La solennità del Corpus Christi. Origine e significato

Pubblicato in Missione Oggi

La solennità dei SS. Corpo e Sangue di Cristo, nata nel secolo XIII, da una parte costituì una risposta di fede e di culto alle controversie e dottrine ereticali sul mistero della presenza reale di Cristo nell’eucaristia, dall’altra fu il coronamento di un movimento di ardente devozione verso l’augusto sacramento dell’altare, che si manifestò, in un primo momento, ancora in collegamento con la celebrazione eucaristica stessa (così, ad esempio, l’introduzione dell’elevazione dell’ostia e del calice durante il racconto dell’istituzione), ma presto anche indipendentemente da questa (venerazione del SS. Sacramento conservato nelle specie del pane). Furono però le rivelazioni di Giuliana di Cornillon, monaca agostiniana di Liegi in Belgio, ad avere un influsso decisivo nell’introduzione della festività, che per prima volta si celebrò nella diocesi di Liegi nel 1247. Urbano IV, già arcidiacono di Liegi e confessore di Giuliana, la istituì nel giovedì dopo l’ottava di Pentecoste con la bolla Transiturus dell’8 settembre 1264, documento che sviluppa una presentazione felicemente unitaria dell’eucaristia come sacrificio e banchetto. Si tratta della prima solennità istituita dalla Sede Apostolica per tutta la Chiesa. Nei primi tempi, la festa ebbe diverse denominazioni. Nel MR 1570 fu chiamata “Festa del Corpo di Cristo” (In festo Corporis Christi). La celebrazione ebbe grande fortuna a partire dal secolo XIV, dovuto anche alla popolare processione con il Santissimo per le strade delle città, a cui però la bolla di Urbano IV non fa esplicito riferimento.

 Il motivo apologetico che ha determinato, almeno in parte, il sorgere della festività ne ha  costituito anche il limite: l’attenzione preponderante alla presenza reale considerata in modo troppo indipendente della totalità del mistero eucaristico. La teologia eucaristica all’inizio del secondo millennio non si preoccupa della celebrazione eucaristica in quanto tale, ma piuttosto della presenza di Cristo nel sacramento del pane e del vino, e si sforza di approfondire la realtà e natura di questa presenza. Il simbolismo caratteristico della dottrina patristica che poneva l’azione eucaristica in rapporto memoriale o anamneticocon l’evento storico-salvifico, cede ora il passo alla nuova corrente del realismo cosificante, tipica del pensiero germanico, che si concentra nella realtà concreta e visibile, in ciò che è afferrabile e disponibile ai nostri sensi. Si tende a contemplare l’evento sacramentale in sé, dimenticando talvolta di metterlo in rapporto esplicito con l’avvenimento della storia della salvezza di cui è segno salvifico efficace. Ciò che ormai chiama l’attenzione dei teologi è il corpo e il sangue di Cristo. Ecco perché la teologia eucaristica si riduce perlopiù alla teologia della presenza reale; il memoriale non viene pienamente capito perché non si valuta in modo adeguato la teologia dell’immagine. L’evento celebrativo è visto semplicemente come un processo rituale ordinato a produrre o a causare la presenza eucaristica.

La riforma voluta dal Vaticano II con la denominazione più completa data alla solennità (si fa menzione non solo del Corpo ma anche del Sangue di Cristo), e con la ricchezza maggiore dei testi eucologici e soprattutto biblici, ha voluto esprimere una visione del mistero eucaristico che tenga conto di tutti i suoi aspetti. La nuova denominazione serve a chiarire che questa solennità include anche il mistero del “preziosissimo Sangue”, per il cui culto Pio IX nel 1849, al suo ritorno dall’esilio, aveva introdotto l’omonima festa assegnandola al 1o luglio, festività che si trova ancora presente nel Messale Romano (= MR) 1962 col grado di I classe.

Per quanto riguarda l’eucologia della messa, le tre orazioni del MR 1570 sono rimaste immutate nell’attuale Messale. Esse hanno una perfetta unità, e se non sono opera dello stesso san Tommaso d’Aquino, come vogliono alcuni, certamente ne riecheggiano la dottrina: l’eucaristia memoriale della passione di Cristo; sacramento dell’unità dei fedeli con Cristo e tra loro; prefigurazione della fruizione della vita divina nel convito eterno. La novità del MR 1970 è il prefazio dell’eucaristia, due a scelta, quello del Giovedì Santo, proveniente da un’antica fonte ambrosiana, e un altro di nuova composizione. Si tratta di testi che riassumono bene i diversi aspetti del mistero eucaristico: il primo presenta l’eucaristia come memoriale del sacrificio di Cristo; il secondo, dopo aver sottolineato che l’eucaristia è il memoriale della passione del Signore, parla dell’eucaristia come vincolo di unità e di perfezione.  

