A Wau ottomila sfollati vivono nel cortile della diocesi

Pubblicato in Missione Oggi

Il Paese è sprofondato dal dicembre 2013 in una crisi umanitaria provocata dalla competizione, prima

“Quando due elefanti combattono è l’erba che soffre”. Matteo Perotti, missionario laico originario della diocesi di Como, utilizza questo proverbio africano per descrivere la situazione in cui vivono milioni di civili in Sud Sudan, Paese sprofondato dal dicembre 2013 in una crisi umanitaria provocata dalla competizione, prima politica e poi militare, tra il presidente Salva Kiir e l’ex vice-presidente Riek Machar. Una contrapposizione per il potere che ha ben presto acquisito una connotazione etnica con il confronto tra i due principali gruppi etnici del Sud Sudan: i denka del presidente Kiir (che rappresentano il 25-30% della popolazione) e i nuer di Machar (15-20%).

Il prezzo per i civili. “Col tempo la crisi si è allargata e oggi nel Paese abbiamo una ventina di milizie, ognuna delle quali persegue propri interessi e, come sempre, a pagare il prezzo di tutto questo sono ancora una volta i civili”, racconta il missionario. Stando ai dati delle Nazioni Unite, alla fine del 2017 si contavano quasi due milioni di nuovi profughi fuggiti nei Paesi della regione – che si vanno ad aggiungere ai 500mila scappati negli anni precedenti – e oltre cinque milioni sono gli sfollati interni. Il missionario è tornato da alcuni giorni a Como per un periodo di riposo e qui vivrà la Giornata di digiuno e preghiera per la pace in Repubblica Democratica del Congo e Sud Sudan indetta da Papa Francesco per venerdì 23 febbraio. Per molti anni volontario della Caritas locale Matteo è partito per l’Africa nel 2011, lasciando il suo lavoro da ingegnere al Politecnico di Milano per trasferirsi a Wau, seconda città del Paese, dove vive nella comunità dei padri Comboniani, mentre insegna matematica alla Facoltà di Agraria dell’Università Cattolica e in un liceo gestito dai salesiani.

Beni di prima necessità. È questo il suo osservatorio speciale da cui guarda alla crisi e alle conseguenze sulla vita delle persone, a partire dai suoi studenti. “Sono molti quelli che hanno interrotto il loro percorso di studi a causa della guerra – spiega Perotti -: alcuni di loro avevano fatto ritorno ai loro villaggi per le vacanze, prima che scoppiasse la crisi, e si sono trovati così nell’impossibilità di tornare a Wau data la difficoltà degli spostamenti. Oggi viaggiare via terra per il Paese, specialmente per lunghe tratte, è quasi impossibile e muoversi in aereo per molti è troppo costoso.

Altri studenti hanno rinunciato per la difficoltà di mantenersi fuorisede dato il generale aumento del costo dei beni di prima necessità; un chilo di riso costa oggi poco meno che in Italia e questo rende difficile sopravvivere quando si può contare su 20-25 dollari al mese. È come se in Italia ogni pasto costasse cento euro. Ma ci sono anche quelli che non si abbattono e cercano di risparmiare ogni centesimo possibile: c’è chi mangia una sola volta al giorno, altri addirittura una volta ogni due giorni, chi copia a mano i testi per non dover pagare le fotocopie. Purtroppo però il calo di rendimento è evidente: come ci si può concentrare se non si ha nulla nello stomaco?”.

Sfollati interni. Wau è stata risparmiata dai combattimenti più violenti, concentratesi nelle regioni verso il confine con il Sudan, ma vive ugualmente, come ogni altra zona del Paese, il dramma degli sfollati interni oltre alle conseguenze economiche della crisi. In città esistono 5 campi, di cui due sono i principali: il più grande è gestito dalle Nazioni Unite e ospita 28mila persone mentre l’altro è nato all’interno del Centro pastorale che ospita gli uffici della diocesi e ne accoglie circa 8mila. “Si tratta per lo più di famiglie fuggite dai villaggi attorno alla città teatro degli scontri tra esercito e ribelli”, precisa il missionario.

 

Borse di studio. Da alcuni anni per cercare di sostenere i suoi studenti il missionario – grazie al contributo della Caritas diocesana di Como – ha avviato un sistema di borse di studio rivolto soprattutto alle studentesse. “Ci sono ricerche che dimostrano come l’innalzamento dei livelli di scolarizzazione, specie nelle donne, portino ad un generale miglioramento delle condizioni di vita di un Paese, almeno nel medio e lungo periodo. È quello che proviamo a fare. Alcuni dei miei studenti vivono nel campo sorto vicino alla cattedrale: mi capita di vederli studiare senza nemmeno un tavolino su cui appoggiarsi, senza corrente, ma sono determinati e decisi a completare gli studi. Noi cerchiamo di dare loro una mano”. Chiediamo a Perotti un pensiero sulla giornata di venerdì: “La mia speranza è che questa Giornata di preghiera per la pace non rimanga un episodio isolato, ma che ognuno di noi pensi durante questo periodo di quaresima alle popolazioni interessate dai conflitti e alle loro sofferenze”.

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