Paolo e l’Evangelizzazione Oggi

Pubblicato in Missione Oggi

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Paolo di Tarso, convertitosi sulla via di Damasco, si sente inviato da Dio ai pagani per comunicare loro il mistero di Cristo incarnato, morto e risorto. Un mistero che cambia radicalmente la vita umana. In Gesù di Nazaret, infatti, il Dio glorioso si è fatto uomo obbediente fino alla morte e alla morte di croce per la salvezza eterna dell’umanità.

Conosciuto questo mistero, per grazia di Dio, non è possibile tacerlo agli altri, esso deve essere annunciato al mondo intero, con ogni lingua, in ogni cultura, con tutti i mezzi…, “dai tetti in su”.

 A ogni persona il compito di corrispondere a questo evento salvifico, accettando liberamente il suo mistero divino e il suo piano di salvezza nella propria vita.

Si tratta di una risposta d’amore, ecco perché Paolo non esita ad affermare: «L’amore di Cristo ci spinge, al pensiero che se uno è morto per tutti, tutti quelli che vivono non vivano più per se stessi, ma per colui che è morto e risuscitato per loro» (2Cor 5, 14s).

La comunicazione di Paolo

Paolo, dopo la conversione, ha avuto chiara coscienza di essere “servo di Cristo Gesù, apostolo per vocazione, prescelto per annunziare il vangelo di Dio, che egli aveva promesso per mezzo dei suoi profeti nelle sacre Scritture, riguardo al Figlio suo, nato dalla stirpe di Davide secondo la carne, costituito Figlio di Dio con potenza secondo lo Spirito di santificazione mediante la risurrezione dai morti, Gesù Cristo, nostro Signore” (Rm, 1,1-4).

Il nucleo della comunicazione paolina è, quindi, l’annuncio del mistero nascosto nei secoli in Dio. Mistero che “non è stato manifestato agli uomini delle precedenti generazioni come al presente è stato rivelato ai suoi santi apostoli e profeti per mezzo dello Spirito: che i Gentili cioè sono chiamati, in Cristo Gesù, a partecipare alla stessa eredità, a formare lo stesso corpo e ad essere partecipi della promessa per mezzo del vangelo, del quale sono divenuto ministro per il dono della grazia di Dio a me concessa, in virtù dell'efficacia della sua potenza”. (Ef 3,5-7).

L’apostolo paolo ha una personale esperienza di questo mistero, in seguito alla quale da persecutore della Chiesa è diventato testimone e comunicatore di Cristo. Ora, nel suo annuncio ai vicini e ai “lontani”, facendosi tutto a tutti, Paolo comunica con fedeltà questa sua esistenziale esperienza e afferma con convinzione: “Vi ho trasmesso dunque, anzitutto, quello che anch'io ho ricevuto: che cioè Cristo morì per i nostri peccati secondo le Scritture, fu sepolto ed è risuscitato il terzo giorno secondo le Scritture, e che apparve a Cefa e quindi ai Dodici…” (1Cor, 15, 3-5).

In pratica che cosa significa tutto questo? Significa che tutti gli uomini hanno ricevuto gratuitamente la grazia di essere “riconciliati con Dio e salvati per mezzo della fede in Cristo Gesù, nostro redentore. Infatti, mentre noi eravamo ancora peccatori, Cristo morì per gli empi nel tempo stabilito” (Rm, 5, 10; 5,6).

Questa salvezza, però, richiede persone libere, poiché è solo nella libertà che si possono compiere scelte responsabili. La comunicazione di Paolo, infatti, fa sempre leva sulla libertà e sul fatto che è Dio stesso che vuole essere scelto e amato da persone libere. A conferma di ciò, l’apostolo afferma: “Cristo ci ha liberati perché restassimo liberi; state dunque saldi e non lasciatevi imporre di nuovo il giogo della schiavitù” (Gal 5,1).