L’attuale Lezionario della Messa offre nove brani della Scrittura, distribuiti in tre anni A, B e C:

Anno A: Dt 8,2-3.14-16; 1Cor 10,16-17; Gv 6,51-59. Le tre letture, come del resto fa l’intero Nuovo Testamento, mettono in evidenza in modo particolare la dimensione di dono e di nutrimento dell’eucaristia. I segni del pane e del vino esprimono prima di tutto e soprattutto il banchetto. La prima lettura fa riferimento ai doni elargiti da Dio al suo popolo nel deserto, dove Israele ha sperimentato la provvidenza paterna del Signore. Fra questi doni spicca la manna, quel nutrimento misterioso considerato poi da Gesù nel brano del Vangelo della festa come prefigurazione o anticipazione del pane che Egli stesso dona a chi crede in Lui e che, contrariamente al cibo del deserto, è nutrimento per la vita eterna. Questo pane è Gesù stesso. Nella seconda lettura, san Paolo afferma che questo cibo ha la forza di costruire la comunione fra tutti quelli che lo mangiano: “Poiché vi è un solo pane, noi siamo, benché molti, un solo corpo: tutti infatti partecipiamo all’unico pane”. L’eucaristia è vero nutrimento spirituale per i singoli e per l’intera comunità.

 Anno B: Es 24,3-8; Eb 9,11-15; Mc 14,12-16.22-26. Le tre letture ci invitano a riflettere sul significato dell’eucaristia come sacrificio della nuova ed eterna alleanza tra Dio e gli uomini. Dio, nel sangue di Cristo suo Figlio ha stretto con noi una nuova alleanza che dà compimento a quella antica stipulata con Israele con la mediazione di Mosè (prima lettura). La seconda lettura ci ricorda che il Signore Gesù è diventato l’unico sacerdote e mediatore della nuova alleanza “non mediante il sangue di capri e di vitelli, ma in virtù del proprio sangue”. A questo punto diventa possibile comprendere il testo evangelico che riporta il racconto dell’ultima Cena. Quando Gesù offre ai suoi discepoli il calice e dice: “Questo è il mio sangue dell’alleanza, che è versato per molti”, non c’è dubbio che intende riferirsi al sangue nel quale era stata stipulata l’alleanza sinaitica. Il sangue che Gesù versa sulla croce ed offre nell’eucaristia è il sangue della nuova alleanza. Gesù con il suo sacrificio realizza contemporaneamente le due dimensioni dell’alleanza: l’impegno di Dio verso l’uomo e l’obbedienza dell’uomo verso Dio.                 

Anno C: Gen 14,18-20; 1Cor 11,23-26; Lc 9,11-17. Le tre letture presentano l’eucaristia come memoriale e ringraziamento. La prima lettura parla della misteriosa figura di Melchisedek, “re di Salem” e “sacerdote del Dio altissimo”, che, come segno di ospitalità e amicizia, “offrì pane e vino” e “benedisse” Abram che tornava da una vittoriosa campagna militare. La seconda lettura invece riporta la più antica descrizione dell’ultima Cena, racconto caratterizzato dalla particolare insistenza sul mandato di Cristo: “Fate questo in memoria di me”, ripetuto due volte. Il brano evangelico racconta la moltiplicazione dei pani e dei pesci, in cui Gesù compie gli stessi gesti con cui istituisce poi l’eucaristia: “prese i cinque pani e i due pesci, alzò gli occhi al cielo, recitò su di essi la benedizione, li spezzò e li dava ai discepoli perché li distribuissero alla folla”.

Riassumendo, possiamo affermare che i temi principali delle letture bibliche sono: l’eucaristia è nutrimento spirituale e comunione con Cristo in essa presente; la celebrazione eucaristica è il luogo dove appare evidente la comunione ecclesiale; l’eucaristia è segno dell’alleanza che Dio ha stabilito con gli uomini; la celebrazione eucaristica è memoriale della morte del Signore.La sequenza Lauda, Sion, Salvatorem, come i testi della messa e dell’ufficio, è attribuita, da fra Tolomeo da Lucca, nella sua Historia ecclesiastica, a Tommaso d’Aquino. E’ stata tramandata in diverse versioni; il testo è stato unificato solo nel MR 1570. Il suo contenuto costituisce una affermazione soprattutto della verità della transustanziazione e della presenza completa di Cristo in ogni specie.

La solennità dei SS. Corpo e Sangue di Cristo è in qualche modo un doppione del Giovedì Santo. Si tratta però di una festività che ha delle profonde radici nella pietà del popolo cristiano e come tale va rivalutata. La presenza reale-sostanziale di Cristo nell’eucaristia, richiamata da questa solennità, deve essere vista in quanto nasce dalla e nella celebrazione della messa per prolungarsi anche dopo, ma senza mai perdere il suo rapporto essenziale col sacrificio[1]. Giovanni Paolo II nella Lettera apostolica Mane nobiscum Domine, del 7 ottobre 2004, afferma che “è importante che nessuna dimensione di questo sacramento venga trascurata” (n. 14), e al tempo stesso propone la scansione “celebrare, adorare, contemplare” (nn. 17-18). Al riguardo, notiamo che il Direttorio su pietà popolare e liturgia, ai nn. 160-163, dà alcune indicazioni utili in ordine ad una adeguata formazione dei fedeli all’autentica pietà eucaristica.

Fonte http://liturgia-opus-trinitatis.over-blog.it/

 

 

Ultima modifica il Domenica, 31 Maggio 2015 15:32
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