Francescani tra i nomadi: la missione della Chiesa in Asia Centrale

Pubblicato in Missione Oggi

L’itinerario percorso in epoca medievale dai legati e missionari francescani, insieme ad altri religiosi, mercanti, guardie ed interpreti più o meno disponibili, per una impresa tanto esemplare quanto rischiosa: l'annuncio del Vangelo in un'area geografica vastissima, nel cuore dell'Asia

“Le altissime montagne della catena del Tian Shan, una volta chiamate anche ‘monti di Alessandro’, che segnano pressappoco il confine odierno tra il Kazakistan e il Kirghizistan, oggi testimoniano la grandezza dell’Itinerarium percorso dai legati e missionari francescani, insieme ad altri religiosi, mercanti, guardie ed interpreti più o meno disponibili, per una impresa tanto esemplare quanto rischiosa”. E’ quanto illustra all’Agenzia Fides padre Lorenzo Turchi, OFM, docente presso la Pontificia Università Antonianum, presentando un resoconto dei propri studi sulla missione dei francescani tra i nomadi dell'Asia centrale nel periodo medievale.

La Chiesa, in quella parte del mondo, è oggi costituita da un piccolo gregge in un’area geografica vastissima: nel complesso, secondo dati dell’Annuario Statistico della Chiesa cattolica del 2016, esso si compone di circa 118mila fedeli. Considerando le varie nazioni dell’area ex sovietica, vi si contano 70 parrocchie in Kazakhstan (112mila fedeli), 3 in Kyrgyzstan (1.000 cattolici); 2 parrocchie in Tajikistan (200 fedeli), 5 parrocchie in Uzbekistan (3.000 battezzati) ed una comunità in Turkmenistan (200 fedeli). Nell’area va considerata, poi, anche la Missio sui iuris dell’Afghanistan, terra dove non vi sono cattolici locali né chiese sul territorio e dove i fedeli sono solo costituiti dal personale straniero.

Le radici di questa presenza sono da ricercare proprio nel Medioevo, periodo in cui diversi missionari rischiarono la propria vita per annunciare il Vangelo e farsi portatori di pace in quelle terre. Le ricerche di p. Turchi si focalizzano, in particolare, sui viaggi di Giovanni da Pian del Carpine e Guglielmo di Rubruck nell’immenso impero mongolo costruito da Chinggis Khan e dai suoi successori.

Secondo il francescano, l’avvio di questi viaggi è legato al generale clima di preoccupazione e terrore causato dall’invasione mongola nell’Europa orientale “di fronte a un nemico di cui non si conosceva quasi nulla e le cui uniche testimonianze erano rappresentate dalla distruzione che lasciava al suo passaggio”.

Se la prima risposta della Chiesa era stata la crociata contro i Tartari (nome con cui venivano definiti i Mongoli in Europa) voluta da Gregorio IX nel 1241, spiega fra Lorenzo Turchi, durante il Concilio del 1245 si stabilì invece di agire per vie diplomatiche, con l’invio di tre documenti pontifici da consegnare direttamente al Gran Khan, nella mitica Karakorum. Fu proprio Giovanni da Pian del Carpine ad incontrare nel luglio del 1246 il Gran Khan per consegnargli una delle tre bolle pontificie, la “Cum non solum homines” che, illustra il docente dell’Antonianum, “invitava i Tartari alla pace e protestava contro le precedenti aggressioni in Europa. E’ una esortazione a far cessare i massacri e le devastazioni e a convincere i Mongoli che tale opera offende la maestà divina e può procurare terribili castighi”.

Il resoconto della missione di Giovanni da Pian del Carpine fu raccolto nella “Historia Mongalorum”: “Il Prologo dell’opera è di fondamentale importanza per comprendere lo scopo del viaggio intrapreso presso i Tartari e anche il modo con cui Giovanni vede la propria missione. Il francescano si presenta come inviato da parte della Sede Apostolica ‘presso i Tartari e gli altri popoli d’Oriente’. Incaricato dal Papa di consegnare personalmente all’Imperatore la lettera pontificia, Giovanni doveva raccogliere il maggior numero di notizie sui costumi, la cultura, la struttura di governo dei Tartari”, spiega lo studioso.