Come comunicava Paolo? La teologia paolina

Il perno fondamentale della teologia paolina si basa sul fatto che la conoscenza di Dio avviene per fede, non per cultura. Ecco perché Paolo si presenta ai suoi ascoltatori come teologo e non come filosofo. Egli ritiene, infatti, che la filosofia è follia agli occhi di Dio, perché alla fine non permette di capire un altro fondamento della religione cristiana, vale a dire la croce. Con la sola ragione, infatti, è impossibile comprendere che il figlio di Dio si è incarnato ed è morto sulla croce per noi. Paolo chiama questa “conoscenza” stultitia crucis, perché è difficile, alla luce dei valori tradizionali pagani e giudei, spiegare la morte in croce del Figlio di Dio venuto a salvare l’umanità. l'apostolo definisce questa realtà come scandalo per i giudei − perché quello che si proclamava il Messia, figlio di Dio, il Dio onnipotente biblico, finiva la sua vita in un atto di somma impotenza quale la morte in croce, − e follia per i pagani, i quali non potevano certo concepire un Dio-uomo che va’ a morire come il peggiore dei criminali. Allora come possiamo noi accettare e comprendere la croce? Per la sola fede.  I cristiani, infatti, non ricercano il vero al modo dei Greci, perché sanno già per fede la verità, ovvero che Gesù Cristo è figlio di Dio. Per spiegare la morte in croce Paolo, allora, introduce nel suo discorso la categoria teologica della kenosis, ovvero dell'abbassamento che Dio ha operato di se stesso, spogliandosi delle proprie prerogative e incarnandosi in forma umana, fino al supplizio in croce, con l'unico scopo di riscattarci dal peccato originale. Da qui si evince che la legge fondamentale del cristianesimo è l'amore, perché è l’Amore che ha spinto Dio a sacrificarsi per le proprie creature, fino a permettere morte che suo Figlio morisse in croce per salvarle. Quindi, fra le tre virtù teologali: fede, speranza e carità, quest’ultima è di gran lunga la più importante ed è quella che rimarrà anche nella vita eterna. Noi, però, possiamo comprendere l'amore di Dio (immenso e senza confini) solo attraverso la fede liberamente accettata e vissuta. La filosofia non ci è sufficiente, perché razionalmente non riusciremmo mai a spiegarci perché dobbiamo amare chi ci delude o chi ci odia o non chi non ci considera… Una volta compreso l'amore per mezzo della fede, però, bisogna anche metterlo in pratica, viverlo, perché la carità è vera se si fa: "Veritatem in caritate ". Paolo, tuttavia, pur negando la possibilità di conoscere la Verità mediante la filosofia, afferma la possibilità di conoscere Dio Creatore attraverso le creature, affermando che nel creato c'è come un’impronta di Dio, che dalle creature può far conoscere, in qualche modo, anche il creatore. La salvezza eterna, però, viene soltanto dalla fede in Cristo Gesù.

Paolo è, quindi, la prima persona a introdurre nella religione cristiana l'idea del dogma, ossia di quella verità alla quale si crede per fede, senza discutere.

La comunicazione della buona Novella ai lontani, che Paolo va a cercare ovunque si trovino, fa leva soprattutto sui bisogni più intimi della persona umana. La persona, infatti, di che cosa ha maggiormente bisogno? Che cosa cerca disperatamente in modo conscio o inconscio? Cerca, forse, di dare un senso alla propria esistenza, ha l’esigenza di credere che la vita non finisca nel nulla, vorrebbe essere amata per ciò che è, al di là di ogni limite, deficienza, chiusure… ha bisogno di credere che le relazioni d’amore instaurate in questo mondo, continueranno ad esistere, in qualche forma, oltre la morte…

