniziale. Le condizioni di vita del seminario, infatti, iscrivono il seminarista in una categoria di persone privilegiate, senza problemi economici, senza necessità di far quadrare il bilancio, senza il dovere di collaborare con il proprio lavoro al funzionamento della struttura, con la sicurezza di arrivare diritto diritto alla conclusione degli studi e all'avvio della missione. Formato così, il missionario che esce dal seminario rischia di adagiarsi in una vita borghese, di non accorgersi di ciò che può compromettere la sua testimonianza di povertà ed essenzialità. Chi è responsabile della formazione deve chiedersi come sia possibile trasmettere ai giovani l'apprezzamento per una vita sobria, la capacità di condividere quello che si ha, il gusto di guadagnarsi il pane con la propria fatica, la gioia di rinunciare per non avere più degli altri.

 

Risorse possibili

 

Se i missionari giovani sono esposti a facili tentazioni, hanno tuttavia in sé preziose risorse per la vita e per la missione.

Innanzitutto portano la forza della loro giovinezza, degli inizi del loro servizio. Si tratta di uno stato di entusiasmo generoso e gioioso coinvolgente tutte le dimensioni della persona, della voglia di osare e di rischiare sul futuro, offrendo il proprio dono personale e la propria novità, lo stile indiscusso della gratuità totale nell'offerta di sé senza calcolo, senza cautele, senza riserve. I missionari giovani, se trovano persone e comunità accoglienti, hanno la possibilità di fiorire, di avviare un reale rinnovamento negli ambienti in cui si trovano a vivere. Ma, più precisamente, quali risorse caratterizzano i missionari giovani in quanto tali? È difficile dare una risposta precisa, esauriente, valida per tutti. Ci sono tuttavia dei tratti comuni, che esprimono il sentire della nuova generazione.

 

8. I missionari giovani sono innamorati di Gesù e del Vangelo; sono portatori di una sensibilità nuova nell'accostare la Parola di Dio, che prendono sul serio e mettono al centro della loro vita; amano la pratica della lectio divina con i confratelli, desiderano coinvolgere in essa le persone e i gruppi che seguono. Si interrogano sui percorsi da fare per essere fedeli alla Parola che annunciano.

 

9. Hanno un'immagine di Chiesa come popolo e famiglia di Dio; non sono arrabbiati con l'istituzione e l'autorità e non lottano contro nessuno; sognano la fioritura della comunione. Per questo, investono molto nelle relazioni personali e nella dinamica conviviale; si accorgono che la gente è molto sensibile e attenta a chi incontra come missionario, che non gli interessa avere un bravo organizzatore, ma un testimone, un fratello e un padre capace di vivere relazioni con maturità e profondità.

 

10. Sono attenti ad ascoltare ciò che emerge dal vissuto della gente, a cogliere i segni nuovi e positivi che spuntano qua e là. Sanno comprendere il vissuto dei loro coetanei, ne percepiscono profondamente le aspirazioni e il travaglio. Hanno una spiccata attenzione ai diritti di tutti, ai temi della pace e della giustizia; sono capaci di apertura al differente, alle culture e alle razze diverse.

 

11. Sono disponibili a mettersi in gioco, ad andare contro corrente, non hanno paura di manifestare la loro fede. Sanno essere generosi.

 

12. Si trovano a loro agio tra i mezzi e gli strumenti offerti dalle nuove tecnologie.

Questi tratti a volte sono velati da punte di superficialità, da inesperienza, da qualche spinta individualistica, a volte da una ricerca di gratificazione immediata. Ma ci sono! Il dovere della comunità è di accoglierli, valorizzarli, renderne grazie a Dio. Essere missionari è un dono straordinario, la giovinezza un'opportunità irripetibile, e che la scommessa vincente è far funzionare il binomio. È proprio così: i missionari giovani, in quanto consacrati e in quanto giovani, rappresentano un'opportunità preziosissima per l'Istituto e la comunità. Essi, con la sensibilità e le risorse di cui sono dotati, possono aiutare le comunità a porre l'accento sulla dimensione comunionale, a far crescere le relazioni, ad intensificare lo slancio missionario. Comunicano energia e creatività, si distinguono per la disponibilità ad una testimonianza coraggiosa, per il desiderio di autenticità. Portano davvero aria nuova, sangue fresco, forza di rinnovamento.