La “Historia Mongalorum” contiene, inoltre, preziose indicazioni sulla concezione religiosa dei Mongoli e sulle popolazioni dell’Asia centrale assoggettate. Rileva p. Turchi: “Nel suo resoconto, Giovanni indica i Mongoli come sostanzialmente tolleranti con le religioni dei popoli conquistati: non hanno delle leggi precise sul culto divino e non obbligano a rinnegare la propria fede, ma presume che se avessero il dominio del mondo, obbligherebbero tutti a inchinarsi all’idolo del defunto primo imperatore”. Il missionario presenta i Tartari come monoteisti, credenti in un dio creatore di tutte le cose, ma senza cerimoniali religiosi, sostituiti, invece, da idoli con funzione protettiva, sortilegi ed incantesimi. Afferma a tal proposito fra Lorenzo Turchi: “La finezza diplomatica di Giovanni si mostra nella capacità di comprendere l’importanza dei cerimoniali dei Tartari e le loro usanze, senza il rispetto dei quali egli non avrebbe mai portato a termine la sua delicata missione”.

Nel resoconto del viaggio, evidenzia p. Turchi, “Giovanni ci informa della presenza di cristiani, in diverse forme. I nestoriani erano numerosi nelle famiglie vicine all’imperatore, che teneva presso di sé dei preti cristiani ed un coro ‘personale’ davanti alla sua tenda”. Il missionario parla, inoltre, degli “Huyur”, cioè degli Uiguri, una popolazione turca della Mongolia occidentale e della Zungaria che si estendeva nell’odierno Kirghizistan: “secondo Giovanni - riporta lo studio di p. Turchi - ‘sono cristiani della setta dei Nestoriani’, che i Mongoli hanno vinto in guerra e dai quali hanno appreso la scrittura”. Inoltre, nell’Historia Mongalorum c’è anche un accenno al favoloso Prete Gianni, indicato dalla critica come un leggendario monarca del quale circolava una lunga lettera che descriveva un Regno in Asia ricchissimo e potentissimo: “Il presbitero Gianni è descritto dal francescano come il re dei cristiani dell’India Maggiore, che con il suo esercito riuscì ad allontanare i Mongoli. Anche Guglielmo di Rubruck non metterà in discussione tale leggenda, nonostante dichiari che, passando per le sue terre, ha trovato solo qualche nestoriano che avesse sue notizie”.

Diversi sono gli accenni alla “terra dei Kergis”, il popolo dei Kirghiz o Kirghisi. Spiega a tal proposito p. Turchi: “Come indicano le ultime statistiche, questo è oggi il nome del gruppo etnico prevalente della Repubblica del Kirghizistan, presente con il 72,6% sul totale della popolazione, secondo dati del 2014. I Kirghisi si trovavano stanziati in origine nella Siberia meridionale, e in seguito, tra il IX e il XII secolo, cioè fino all’arrivo dei Mongoli, costituirono un dominio a sud sino ai monti del Tian Shan”. Secondo quanto raccontato nelle cronache di Giovanni da Pian del Carpine, Chinggis Khan non riuscì a sconfiggere questo popolo: ci riuscì invece suo figlio Ogodei, che descrisse i Kergis come “pagani, con l’usanza di strapparsi la pelle dal viso in segno di lutto quando muore il padre di qualcuno”.

La missione di Giovanni da Pian del Carpine non portò alla pace invocata dal Papa, “ma se il fine diplomatico non aveva avuto successo, quello esplorativo e di conoscenza delle intenzioni del Khan raggiunse il desiderio sperato”, afferma il docente dell’Antonianum.

Una sorte simile, sottolinea Turchi, toccò al francescano fiammingo Guglielmo di Rubruck, inviato da Luigi IX per creare una possibile alleanza con i Mongoli che potesse in qualche modo indebolire la presenza dell’Islam e giocare a vantaggio dei cristiani: “Da parte sua, frate Guglielmo doveva essere animato da uno spirito missionario e dal desiderio di aiutare i cristiani caduti come prigionieri in mano ai Mongoli”. L’alleanza non si realizzò, ma le memorie del viaggio di Guglielmo, raccolte nell’opera “Itinerarium”, presentano un’attenta descrizione geo-etnografica dei vari popoli orientali e delle tradizioni religiose, che porta a compimento il lavoro iniziato dal suo predecessore.

Secondo p. Turchi, gli aneddoti raccontati nell’ “Itinerarium” spiegano che “come nell’Occidente si fossero diffuse credenze e racconti su quel popolo così sconosciuto e temibile – arrivando a definire i Moal come demoni o mostri – anche tra i Mongoli circolavano leggende infondate sui cristiani e nutrivano la stessa curiosità per un mondo sconosciuto: il lungo itinerario percorso dai francescani mostra come i Mongoli siano uomini diversi dagli Occidentali, ma in fondo simili. La strada verso l’Oriente era stata finalmente aperta”.

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