Paolo, opportunamente, nella sua evangelizzazione fa leva sulla realtà quotidiana, base comune di tutti i suoi ascoltatori, per illuminarla dal di dentro con la luce proveniente da Cristo. In quest’ottica egli condivide con i “lontani” la sua esperienza vitale del Signore Gesù e la sua conoscenza del mistero salvifico. Facendo così, risponde alle profonde esigenze spirituali di tutti i propri ascoltatori e lettori. Egli, infatti, con convinzione profonda, annuncia a tutti che Dio ci ama e che nel suo immenso amore per ciascuno non ha esistato di inviarci il proprio Figlio per comunicarcelo. La salvezza dell’uomo è, quindi, iniziativa gratuita di Dio; è un’offerta a tutti; è un dono alla portata di tutti. Ogni persona, infatti, se vuole può diventare membro della famiglia di Dio ed essere salvata,  basta che creda in Gesù Cristo e accetti Dio nella propria vita, nonostante i propri limiti e i propri peccati.

L’importante è sapere che «l’uomo non è giustificato dalle opere della Legge, ma soltanto per mezzo della fede in Gesù Cristo» (Gal 2, 16; cfr. Rm 3, 28. 34) e questa certezza Paolo la testimonia in quanto l’ha sperimentata nella propria vicenda personale, tanto da poterla comunicare in modo convincente agli altri, fino ad arrivare a dire: «Questa vita che io vivo nella carne, io la vivo nella fede del Figlio di Dio, che mi ha amato e ha dato se stesso per me» (Gal 2, 20).

Ecco perché nella comunicazione di Paolo Cristo è sempre al centro e detiene il primato assoluto. Ogni realtà ruota intorno a Lui, in quanto Egli è il principio unificante e vivificante di tutto (cfr. Col 1,17s). «In Lui tutte le promesse di Dio sono diventate » (cfr 2Cor 1,19s); «in Lui abita corporalmente tutta la pienezza della divinità» (Col 2, 8).

Paolo è pienamente convinto che è la fede in Cristo  che ci giustifica davanti al Padre, mediante lo Spirito santo. La giustificazione, quindi, è il frutto di tutta la redenzione, perché dalla universale e irrimediabile condizione di ignoranza e corruzione in cui versava l’umanità decaduta, la grazia di Dio misericordioso – con l’effusione dello Spirito di Cristo morto e risorto – ci ha resi giusti, ”creatura nuova”, anzi, «dove abbondava il peccato, ha sovrabbondato la grazia» (Rm 5,20).

Questa è la preoccupazione di Paolo: comunicare fedelmente la buona novella del Regno, rivelare, a tutto il mondo conosciuto, la salvezza, perché tutti possano accoglierla, integralmente e liberamente, come autentico messaggio di Cristo, per la loro felicità eterna. E per fare in modo che i suoi ascoltatori, o lettori, si convincano che questa comunicazione non è una costruzione umana, come non è frutto di filosofie arcane, ma viene da Dio stesso, egli non esita ad affermare: “Vi dichiaro dunque, fratelli, che il vangelo da me annunziato non è modellato sull'uomo; infatti io non l'ho ricevuto né l'ho imparato da uomini, ma per rivelazione di Gesù Cristo” (Gal,1,11-12).

Caratteristiche del messaggio paolino

La comunicazione di Paolo è universale (si rivolge a tutti, nessuno escluso); è una comunicazione integrale (tutto Cristo a tutto l’uomo e viceversa); è totalizzante (coinvolge tutta la persona: mente, volontà e cuore; il presente e il futuro, l’oggi e l’eternità).

“Quando sono venuto tra voi, o fratelli, non mi sono presentato ad annunziarvi la testimonianza di Dio con sublimità di parola o di sapienza. Io ritenni, infatti, di non sapere altro in mezzo a voi se non Gesù Cristo, e questi crocifisso. Io venni in mezzo a voi in debolezza e con molto timore e trepidazione; e la mia parola e il mio messaggio non si basarono su discorsi persuasivi di sapienza, ma sulla manifestazione dello Spirito e della sua potenza, perché la vostra fede non fosse fondata sulla sapienza umana, ma sulla potenza di Dio” (1Cor, 2,1-5).