 

Attenzioni “pedagogiche” importanti

 

Per far fiorire tutte le loro potenzialità, i missionari giovani hanno tuttavia bisogno di essere aiutati e accompagnati. Ovviamente, con discrezione, benevolenza, rispetto e competenza. A questo proposito, la Pastores dabo vobis afferma che «per accompagnare i sacerdoti giovani in questa prima delicata fase della loro vita e del loro ministero, è quanto mai opportuno se non addirittura necessario, oggi, creare un'apposita struttura di sostegno, con guide e maestri appropriati, nella quale essi possano trovare, in modo organico e continuativo, gli aiuti necessari ad iniziare bene il loro servizio sacerdotale. In occasione di incontri periodici, sufficientemente lunghi e frequenti, possibilmente condotti in un ambiente comunitario, in modo residenziale, saranno loro garantiti momenti preziosi di riposo, di preghiera, di riflessione e di scambio fraterno. Sarà così per loro più facile dare fin dall'inizio un'impostazione evangelicamente equilibrata alla loro vita pastorale» (n. 70).

Facendo tesoro di questi suggerimenti, in continuità con una tradizione già avviata subito dopo il Concilio, sarebbe da formulare un progetto di formazione per i missionari giovani, rispondente all'odierno contesto ecclesiali e culturale. Gli obiettivi individuati sono i seguenti.

 

a) Accompagnare la maturazione della personalità, in un contesto che vede come fenomeno generale il prolungarsi dell'adolescenza e dell'assunzione di responsabilità di tipo adulto. L'obiettivo è di aiutare i missionari giovani a continuare nel processo di maturazione della loro personalità nel contesto vivo della missione, rimanendo dentro le difficoltà, le tensioni, le prove della vita, imparando ad affrontarle con virilità, senza aggirarle, alla ricerca di rifugi sicuri.

 

b) Educare a far propria la vocazione ad essere pastore di una comunità, segno della presenza di Dio a fianco dei popoli e dei poveri, mettendo a servizio di questa le attitudini e le ricchezze personali. La realizzazione di questo obiettivo porterà il missionario giovane ad inserirsi pienamente nella comunità che gli è affidata, a prendersene cura mettendo a disposizione di essa tutti i suoi talenti, a vivere con gioia e pienezza la relazione missionaria.

 

c) Aiutare l'inserimento in una missione complessa ed esigente, trovando anche il modo di gestire in modo responsabile il proprio tempo (orario, regola sapienziale di vita). Il criterio di base sarà quello di caratterizzare il proprio tempo come il «tempo dell'apostolo», che ruota attorno all'incontro vivo con il Signore Risorto nella Parola, nell'Eucaristia e nella preghiera. Il missionario giovane dovrà essere sostenuto nella fatica di reinventarsi una «regola», di ritrovare un equilibrio di vita che rispetti sia le esigenze personali che quelle relative alla consacrazione alla missione.

 

d) Far crescere la comunione e la corresponsabilità con gli altri membri della comunità e i laici. Si tratta di un punto nodale del servizio alla missione. È essenziale trasmettere ai missionari giovani la percezione rigorosa dell'importanza della corresponsabilità, insieme ad una consapevolezza precisa dell'identità missionaria. Essi, con l'aiuto dei confratelli più esperti, sono chiamati a conoscere e mettere in atto la dinamica dell'Istituto e a scoprire, valorizzare e far proprie le esigenze della missione.

 

e) Educare all'interculturalità nel periodo della formazione di base e continua dotando, i missionari giovani, di adeguati strumenti e risorse umane preparate nella prospettiva della “convivialità delle differenze”.

 

Per realizzare questi obiettivi, è bene offrire l'aiuto di un accompagnamento personale e comunitario nella prospettiva interculturale che rispetti le diversità e le integri in una unità che non le annulla. L'iterculturalità che comporta un processo ed un progetto che diviene percorso di crescita e maturazione reciproca. Questa scelta si fonda sulla convinzione profonda che i missionari giovani, sia in quanto giovani, sia in quanto missionari, costituiscono davvero una grande opportunità di dono e di risorsa per la nostra famiglia missionaria, per la Chiesa e per il mondo.

 

 

Coraggio e avanti in Domino!

Ultima modifica il Giovedì, 05 Febbraio 2015 16:56

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