Come abbiamo notato, la fede, per Paolo, è condizione indispensabile per ottenere la salvezza e diventare discepoli di Cristo. Ecco perché aggiunge: “Se confesserai con la tua bocca che Gesù è il Signore, e crederai con il tuo cuore che Dio lo ha risuscitato dai morti, sarai salvo” (Rm, 10,9).

Sintesi

  • La principale preoccupazione di Paolo è stata la diffusione del Vangelo in tutto il mondo e a ogni creatura, perché tutti possano essere salvati in Cristo Gesù. Ha cercato di comunicare la fede e la sua esperienza vitale di Cristo usando tutti i linguaggi e inculturandosi in ogni situazione, pensiero, paese. “Tutto io faccio per il vangelo, per diventarne partecipe con loro”
  • La seconda preoccupazione di Paolo è stata la cura per le chiese da lui fondate. Sovente, infatti, egli risponde da lontano a problemi sorti in sua assenza, e anche se non è teologo di professione, affronta e svolge temi, usa e precisa termini con una profondità e capacità di sintesi fino ad allora sconosciute. Questo è particolarmente evidente nella Lettera ai Romani (1-11) e nella prima parte di altre Lettere (Gal 3-4; Col 1-3, 4; Efesini 1-2), dove troviamo anche i grandi inni cristologici (Col 1, 12-20; Ef 1, 3-14. 20-23; Fil 2, 5-11).
  • Paolo si è sempre qualificato come servo di Cristo Gesù, Suo collaboratore, in quanto inviato e messo da parte per il Vangelo da comunicare ai pagani, quindi ai lontani, che va a cercare nella loro situazione esistenziale…
  • L’apostolo si è fatto tutto a tutti per salvare in ogni modo qualcuno. “Infatti, pur essendo libero da tutti, mi sono fatto servo di tutti per guadagnarne il maggior numero” ( 1Cor, 9,19).
  • Ha sempre comunicato Cristo e Cristo crocifisso, con un linguaggio franco, semplice, concreto, positivo, inculturato, decodificabile da chi l’ascoltava.
  • Ha comunicato con convinzione che la giustificazione ci viene dalla fede e non dalle opere: “Tutti hanno peccato e sono privati della gloria di Dio, ma sono giustificati gratuitamente con la sua grazia, mediante la redenzione in Cristo Gesù. Riteniamo, infatti, che l’uomo è giustificato per la fede, senza le opere della Legge” (Rm, 3, 23-24; 28).
  • Ha vissuto in primis e tracciato concretamente, poi, l’identikit del discepolo di Cristo, che è vivere secondo lo Spirito, il quale ”viene in aiuto alla nostra debolezza perché nemmeno sappiamo che cosa sia conveniente domandare…” (Rm 8,26) e l’identikit dell’autentica comunità cristiana: “Ora voi siete corpo di Cristo e sue membra, ciascuno per la sua parte…” (1Cor 12,27), testimoniando e insegnando l’importanza fondamentale di morire a se stessi per donarsi agli altri, vale a dire vivere l’amore autentico verso Dio e verso il prossimo. Ecco perché Paolo può affermare con convinzione: “La carità non abbia finzioni: fuggite il male con orrore, attaccatevi al bene; amatevi gli uni gli altri con affetto fraterno, gareggiate nello stimarvi a vicenda. (Rm, 12,9).
  • Ha fatto della persona credente una creatura libera, “nuova”, rinata: “Chi è in Cristo è una creatura nuova… le cose vecchie sono passate, ecco ne sono nate di nuove” (2Cor, 5,17).
  • Il suo messaggio è sempre stato un messaggio inculturato, comunicato con il metodo induttivo: dal particolare all’universale. Ha cercato in ogni occasione, in ogni evento, in ogni accadimento di presentare Cristo, il Vangelo e il Suo immenso amore per ogni creatura, affermando che la chiamata a diventare figli di Dio è una vocazione universale che vale per tutti, sempre.
  • Paolo, nella comunicazione del Vangelo, ha fatto leva sulla libertà dei suoi destinatari: libertà dalla legge, dal peccato, dalle passioni degradanti dell’animo umano, per accogliere la grazia ed essere divinizzati in Dio mediante lo Spirito, che è vita e pace: “Il Signore è lo Spirito, e dove c’è lo Spirito del Signore c’è libertà”(2Cor 3,17).
  • Nella vita di Paolo troviamo il passaggio dal fondamentalismo della Legge all’accoglienza del pluralismo culturale del mondo pagano, grazie alla novità dell’evento Cristo ( cfr. Gesù e Paolo, vite parallele di Jerome Murphy O’ Connor).
  • In lui troviamo il passaggio da un modo di pensare le chiese (o le comunità ecclesiali) a un diverso modo di comunicazione della fede, che non ha paura di confrontarsi con la diversità, ma sa mettersi in ascolto e in dialogo con il diverso da sé, come missione, come opportunità e non come pericolo.

Nella ricchezza e nella profondità della dottrina paolina, come pure nello splendido vigore della sua testimonianza, la comunicazione di Paolo costituisce un momento stimolante, privilegiato e irripetibile nella storia dell’evangelizzazione, tanto da restare un modello di riferimento del quale nessuna persona che vuole evangelizzare può farne a meno.

L’evangelizzazione oggi nella Chiesa

Oggi quale tipo di personale esperienza cristologia possiamo e vogliamo comunicare come Chiesa ai nostri contemporanei lontani e vicini?

Considerando la missione della Chiesa, sacramento del Regno, infatti, ci sembra che sia necessario ripensare le funzioni ecclesiali di base e cioè la diaconia, la koinonia, la martyria e la liturgia, per essere testimoni autentici del Vangelo di Cristo.

Domandiamoci sinceramente se noi cristiani siamo capaci di “servire” il mondo, o invece ci serviamo del mondo. La nostra testimonianza di servizio e di solidarietà privilegia i poveri, oppure i “potenti”?

La rinuncia al potere fa parte del nostro modus vivendi, oppure accade il contrario?

La comunità ecclesiale è fondata su rispetto dell’altro/a, sulla fraternità e sulla libertà della persona umana, che si fa comunione e porta all’integrazione di tutte e tutti attorno al Cristo e al suo Vangelo, oppure ognuno/a privilegia il suo “particolare” senza porsi al servizio della promozione e liberazione integrale di ciascuno e di tutti?

Paolo ci chiede di fare la carità nella verità, ne siamo capaci? Lo facciamo?

Che cosa comunichiamo veramente e chi comunichiamo? La nostra comunicazione è pertinente, efficace, inglobante, liberante, totalizzante?

Con quale linguaggio comunichiamo? Con quale rispetto per la diversità? Con quale e quanto amore lungimirante?

Come accettiamo chi la pensa diversamente da noi e come ci confrontiamo con loro, nella simpatia e nella tenerezza empatica?

Il nostro stile di vita cristiana e di comunicazione di ciò che siamo è decodificabile e significativo per i nostri contemporanei?

Qual è il cuore del messaggio salvifico che vogliamo condividere? La legge, la grazia, la gratuità, la rigidità, la misericordia, la condanna, il perdono? Di ciò ne abbiamo fatto esperienza diretta, che ci ha cambiato la vita? In altre parole: viviamo ciò che comunichiamo?

Quale sguardo universale abbiamo sul mondo e con quale simpatia partecipiamo ai problemi della società, ai suoi cambiamenti, alle sue speranze, alle sue sconfitte, alla sua ricerca di bene? Ci poniamo da sorelle e fratelli accanto a chi ricerca, lotta, sbaglia, si allontana?

Siamo capaci di far convergere in unità la diversità, valorizzando la ricchezza della differenza e dell’alterità?

Usiamo verso gli altri la simpatia, la misericordia e il perdono che Dio usa con noi? 

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